giovedì 31 luglio 2014

L'ANAS risponde dei danni stradali per la caduta massi sulla strada

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 5 giugno – 28 luglio 2014, n. 17095


Svolgimento del processo



1. C.V. citò in giudizio l'ANAS davanti al Tribunale di Verbania, chiedendo che fosse condannata al risarcimento dei danni subiti dalla vettura di sua proprietà, la quale era rimasta schiacciata da un masso rotolato sulla sede stradale mentre si trovava in sosta ai margini della strada statale n. (…), in località (…).

Si costituì in giudizio l'ANAS, chiedendo il rigetto della domanda.

Istruita la causa con prova per documenti, il Tribunale rigettò la domanda.

2. La pronuncia è stata appellata dal C. e la Corte d'appello di Torino, con sentenza del 25 settembre 2008, ha riformato la decisione di primo grado, ha dichiarato l'ANAS responsabile dell'evento dannoso e l'ha condannata al risarcimento nella misura di Euro 5.954,23, nonché al pagamento delle spese del doppio grado.

Ha osservato la Corte territoriale che nella specie doveva trovare applicazione l'art. 2051 cod. civ., trattandosi di evento verificatosi su una strada pubblica e non avendo rilievo il fatto che la vettura del C. fosse in sosta. Poiché la strada è costituita, secondo la Corte d'appello, “non solo dal suo sedime, e da tutte le sue pertinenze, ma dallo stesso tracciato”, l'area del sinistro, costituita da uno slargo davanti ad un'abitazione, non poteva che rientrare nel concetto di strada. L'ente convenuto, quindi, avrebbe dovuto dimostrare, per essere esentato da responsabilità, l'esistenza del caso fortuito; impresa definita "improba", perché il C. aveva parcheggiato in uno spazio nel quale era possibile la caduta massi, tanto che il pericolo era segnalato. Trattandosi, perciò, di un evento non certo imprevedibile, l'ANAS avrebbe dovuto realizzare le necessarie opere di contenimento, dovendo, in difetto, essere ritenuto responsabile.

La Corte d'appello, poi, ha riconosciuto che l'ente sarebbe stato da ritenere responsabile del fatto dannoso anche in caso di applicazione dell'art. 2043 cod. civ., “perché la colpa del custode è positivamente comprovata dall'inidoneità dei mezzi predisposti (il muro di contenimento) ad evitare fatti del genere di quello verificatosi”.

3. Contro la sentenza della Corte d'appello di Torino propone ricorso l'ANAS, con atto affidato a quattro motivi.

Il C. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione


1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 cod. civ., nonché del principio degli artt. 14, 24, 30 e 31 del codice della strada.

Rileva la società ricorrente che la sentenza non avrebbe considerato che, secondo i citati articoli del codice della strada, l'onere di realizzazione delle opere necessarie a proteggere la sede stradale - e in particolare le ripe - va posto a carico dei proprietari delle aree limitrofe. Nel caso specifico, il masso è caduto da una roccia sovrastante la parete rocciosa da un'altezza di circa 300 metri, il che esclude la sussistenza di quel potere fisico sulla cosa che costituisce il fondamento del potere di custodia di cui all'art. 2051 del codice.

1.1. Il motivo non è fondato.

Alla base delle censure ivi contenute, infatti, sta l'affermazione secondo cui, poiché l'obbligo di manutenzione delle ripe sovrastanti o sottostanti rispetto alla sede stradale spetta ai proprietari delle medesime ai sensi degli invocati articoli del codice della strada, ciò determinerebbe, eo ipso, il venir meno della responsabilità dell'ANAS odierno ricorrente.

Le argomentazioni del ricorso, apparentemente suggestive, sono in realtà prive di fondamento, alla luce di quanto già affermato da questa Corte nella sentenza 11 novembre 2011, n. 23562, che l'odierno Collegio integralmente condivide.

In quella pronuncia, dopo aver richiamato gli orientamenti di fondo sull'applicazione dell'art. 2051 cod. civ. relativamente alla custodia delle strade, si è detto che, “essendo funzione primaria dell'ente proprietario della strada quella di garantire la sicurezza della circolazione (D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 14) e spettando all'ANAS, tra l'altro, il compito di adottare i provvedimenti necessari ai fini della sicurezza del traffico sulle strade e sulle autostrade che le sono affidate e in relazione alle quali essa esercita i diritti e i poteri attribuiti all'ente proprietario (D.Lgs. 26 febbraio 1994, n. 143, art. 2), poco importa, in questa sede, stabilire su chi dovesse, in definitiva, gravare il costo economico del risanamento delle sponde laterali, costo del quale segnatamente si occupano il D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, artt. 30 e 31”. Ciò in quanto “l'Ente non poteva consentire la circolazione su un tratto di strada di cui aveva la custodia, senza adottare - o assicurarsi che venissero da altri adottati - i presidi necessari ad eliminare i fattori di rischio conosciuti e conoscibili con un attento e doveroso monitoraggio del territorio. Tale prospettiva disvela l'assoluta inconsistenza dell'assunto secondo cui, una volta riconosciuta la concorrente responsabilità del titolare del diritto dominicale sul fondo interessato dal fenomeno franoso, l'ANAS doveva essere mandata assolta dalle istanze attrici”. Ed infatti “l'inerzia del proprietario nella realizzazione degli interventi idonei a bonificare il terreno adiacente alla strada non elimina di certo quella del proprietario o del concessionario dell'area su cui i massi rocciosi erano, ineluttabilmente, destinati a cadere - e caddero infatti - mettendo a repentaglio quella sicurezza della circolazione che, come testé specificato, costituisce uno dei compiti primari dell'ANAS”.

Si tratta, com'è evidente, di una pronuncia che si attaglia perfettamente all'odierna fattispecie e che dimostra l'infondatezza del motivo in esame; né può in alcun modo sostenersi l'ipotesi del caso fortuito, poiché - come la Corte d'appello ha correttamente posto in evidenza, con accertamento di fatto non sindacabile in questa sede - la presenza della segnalazione di pericolo, unitamente all'esistenza di un muro di contenimento, dimostra che la caduta dei massi era evento assolutamente prevedibile, che l'ente oggi ricorrente aveva il dovere di fare tutto il possibile per impedire (v., in argomento, anche la sentenza 28 settembre 2012, n. 16542).

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 cod. civ., nonché illogicità e contraddittorietà della motivazione.

