martedì 30 giugno 2015

Adozione del modello semplificato e unificato per la richiesta di autorizzazione unica ambientale

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA
DECRETO 8 maggio 2015
Adozione del modello semplificato e unificato per la richiesta di autorizzazione unica ambientale - AUA. (15A04833) (GU Serie Generale n.149 del 30-6-2015 - Suppl. Ordinario n. 35)

Modalita' tecniche di trasmissione dei dati e di accesso alla banca dati attestati di rischio


PROVVEDIMENTO 19 giugno 2015
Modalita' tecniche di trasmissione dei dati e di accesso alla banca dati attestati di rischio di cui al regolamento IVASS n. 9 del 19 maggio 2015, recante la disciplina della banca dati attestati di rischio e dell'attestazione sullo stato del rischio di cui all'art. 134 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 - codice delle assicurazioni private - dematerializzazione dell'attestato di rischio. (Provvedimento n. 35). (15A04982) (GU Serie Generale n.149 del 30-6-2015)

Rivista Giuridica della Circolazione e dei Trasporti

Rivista Giuridica ACI n. 4 Luglio - Agosto

Giurisprudenza: a cura della dott.ssa Maristella Giuliano
Sospensione della patente nel caso di guida in stato d'ebbrezza anche se indispensabile allo svolgimento dell'attività lavorativa

Corte di Cassazione III Sezione Penale

Sentenza n. 19617 del 8 maggio 2015

Sospensione della patente di guida – guida in stato d’ebbrezza alcolica – patente necessaria allo svolgimento dell’attività lavorativa – legittimità costituzionale art 218 e 224 CdS - infondatezza – sussiste

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Normativa: a cura della dott.ssa Daniela Mascaro e Dr Andrea Guerci
Ricorsi avverso diniego riconseguimento patente per mancato decorso del triennio

Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti

Circolare Prot. n. 14549 del 18 giugno 2015

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Commissione Europea

Regolamento delegato (UE) 2015/962 del 18 dicembre 2014

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Sosta limitata o regolamentata

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti

nota n. 2074 del 6 maggio 2015

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Sicurezza dei veicoli elettrici

Consiglio dell'Unione Europea

Decisione (UE) 2015/991 del 19 giugno 2015

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Allarme personale per le province - Nei Comuni l'incognita dei vigili stagionali


Leggi qui l'articolo del "Il Sole 24 Ore"

Ferie: malattia, reperibilità e preavviso, l'Aran spiega come funziona

L'Aran ha recentemente pubblicato tre orientamenti applicativi in materia di ferie, con riferimento al contratto nazionale delle Regioni e degli enti locali.

Recuperi al netto di tasse e contributi

I recuperi individuali a carico dei dipendenti che negli anni sono stati beneficiati dalle indennità illegittime devono essere effettuati al netto di tasse e contributi. Per le altre voci, il Comune dovrebbe regolarsi con l'agenzia delle Entrate per quel che riguarda il Fisco, e con l'Inps (ovviamente nella gestione ex Inpdap) per la parte previdenziale. Le istruzioni arrivano ancora una volta dalla Corte dei conti, ma in questo caso si tratta della sezione di controllo per il Lazio. 

L’art. 15 comma 5 CCNL 1.4.1999: cambiamento di rotta!

PARERE ARAN 19932/2015 SU ART. 15 COMMA 5 CCNL 1.4.1999

Leggi anche:
 Fondi decentrati, linea morbida dell'Aran più vicina alle regole contrattuali

Sentenza della Corte Costituzionale n. 113 del 18 giugno 2015. Verifiche periodiche di funzionalità dei dispositivi di controllo della velocità dei veicoli.

Circolare Ministero dell'Interno n. 300/ A/4745/15/144/5/20/5 del 26 giugno 2015

Sosta limitata o regolamentata ex art. 7 del Codice della strada - Parere MIT prot. 2074 del 06.05.2015 inviato al Comune di Lecce

Oggetto: sosta limitata o regolamentata ex art. 7 del Codice della strada - Comune di Lecce (V.s.nota prot. 22353 del 3 marzo 2015 ).

Resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) per chi non si ferma al posto di blocco e si da alla fuga


Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 20 maggio – 24 giugno 2015, n. 26528
Presidente Ippolito – Relatore Villoni

lunedì 29 giugno 2015

Droni, cambiano ancora le norme e si specificano le sanzioni.

Il settore degli aeromobili a pilotaggio remoto, altrimenti detti Droni, è in grande effervescenza.

Funzioni svolte dal Comandante/Responsabile della Polizia locale – responsabilità di ufficio con competenze gestionali – impossibilità – conflitto di interessi – sussistenza.

ANAC-Orientamento n. 19 del 10 giugno 2015


Nuovo modello di autovelox senza cartelli di avviso

Il nuovo autovelox potrà puntare le targhe alle spalle o le auto che vengono dal senso opposto di marcia senza bisogno di segnalazione preventiva con la cartellonistica stradale.
Leggi l'articolo completo qui

Questioni in materia di ricollocazione del Personale delle Province e delle citta' metropolitane

Emanata dal Dipartimento della Funzione Pubblica  Presidenza del Consiglio dei Ministri - la circolare in data 27/03/2015 ad oggetto "Questioni in  materia di ricollocazione del Personale delle Province e delle citta' metropolitane (articolo 1 , commi da 418 a 430, della legge 23 dicembre 2014 , n. 190) al fine di chiarire alcune aspetti che diverse amministrazioni hanno segnalato in materia fornendo indicazioni tecniche. 

venerdì 26 giugno 2015

NOTA INTERPRETATIVA SULLA SOSTA LIMITATA O REGOLAMENTATA E PROTRAZIONE DELLA SOSTA (STRISCE BLU)

DM 10 gennaio 2013 n. 20_Sistemi ruote_Deroga per la commercializzazione delle ruote in stock.Aggiornamento elenco dei costruttori

Circolare Prot. 15053 del 26/06/2015
emessa da: Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti
Titolo/Oggetto
Div. 3_Circolare n. 15053 del 26/06/2015: DM 10 gennaio 2013 n. 20_Sistemi ruote_Deroga per la commercializzazione delle ruote in stock_Aggiornamento elenco dei costruttori
documenti da scaricare

Immatricolazione di veicoli di fine serie, a norma dell'articolo 27 della Direttiva 2007/46/CE e successive modifiche ed integrazioni dei veicoli. Veicoli con ultima data d'immatricolazione 22 giugno 2015

Circolare Prot. 15005 del 24/06/2015
emessa da: Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti
Titolo/Oggetto
Div_3_Immatricolazione di veicoli di fine serie, a norma dell'articolo 27 della Direttiva 2007/46/CE e successive modifiche ed integrazioni dei veicoli. Veicoli con ultima data d'immatricolazione 22 giugno 2015
documenti da scaricare

lunedì 22 giugno 2015

E' legittima l'ordinanza comunale adottata nei confronti dell'ANAS in ordine alla rimozione dei rifiuti abbandonati a latere della S.S..

L'ordinanza qui gravata trova adeguato fondamento nell’art. 14 del Codice della Strada -richiamato nelle premesse del provvedimento, il quale reca la firma oltre che del Commissario prefettizio anche del Responsabile del Settore Ambiente e manutenzione- in quanto i rifiuti urbani, di cui si ordina la rimozione all’ANAS, risultano collocati lungo il percorso extraurbano della Strada Statale n. 19;
Si tenga presente che:
- la norma dell’art. 14 della Codice della Strada, intitolato “poteri e compiti degli enti proprietari delle strade”, e per essi dei concessionari, dispone che detti proprietari e concessionari, “allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione”, debbano provvedere (lett. a) “alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi”;
- “anche sotto un profilo di sicurezza stradale e di efficiente operatività del servizio di raccolta rifiuti una diversa interpretazione non trova apprezzabili riscontri, perché sarebbe, con tutta evidenza, illogico imporre al Comune il dovere di rimuovere i rifiuti abbandonati su strada e sue pertinenze, di proprietà di soggetto terzo, poiché la relativa attività comporterebbe l’occupazione della carreggiata con mezzi pesanti per la raccolta e il trasporto dei rifiuti, nonché il transito di operatori ecologici per le altre attività proprie della raccolta rifiuti, che sono oggettivamente incompatibili, o comunque interferenti, con il normale flusso della circolazione stradale”; sicché “è soltanto l’ente proprietario o gestore della strada che […] può razionalmente ed efficacemente programmare ed attuare in sicurezza la pulizia della strada e delle sue pertinenze, poiché solo essi possono programmare e gestire tutte le misure e le cautele idonee a garantire la sicurezza della circolazione e degli operatori addetti alle pulizie”;
- la citata giurisprudenza, condivisa dal Collegio, ritiene l’art. 14 della Codice della Strada norma speciale di settore che, per sua natura, non può ritenersi derogata se non da altra norma speciale che espressamente la privi della sua efficacia, ovvero disponga diversamente per ipotesi individuate, laddove il d.lgs. n. 152/2006 non contiene previsioni specifiche in materia di sicurezza stradale;
- non può, pertanto, rilevare la giurisprudenza relativa a ordinanze di rimozione di rifiuti urbani da luoghi diversi dalla sede stradale e sue pertinenze;
- l’art. 14 del codice della strada, citato, inoltre, prescinde da qualsivoglia accertamento in contraddittorio del dolo o della colpa, avendo quale finalità prevalente ed espressa quella di garantire “la sicurezza e la fluidità della circolazione” (co. 1) ed è incontestata la circostanza che "i rifiuti, trovandosi lungo il percorso stradale, possano costituire pericolo alla sicurezza e fluidità della circolazione”.
... per l'annullamento dell'ordinanza n. 28/2015 relativa alla rimozione e allo smaltimento dei rifiuti lungo il percorso extraurbano della strada statale 19;
...
Considerato che l’ordinanza qui gravata trova adeguato fondamento nell’art. 14 del Codice della Strada -richiamato nelle premesse del provvedimento, il quale reca la firma oltre che del Commissario prefettizio anche del Responsabile del Settore Ambiente e manutenzione- in quanto i rifiuti urbani, di cui si ordina la rimozione all’ANAS, risultano collocati lungo il percorso extraurbano della Strada Statale n. 19;
Considerato altresì che:
- la norma dell’art. 14 della Codice della Strada, intitolato “poteri e compiti degli enti proprietari delle strade”, e per essi dei concessionari, dispone che detti proprietari e concessionari, “allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione”, debbano provvedere (lett. a) “alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi”;
- “anche sotto un profilo di sicurezza stradale e di efficiente operatività del servizio di raccolta rifiuti una diversa interpretazione non trova apprezzabili riscontri, perché sarebbe, con tutta evidenza, illogico imporre al Comune il dovere di rimuovere i rifiuti abbandonati su strada e sue pertinenze, di proprietà di soggetto terzo, poiché la relativa attività comporterebbe l’occupazione della carreggiata con mezzi pesanti per la raccolta e il trasporto dei rifiuti, nonché il transito di operatori ecologici per le altre attività proprie della raccolta rifiuti, che sono oggettivamente incompatibili, o comunque interferenti, con il normale flusso della circolazione stradale”; sicché “è soltanto l’ente proprietario o gestore della strada che […] può razionalmente ed efficacemente programmare ed attuare in sicurezza la pulizia della strada e delle sue pertinenze, poiché solo essi possono programmare e gestire tutte le misure e le cautele idonee a garantire la sicurezza della circolazione e degli operatori addetti alle pulizie” (Cons. di Stato, IV, sent. n. 2677/2011, che conferma TAR Lazio, sent. n. 7027/2009, TAR Napoli, sent. n. 7428/2006 e TAR Basilicata n. 441/2010);
- la citata giurisprudenza, condivisa dal Collegio, ritiene l’art. 14 della Codice della Strada norma speciale di settore che, per sua natura, non può ritenersi derogata se non da altra norma speciale che espressamente la privi della sua efficacia, ovvero disponga diversamente per ipotesi individuate, laddove il d.lgs. n. 152/2006 non contiene previsioni specifiche in materia di sicurezza stradale;
- non può, pertanto, rilevare la giurisprudenza relativa a ordinanze di rimozione di rifiuti urbani da luoghi diversi dalla sede stradale e sue pertinenze;
- l’art. 14 del codice della strada, citato, inoltre, prescinde da qualsivoglia accertamento in contraddittorio del dolo o della colpa, avendo quale finalità prevalente ed espressa quella di garantire “la sicurezza e la fluidità della circolazione” (co. 1) ed è incontestata la circostanza che "i rifiuti, trovandosi lungo il percorso stradale, possano costituire pericolo alla sicurezza e fluidità della circolazione” (TAR Salerno, II, sent. n. 330/2013);
Ritenuto, alla luce delle sopra esposte osservazioni, che il ricorso è infondato (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 17.06.2015 n. 1373 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