Secondo la ricorrente non sarebbe ravvisabile, nella specie, alcuna colpa in capo all'ANAS. In base all'art. 2043 cod. civ., infatti, non è sufficiente affermare che l'evento, cioè la caduta del masso, fosse prevedibile ed evitabile, ma occorre anche provare l'esistenza dell'insidia non visibile e non prevedibile; e su questo punto la sentenza sarebbe del tutto carente, per non dire affatto mancante.

2.1. L'esame di questo motivo è assorbito dalla decisione di rigetto di quello precedente. La Corte d'appello, infatti, ha correttamente richiamato, in relazione alla caduta dei massi sulla strada, l'obbligo di custodia gravante sull'ANAS, sicché è evidente che non avrebbe alcun senso occuparsi dei profili della possibile colpa ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., poiché la responsabilità è regolata dall'art. 2051 cod. civ., i cui presupposti, anche in termini di onere della prova, sono completamente diversi (sul punto v., tra le altre, la sentenza 20 gennaio 2014, n. 999).

3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione del principio che vieta al giudice di fare ricorso alla propria scienza privata.

La costante giurisprudenza riconosce che il ricorso alle nozioni di comune esperienza è un fatto eccezionale, che implica una deroga al principio dispositivo. La Corte d'appello - rilevando che la caduta di un masso di grandi proporzioni è, in montagna, un fatto tutt'altro che eccezionale ed imprevedibile - avrebbe invocato il concetto al di fuori delle ipotesi consentite, poiché calcolare la possibile traiettoria di un masso non costituisce una circostanza rientrante nelle nozioni di comune esperienza.

4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Nel corso dell'istruttoria era stata svolta anche una c.t.u., le cui conclusioni non sono state tenute in considerazione dalla Corte d'appello. In particolare, accertata l'esistenza di un muro paramassi in quel tratto di strada, il c.t.u. aveva concluso che il masso caduto sulla strada faceva parte di un blocco ben più grande interessato dal crollo; e, nella specie, aveva seguito un percorso di caduta particolare, diverso rispetto agli altri. In tale circostanza l'ANAS aveva sottolineato la configurabilità del caso fortuito, con conseguente sussistenza della prova liberatoria ai sensi dell'art. 2051 del codice.

5. Il terzo ed il quarto motivo, da trattare congiuntamente in considerazione della affinità dei problemi in essi posti, sono entrambi privi di fondamento.

Essi, infatti, contengono considerazioni attinenti la valutazione delle prove e si risolvono, al di là dalle formali contestazioni, in un evidente tentativo di ottenere da questa Corte un nuovo e non consentito esame del merito.

D'altra parte, la Corte d'appello ha dato conto delle ragioni del proprio convincimento con motivazione adeguata e priva di vizi logici, sicché non è prospettabile alcuna censura di vizio di motivazione.

6. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

Non occorre provvedere sulle spese, attesa la mancata costituzione dell'intimato.


P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Segnaletica non sufficiente:Anas responsabile dell'incidente stradale

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 23 aprile – 28 luglio 2014, n. 17039
Svolgimento del processo

P.A. , D.G.D. e Pr.Al. , rispettivamente genitori e sorella di P.L. , hanno citato in giudizio davanti al Tribunale di Matera V.O. , la società Axa assicurazioni S.p.A. e l'Anas, chiedendone la condanna solidale al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del sinistro verificatosi il 1 dicembre 1994, nel quale aveva trovato la morte il loro congiunto P.L. .
Gli attori esponevano che P.L. , agente della polizia di strada, mentre percorreva, alla guida di una autovettura della polizia, la strada di collegamento statale 106 Ionica, era entrato in collisione frontale con un autobus di proprietà V. , che proveniva dall'opposto senso di marcia, assicurato con la Axa assicurazioni; assumevano che l'incidente si era verificato sia per l'eccessiva velocità dell'autobus, sia perché l'Anas non aveva collocato segnali idonei a richiamare l'attenzione dei guidatori sull'esistenza di lavori in corso per il rifacimento della carreggiata e sull'impossibilità di eseguire manovre di sorpasso; che l'incidente si era verificato qualche decina di metri dopo la confluenza della complanare nel tratto di strada statale a doppia carreggiata, oggetto di allargamento. Nella resistenza dei convenuti, che eccepivano la responsabilità esclusiva del P. per aver compiuto una pericolosa manovra di sorpasso ad alta velocità, invadendo la corsia di marcia del dell'autobus., il Tribunale di Matera ha rigettato la domanda formulata nei confronti dell'Anas ed accolto per quanto di ragione la domanda proposta nei confronti dei convenuti V. ed Axa, dichiarando che il sinistro era da ascriversi per il 98% a colpa di P.L. e per il 2% a colpa del V. , con condanna degli stessi al pagamento della complessiva somma di Euro 3.635,17 oltre accessori; ha dichiarato improponibile ex l'articolo 22 della: legge 990/69 la domanda formulata da Pr.Al. nei confronti della Axa e del V. .
La Corte di appello di Potenza, con sentenza depositata il 13-7-2007, ha confermato la decisione di primo grado in relazione all'accertamento della misura della responsabilità, accogliendo l'appello dei congiunti di P.L. solo limitatamente al quantum del danno non patrimoniale, riliquidato in Euro 3.144,68 per ognuno degli appellanti.
Propongono ricorso P.A. e D.G.D. , illustrato da successiva memoria.
Resiste l’Anas.
Non presentano difese gli altri intimati.