Notizia tratta da :http://www.ptpl.altervista.org/

La sanzione per gli infortuni sul lavoro (mancata denuncia all'autorità di P.S.) si applica o non si applica?

QUESITO DEL GIORNO:
Mi viene chiesto da parte di molti colleghi di fare il punto sulla sanzione prevista dall'art. 54 del D.P.R. 1124/65, e nello specifico, se la stessa risulta ancora applicabile o meno.

RISPOSTA:

Come ho evidenziato nel precedente post il Il DECRETO-LEGGE 21 giugno 2013, n. 69 (in SO n.50, relativo alla G.U. 21/06/2013, n.144) , convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n. 98 (in S.O. n. 63, relativo alla G.U. 20/08/2013, n. 194), ha disposto (con l'art. 32, commi 6, lettera a) e 7) la modifica dell'art. 54 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124.

Con la suddetta modifica, l'articolo 54 veniva abrogato, a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto di cui all’articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81

Purtroppo, queso famoso decreto che doveva uscire entro 180 giorni e che doveva definire le regole tecniche per la realizzazione ed il funzionamento del SINP,  non è ancora uscito (e non sarebbe certamente la prima volta in Italia), pertanto si ritiene che l'art. 54 sopra citato, ad oggi, sia ancora vigente.

Lo stesso Ministero del Lavoro con nota del 12 gennaio 2015 (v. sotto), ha espresso il proprio parere in merito al regime sanzionatorio applicabile nei confronti del datore di lavoro che non ottemperi, ovvero adempia tardivamente rispetto al termine fissato dall’Inail, alla richiesta di inoltro del certificato medico relativo ad una denuncia di infortunio sul lavoro o di malattia professionale (qui l'articolo)

Tuttavia, è notizia di questi giorni, che il CSM vorrebbe esonerare il datore di lavoro di questo obbligo (con DECRETI ATTUATIVI previsti SUL JOBS ACT), anticipando la soppressione dell’obbligo, connessa, nelle intenzioni del legislatore, alla emanazione del decreto interministeriale istitutivo del Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP).
Mario Serio
Riproduzione Riservata
P.S. Ricordo ai lettori che su questo blog esiste apposita sezione su Infortuni sul lavoro ( link che trovate sotto)

Nuova normativa nazionale per la pet therapy

Finalmente approvate le linee guida nazionali sugli Interventi Assistiti dall’Animale, un passo in avanti per l’Italia-


"Ecco sono arrivati gli sbirri", non è oltraggio al pubblico ufficiale

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 marzo – 18 giugno 2015, n. 25903
Presidente Agrò – Relatore Bassi

Ritenuto in fatto

1. Con pronuncia del 24 giugno 2014, la Corte d'appello di Palermo ha confermato la sentenza del 13 dicembre 2011, con la quale il Tribunale di Marsala ha condannato D.G. alla pena di mesi uno di reclusione, in relazione ai reati di cui agli artt. 341-bis cod. pen. (capo A) e 651 cod. pen. (capo B), commessi il 28 maggio 2010.
2. Ricorre avverso la sentenza l'Avv. Giuseppe Ferro, difensore di fiducia di D.G., e ne chiede l'annullamento per violazione di legge penale e vizio di motivazione, per avere la Corte d'appello ritenuto integrato il reato di cui all'art. 341-bis cod. pen. sebbene la frase "Ecco, sono arrivati gli sbirri" non possa ritenersi chiaramente offensiva dell'onore e della reputazione dei pubblici ufficiali.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che la sentenza impugnata sia annullata senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato ed il difensore di D. ha insistito per l'accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

1. II ricorso è fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla pronuncia di condanna in ordine al reato di cui all'art. 341-bis cod. pen. (capo A).
2. La Corte d'appello ha motivato il giudizio di responsabilità dell'imputato per il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale stimando la frase "Ecco, sono arrivati gli sbirri" chiaramente offensiva dell'onore e della reputazione dei pubblici ufficiali, in quanto, per il modo e per il contesto in cui veniva pronunciata - in luogo pubblico o comunque aperto al pubblico (davanti ad un bar) in presenza di diversi soggetti, ad alta voce e con tono di sfida -, denotante un'evidente disprezzo per i rappresentanti delle forze dell'ordine, disprezzo confermato dal successivo rifiuto dell'imputato di fornire le proprie generalità.
3. Ritiene il Collegio che le valutazioni espresse dalla Corte territoriale non possano essere condivise.
3.1. In linea generale, va evidenziato come il legislatore del 2009, nel reintrodurre la fattispecie dell'oltraggio a pubblico ufficiale, abbia previsto, diversamente dalla incriminazione abrogata con la legge n. 205/1999, che l'offesa sia connotata dal requisito della pubblicità, e cioè avvenga in un luogo pubblico ovvero aperto al pubblico ed in presenza di più persone. L'offesa al pubblico ufficiale non è tipizzata: il delitto è a forma libera ed è integrato da una qualunque manifestazione offensiva, attiva o omissiva, esplicita o implicita, anche violenta o minacciosa, che rivesta valenza lesiva del prestigio del pubblico ufficiale. In caso di oltraggio commesso rivolgendo una frase al pubblico ufficiale, le espressioni utilizzate devono essere connotate da un'obbiettiva idoneità offensiva e, pertanto, essere tali da recare nocumento a quella particolare forma di decoro e di rispetto che deve circondare quanti esercitano una pubblica funzione.
3.2. Secondo i principi fissati da questo giudice di legittimità, ai fini della valutazione in punto di idoneità offensiva delle espressioni utilizzate nei confronti del pubblico ufficiale, non ci deve limitare a valutare il mero significato obiettivo delle parole, ma si deve tenere conto anche dei criteri etico sociali comunemente condivisi e, soprattutto, della evoluzione del linguaggio nella società. Il che peraltro non significa che l'obiettiva capacità offensiva delle parole possa ritenersi elisa dalla facilità con cui nella società contemporanea vengono abitualmente usate espressioni volgari (Cass. Sez. 6, n. 11396 del 18/10/1994, Chíavarini, Rv. 199378) o dal fatto che una data locuzione ricorra frequentemente nel linguaggio comune, potendo questa integrare il reato allorché sia inserita in un contesto che esprima, senza possibilità di equivoci, disprezzo e disistima per le funzioni del pubblico ufficiale (Cass. Sez. 6, n. 413 del 29/11/1988 Strati Rv. 180174).
3.3. Sebbene non sia previsto dall'art. 341-bis - mentre l'ipotesi previgente lo richiedeva espressis verbis -, l'offesa deve avvenire anche in presenza del pubblico ufficiale, requisito che si desume, seppure implicitamente, dalla previsione che la condotta oltraggiosa deve avvenire "mentre" il pubblico ufficiale che riceva l'offesa "compie un atto d'ufficio ed a causa o nell'esercizio delle sue funzioni", contemporaneità che resterebbe priva dì significato ove l'offesa perseguita non fosse immediatamente percepita dal pubblico ufficiale intento a svolgere l'attività d'ufficio.
È ovviamente richiesta la prova del nesso funzionale, e cioè che l'offesa, non solo sia posta in essere mentre il soggetto passivo sta compiendo un atto del suo ufficio, ma sia strettamente connessa all'esercizio delle funzioni e, dunque, abbia la propria scaturigine nell'atto d'ufficio che il pubblico ufficiale sta ponendo in essere. Il reato di cui all'art. 341-bis cod. pen. sanziona infatti non una qualunque critica anche accesa verso i pubblici ufficiali mediante l'articolazione di frasi dal contenuto denigratorio, bensì solo e soltanto la condotta ingiuriosa che - in quanto connotata dal requisito della pubblicità, dalla presenza dell'offeso pubblico ufficiale e soprattutto da una relazione diretta rispetto all'espletamento della pubblica funzione - sia tale da minare la dignità sociale del pubblico ufficiale e, attraverso di esso, la considerazione della pubblica amministrazione che impersonifica in quel momento.
3.4. Sintetizzando, il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale può ritenersi integrato quando siano rivolte al destinatario delle parole o frasi volgari ed offensive, sebbene di uso corrente nel linguaggio usato nella società moderna, che assumano una valenza obiettivamente denigratoria di colui il quale esercita la pubblica funzione e non costituiscano espressione di mera critica, anche accesa, o di villania, e che siano correlate alla funzione pubblica del soggetto passivo, così da incidere sul consenso che la P.A. deve avere nella società.
4. Fissati i principi che devono guidare la soluzione del caso di specie, ritiene il Collegio che erroneamente la Corte territoriale abbia stimato la frase "Ecco, sono arrivati gli sbirri" chiaramente diretta ad offendere l'onore e la reputazione del pubblico ufficiale in ragione della pubblica funzione nel contesto concretamente svolta.
4.1. Può infatti convenirsi che il termine "sbirro", derivante dal termine tardo latino birrus, rosso (con riferimento al colore del mantello con cappuccio che le guardie dei comuni, delle repubbliche e delle signorie erano solite indossare in epoca tardo medievale e rinascimentale), sia oggi comunemente utilizzato in senso spregiativo per indicare i poliziotti o, più in generale, gli esponenti delle forze dell'ordine. Si tratta di una parola che, anche nella società contemporanea - nella quale è ormai abituale l'utilizzo nel linguaggio corrente, finanche nei mass media, di termini rozzi, volgari ed offensivi -, risulta obbiettivamente connotata da una valenza denigratoria, laddove evoca il ricorso a metodi sbrigativi, all'uso della forza e dunque all'abuso dei poteri riconosciuti agli "sbirri" in epoca medioevale e rinascimentale, in quanto "braccio armato" dei signori di turno al potere.
4.2. Tanto premesso ritiene nondimeno il Collegio che, dagli stessi elementi esposti nella sentenza impugnata, sì ricavi come l'offesa si atteggiasse a protesta contro l'astratta funzione della polizia e non fosse diretta a ledere i singoli pubblici ufficiali in ragione degli atti che stavano svolgendo.
4.3. Ed invero, da quanto si legge nelle sentenze di merito e dal tenore della stessa contestazione, nel corpo della frase pronunciata da D., l'epiteto "sbirri" non era rivolto direttamente agli esponenti dell'Arma dei Carabinieri, come nel caso in cui il ricorrente avesse detto: "siete proprio degli sbirri", "Vi state comportando da sbirri", associando in modo diretto la qualità di pubblico ufficiale, o la funzione pubblica svolta, al termine avente valenza spregiativa. Il senso della frase contenente il vocabolo incriminato, valutata in modo oggettivo - tenendo conto della sintassi della proposizione e dunque della successione delle parole -, non è quello di bollare con un termine dispregiativo la veste dei Carabinieri o le modalità dei loro operato, bensì solo di protestare dinanzi alle persone presenti in occasione dell'arrivo sul posto dei pubblici ufficiali, spendendo un epiteto negativo, comune nel linguaggio corrente.
Non v'è dubbio che la locuzione utilizzata da D. sia irriverente, esprima una mancanza di riguardo dell'imputato verso i pubblici ufficiali e muova in un ottica chiaramente provocatoria dei militari che stavano giungendo sul posto. Ciò nondimeno, la proposizione, avendo riguardo alle parole che la compongono ed al contesto spazio temporale come ricostruito dai decidenti di merito, non si rapporta né alle specifiche persone fisiche giunte sul posto, né ad atti da queste concretamente posti in essere in quel determinato momento, sì da poter ritenere integrato, anche sotto il profilo psicologico, il nesso funzionale fra offesa e contemporaneo esercizio della funzione pubblica richiesto dall'incriminazione.
4.4. D'altra parte, dalla ricostruzione della vicenda compiuta dai giudici di merito, non emerge che la proposizione si connotasse - per il particolare tono con il quale veniva pronunciata ovvero per la mimica facciale o per la gestualità da cui veniva accompagnata - da una valenza offensiva o minatoria. Detta frase, giusta il tono genericamente definito in sentenza "di sfida", certamente fu profferita dal D. con intento provocatorio, il che, tuttavia, non le conferisce - né sotto il profilo oggettivo, né sotto quello soggettivo - un'idoneità offensiva tale da recare pregiudizio all'onore ed al prestigio degli esercenti la pubblica funzione, nei termini sanzionati dal disposto dell'art. 341-bis.
4.5. In ultimo, mette conto evidenziare come la valenza oltraggiosa non possa ritenersi confermata - come invece assume la Corte territoriale - dal rifiuto dell'imputato di rassegnare i documenti identificativi, trattandosi di comportamento cronologicamente successivo ed ontologicamente distinto dall'articolazione della frase in ipotesi d'accusa offensiva.
6. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata limitatamente al capo A) perché il fatto non è previsto dalla legge come reato con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Palermo per la rideterminazione della pena in relazione al capo B).

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo A) perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e rinvia per la rideterminazione della pena in relazione al capo B) ad altra sezione della Corte d'Appello di Palermo.

Sanatoria edilizia: ai fini della prova della data dell´ultimazione dei lavori non basta la dichiarazione sostitutiva di atto notorietà e, senza altri elementi probatori, è inammissibile la prova testimoniale

Consiglio di Stato Sez. VI del 5.6.2014
"In materia di abusivismo edilizio l’onere della prova circa l’ultimazione dei lavori entro la data utile per ottenere la sanatoria grava in capo al richiedente. Ciò perché, solo colui che richiede la sanatoria può fornire qualche documentazione da cui si desuma che l’abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data predetta, non potendosi ritenere sufficiente, la sola allegazione della dichiarazione sostitutiva di atto notorietà”. È questo il principio ribadito dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 5.6.2015 nella quale si evidenzia altresì che il contenuto della prova testimoniale deve poter essere valutato alla luce di altri elementi probatori che nel caso di specie non sono stati forniti. Per completezza di esposizione il Collegio non può non rilevare che la sentenza impugnata ha indicato lo strumento probatorio (rilievi aerofotogrammetrici) che avrebbe potuto usare il ricorrente, che, al contrario, nulla ha dedotto sul punto.

tratto da: gazzettaamministrativa.it

domenica 21 giugno 2015

Un soffio leggero nell’etilometro non salva l’ubriaco alla guida

"È configurabile il reato di guida in stato di ebbrezza anche quando lo scontrino dell'alcoltest, oltre a riportare l'indicazione del tasso alcolemico in misura superiore alle previste soglie di punibilità, contenga la dicitura "volume insufficiente", la quale, in assenza di patologia respiratorie, attesta soltanto la mancata adeguata espirazione da parte dell'imputato"
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: FOTI GIACOMO

Ha pronunciato la seguente:
Sentenza n. 22363 dep. il 27 maggio 2015

sul ricorso proposto da: LXXXXXXX MXXXX N. IL 14/05/1972 avverso la sentenza n. 4423/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del 19/06/2014 visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/01/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Stabili che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Ritenuto in fatto. Lxxxxxxx Mxxxx ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello di Milano, del 19 giugno 2014, che ha confermato la sentenza del tribunale dell stessa città, del 6 marzo 2012, che lo ha ritenuto colpevole del reato di guida in stato di ebbrezza alcolica (tasso registrato pari a 0,96 e 0,85 g/1 nelle due prove) e lo ha condannato alla pena di giustizia. Deduce il ricorrente: a) Violazione di legge, laddove la corte territoriale ha ribadito l'utilizzabilità del verbale di accertamento e dei risultati dell'alcoltest, benché non fossero stati sottoposti ad esame i verbalizzanti, o almeno uno di essi, come richiesto e previsto nella lista testi. Nel caso di specie, era avvenuto che i verbalizzanti, pur regolarmente citati per tre volte, non si erano presentati, senza indicare alcuna valida ragione. Malgrado ciò, il giudice di primo grado aveva ritenuto utilizzabili i predetti atti, giustificando la mancata presenza dei testi con la distanza intercorrente tra Milano ed il luogo di residenza degli stessi. L'esame, si sostiene nel ricorso, si rendeva necessario perché avrebbero dovuto essere chiarite le modalità di esecuzione dell'alcoltest che, non solo era stato eseguito a circa mezz'ora di distanza dal momento dell'intervento degli agenti, ma le due prove erano state eseguite ad altrettanta distanza l'una dall'altra. Si sarebbero dovute altresì accertare le ragioni per le quali i numeri progressivi indicati nei talloncini contenenti i risultati delle due prove non erano in immediata successione (nn. 113-116 invece che nn. 113-114). Su tali questioni, sottoposte all'esame della corte d'appello, non erano state fornite adeguate risposte; b) Violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata in punto di affermazione della responsabilità dell'imputato, atteso che la distanza tra intervento ed accertamento e quella tra le due prove portava a ritenere che, se i test fossero stati eseguiti a tempo debito, i risultati sarebbero stati diversi, nel senso che il tasso alcolemico registrato sarebbe stato inferiore a 0,80 g/l. Forti dubbi vi sarebbero, inoltre, circa il funzionamento dell'etilometro anche alla luce delle dichiarazioni rese dal teste Di Salvo. Con motivi nuovi, proposti con successiva memoria, il ricorrente ripropone il tema dell'inattendibilità dei test effettuati poiché, sugli scontrini che riportano i risultati dell'alcol test vi è la scritta "volume insufficiente".