Motivi della decisione

1. Col primo motivo di ricorso si denunzia violazione dell'articolo 2050 e/o 2051 c.c. e dell'articolo 2697 c.c. in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c..
I ricorrenti deducono che il motivo è volto esclusivamente a censurare la statuizione di rigetto della domanda formulata nei confronti dell’Anas, non investendo in alcun modo l'attribuzione della responsabilità nella misura del 2% a carico del proprietario dell'autobus.
Sostengono che erroneamente la Corte di appello ha escluso la responsabilità dell'Anas nella produzione dell'evento mortale, non tenendo conto della presunzione che grava in capo al proprietario, e custode della strada e della relativa inversione dell'onere della prova.
2. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso decisivo ai fini della decisione.
Il ricorrente denunzia contraddittorietà ed illogicità della motivazione della sentenza, laddove la Corte di merito ha ritenuto che il P. al momento dell'incidente era consapevole di circolare su un tratto di strada interessato da lavori a due corsie, una per ogni senso di marcia, facendo derivare tale presunzione dalla circostanza che la complanare percorsa Ih precedenza dal P. era a due corsie di marcia divise da una linea continua di mezzeria che segnalava il divieto di sorpasso.
3. Con il terzo motivo si denunzia violazione dell'articolo 84, 5 comma del regolamento di esecuzione del codice della strada e violazione degli articoli 2050 del 2051 c.c. in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c.. Assumono i ricorrenti che l'Anas ha violato la previsione dall'articolo 84 del regolamento di esecuzione del codice della strada, che prevede che se è utilizzato un segnale per indicare un pericolo su un tratto di strada di lunghezza definita e se in tale tratto di strada vi sono inserzioni, il segnale di pencolo deve essere ripetuto dopo ogni inserzione.
4. Con il quarto motivo si denunzia violazione dell'articolo 2.1 del Codice della strada e degli articoli 31, 34 e 84 comma 5 del regolamento di esecuzione del codice della strada.
I ricorrenti ripropongono la censura formulata con l'atto di appello per aver i giudici di merito omesso di rilevare la violazione dell'obbligo di apposizione di birilli o coni delineatori sulla mezzeria tra le due corsie transitabili della statale, onde scongiurare totalmente il rischio che le opposte traiettorie degli autoveicoli potessero accidentalmente interferire fra di loro.
5.1 quattro motivi si esaminano congiuntamente per la stretta connessione logico - giuridica che li lega in quanto censurano, sotto vari profili, la statuizione della Corte di appello che, nel rapporto fra. P.L. e l'Anas, ha ritenuto efficacia causale esclusiva alla condotta di quest'ultimo nel verificarsi dello scontro, omettendo ogni vantazione in relazione all'apporto causale delle condizioni della strada e delle insufficienti segnalazioni di sicurezza adottate dall'Anas.
6. I motivi sono fondati.
La Corte d'appello ha descritto il fatto storico esponendo che P.L. viaggiava alla guida di una vettura della polizia sulla strada statale ionica 106, in direzione Reggio Calabria, e che la strada era interessata dai lavori in corso, per l'allargamento della carreggiata, bitumatura e rifacimento della sede stradale; giunta alla progressiva chilometrica 425 + 900 del Comune di Policoro, l'auto della polizia di Stato è entrata in collisione frontale con l'autobus Fiat Iveco di proprietà di V.O. ; l'incidente si verificava qualche decina di metri dopo la confluenza della complanare nel tratto di strada statale a doppia carreggiata oggetto di allargamento; la circolazione nel tratto di strada in parola si svolgeva a doppio senso di marcia esclusivamente nella carreggiata di destra direzione - Reggio Calabria - essendo quella di sinistra - direzione Taranto - chiusaci traffico.
7. Valutando il motivo di appello con cui gli attuali ricorrenti hanno censurato la ripartizione delle responsabilità fra P.L. e l'Anas, in considerazione del concorso colposo di quest'ultima sensi dell'articolo 2051 c.c., e la incidenza causale della carente segnalazione da parte dell'Anas nelle scelte di guida effettuate dal P. prima dell'incidente, la Corte d'appello ha affermato di condividere l'orientamento del, tribunale che ha rigettato la domanda rivolta nei confronti dell'Anas, sul rilievo che era stata ampiamente provata la presenza di cartelli relativi al divieto di sorpasso ed al limite di velocità; che i carabinieri, all'atto del sopralluogo, avevano constatato il buono stato di manutenzione dell'asfalto, la presenza della striscia continua per segnalare il tratto rettilineo a doppio senso di circolazione e la segnaletica verticale indicante sia il divieto di sorpasso, sia il limite di velocità di 40 km/h, limite che era stato superato dal P. , il quale viaggiava a 115 km/h.
8.La Corte di merito ha affermato che dalla documentazione fotografica in atti emerge che il P. , all'atto di immettersi sulla strada statale (OMISSIS) , con direzione (OMISSIS) , proveniva da una strada complanare a quella statale. Ritiene decisiva la considerazione che detta complanare era a sua volta a doppio senso di circolazione ed aveva anch'essa una striscia continua di mezzeria ad indicare che era vietata l'intrusione nell'opposta corsia.
9. La Corte ha concluso che,non potendo escludersi che il segnale di doppio senso di circolazione,ove anch'esso occorresse, fosse stato posto a monte dell'inserzione della strada complanare della strada statale, deve affermarsi che il P. aveva avuto, mentre percorreva già la complanare, perfetta consapevolezza che si sarebbe immesso su un tratto di strada interessato dai lavori,che detto percorso (anche per questo) era due corsie, una per ogni senso di marcia, e che non solo occorreva mantenere una velocità particolarmente moderata,ma anche che non era consentito eseguire manovre di sorpasso di guisa. Di conseguenza la Corte di merito ha ribadito che nessun contributo causale alla verificazione del sinistro può essere ascritto all'ente pubblico.
10. La giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha ribadito che la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall'art. 2051 cod. civ., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia:
una volta provate queste circostanze, il custode, per escludere la propria responsabilità, ha l'onere di provare il caso fortuito, ossia l'esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale (così, più di repente, le sentenze 19 maggio 2011, n. 11016, e 5 febbraio 2013, n. 2660).
11. D'altra parte, il rapporto di custodia è stato identificato come una relazione di fatto tra il soggetto e la cosa che sia tale da consentirne il “potere di governo”, ossia la possibilità di esercitare un controllo tale da eliminare le situazioni di pericolo insorte e da escludere i terzi dal contatto con la cosa (Cass. sentenza 12 luglio 2006, n. 15779), ove essa sia fonte di pericolo.
12. Nonostante il carattere oggettivo di tale responsabilità, la quale è esclusa soltanto dalla prova del caso fortuito, la giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto che il comportamento colposo del danneggiato può – secondo un ordine crescente di gravità - atteggiarsi come concorso causale colposo, valutabile ai sensi dell'art. 1227, primo comma, cod. civ., ovvero addirittura giungere ad escludere del tutto la responsabilità dei custode (v. sentenza n. 15779 del 2006 cit.). Si è detto, infatti, che il dovere di segnalare il pericolo, che costituisce normale obbligo gravante sul custode, si arresta in presenza di un uso improprio, anomalo e del tutto imprevedibile della cosa, la cui pericolosità sia talmente evidente da integrare essa stessa gli estremi del caso fortuito (v. la sentenza 19 febbraio 2008, n. 4279, nonché la sentenza 4 dicembre 2012, n. 21727).
13. In relazione al problema specifico dell'obbligo di custodia connesso all'esistenza di un cantiere stradale, la Corte ha affermato che in caso di perdurante apertura al pubblico traffico di un'area interessata da lavori in corso, permane l'obbligo di custodia dell'ente pubblico proprietario del tratto stradale, con la conseguenza che è tale ente ad essere tenuto, in via esclusiva, ad apporre adeguata segnaletica stradale, trattandosi di adempimento non riconducibile agli obblighi dell'impresa appaltatrice, in assenza di prova che il comune abbia, nell'ambito del contratto di appalto, trasferito all'impresa l'obbligo di una corretta ed efficace installazione della segnaletica in questione. (Nella specie, in un sinistro stradale mortale, nel quale una delle auto aveva imboccato un tratto di strada con divieto d'accesso non idoneamente segnalato, intercettando così l'altro mezzo coinvolto nello scontro, la S.C. ha riconosciuto la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. del Comune per non aver provveduto alla segnalazione adeguata della non percorribilità del tratto in questione. Cass., Sentenza n. 19129 del 20/09/2011).
14. Come denunciato dai ricorrenti, la motivazione sul punto della Corte d'appello è illogica contraddittoria ed assunta in violazione delle leggi e dei regolamenti.
I giudici di merito hanno ritenuto che la condotta di guida del P. , che aveva invaso l'opposta corsia di marcia a velocità elevatissima, andando a scontrarsi con ti camion che procedeva nella propria corsia di marcia, fosse da sola idonea a determinare lo scontro ed a superare la1 presunzione di responsabilità gravante sul custode.
15. Hanno affermato che il P. , provenendo da una strada complanare a due corsie di marcia, separate da una linea continua, immessosi in una strada statale a quattro corsie di marcia, per il solo fatto che la complanare era a due corsie di marcia con una striscia continua, era avvertito che anche la strada statale nella quale si era immesso era a due corsie di marcia con lo stesso divieto di sorpasso, in quanto interessata da lavori in corso.
16. Tale motivazione è del tutto illogica e contrastante anche con le norme vigenti in materia di sicurezza stradale, che prevedono che i cartelli relativi alle norme di guida da tenersi in ipotesi di pericolo, devono ripetersi ad ogni nuova inserzione stradale.
Il guidatore non deve presumere, ma deve avere chiare indicazioni sulla condotta di guida da seguire soprattutto quando la situazione è particolarmente pericolosa, come nel caso in cui da una strada complanare a sole due corsie di marcia ci si mette in una strada più grande, a quattro corsie di marcia, che a causa dei lavori che interessano una parte della carreggiata, si è di fatto ridotta a sole due corsie di marcia.
17. Non vi è alcun elemento idoneo a far ritenere che il P. , dalle indicazioni stradali presenti sulla complanare fosse tenuto a presumere che la strada statale in cui si era immesso fosse interessata da lavori in corso e che per tale motivo era stata ridotta a sole due corsie, una per ogni senso di marcia.
Il sillogismo utilizzato dalla Corte di merito è contrario alla logica, perché il presupposto da cui parte non giustifica in alcun modo la conclusione a cui giunge.
18. Inoltre, in ipotesi di istituzione provvisoria di un doppio senso di circolazione su una sola carreggiata in strada in precedenza a doppia carreggiata, situazione ad elevatissimo rischio, tale situazione deve essere evidenziata da coni o delineatori flessibili, onde rendere percepibile la non percorribilità della corsia preclusa.
19. In una situazione dei luoghi caratterizzata da particolare pericolo per la circolazione, la motivazione della sentenza che ritiene irrilevante la circostanza che non è stato accertato che il segnale di doppio senso di circolazione fosse stato posto a monte dell'inserzione della strada complanare nella strada statale e che non ha fatto alcun riferimento alla presenza di coni o delineatori, risulta insufficiente a giustificare la valutazione effettuata che pone a carico del P. una condotta causale efficiente esclusiva nella causazione dello scontro mortale, ritenendo idonei i cartelli e le segnalazioni istallate dall'Anas.
20. La sentenza va cassata con rinvio alla Corte d'appello di Potenza in diversa composizione che si atterrà ai principi sopra espressi e provvederà anche alla liquidazione delle spese di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa e rinvia alla Corte d'appello di Potenza in diversa composizione che provvederà anche alle spese del giudizio di cassazione.