Considerato in diritto

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi, stante la natura delle doglianze, sono infondati.
-1- Quanto al tema dell'utilizzabilità degli atti indicati dal ricorrente, premesso che, certamente, almeno uno degli agenti che avevano proceduto agli accertamenti ben avrebbero potuto esser sentiti in dibattimento, poiché la distanza del luogo di servizio rispetto alla sede del giudice procedente non rappresenta motivo valido per non procedere all'esame, ritualmente richiesto, e che profili di inutilizzabilità del verbale di accertamento sono, per il mancato esame, riscontrabili, osserva tuttavia la Corte che certamente utilizzabili devono ritenersi gli scontrini dell'etilometro in cui sono stati registrati i risultati dell'alcoltest, in considerazione della irripetibilità dell'accertamento in questione. L'inutilizzabilità dovrebbe quindi restringersi alla parte del verbale di accertamento che riporta osservazioni e considerazioni diverse dalla indicazione del tasso alcolernico, come quella riguardante "l'alito vinoso" dell'imputato, pur segnalato dai giudici del merito.
Soluzione, peraltro, anche discutibile, ove si consideri che questa Corte, in un caso del tutto simile a quello in esame, ha affermato che " ...il verbale contenente gli esiti dell'al-coltest è pienamente utilizzabile non solo nella parte in cui attesta la presenza nel soggetto di un tasso alcolemico superiore a quello consentito ma anche in quella in cui dà conto delle circostanze spazio-temporali nell'ambito delle quali tale accertamento è stato effettuato" Cass. n. 45514/13).

Ciò che conta è, in ogni caso, che, sotto il profilo analizzato, i risultati dell'alcoltest sono certamente utilizzabili.

-2- L'esame degli agenti, d'altra parte, a dire del ricorrente, non avrebbe dovuto riguardare elementi essenziali ai fini della decisione. Egli, in realtà, non contesta di essere stato alla guida dell'auto, né di essere stato sottoposto all'esame alcolemico: circostanze sulle quali evidentemente sarebbe stato indispensabile sentire gli agenti, ma solo ipotizza l'inattendibilità dei risultati dell'alcoltest, essendo stato l'accertamento eseguito a distanza di circa mezz'ora dal momento dell'intervento degli agenti e di altrettanto lasso di tempo tra le due prove.

Sennonché, su tali questioni questa Corte si è già espressa, laddove è stato condivisibilmente sostenuto, in un caso in cui si contestava la validità del rilevamento perché eseguito a distanza di circa trenta minuti tra la guida del veicolo e l'esecuzione del test, che "... il decorso di un intervallo temporale tra la condotta di guida incriminata e l'esecuzione del test alcolimetrico è inevitabile e non incide sulla validità del rilevamento alcolemico" (Cass. nn. 21991/12, 13999/14). Né il ricorrente ha fornito elementi che autorizzino a ritenerne l'incidenza, ove si consideri che nel ricorso egli ha solo fatto generico riferimento al fatto che, ad una maggior distanza tra la guida e l'esecuzione del test, dovrebbe corrispondere l'incertezza sull'attendibilità del test stesso, senza indicare le ragioni di tale affermazione. Quanto ai rilievi concernenti il tempo trascorso tra le due prove, deve rilevarsene l'assoluta genericità, atteso che nel ricorso non si chiarisce quale determinante rilievo tale maggior lasso di tempo possa avere avuto sui risultati dell'accertamento, specie alla luce delle osservazioni svolte dai giudici del merito, i quali hanno in proposito, tra l'altro, osservato che una maggior distanza tra le due prove costituiva elemento favorevole all'imputato, poiché più tale lasso temporale aumentava, più si riduceva il tasso alcolemico. Argomentazione che non presenta incoerenze di natura logica e che appare ampiamente giustificata dal fatto che il tasso riscontrato era, nel caso del Liccese in fase discendente, tanto che da 0,96 è passato, alla seconda prova, a 0,85 g/l.
Ugualmente generico è il richiamo ai numeri progressivi registrati negli scontrini che riportano i risultati dell'alcoltest; non si spiega, invero, nel ricorso, quale rilievo in tesi difensiva tale registrazione abbia nei confronti di quei risultati, che neanche possono essere messi in discussione dalle osservazioni svolte dal teste Di Salvo, che, secondo quanto emerge dallo stralcio, trascritto nel ricorso, della testimonianza dallo stesso resa, ha parlato di problemi, non meglio precisati, che gli agenti avevano avuto con l'etilometro ed all'intervento di un'altra pattuglia che aveva eseguito il test (circostanza che, peraltro, spiegherebbe le ragioni del ritardo registrato tra l'intervento degli agenti e l'esecuzione del test e che starebbe ad indicare, a tutto concedere, che era l'etilometro della prima pattuglia a non funzionare, tanto che era stato necessario ricorrere ad altro strumento in dotazione di altra pattuglia).
Infondate, infine, sono anche le doglianze contenute nei motivi nuovi proposti dal ricorrente con successiva memoria, concernenti ancora il tema dell'inattendibilità dei test effettuati, in considerazione del fatto che, sugli scontrini che riportano i risultati delle due prove, vi è la scritta "volume insufficiente".
Anche a tale proposito questa Corte ha già avuto modo di chiarire che: "È configurabile il reato di guida in stato di ebbrezza anche quando lo scontrino dell'alcoltest, oltre a riportare l'indicazione del tasso alcolemico in misura superiore alle previste soglie di punibilità, contenga la dicitura "volume insufficiente", la quale, in assenza di patologia respiratorie, attesta soltanto la mancata adeguata espirazione da parte dell'imputato" (Cass. n. 1878 del 24.10.13, Rv 258179). Principio che il Collegio condivide e che ritiene applicabile nel caso di specie, atteso che non risultano denunciate dal ricorrente patologie respiratorie di alcun genere.
Il ricorso deve essere, dunque, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2015.
Depositata in cancelleria il 28 maggio 2015

Norma UNI 11294, tecnico degli incidenti stradali

Pubblicata dalla Commissione tecnica Costruzioni stradali ed opere civili delle infrastrutture UNI la norma 11294:2015 "Attività professionali non regolamentate - Qualificazione dei tecnici per la ricostruzione e l'analisi degli incidenti stradali - Requisiti di conoscenza, abilità e competenza".
La UNI 11294:2015 "Attività professionali non regolamentate - Qualificazione dei tecnici per la ricostruzione e l'analisi degli incidenti stradali - Requisiti di conoscenza, abilità e competenza", che ritira e sostituisce la UNI 11294:2008, e della quale si era preannunciata la pubblicazione fin dal 2013, è relativa alla qualificazione dei tecnici per la ricostruzione e l'analisi degli incidenti stradali e ne specifica requisiti di conoscenza, abilità e competenza.

La norma stabilisce un minimo di competenze per la qualificazione dei tecnici che effettuano la ricostruzione degli incidenti stradali, delle cause tecniche che li hanno determinati e dei comportamenti delle persone coinvolte nell’evento.

Il tecnico dell’infortunistica stradale è un professionista indipendente che in ambito giudiziario, nella sua qualità di esperto, ricostruisce la dinamica di un incidente stradale per conto di un'Autorità giudiziaria. L’attività del tecnico riveste un ruolo molto delicato e spesso decisivo, in quanto dalla ricostruzione effettuata dipendono spesso gli esiti dei procedimenti giudiziari, con conseguenze immediate a livello penale, civile ed economico.

La revisione della norma è stata effettuata dal GL "Ricostruzione degli incidenti stradali" all’interno della Commissione tecnica UNI "Costruzioni stradali ed opere civili delle infrastrutture".

"Il gruppo di lavoro si è costituito nel 2005. – spiega Dario Vangi, il coordinatore – La norma sulla qualificazione dei tecnici è nata da una esigenza molto sentita, soprattutto in ambito giudiziario dove spesso è difficile orientarsi in mancanza di precisi requisiti. La norma è un elemento di razionalizzazione".

L’aggiornamento della UNI 11294 è avvenuto alla luce del quadro europeo sulle professioni e dei più recenti lavori normativi sulla qualifica delle professioni non regolamentate.
"Il nuovo testo tiene conto dello schema EQF (European Qualifications Framework, n.d.r.) e ovviamente del modello rappresentato dalle norme UNI sulle professioni non regolamentate. Così, adeguandosi a questa nuova impostazione, la norma intende definire in maniera chiara conoscenze, abilità e competenze che il tecnico per la ricostruzione e l’analisi degli incidenti stradali deve possedere".
La qualificazione di questa specifica professionalità è un aspetto importante perché in grado di mettere ordine in un campo che, sebbene ristretto, manca di precisi punti di riferimento.
"Si tratta di un mercato di nicchia: gli operatori in tutta Italia sono circa duemila. Ma data anche la delicatezza del tema riteniamo che l’attuale revisione della norma sia una grande opportunità di miglioramento. E’ un tassello per fare chiarezza. Un modo - conclude Vangi - per avere uniformità nel mercato e una qualifica riconosciuta secondo parametri definiti".
Fonte: UNI

On line il nuovo sito delle Camere di Commercio per le PMI innovative

Sviluppo Economico
On line il nuovo sito delle Camere di Commercio per le PMI innovative
Per agevolazioni e incentivi fiscali dell'Investment Compact le imprese devono iscriversi nell'apposita sezione del Registro.

Il Ministero dello Sviluppo Economico comunica che è online il nuovo sito delle Camere di Commercio dedicato alle aziende interessate ad accedere al regime di PMI innovativa.

Per beneficiare del regime di agevolazioni e incentivi fiscali introdotto dal recente Investment Compact(decreto-legge 24 gennaio 2015 n.3, convertito con legge 24 marzo 2015 n. 33; scheda di sintesi dei benefici), è infatti necessario che le imprese interessate si iscrivano nell’apposita sezione del Registro delle Imprese istituita dalle Camere di Commercio.

Il kit informativo comprende:

check-list online per verificare il possesso dei requisiti

modello per l’autocertificazione di possesso dei requisiti

guida per gli adempimenti al registro delle imprese


tutorial sull'utilizzo del software per l'iscrizione alla nuova sezione speciale del Registro


sezione statistica sulle PMI innovative registrate, accessibile gratuitamente in formato aperto, rielaborabile, e aggiornata con cadenza settimanale, in una logica di Open Data.

“La policy a favore delle PMI innovative rappresenta la logica evoluzione del percorso di riforma avviato a fine 2012 con il varo della normativa sulle startup innovative”, ha commentato Stefano Firpo, Direttore Generale per la Politica Industriale, la Competitività e le PMI.

“Una volta superata la fase di startup, è necessario che le imprese innovative trovino le condizioni abilitanti per crescere, rafforzarsi e affacciarsi sui mercati internazionali”.

“Il nuovo regime di agevolazioni rappresenta un vero e proprio programma di accelerazione teso a promuovere in modo ancora più deciso e capillare il livello di innovazione tecnologica racchiuso nelle PMI italiane”.

“Quella che sta prendendo forma è una nuova politica industriale votata all’imprenditorialità, alla valorizzazione della ricerca scientifica, all’innovazione aperta e alla creazione di occupazione qualificata”, ha concluso Firpo.

Per saperne di più:

Sito internet delle Camere di Commercio per le PMI innovative
Portale PMI innovative sul sito del Ministero
Scheda di sintesi dei requisiti e dei benefici previsti per le PMI innovative
Testo dell’Investment Compact

Fonte: MISE

Moreno Morando

(17 giugno 2015)

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(indicazione fonte e, se possibile, link a pagina)

sabato 20 giugno 2015

Applicazione dell’art. 31, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 in Sicilia

CIRCOLARI - Assessorato del territorio e dell’ambiente
CIRCOLARE 28 maggio 2015, n. 3(in gurs a pag. 44)
Applicazione dell’art. 31, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380(Testo unico delle disposizioni legislative e regolamenta- ri in materia edilizia), come integrato dall’art. 17, lettera q-bis del decreto legge 12 settembre 2014, n. 133, conver- tito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164. Sanzioni conseguenti alla inottemperanza all’ordinanza di demolizione di opere abusivamente eseguite

Alcol venduto a Minorenni - Responsabilità

Alcol a minorenni Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 25480/15

venerdì 19 giugno 2015

Art. 219, comma 3 ter, del codice della strada. Ricorsi avverso diniego riconseguimento patente per mancato decorso del triennio

Circolare Prot. 14549 del 18/06/2015
emessa da: Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti
Titolo/Oggetto
Divisione 6_Circolare n. 14549 del 18/06/2015: Art. 219, comma 3 ter, del codice della strada. Ricorsi avverso diniego riconseguimento patente per mancato decorso del triennio
testo 14549: Art. 219, comma 3 ter, del codice della strada. Ricorsi avverso diniego riconseguimento patente per mancato decorso del triennio
Si fa seguito alla circolare di questa Direzione Generale n. 15040 del 7 luglio 2014, concernente l’interpretazione della norma indicata in oggetto.
Com’è noto, con la legge n.120 del 29.07.2010, concernente disposizioni in materia di sicurezza stradale, è stato inserito all’art.219 il comma 3-ter che recita:” quando la revoca della patente di guida è disposta a seguito delle violazioni di cui agli articoli 186, 186-bis e 187, non è possibile conseguire una nuova patente di guida prima di tre anni a decorrere dalla data di accertamento del reato”, quest’ultima intesa, secondo la detta circolare, con riguardo al passaggio in giudicato della sentenza penale e non già con riferimento al momento in cui l’organo accertatore contesta l’infrazione.
A seguito della emanazione del suddetto indirizzo interpretativo, sono pervenuti vari ricorsi avverso i dinieghi opposti dai competenti Uffici della Motorizzazione alle richieste di ammissione alla procedura per il conseguimento del nuovo titolo di guida, in quanto non ancora decorso il triennio sopra indicato. In particolare, i gravami proposti pretendono di far decorrere il triennio previsto dalla norma citata dalla data di commissione del fatto e di conteggiare nel periodo in parola anche il cosiddetto presofferto a titolo di sospensione cautelare della patente.
Ciò posto, allo scopo di fornire utili ed uniformi elementi di difesa nei giudizi inerenti la questione in esame, si riportano di seguito le considerazioni da inserire nelle difese dell’Amministrazione.
a) Questione di giurisdizione
Circa la giurisdizione competente a decidere sui provvedimenti di diniego di cui all'oggetto, allo stato attuale non sussiste univocità di orientamento.
Infatti risultano proposti ricorsi avverso i detti provvedimenti innanzi sia ai Giudici di Pace sia ai Tar.
Con sentenza n. 3817/2015 il Tar del Lazio ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’interessato ritenendo, nel caso di specie, venire in rilievo una posizione di diritto soggettivo del ricorrente, non configurandosi alcuna spendita di poteri discrezionali da parte dell’Amministrazione. Tuttavia, non trattandosi nella fattispecie di conseguenza accessoria alla violazione del codice della strada, ha individuato la giurisdizione in capo al tribunale ordinario e non al Giudice di Pace.
Al contrario, in casi analoghi, il Tar Veneto (sent. n. 2881/15) ed il Tar Liguria (sent. n. 367/15) hanno ritenuto la propria giurisdizione, decidendo nel merito della controversia. Nel contempo, hanno riconosciuto la propria giurisdizione sia il Giudice di Pace di Domodossola (sent n. 7/15) che quello di Montepulciano (sent. n. 798/14).
Altresì il Tribunale di Firenze, adito ex art.700 c.p.c., ha ritenuto sussistente la propria giurisdizione (ord. n. 4181/15).
Secondo lo scrivente Ufficio dovrebbe sussistere in materia la giurisdizione del giudice amministrativo. Infatti il provvedimento con cui questa Amministrazione nega all’interessato l’accesso alla procedura per il rilascio di una nuova patente di guida è espressione di un potere autoritativo, volto al miglior perseguimento dell’interesse pubblico posto a presidio della sicurezza della circolazione stradale: ne consegue una posizione di interesse legittimo vantata dal privato. Anche volendo qualificare tale fattispecie come vincolata l’attività dell’amministrazione, quando la stessa sia funzionale alla tutela in via diretta di un interesse pubblico, la situazione giuridica vantata dal privato assume la consistenza di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 8/2007).
Ciò premesso, in caso di presentazione del ricorso innanzi al Giudice di Pace, si ritiene opportuno eccepire il difetto di giurisdizione sulla base delle considerazioni sopra esposte.
b) art. 219, comma 3 ter, del codice della strada. L’accertamento del reato.
La questione centrale oggetto dei giudizi è costituita dalla esatta individuazione del dies a quo dal quale far decorrere il termine triennale per poter riconseguire la patente di guida.
Assume dunque carattere prioritario la corretta interpretazione dell’espressione “accertamento del reato” considerato dalla legge il momento di inizio del periodo triennale di interdizione.
I soggetti interessati, destinatari del provvedimento di revoca in questione, hanno dato e continuano a dare una interpretazione della locuzione “accertamento del reato” come equivalente al momento di commissione del fatto allo scopo di far decorrere il prima possibile il termine triennale per riottenere la patente di guida.
In questa loro interpretazione gli interessati si ritengono sostenuti dalla Rel. N.III/08/10 del 3.08.2010 dell'Ufficio del Massimario e del Ruolo della Cassazione che commenta le novità legislative in materia di sicurezza stradale di cui alla legge n.120/2010.
In particolare al punto II-2 pag.5, a proposito della data di accertamento del reato contenuta nell’art.219, comma 3 ter, detta relazione precisa ….”e non da quella del passaggio in giudicato della sentenza o decreto di condanna”.
Questo Ministero, invece, con la circolare n. 15040 del 7.7.2014, conformandosi al parere reso sull’argomento dal Ministero dell’Interno, ha chiarito che “la data di accertamento del reato, da cui decorre il triennio per poter riottenere il titolo abilitativo alla guida, va intesa con riguardo al passaggio in giudicato della sentenza penale e non già con riferimento al momento in cui l’organo accertatore contesta l’infrazione. Tale momento, invero, segna il mero avvio della fase processuale, il cui esito sarà determinato dalla pronuncia del giudice penale e dal successivo passaggio in giudicato della stessa”.
Quindi, secondo questo Ministero, il termine da cui far decorrere i tre anni per conseguire una nuova patente ex art.219 comma 3-ter è quello della data del passaggio in giudicato della sentenza (o decreto penale).
Nella giurisprudenza della Corte di Cassazione per accertamento del reato si intende esclusivamente quello compiuto dal giudice penale nel processo; in tale sede il giudice compie un accertamento completo ed esaustivo dei fatti addebitati all’imputato e della sua colpevolezza. Precisa ancora la Corte di cassazione che solo la sentenza di condanna contiene l’accertamento del reato ed il giudizio di colpevolezza; e ciò anche in caso di patteggiamento; ai fini penali, non vi è alcuna differenza concettuale tra “accertamento del reato” e “sentenza di condanna” (Cass. pen, sez. IV, 11.8.2004, 34293).
Il momento della commessa infrazione non può certamente essere inteso come “data di accertamento del reato” ai sensi della medesima norma, dal momento che non implica alcun accertamento, tanto meno di un reato; prima del passaggio in giudicato della sentenza penale, anche in virtù del principio costituzionale di presunzione di innocenza, vi è soltanto la contestazione di un reato. Anche a prescindere dal dato letterale della norma, che fa riferimento al “reato” e non genericamente al fatto o all’illecito, si ritiene che non vi sarebbe ragione alcuna, sul piano sistematico, di una interpretazione “correttiva” della lettera della legge.
Sotto il profilo sistematico si osserva ulteriormente che l’art. 651 del c.p.p., nello stabilire che la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno, riconduce inequivocabilmente alla sentenza irrevocabile l’accertamento della sussistenza del fatto-reato nella sua dimensione fenomenica e materiale, individuando nel giudicato penale il presupposto logico-giuridico da far valere in altra sede. Parimenti, l’art. 673 del c.p.p., stabilisce che in caso di abrogazione del reato spetta al giudice penale revocare la sentenza o il decreto penale, dichiarando che il fatto non è previsto come reato, ponendo in essere una sorta di contrarius actus rispetto all’accertamento originario, compiuto dallo stesso giudice.
Peraltro, tale lettura è corroborata da quanto stabilito dall’art. 224, comma 2, del codice della strada, secondo cui quando la sanzione amministrativa accessoria è costituita dalla revoca della patente, il prefetto, entro quindici giorni dalla comunicazione della sentenza o del decreto di condanna irrevocabile, adotta il relativo provvedimento di revoca comunicandolo all'interessato e all'ufficio competente del Dipartimento per i trasporti terrestri. Appare evidente che far decorrere il termine di cui al citato art. 219, comma 3-ter dal momento della commissione del fatto, porterebbe alla conclusione che il periodo di interdizione triennale inizia a decorrere già da prima della sentenza del giudice penale che dispone la revoca; il che risulta illogico e irrazionale e non coerente con il sistema delle sanzioni amministrative accessorie. Si potrebbe arrivare all’assurda situazione, nei casi in cui la sentenza fosse emessa a distanza di anni dal fatto, che il soggetto sarebbe legittimato a conseguire una nuova patente di guida prima del provvedimento di revoca del prefetto, provvedimento che risulterebbe, quindi, inutiliter dato.
Inoltre, come evidenziato anche dal Ministero dell’Interno sotto il profilo logico-sistematico, si osserva che una interpretazione che facesse decorrere il triennio in parola dalla data della commissione del fatto porterebbe a conclusioni contraddittorie rispetto alla fattispecie contemplata dal comma 3-bis dell’art. 219 del codice della strada. Infatti, in questo ultimo caso (oggettivamente meno grave in quanto relativo alla revoca come sanzione accessoria non conseguente ad accertamento del reato) il termine da cui ha inizio il periodo biennale decorso il quale è possibile conseguire un nuovo titolo di guida, decorre, non dal momento del fatto, ma da quando diventa definitiva l’ordinanza di revoca, vale a dire nel tempo in cui questa risulta inoppugnabile perché non impugnata o perché respinto il relativo ricorso. Ne consegue che se il periodo indicato nel successivo comma 3-ter (riguardante ipotesi di reato) decorresse dalla data di commissione del fatto, si garantirebbe in termini temporali al responsabile un trattamento più favorevole per fattispecie più grave rispetto al precedente comma 3-bis.
Quanto alla richiamata Relazione della Cassazione del 3 agosto 2010, si evidenzia che la stessa proviene dall'Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione ed ha unicamente lo scopo di dare informazioni sulle novità normative. Nella stessa non sono affermati principi di diritto che solo la Corte di Cassazione nelle sue sentenze può enunciare. Pertanto trattasi di una interpretazione, per quanto autorevole, priva di efficacia vincolante.
Da ultimo va anche considerata la ratio della norma in questione che è stata introdotta dal legislatore del 2010 con l’intento di inasprire il trattamento sanzionatorio nei casi di guida in stato di ebbrezza e sotto l’effetto di sostanze stupefacenti prevedendo, oltre a sanzioni penali ed amministrative, in caso di revoca della patente, l’impossibilità di conseguire una nuova patente se non dopo tre anni dall’accertamento del reato.
Trattasi di ipotesi di particolare gravità e che destano grandissimo allarme sociale per le quali il legislatore, più volte intervenuto nel corso degli anni, ha via via inasprito le pene principali ed accessorie e, da ultimo, circondato il riconseguimento della patente da particolari limiti e cautele per scongiurare il rischio, a tutela della collettività, di un troppo celere rientro sulla strada del guidatore a cui sia stata revocata la patente per le dette ragioni.
c) richiamo alle norme processual-penalistiche sulla prescrizione e sulla successione delle leggi del tempo
Il richiamo alle norme sulla prescrizione del reato o alla successione di leggi nel tempo, spesso contenuto nei ricorsi pervenuti per confutare la tesi di questa Amministrazione, non può reputarsi conferente rispetto al caso in parola, in quanto trattasi di istituti dettati per altre finalità, nelle quali, per espressa previsione normativa, ciò che rileva è il tempo della consumazione del reato (158 c.p.), vale a dire il momento in cui il reo tiene una condotta contraria all’ordinamento giuridico e realizza l’illecito in tutti i suoi elementi costitutivi. In tali ipotesi, è evidente che la norma pone l’accento, anche ai fini del principio del favor rei, sull’atteggiamento antidoveroso imputabile al soggetto attivo del reato, vale a dire sul momento in cui il fatto materiale è stato realizzato. Nel caso posto all’attenzione, invece, l’art. 219, comma 3 ter, del c.d.s. fa chiaro riferimento all’accertamento del reato” e non alla sua consumazione. La norma, invero, a differenza dell’art. 158 del c.p., non ha alcuna rilevanza penale, in quanto l’accertamento del reato costituisce solo il presupposto a cui far riferimento ai fini dell’accesso ad una procedura prettamente amministrativa, quale quella per l’abilitazione alla guida.
d) il rapporto tra revoca del titolo di guida e sospensione cautelare della patente già scontata dagli interessati
Per quanto riguarda tale questione, è concettualmente errata la pretesa avanzata in alcuni gravami di conteggiare nel periodo di cui all’art. 219, comma 3 ter, del c.d.s. il tempo di sospensione cautelare della patente di guida. In realtà, la revoca di cui trattasi ha carattere di sanzione amministrativa accessoria che priva in via definitiva l’interessato del titolo di guida e non può confondersi con il provvedimento di sospensione della patente, adottato dal Prefetto ai sensi dell’art. 186 del codice della strada, questo avente finalità esclusivamente cautelari, in quanto volto, nelle more del procedimento penale, ad evitare che il conducente possa assumere ulteriori condotte lesive della incolumità altrui (Cass. 21447/2010).
Ne consegue, stante il diverso scopo e la differente natura dei due istituti, la non corretta inclusione nel conteggio del periodo previsto dall’art. 219, comma 3 ter, del codice della strada, di quello sofferto dall’interessato a seguito della sospensione cautelare della patente di guida (cosiddetto presofferto).
Ciò posto, si pregano gli Uffici in indirizzo di attenersi a quanto sopra prospettato in qualsiasi controversia che dovesse essere instaurata e riguardante la fattispecie.