martedì 29 luglio 2014

Decreto di estenzione l’approvazione del cordolo delimitatore di corsia modulare

Decreto Dirigenziale N. 3520 del 27/07/2014
emessa da: Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti
Titolo/Oggetto
Decreto Dirigenziale 23 luglio 2014 n.3520 POST_MONDIAL Decreto di estenzione l’approvazione del cordolo delimitatore di corsia modulare concessa con D.D. n. 2631 ,in data 12 maggio 2011, alla versione comprendente anche il delineatore flessibile cilindrico denominato “POST_MONDIAL”, prodotto dalla ditta 3G S.r.l., con sede legale in Zona Industriale S.Sabina-S.Sisto (PG).

sabato 26 luglio 2014

Ostruire il transito e limitare la libertà di movimento è violenza privata

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 4 aprile – 23 luglio 2014, n. 32730

Ritenuto in fatto

Con sentenza in data 4.7.12 la corte di Appello di L'Aquila confermava a carico di XXXXXXX la sentenza emessa dal Tribunale di L'Aquila in data 29.5.08, con la quale l'imputato era stato condannato per il reato di cui all'art. 610 CP. commesso in data 13.11.2006, alla pena di mesi uno di reclusione, con le attenuanti generiche (per avere costretto YYYYYYYY a rimanere in un fondo, ostacolandone l'uscita per oltre un'ora).
Innanzi al giudice la persona offesa aveva dichiarato che l'imputato per impedirgli di uscire, aveva posizionato il proprio veicolo fuoristrada all'imbocco dell'unica via di uscita (sul punto la sentenza cita trascrizioni di udienza del 29.5.2008)
A carico dell'imputato si era rilevato che secondo testimonianza (C.) a seguito della richiesta di intervento dei CC.,era intervenuto il padre dell'imputato,che aveva spostato il veicolo.
In base a tali risultanze si era ritenuta la sussistenza del reato e della penale responsabilità dell'imputato, evidenziando che costui aveva agito con dolo.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva:
1-contraddittorietà e illogicità della motivazione, rilevando che proprio la deposizione del teste C., consentiva di escludere il reato di cui si tratta.
D'altra parte osservava che il C. al momento aveva agito liberamente, attendendo C.P., al fine di risolvere la controversia.
Pertanto si riteneva erronea l'interpretazione delle risultanze processuali.
2-inosservanza o erronea applicazione della legge penale evidenziando che pur volendo ammettere lo svolgimento dei fatti denunciati,l'imputato aveva agito per tutelare i propri diritti,avendo chiesto l'intervento dei Carabinieri al momento in cui aveva notato delle persone che aravano i fondi(notando che il C. non era persona conosciuta). Rilevava altresì che l'imputato era titolare di contratto di affitto per l'attività agricola,di durata quindicinale,esibito al giudice del dibattimento.
Per tali motivi la difesa chiedeva l'annullamento della sentenza impugnata.

Rileva in diritto

Il ricorso risulta privo di fondamento.
Invero secondo quanto è dato desumere dal testo del provvedimento impugnato,il giudice di merito ha correttamente ritenuto applicabile nella specie l'ipotesi prevista dall'art. 610 CP, dato il contenuto delle dichiarazioni della persona offesa, delle quali si fa specifica menzione,in ordine alle modalità del fatto (realizzato posizionando il proprio veicolo in modo da ostruire il transito di quello tenuto dalla persona offesa). Peraltro risultano chiarite le pretese discrasie tra le deposizioni testimoniali sul punto,richiamando deposizione del teste che aveva constatato che il padre dell'imputato aveva provveduto a spostare il veicolo ed i CC erano intervenuti a seguito di tale fase. In tal senso l'ipotesi di accusa si era ritenuta dotata di fondamento,motivando anche circa la difformità della deposizione di altro teste (C.) ritenuta frutto di mero errore.
Conseguentemente deve ritenersi ritualmente affermata la responsabilità dell'imputato per il reato di violenza privata,stante il riferimento alla condotta dei ricorrente idonea a precludere la libertà di transito del veicolo che conduceva la persona offesa; né d'altra parte risulta carente l'elemento psicologico del reato de quo(che risulta qualificato da dolo generico (v. Sez. 2-n. 2539 del 1985-RV 168345-)
Non avendo nella specie alcuna incisività la circostanza addotta dal ricorrente,che afferma l'esistenza di un contratto di affitto del fondo agricolo a proprio favore,avendo la condotta illecita riferimento alla limitazione della libertà di movimento della persona offesa (v. Sez. V, n. 2545 del 19.3.1985-Rv168350-)
In conclusione si osserva che il ricorso non rivela i richiamati vizi di legittimità,e dunque ne va pronunziato il rigetto,condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che liquida in Euro 1.500,00 oltre accessori come per legge.

Utilizzo improprio del lampeggiante

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 29 maggio – 24 luglio 2014, n. 32964 
Presidente Lombardi – Relatore Settembre
Ritenuto in fatto

1. La Corte d'appello di Reggio Calabria, con sentenza del 19/2/2013, a conferma di quella emessa Giudice dell'udienza preliminare del locale Tribunale, all'esito di giudizio abbreviato, ha condannato XXXXX per il reato di cui all'art. 497/ter cod. pen., per aver illecitamente detenuto un dispositivo lampeggiante di colore blu, del genere di quelli in uso alle Forze di polizia.
2. Contro la sentenza suddetta ha proposto personalmente ricorso per Cassazione l'imputato per violazione di legge e vizio di motivazione. Sostiene che il dispositivo era legittimamente detenuto, in quanto, come appartenente alla Guardia di Finanza, era abilitato all'uso dello stesso senza limitazioni di sorta, siccome permanentemente in servizio, data la sua qualità di pubblico ufficiale (nonostante si trovasse in vacanza in (…)). Inoltre, che non è possibile parlare, nella specie, di illecita detenzione, posto che è tale solo quella non sorretta da validi titoli giustificativi, mentre quello da lui detenuto era stato acquistato attraverso un canale web autorizzato. Evidenzia, in ogni caso, che il dispositivo era spento. Contesta, infine, l'esistenza del dolo.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.
1. L'art. 497/ter cod. pen. punisce, tra l'altro, chiunque "illecitamente detiene segni distintivi, contrassegni o documenti di identificazione in uso ai Corpi di polizia, ovvero oggetti o documenti che ne simulano la funzione" (comma 1, n. 1).
Nella struttura della fattispecie sono compresi, quindi: a) la detenzione di oggetti che identificano un corpo di polizia o ne simulano la funzione; b) la illiceità della detenzione. Il primo requisito è di intuitiva evidenza: vi rientrano tutti i segni, contrassegni, documenti od oggetti che rimandano, inequivocabilmente, ai corpi di polizia, perché li identificano nel sociale o costituiscono strumenti attraverso cui si esplica la funzione ad essi demandata (divisa, distintivo, paletta di servizio, ecc). Deve trattarsi, cioè, di elementi che portano il quivis de populo ad identificare il portatore o detentore come soggetto appartenente a forze di polizia o esplicante una funzione di polizia.
Il secondo requisito è integrato dalla "illiceità" della detenzione, che ricorre ogni qualvolta la detenzione non sia sorretta da un valido titolo di legittimazione. È "illecita", quindi, non solo la detenzione acquisita attraverso la commissione di un reato (nel qual caso il reato di cui all'art. 497/ter concorre con quello - per esempio: furto o ricettazione - che ha determinato la detenzione), ma anche quella che avviene sine titulo, perché riservata a soggetti specificamente individuati dall'ordinamento. Sebbene la rubrica dell'articolo parli, infatti, di "possesso di segni distintivi contraffatti", non è l'autenticità degli oggetti che viene tutelata dall'ordinamento, ma la riserva alle forze di polizia dei segni e degli oggetti che identificano queste ultime, perché attraverso di essi avviene il riconoscimento del personale investito della funzione. Tanto si desume: sia dalla collocazione sistematica dell'art. 497/ter cod. pen. nel capo IV del titolo VII, intitolato alla "falsità personale"; sia dal fatto che la "contraffazione" (sotto forma di fabbricazione o formazione) è oggetto della specifica (e aggiuntiva) previsione contenuta nel n. 2 dello stesso articolo, al comma 1; sia, infine, dalla ratio ispiratrice della norma, introdotta dall'art. 1/ter della L. 21 febbraio 2006, n. 49, che ha modificato, con previsione aggiuntiva, l'art. 10/bis del decreto legge n. 144 del 2005, conv. in legge n. 55 del 2005, ossia il decreto contenente norme urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, ed ha inteso punire la detenzione (oltre alla fabbricazione e all'uso) di segni distintivi di corpi di polizia, sul presupposto della potenziale strumentalità di tale condotta rispetto alla consumazione di delitti terroristici.
Orbene, nel caso di specie il P. è stato fermato mentre circolava con una vettura sul cui tettuccio era stato collocato un dispositivo lampeggiante a luce blu, normalmente in uso - anche se non esclusivo - alle forze in servizio di ordine pubblico. Trattasi di un "oggetto", quindi, che, allorché usato, esonera dall'osservanza degli obblighi, dei divieti e delle limitazioni relativi alla circolazione stradale e porta a identificare il suo detentore con un soggetto in servizio di ordine pubblico; un oggetto, quindi, che era idoneo a trarre in inganno i cittadini sulle qualità personali di chi lo deteneva e sul potere connesso all'uso dello stesso. E l'accertamento della sua idoneità ingannatrice rappresenta un giudizio di merito che - per essere sorretto da logica motivazione - non è censurabile in cassazione.
2. Nella specie, il dispositivo non era lecitamente detenuto. Il ricorrente insiste sul fatto che, essendo in servizio alla Guardia di Finanza, era abilitato all'uso e alla detenzione del lampeggiante senza limitazioni di sosta, perché "in servizio permanente effettivo". Senonché, la nozione di "servizio permanente" è diversa da quella di "esercizio delle funzioni", implicando essa che il pubblico ufficiale può in ogni momento intervenire per esercitare le sue funzioni, ma non che egli le stia concretamente esercitando in ogni momento (Cass., n. 38735 del 9/7/2004; Cass., n. 21730 del 17/4/2001). Dal che consegue che il P. , come correttamente argomentato dai giudici di merito, essendo in vacanza in (…), fuori della sua sede di servizio, e non essendo impegnato in un servizio di polizia, non era legittimato né all'uso né alla detenzione di un dispositivo in uso alle forze di polizia, peraltro privatamente ottenuto - secondo il suo dire - attraverso canali internet. Corretto è anche il rilievo che non rileva l'uso del dispositivo, ma la sua detenzione, per cui il reato non è escluso dal fatto che il lampeggiante fosse, al momento del controllo, spento (e ciò a prescindere dal fatto che anche la circolazione col dispositivo spento, ma collocato sul tettuccio dell'autovettura, potrebbe integrare una forma di "uso"). La motivazione concernente l'elemento materiale del reato è, quindi, priva di vizi logici e conforme al diritto.
3. Lo stesso dicasi per l'elemento soggettivo, ineccepibile (e finanche sovrabbondante) essendo il rilievo che "la qualifica ricoperta da P. esclude in radice che egli non fosse perfettamente consapevole delle conseguenze dell'utilizzo improprio del lampeggiante". Peraltro, essendo l'elemento soggettivo integrato dal dolo generico, è sufficiente la cosciente volontà della detenzione, mentre l'errore circa la liceità della detenzione si risolve in errore di diritto, la cui scusabilità non è nemmeno argomentata dal ricorrente.
4. Sebbene l'argomento non sia affrontato dal ricorrente, va sottolineato che non opera, nella specie, il principio di specialità posto dall'art. 9 della L. 689 del 1981, astrattamente invocabile sul rilievo che l'art. 177 del D.lgs 285 del 1992, al comma 4, punisce l'uso del lampeggiante fuori dei casi previsti dal comma 1 dello stesso articolo. La norma si riferisce, infatti, ai casi di "uso" improprio da parte di un soggetto legittimato (si riferisce, quindi, all'uso improprio che ne faccia un appartenente alle forze dell'ordine o uno degli altri soggetti indicati nell'art. 177 cit.), ma non anche alla "detenzione" illegittimamente acquisita dal quivis de populo, appartenente o meno ad uno dei Corpi specificati dalla norma.
5. Alla stregua di tanto non merita censura la decisione impugnata, che è priva di errori ed esibisce una motivazione che si segnala per sufficienza argomentativa. Il ricorso va pertanto rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