giovedì 18 giugno 2015

I Misuratori di velocita devono essere sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura.

LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 45, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura. 
Qui la sentenza:

martedì 16 giugno 2015

Licenza di istituto di vigilanza e di investigazione privata

Il 3 giugno 2015 è stata diramata la circolare - disponibile nella sezione documenti - con la quale vengono fornite indicazioni applicative delle disposizioni del D.M. 25 febbraio 2015, n.56, per consentirne un'omogenea applicazione sul territorio nazionale.

E' stato emanato il decreto del Ministro dell'interno 25 febbraio 2015, n.56, con il quale sono state emendate alcune disposizioni del D.M. 1 dicembre 2010, n.269, in materia di capacità tecnica e qualità dei servizi degli istituti di vigilanza e di investigazione privata. Il decreto, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale - S.G. - n.107 del 11.5.2015, è disponibile nella sezione documenti.

Con il Decreto del Presidente delle Repubblica 4 agosto 2008 nr.153, recante modifiche al regio decreto 6 maggio 1940, nr.635, per l'esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, in materia di guardie particolari, istituti di vigilanza e investigazione privata, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 6 ottobre 2008, è stata realizzata un'ampia revisione della disciplina regolamentare in materia di vigilanza privata (il Titolo IV del regolamento di esecuzione del T.U. delle leggi di pubblica sicurezza) al fine di adeguarne i contenuti alle regole comunitarie, in esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europea, C - 465/05 del 13 dicembre 2007, nonché onde dare esecuzione alle norme di carattere legislativo già adottate in materia con l'art. 4 del Decreto Legge 8 aprile 2008, n.59 (convertito nella legge 6 giugno 2008, nr.101).

Il D.P.R. 153/2008 rappresenta l'inizio di un cammino che, una volta completato, porterà gli istituti di vigilanza privata a trasformarsi da "istituti" in "imprese", da "operatori della vigilanza" a "professionisti della sicurezza privata", da "prestatori d'opera" a "fornitori di servizi integrati".

L'iter di adeguamento normativo alle disposizioni comunitarie della disciplina italiana in materia di sicurezza privata, ha richiesto ulteriori interventi amministrativi di attuazione, primo tra tutti la definizione dei requisiti tecnici, economici ed operativi (c.d capacità tecnica) per la vigilanza privata, per le investigazioni private e le informazioni commerciali.

A tal fine è stato predisposto il D.M. 1 dicembre 2010, nr.269.


D.M. 4 giugno 2014 n. 115 recamte "Disciplina delle caratteristiche e dei requisiti richiesti per l'espletamento dei compiti di certificazione indipendente della qualità e della conformità alle disposizioni del D.M. 1 dicembre 2010, n.269, degli istituti di vigilanza privata, autorizzati a norma dell'articolo 134 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, e dei servizi dagli stessi offerti. Definizione delle modalità di riconoscimento degli organismi di certificazione indipendente." , nonchè la circolare attuativa n. 557/PAS/15128/10089.D(1)REG.2 dell'11.09.2014 07/10/2014
(modificato il 04/06/2015)
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lunedì 15 giugno 2015

Prevenzione incendi, quali sono i requisiti per definire “temporanea” una manifestazione?

Secondo il Dipartimento VVF è impossibile procedere ad una quantificazione in termini temporali, per via della pluralità ed eterogeneità dei casi potenzialmente prospettabili in concreto

l quesito sottoposto al Dipartimento dei Vigili del Fuoco da parte della Direzione regionale per la Sicilia è il seguente: quali sono i requisiti di tipo temporale e/o tecnico per definire una manifestazione come temporanea, al fine di assicurare una corretta ed omogenea applicazione del D.P.R. 151/2011 con riferimento alle attività sottoposte ai controlli di prevenzione incendi?

Nell'allegato I al D.P.R. 151/2011, ai punti 65 e 69 è stato introdotto il concetto di “manifestazioni temporanee” e l'esclusione delle stesse dal campo di applicazione del D.P.R. 151/11.

IMPOSSIBILE QUANTIFICARE IN TERMINI TEMPORALI. Per quanto riguarda il concetto di temporaneità, il Dipartimento dei Vigili del Fuoco, con la Nota Protocollo n. 5918 del 19 maggio 2015 (qui sotto in allegato), precisa che è impossibile procedere ad una quantificazione in termini temporali, alla luce della pluralità ed eterogeneità dei casi potenzialmente prospettabili in concreto.

COSA SI INTENDE PER ATTIVITÀ TEMPORANEE. La nota comunque aggiunge che in generale “per attività temporanee, come già in passato si è avuto modo di rappresentare, si possono intendere quelle caratterizzate da una durata breve e ben definita, non stagionali o permanenti, né che ricorrano con cadenza prestabilita”.

Per le attività come sopra descritte, infatti, “risulterebbe illogico e contrario ai primari obiettivi di buona amministrazione, l'inserimento delle stesse nell'ambito di procedimenti tecnico amministrativi che, nel concreto, potrebbero svilupparsi con tempistiche incompatibili rispetto a quelle previste per le attività stesse”.