L’AUTOCARAVAN RUBATA, CONTRAFFATTA, RITROVATA, E SEQUESTRATA, è STATA DISSEQUESTRATA E CONSEGNATA AI LEGITTIMI PROPRIETARI

Da:ANCC Ciolli <pierluigiciolli@coordinamentocamperisti.it> 

L’AUTOCARAVAN RUBATA, CONTRAFFATTA, RITROVATA, E SEQUESTRATA,
è STATA DISSEQUESTRATA E CONSEGNATA AI LEGITTIMI PROPRIETARI

Ha registrato un’importante vittoria la vicenda dell’autocaravan della famiglia Capitanelli rubata il 20 novembre 2013 a Porto Recanati (MC) e che abbiamo pubblicato da pagina 14 e seguenti della rivista INCAMPER  numero 158 (in libera lettura aprendo http://www.incamper.org/sfoglia_numero_2.asp?id=158&n=14&pages=0 ) .
Infatti, l’autocaravan della famiglia Capitanelli è stato dissequestrato e restituito ai legittimi proprietari.
Grazie all’intervento dell’Associazione Nazionale Coordinamento Camperisti che ha messo a disposizione gli Avv.ti Marcello Viganò e Assunta Brunetti del foro di Firenze con l’ausilio dell’Avv. Fabio Pancaldi del foro di Bologna perché competenti nel settore autocaravan e circolazione stradale.
Grazie al Commissariato di Polizia Bolognina-Pontevecchio perché oltre all’intervento espletato ha avuto il delicato compito di far comprendere la situazione a chi reclama giustamente i propri diritti.
Grazie all’encomiabile tempestivo lavoro espletato dalla Polizia Scientifica di Bologna.
Era il 23 novembre 2013 quando l’autocaravan veniva rubata da casa Capitanelli a Porto Recanati (MC). Immediata la denuncia e le segnalazioni sul web a seguito delle quali l’autocaravan è stata avvistata a Bologna il 16 marzo 2014 in un campo nomadi e subito sequestrata. Ma il percorso per recuperare l’autocaravan è stato più faticoso di quello che si possa pensare perché avevano cambiato le targhe e falsificato il telaio.
È stato necessaria l’elaborazione di atti, documenti tecnici (disponibili a chi ne farà richiesta motivata) e incontri e, grazie a questa tempestiva attività, dopo tre mesi, dimostrata la proprietà del veicolo ed espletati i necessari rilievi, l’autocaravan è stata recuperata.
Con tutto ciò che ha comportato e che ne comporterà: lavoro, preoccupazioni, costi.
La famiglia Capitanelli è stata emotivamente segnata dalla vicenda ma ha portato a casa un grande primo risultato e ne siamo felici. Il sostegno dell’Associazione Nazionale Coordinamento Camperisti è stato attivato in via speciale stante la novità del fatto che un’autocaravan era stata abilmente contraffatta, quindi, la famiglia Capitanelli non ha sostenuto le spese per l’azione legale intrapresa.
Isabella Cocolo, presidente

Regione Siciliana:Missioni - Istruzioni operative

CIRCOLARE 10 luglio 2014, n. 10.
Missioni - Istruzioni operative.
AI DIPARTIMENTI REGIONALI
ALLE RAGIONERIE CENTRALI C/O GLI ASSESSORATI
REGIONALI
e, p.c.
ALLA CORTE DEI CONTI
- SEZIONE DI CONTROLLO
PER LA REGIONE SICILIA
AL PRESIDENTE DELLA REGIONE - UFFICIO DI GABI-
NETTO
AGLI UFFICI DI GABINETTO DEGLI ASSESSORI
REGIONALI
 
A seguito di numerose richieste di chiarimenti, si ritiene utile fornire indicazioni su alcuni temi specifici ricorrenti in materia di trattamento di trasferta del personale, al fine di garantire comportamenti univoci sia da parte degli uffici preposti alla gestione della spesa sia da parte degli uffici di riscontro.
Ferma restando la vigente disciplina, per la quale coninuano a valere, per quanto qui non innovato, le pertinenti istruzioni diramate con le circolari precedenti, alcune problematiche vanno risolte anche alla luce di recenti pronunce della Corte costituzionale e delle urgenti necessità di razionalizzare la spesa in questione, nell'ambito del più ampio processo di rigore contabile e di spending review.
 
1) Utilizzo del mezzo proprio
Il decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con la legge 30 luglio 2010, n. 122, all'articolo 6, comma 12, dispone: “a decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni pubbliche ... non possono effettuare spese per missioni ...per un ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell' anno 2009. ... . Il presente comma non si applica alla spesa effettuata per lo svolgimento di compiti
ispettivi ... . A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto gli articoli 15 della legge 18 dicembre 1973, n. 836 - corresponsione di una indennità a chilometro - e 8 della legge 26 luglio 1978, n. 417 - misura dell'indennità chilometrica - e relative disposizioni di attuazione, non si applicano al personale contrattualizzato di cui al D.lgs n. 165 del 2001 e cessano di avere effetto eventua li disposizioni contenute nei contratti collettivi”.

La Ragioneria generale della Regione, con la circolare n. 6 del 2 agosto 2011, ha preso in considerazione i contenuti del decreto legge n. 78/2010.
A seguito di ricorsi sulla legittimità costituzionale delle disposizioni dell'art. 6 del D.L. n. 78/2010 proposti da alcune regioni, la Corte costituzionale con la sentenza n. 139 del 4 giugno 2012 ha evidenziato che tali disposizioni non sono direttamente precettive per le regioni ma costituiscono “norme di principio”, cui anche la Regione siciliana deve uniformarsi con propri interventi. La Suprema Corte ha sancito che le amministrazioni devono regolamentare l'uso del mezzo proprio in modo rigoroso e funzionale agli obiettivi generali di risparmio, senza però essere soggetti a vincoli specifici: l'uso del mezzo proprio deve avvenire secondo modalità tali da contemperare il contenimento della spesa con il principio autonomistico delle regioni; esso può essere autorizzato dal dirigente solo per particolari esigenze di servizio o vantaggio economico ed il dipendente deve recuperare tutti i costi sostenuti; pertanto viene superata la tesi che ammette solo forme di indennizzo (Corte dei conti, sez. riunite n. 8 e n. 21/CONTR/11).
Di seguito si riportano schematicamente i principali punti affermati dalla Corte costituzionale:
• la Corte costituzionale ha chiarito che le norme dell'art. 6 del D.L. n. 78/2010 che individuano limiti di spesa puntuali costituiscono solo “norme di principio” per le regioni, che quindi non sono tenute al rispetto di ciascun vincolo specifico del comma 12, ivi incluso il divieto di corrispondere le indennità chilometriche per l'uso dell'auto propria;
• l'Amministrazione regionale deve prevedere l'uso del mezzo proprio in modo rigoroso e funzionale “agli obiettivi generali di risparmio”, non essendo soggetta a vincoli specifici;
• l'uso del mezzo proprio deve avvenire secondo modalità tali da contemperare il contenimento della spesa pubblica con il principio “autonomistico delle regioni”;
• l'uso dell'auto propria può essere autorizzato solo per “particolari esigenze di servizio o vantaggio economico per l'Amministrazione”;
• il dipendente deve recuperare tutti i costi effettivamente sostenuti, con riferimento a parametri improntati a criteri di ragionevolezza.
Per quanto sopra, il dirigente competente a rilasciare l'autorizzazione per le missioni (tutte le missioni, non soltanto quelle di natura ispettiva) deve verificare la sussistenza degli effettivi presupposti che legittimano il ricorso all'utilizzo del mezzo proprio, valutando in maniera rigorosa l'effettiva economicità della scelta in termini di costi/benefici. Tale valutazione deve essere esplicitata nell'atto di autorizzazione di missione, che deve indicare le circostanze che determinano la necessità o la convenienza dell'uso del mezzo proprio.
2) Autorizzazione e liquidazione della missione
Oltre a quanto sopra indicato in merito all'uso del mezzo proprio, l'autorizzazione alla missione, atto propedeutico alla spesa, deve recare una quantificazione della spesa presunta.
Il dirigente che autorizza la missione deve preventivamente verificare la sussistenza della copertura finanziaria, tenendo conto delle disponibilità residue sul pertinente capitolo, delle missioni già autorizzate e non ancora liquidate e delle quantificazioni preventive di queste ultime.
L'autorizzazione deve dare chiaramente conto della sussistenza della copertura finanziaria e deve essere trasmessa alla Ragioneria centrale competente; essa vale quale prenotazione d'impegno ai sensi del comma 3 dell'art.11 della legge regionale n.47/77 e successive modifiche ed integrazioni.