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domenica 14 giugno 2015

Attività lavorativa in occasione delle votazioni

Su ARAN Informa di aprile-maggio 2015 è pubblicato il seguente orientamento applicativo:
"Nel caso di attività svolte in occasione di consultazioni elettorali, con svolgimento delle stesse nella giornata della domenica, anche nella fascia oraria notturna dalle ore 22 e ad esaurimento delle operazioni di scrutinio, e quindi con prosecuzione anche nelle prime ore del lunedì successivo, è possibile considerare l’attività lavorativa svolta dopo la mezzanotte della domenica comunque come prosecuzione dell’attività resa in giorno di riposo settimanale, con applicazione del trattamento giuridico ed economico previsto per questa fattispecie dalla disciplina contrattuale?
Relativamente alla problematica esposta, si ritiene utile precisare quanto segue:
a) ogni giorno del calendario (lavorativo o festivo) inizia alle 0,01 e termina alle 24, anche se l'attività lavorativa può avere una sua continuità;
b) nel caso in esame, dalle ore 0,01 si è nella giornata del lunedì e non più della domenica;
c) pertanto, nell’ipotesi del dipendente che, ad esempio, presti attività lavorativa dalle ore 0,01 alle ore 06,00 del lunedì si applica la disciplina dell’art. 38, comma 5, secondo alinea, del CCNL del 14.9.2000. Infatti, si tratta di lavoro straordinario notturno prestato in giornata lavorativa. Pertanto, al suddetto dipendente, per le sei ore di lavoro rese, sarà erogato il compenso per lavoro straordinario con la maggiorazione del 30%, stabilita dalla citata clausola contrattuale per il lavoro straordinario notturno (che è quello intercorrente dalle ore 22 di un giorno alle ore 6,00 di quello successivo)".

Aran - 1406
http://www.publika.it/

Progressioni orizzontali

In data 10 giugno 2015, l'ARAN pubblica l'orientamento applicativo RAL_1764:
"Nel fondo delle progressioni orizzontali di un ente, secondo la disciplina dell’art.17, comma 2, lett.b), del CCNL dell’1.4.1999, nell’anno di riferimento, deve essere computata anche la spesa relativa a tale istituto concernente il personale comandato presso altri enti? Ove così fosse, poiché l’ente di appartenenza anticipa la spesa del personale comandato che comunque viene successivamente rimborsata dall’ente utilizzatore, l’importo della stessa corrispondente al valore della progressione economica in godimento del suddetto personale comandato potrebbe essere considerata come economia, come tale utile per l’incremento delle risorse variabili dell’anno successivo a quello del relativo accertamento?
Relativamente alle particolari problematiche prospettate, si ritiene utile precisare quanto segue:
a) il fondo dell’art.17, comma 2, lett.b), del CCNL dell’1.4.1999 è finalizzato al finanziamento della progressione economica orizzontale di tutto il personale dipendente di ciascun ente, ivi compreso quello che sia stato temporaneamente comandato presso altri enti o amministrazioni;
b) nella vigente disciplina contrattuale, non esistono attualmente disposizioni che consentono di implementare le risorse destinate alla contrattazione decentrata integrativa con le somme rimborsate all’ente da parte delle amministrazioni in relazione al personale comandato, per la parte destinata al finanziamento della progressione economica orizzontale e della indennità di comparto in godimento del suddetto personale. A tal fine si ritiene utile ricordare che le fonti di finanziamento dei vari istituti del trattamento economico accessorio del personale, attualmente, sono solo quelle espressamente previste dall’art. 15 del CCNL dell’1.4.1999 e successive modificazioni ed integrazioni".

Aran RAL_1764 
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Ferie e malattia

In data 4 giugno 2015, l'ARAN pubblica l'orientamento applicativo RAL_1757:
"Un dipendente chiede di fruire di un giorno di ferie in data 10 aprile. Il giorno 9 si assenta per malattia, presentando un certificato medico con una prognosi di due giorni (i giorni 9 e 10). In questa ipotesi, la domanda di ferie deve considerarsi implicitamente annullata oppure il giorno di ferie deve essere computato ugualmente?
L’avviso della scrivente Agenzia è nel senso che l’insorgere della malattia prima del godimento di un giorno di ferie, regolarmente richiesto ed autorizzato dal datore di lavoro pubblico, prevale comunque sull’altra tipologia di assenza.
Per effetto della malattia, quindi, a partire dal giorno indicato sul certificato medico e per la durata ivi indicata, il lavoratore si deve considerare solo in malattia.
L’imputazione della assenza a malattia determina, conseguentemente, la mancata fruizione del giorno di ferie, che potrà essere goduto successivamente, sempre previa formulazione di una nuova richiesta all’ente".

Aran RAL_1757 
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Manca la prova documentale del sinistro:assolto

La Cassazione da ragione al Giudice di Pace di Palermo

Abuso d'ufficio in danno della Polizia Municipale per assecondare il Sindaco

Suprema Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 26 maggio 2015, n. 22063


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BIANCHI Luisa – Presidente
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco – Consigliere
Dott. CIAMPI Francesco Mari – Consigliere
Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere
Dott. MONTAGNI Andrea – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 83/2013 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 28/04/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

lette le conclusioni del PG Dott. Immacolata Zeno, che ha chiesto il rigetto del ricorso.


RITENUTO IN FATTO


1. Con ordinanza in data 28.04.2014 la Corte di Appello di Firenze rigettava la richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione proposta da (OMISSIS).

La Corte distrettuale rilevava che il richiedente era stato sottoposto, nel corso dell’anno 2006, alla misura cautelare degli arresti domiciliari, disposta dal G.i.p. presso il Tribunale di Lucca, con due distinte ordinanze, per un totale di 56 giorni rispetto al reato di cui al capo A) e per il reato di cui al capo B), nell’ambito di un procedimento penale che vedeva indagati, oltre al (OMISSIS) quale direttore generale dell’ente, il sindaco del Comune di (OMISSIS), (OMISSIS), per diverse ipotesi di abuso di ufficio ed altro, in danno di appartenenti al Corpo della Polizia Municipale.

Il Collegio richiamava, quali elementi indiziari, a carico del (OMISSIS), gia’ valorizzati dal G.i.p. nel provvedimento cautelare, gli esiti delle intercettazioni di conversazioni telefoniche intercorse tra lo stesso (OMISSIS) ed il sindaco (OMISSIS); e le dichiarazioni rese da (OMISSIS), agente della Polizia Municipale del Comune di (OMISSIS). Si soffermava diffusamente, inoltre, sulle giustificazioni rese dal (OMISSIS), nel corso dell’interrogatorio di garanzia.

La Corte territoriale osservava che il G.i.p., all’udienza preliminare, aveva prosciolto l’odierno esponente dal reato di peculato e rispetto ad alcune ipotesi di abuso di ufficio, oggetto di addebito; e che con sentenza in data 1.03.2013, (OMISSIS) era stato di poi assolto dalle residue imputazioni di abuso di ufficio e violenza privata per non aver commesso il fatto e da altra ipotesi di peculato, per insussistenza del fatto.

La Corte distrettuale sottolineava che nella sentenza assolutoria si evidenziava che (OMISSIS) aveva assunto un ruolo contiguo rispetto alle decisioni prese dal sindaco, relative agli spostamenti di alcuni dipendenti della Polizia Municipale, da un settore all’altro, rispondenti a finalita’ extraistituzionali; e che non era stata pero’ provata la sussistenza di un previo accordo criminoso, tra il (OMISSIS) ed il sindaco (OMISSIS).

Nell’apprezzare la sussistenza delle condizioni ostative al riconoscimento dell’indennizzo, il giudice della riparazione osservava che le intercettazioni telefoniche evidenziavano chiaramente che gli spostamenti decisi dal sindaco erano motivati dalla volonta’ di demansionare alcuni dipendenti della polizia municipale, i quali risultavano sgraditi al sindaco medesimo; e che le azioni poste in essere dal (OMISSIS), in tale contesto, dovevano qualificarsi come fattori condizionanti, l’adozione della misura cautelare. Al riguardo, il Collegio sottolineava che (OMISSIS) aveva convocato il dipendente (OMISSIS), prospettandogli l’opportunita’ di schierarsi dalla parte del sindaco; aveva fatto in modo che venisse diffusa una notizia riguardante l’attivita’ svolta da altro appartenente alla Polizia Municipale, in grado di nuocere al medesimo dipendente; aveva interagito con il sindaco, nella complessiva pianificazione e realizzazione degli spostamenti dei dipendenti non graditi.

2. Avverso la richiamata ordinanza della Corte di Appello di Firenze ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), a mezzo del difensore.

Con unico articolato motivo la parte deduce la violazione di legge ed il vizio motivazionale.

L’esponente assume che la Corte di Appello, nel rigettare la richiesta di riparazione, abbia disatteso i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita’, nella materia di interesse, pure richiamati nel corpo dell’ordinanza impugnata.

Il ricorrente osserva che la Corte territoriale ha dato rilevanza a condotte che non sono state poste in essere dal (OMISSIS) e ad episodi che non risultano accertati. Considera, inoltre, che i giudici della riparazione hanno suggestivamente valorizzato situazioni, delle quali protagonista e’ il sindaco, alla quali (OMISSIS) ha assistito, rimanendo silente.

Il deducente rileva, poi, che la Corte di Appello ha travisato gli episodi nei quali risulta coinvolto il (OMISSIS); e considera che il Collegio ha omesso di valutare le spiegazioni che erano state rese dal prevenuto, in sede di interrogatorio di garanzia.

Con riferimento all’episodio che interessa il dipendente (OMISSIS), l’esponente osserva che si tratta di episodio che, in sede dibattimentale, ha assunto una connotazione fattuale diversa da quella prospettata in sede di indagini. Cio’ in quanto non si era trattato di una convocazione; erano presenti terzi soggetti; ed il tono era confidenziale. Il deducente rileva che, nella sentenza assolutoria, si chiarisce altresi’ che (OMISSIS) non ha mai assunto, in prima persona, provvedimenti in danno delle parti offese.

Sotto altro aspetto, il ricorrente osserva che la Corte fiorentina ha travisato anche il contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate. Rileva che, in sede di merito, e’ stato escluso che (OMISSIS) avesse mai istigato o rafforzato i proposti del sindaco; e rileva che il giudice della riparazione non ha chiarito quale profilo di colpa emerga, neppure sotto il profilo della connivenza, a carico del richiedente, dal contenuto delle predette telefonate, e neanche la rilevanza causale delle condotte esaminate, rispetto alla intervenuta privazione della liberta’ personale.