La Ragioneria centrale, al fine di utilizzare correttamente le risorse disponibili negli stanziamenti di bilancio, deve riscontrare la copertura finanziaria nell'anno di competenza con riferimento a tutti gli elementi sopra indicati.
Il rimborso delle spese sostenute avviene dietro presentazione di idonea documentazione; nel caso in cui dalla documentazione non si evincano elementi essenziali della spesa sostenuta (ad esempio i biglietti aerei, per essere rimborsati, devono essere in tariffa economica), non altrimenti documentabili, è necessario presentare una dichiarazione sostitutiva. La parcella per la liquidazione delle spese per missioni deve essere presentata dall'interessato senza indugio e comunque entro e non oltre 15 giorni dal suo rientro in sede.
Per evitare la formazione di debiti fuori bilancio, l'assunzione degli impegni di spesa deve avvenire nell'anno finanziario di competenza: unica deroga eccezionale è rappresentata dall'ipotesi in cui la parcella per la liquidazione della missione venga presentata in prossimità della fine dell'anno, qualora i normali tempi di lavorazione da parte dei centri titolari della spesa non consentano la tempestiva assunzione dell'impegno di spesa entro il 31/12.
3) Scontrino parlante o intelligente
Si ricorda che le spese sostenute per i pasti possono essere ammesse a rimborso solo se documentate da fattura o da ricevuta fiscale, nonché da scontrino fiscale cosiddetto “parlante” o “intelligente”, che riporta il codice fiscale di chi riceve la prestazione, nonché la natura, la qualità e la quantità dei servizi prestati; resta escluso qualsiasi altro documento giustificativo della spesa.
Non è, altresì, rimborsabile la spesa sostenuta per i pasti, desumibile da ricevute fiscali rilasciate cumulativamente per più persone.
Per la trattazione complessiva della materia, si rimanda alle precedenti direttive e, a tale scopo, si elencano di seguito le principali circolari di questo Assessorato:
• circolare n. 4 del 23 maggio 2001 “Trattamento economico e giuridico delle missioni del personale –Adempimenti delle ragionerie centrali”;
• circolare n. 10 del 12 maggio 2010 “Procedure per l'erogazione del trattamento di trasferta del personale regionale e per i relativi controlli”;
• circolare n. 6 del 2 agosto 2011 “Missioni: articolo 6, comma 12, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78.
Utilizzo del mezzo proprio.
Nel rappresentare la particolare rilevanza degli argomenti trattati, si invitano le Amministrazioni in indirizzo ad assicurare la più ampia diffusione delle direttive contenute nella presente circolare, confidando nella scrupolosa osservanza delle stesse.
La presente circolare sarà pubblicata nella  Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana e inserita nel sito internet della Regione siciliana (www.regione.sicilia.it), nella homepage del Dipartimento bilancio e tesoro - Ragioneria generale della Regione, nella sezione dedicata alle circolari.
L’Assessore: AGNELLO

Guida in stato di ebrezza: Conversione della pena nel lavoro di pubblica utilità solo se vengono applicate le sanzioni accessorie di cui ai commi 2 e 2 bis del citato articolo 186.

Corte di cassazione - sentenza 04/07/2014 n. 29306
L'art. 186, comma 2 quater, cod. strada (come sostituito dall'art. 5, comma 1, lett. a), d.l. 3.08.2007, n. 117, convertito nella legge 2 ottobre 2007, n. 160), prevede espressamente l'applicazione delle sanzioni accessorie di cui ai commi 2 e 2 bis del citato articolo 186, anche in caso di "applicazione della pena su richiesta delle parti". E che anche la disciplina di cui all'art. 186, comma 9 bis, cod. strada, prevede l'applicazione della sospensione della patente di guida, sia pure in misura ridotta sino alla meta, in caso di svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità.

giovedì 24 luglio 2014

Condannato il Comune di Trapani per comportamento antisindacale

Il Comune di Trapani è stato condannato per la seconda volta in sede di appello dal Giudice del Lavoro del Tribunale di Trapani per comportamento antisindacale.


Il Giudice del lavoro, nel riconfermare quanto sancito dalla sentenza di primo grado, dove veniva evidenziata e sanzionata  l’attività antisindacale finalizzata a screditare l’immagine sindacale del segretario Aziendale Pietro Scardino e ad inibire o comunque ostacolare l’attività sindacale del SILPOL  ordinando il ripristino delle funzioni di responsabilità’, da cui  era stato rimosso . Ha condannato  altresì il comune a rifondere al S.I.L.Po.L. la somma di Euro 690,00 oltre gli oneri di legge.

L’odierna sentenza d’appello, proposta dall’Amministrazione Comunale, la vede soccombere pesantemente, “ Per aver modificato le condizioni lavorative dei dipendenti Rallo , Pulizzi e Scardino rimuovendoli dai compiti che gli stessi espletavano già da tempo ed assegnandoli a nuovi incarichi. Tali scelte ( di per sé non illegittime ) per il momento cronologico in cui si sono collocate, e per la (assenza) di ragioni logiche che le hanno sorrette, se non addirittura per l’illogicità palese che le connota, appaiono giustificate solo dalla volontà di attaccare i vertici di un sindacato di recente costituzione la cui attività “ ispettiva “ ( avente ad oggetto la distribuzione fra il personale di taluni incarichi extra retribuiti ) risultava particolarmente scomoda.
Questo comportamento presenta tutti i connotati della condotta antisindacale in quanto si tratta di un modo per impedire/ostacolare il libero svolgimento dell’attività del sindacato, pertanto, ne va ordinata la cessazione.
ORDINA : 
  • Al Comune di Trapani di assegnare Pietro Scardino ai servizi di P.G con i compiti e le funzioni che allo stesso erano assegnati prima del 17.12.2012 ;
  • Al Comune di Trapani di assegnare Giovanni Rallo e Linda Pulizzi ai settori e le mansioni dagli stessi ricoperti fino al 17.02.2012
CONDANNA :
  • Il Comune di Trapani al pagamento delle spese di lite che liquida in complessive €. 3.980,00 oltre iva CPA e spese generali

Questa sentenza dà ancora una volta ragione alla nostra politica sindacale,  ritornando a condannare l’ Amministrazione Comunale in maniera più pesante ed incisiva, evidenziando quanto noi da tempo abbiamo sempre lamentato e denunciato,  una campagna pseudo sindacale contro la nostra sigla e i nostri dirigenti che hanno avuto l’ardire di svegliare sopiti argomenti tralasciati volutamente negli anni passati.
Campagna delegittimante sfociata in sterili calunnie ed artate azioni disciplinari, con il mero scopo di scoraggiare e delegittimare gli aderenti al sodalizio Sindacale.
Manovre misere ed ignobili che sono state smascherate e fatte emergere dall’esito delle sentenze, le quali hanno, prima parzialmente ed oggi totalmente, hanno confermato le nostre ragioni, come rilevato dallo stesso Giudice estensore .
Alla luce di tali sentenze, che se pur ci rendono giustizia, non placano  e non sopiscono i nostri principi di lealtà e legalità sindacale, Proseguiremo con la nostra attività finalizzata ai giusti riconoscimenti dovuti agli Operatori della Polizia Municipale.
COMUNICATO STAMPA S.I.L.PO.L.

 Fonte

Delega al Governo per la riforma del codice della strada:Testo unificato approvato dalla Camera