Infine, il deducente rileva che la Corte di Appello ha indebitamente riqualificato le condotte che erano state accertate in sede di merito, sotto il profilo della responsabilita’ penale, valorizzando il livello di condivisione prestato dal (OMISSIS) rispetto alle scelte del sindaco; cio’ in quanto, il Tribunale, nella sentenza assolutoria, aveva affermato che la vicinanza al sindaco e la condivisione rispetto a determinate scelte organizzative, da parte del (OMISSIS), non aveva implicato una partecipazione, previo accordo, alla azione abusiva.

3. Il Procuratore Generale con requisitoria scritta, ha chiesto che la Suprema Corte rigetti il ricorso. La parte pubblica ha osservato che la determinazione assunta dalla Corte territoriale, nell’apprezzare la causa ostativa al riconoscimento della riparazione, anche senza tener conto della dichiarazione del teste (OMISSIS), risulta del tutto congrua, giacche’ il ricorrente, con un comportamento gravemente colposo, quale capo di gabinetto del sindaco, aveva manifestato il suo intento di ostacolare l’azione di controllo dei vigili urbani ed aveva sostenuto le arbitrarie scelte organizzative imposte dal primo cittadino.

4. L’Avvocatura Generale dello Stato si e’ costituita in giudizio per il Ministero dell’Economia e delle Finanze, osservando che il ricorso risulta infondato, alla luce della condotta gravemente negligente posta in essere dalla parte.

5. Il ricorrente ha depositato memoria di replica. L’esponente osserva che il giudice della riparazione non ha chiarito le ragioni per le quali le condotte del (OMISSIS) sono state ritenute espressione di macroscopia negligenza. Il deducente ribadisce che, con riferimento alla vicenda dell’agente (OMISSIS), la Corte territoriale ha utilizzato elementi di fatto gia’ esclusi in sede di merito. E rileva che la sola connivenza non e’ sufficiente per escludere il diritto alla riparazione.


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso e’ infondato.

Procedendo all’esame del motivo di doglianza oggetto del ricorso, unitamente ai rilievi affidati alla memoria di replica, giova richiamare, in primo luogo, i principi costantemente affermati dalla Corte regolatrice, nella materia di interesse.

Come e’ noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, e’ incensurabile in sede di legittimita’. Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della liberta’ personale, al fine di stabilire, con valutazione “ex ante” – e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorche’ in presenza di errore dell’autorita’ procedente, la falsa apparenza della sua configurabilita’ come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di “causa ad effetto” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34559 del 26/06/2002, dep. 15/10/2002, Rv. 222263). Sul punto, si e’ anche recentemente rilevato che il giudizio per la riparazione dell’ingiusta detenzione e’ del tutto autonomo rispetto al giudizio penale di cognizione, impegnando piani di indagine diversi, che possono portare a conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di parametri di valutazione differenti (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 39500 del 18/06/2013, dep. 24/09/2013, Rv. 256764).

Preme pure evidenziare che le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno chiarito, nell’esaminare funditus l’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, che risulta evidente l’avvicinamento fra le ipotesi di cui all’articolo 314 c.p.p., commi 1 e 2, sotto il profilo della possibile comune derivazione della “ingiustizia” della misura da elementi emersi successivamente al momento della sua applicazione; che l’elemento della accertata “ingiustizia” della custodia patita, che caratterizza entrambe le ipotesi del diritto alla equa riparazione (diverse solo per le ragioni che integrano l’ingiustizia stessa) ne disvela il comune fondamento e ne impone una comune disciplina quanto alle condizioni che ne legittimano il riconoscimento; e che tale ricostruzione, conforme alla logica del principio solidaristico, implica, l’oggettiva inerenza al diritto in questione, in ogni sua estrinsecazione “del limite della non interferenza causale della condotta del soggetto passivo della custodia” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 32383 del 27.05.2010, Rv. 247663). Le Sezioni unite, nella sentenza ora richiamata, hanno pure evidenziato che risulta legittima una disciplina normativa che preveda l’esclusione dal beneficio in esame di chi, avendo contribuito con la sua condotta a causare la restrizione, non possa esserne considerato propriamente “vittima”.

Tanto premesso, occorre considerare che la giurisprudenza di legittimita’ risulta consolidata nel rilevare che condotte sinergicamente rilevanti, rispetto alla cautela sofferta, possono essere di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione.

A tal fine, nei reati contestati in concorso, va apprezzata la condotta che si sia sostanziata nella consapevolezza dell’attivita’ criminale altrui e, nondimeno, nel porre in essere una attivita’ che si presti sul piano logico ad essere contigua a quella criminale (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4159 del 09/12/2008, dep. 28/01/2009, Rv. 242760). E deve, in particolare, rilevarsi che la Corte regolatrice ha ripetutamente affermato che anche il comportamento passivo del connivente puo’ assumere valenza ostativa, rispetto al diritto alla equa riparazione, qualora il soggetto non si sia limitato ad assistere passivamente alla consumazione di un reato da parte di terzi, ma abbia tollerato che il reato venisse consumato, pur essendo in grado di impedire la consumazione o la prosecuzione della attivita’ criminosa (cfr. Cass. Sezione 4, Sentenza n. 40297 del 10.06.2008, dep. 29.10.2008, Rv. 241325).

2. Cio’ chiarito, rileva questa Corte che l’ordinanza impugnata si colloca coerentemente e puntualmente nell’alveo del richiamato quadro interpretativo, tracciato dalla giurisprudenza di legittimita’, in ordine alla valutazione dei fattori colposi ostativi al riconoscimento dell’indennizzo, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, in riferimento all’ipotesi di cui all’articolo 314 c.p.p., comma 1.

La Corte di Appello di Firenze, invero, quale giudice della riparazione, ha del tutto legittimamente considerato che il comportamento assunto dal (OMISSIS), nella sua qualita’ di direttore generale dell’ente di riferimento, ben poteva essere interpretato come condotta di concorso nell’illecita attivita’ posta in essere dal sindaco, in danno di appartenenti al corpo della Polizia Municipale. Al riguardo, la Corte distrettuale ha osservato che non era revocabile in dubbio che (OMISSIS) fosse apparso, agli occhi degli inquirenti, quale soggetto che, nell’apparato burocratico comunale, condivideva appieno le scelte organizzative del sindaco, poste in essere allo specifico fine di neutralizzare la capacita’ di controllo della Polizia Municipale, rispetto a determinati settori di attivita’. Il Collegio, invero, ha del tutto logicamente considerato che apparivano significative le conversazioni oggetto di captazione, nel corso delle quali (OMISSIS) approvava le decisioni assunte dal sindaco, relative agli spostamenti del personale, scelte che stavano ottenendo il risultato di mandare “in crisi” i dipendenti che non si allineavano alla linea operativa indicata dal sindaco medesimo. E il Collegio ha rilevato che proprio tale livello di condivisione – da tenersi ben distinto dal paradigma penalistico richiesto per la qualificazione della condotta nell’ambito della fattispecie plurisoggettiva di reato a concorso eventuale – integrava l’estremo della colpa grave, giacche’ il ruolo assunto del dirigente amministrativo (OMISSIS), gia’ come oggettivamente emergente dall’attivita’ di captazione, era apparso come contiguo e fattivamente propositivo, rispetto alle condotte abusive realizzate dal primo cittadino, in danno dei dipendenti della Polizia Municipale del medesimo ente comunale.

A questo punto della trattazione, e’ poi appena il caso di osservare che neppure sussiste la dedotta indebita riconsiderazione, da parte del giudice della riparazione, di elementi di fatto esclusi in sede di merito. E tanto si afferma, con specifico riferimento all’episodio relativo all’incontro intervenuto tra (OMISSIS) ed il dipendente (OMISSIS). La sussistenza del citato episodio, invero, non e’ stata esclusa dal giudice della cognizione; e la Corte di Appello, dopo aver evidenziato che lo stesso prevenuto aveva ammesso la circostanza, se pure sottolineando il tono confidenziale della conversazione intercorsa nel frangente con il (OMISSIS), ha rilevato che il G.i.p. aveva conferentemente preso in considerazione, quale elemento indiziario a carico, anche la predetta conversazione, contestualizzandola rispetto al quadro complessivo dei rapporti intercorrenti tra (OMISSIS) ed il sindaco, caratterizzati dalla piena condivisione, da parte del dirigente amministrativo, delle scelte discriminatorie adottate dal (OMISSIS), in danno degli appartenenti al corpo della Polizia Municipale.

Come si vede, la Corte distrettuale ha effettuato, del tutto correttamente, la autonoma valutazione del comportamento posto in essere dal richiedente, secondo una valutazione “ex ante”, cioe’ a dire in riferimento agli elementi conosciuti dall’autorita’ giudiziaria procedente al momento di adozione della misura cautelare e sino al momento di cessazione della misura; ed il Collegio ha insindacabilmente ritenuto che (OMISSIS) avesse concorso a dare causa alla misura custodiale a suo carico, e al mantenimento della stessa, a causa del livello di condivisione che aveva manifestato, quale dirigente amministrativo dell’ente, rispetto alle illecite scelte adottate dal sindaco, cosi’ da ingenerare la falsa apparenza della configurabilita’ della condotta in termini di concorso nell’illecito penale.

Ed il ragionamento sviluppato dalla Corte di Appello si colloca nell’alveo dell’orientamento interpretativo tracciato dalla Suprema Corte, anche con riguardo alle inferenze che e’ dato trarre dal comportamento connivente del richiedente, gia’ sopra richiamate. Il giudice della riparazione ha infatti rilevato che (OMISSIS), oltre ad avere assunto una posizione contigua, rispetto alle decisioni prese dal sindaco, relative allo spostamento dei dipendenti da un ufficio ad un altro, aveva pure agito in prima persona, al fine di fugare le voci che indicavano il sindaco come autore dei predetti trasferimenti del personale, tanto che nel corso della conferenza dei dirigenti, aveva fatto mettere a verbale che gli spostamenti rispondevano a criteri di buona amministrazione.

3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ alla rifusione in favore del Ministero resistente delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo.
 
P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ alla refusione delle spese in favore del Ministero resistente liquidate in euro 1.000,00.