giovedì 30 ottobre 2014

Intestazione temporanea dei veicoli



Prot. n° 23743 del 27 ottobre2014 - Intestazione temporanea dei veicoli - Chiarimenti Apllicativi



Si riporta di di seguito la circolare riguardo le Nuove disposizioni in materia di variazione della denominazione o delle generalità dell'intestatario della carta di circolazione e di intestazione temporanea di veicoli :


Nel caso in cui l'intestatario della carta di circolazione (comodante) conceda in comodato l'utilizzo del proprio autoveicolo, motoveicolo o rimorchio ad un terzo, chi prende in comodato il veicolo (comodatario) ha l'obbligo di darne comunicazione al competente Ufficio Motorizzazione Civile (UMC), richiedendo l'aggiornamento della carta di circolazione.



L’obbligo di aggiornamento della carta di circolazione è previsto:

  • per i contratti di comodato (a titolo gratuito) stipulati a decorrere dal 3 novembre 2014 e che abbiano una durata superiore a trenta giorni naturali e consecutivi
  • che prevedano un uso esclusivo e personale del veicolo da parte di chi prende in comodato il veicolo (utilizzatore).



Gli obblighi di comunicazione debbono essere adempiuti entro 30 giorni, naturali e consecutivi, dalla stipula del contratto.


Sono esentati da tale obbligo i componenti del nucleo familiare, purché conviventi.

Giovedì 30 Ottobre 2014 15:43

martedì 28 ottobre 2014

Codice della Strada: novità inerenti chi guida un veicolo NON di sua proprietà.

Aprire http://www.mit.gov.it/mit/mop_all.php?p_id=19250 per copiare e leggere il documento di 47 pagine emanato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, prot. 15513 datato 10 luglio 2014, avente come oggetto: Art. 94, comma 4-bis, c.d.s. e art. 247-bis, d.P.R. n. 495/1992 - Nuove disposizioni in materia di variazione della denominazione o delle generalità dell'intestatario della carta di circolazione e di intestazione temporanea di veicoli.

Su internet si è scatenata una valanga di interpretazioni (in molti casi solo per far aprire il sito e salire nel numero di click utili a vendere pubblicità), quindi, i nostri tecnici sono al lavoro per acquisire i chiarimenti ufficiali inviati dal Ministero e redigere sintetiche indicazioni.

Nel frattempo ci è pervenuto l’intervento che Maurizio Vitelli, il direttore generale della Motorizzazione, pare abbia inviato all’ANSA.

”E’ importante precisare – sottolinea infatti il direttore generale della Motorizzazione Maurizio Vitelli – che la norma esclude tutte le situazioni in cui la natura dei rapporti intercorrenti tra proprietario del veicolo e soggetto che ne dispone abbiano rapporti di parentela.

Quindi non riguarda, per esempio, il figlio che guida la macchina del padre o situazioni simili”. La norma non si applica anche in caso di ”veicoli che rientrano nella fattispecie dei fringe benefit o delle vetture di servizio”. Tra le categorie incluse, invece, ci sono ”le società di autonoleggio, i veicoli in comodato, quelli di proprietà di minorenni non emancipati ed interdetti, quelli messi a disposizione della pubblica amministrazione a seguito di una pronuncia giudiziaria”.

Tutti casi cioè, spiega Vitelli, ”in cui era necessario individuare uno strumento che permettesse l’identificazione certa del soggetto responsabile della vettura circolante e di eventuali violazioni al codice della strada e connesse sanzioni. Inoltre – precisa il direttore generale della Motorizzazione – un altro fenomeno che si è voluto contrastare con questa norma è quello delle intestazioni fittizie”.


Felice domenica da Pier Luigi Ciolli

giovedì 23 ottobre 2014

Il potere di autotutela della Pubblica amministrazione, finalizzato a rimuovere determinazioni amministrative che si rivelino non idonee a perseguire il pubblico interesse, costituisce principio generale operante anche in assenza di specifica previsione normativa o contrattuale

N. 04919/2014REG.PROV.COLL.
N. 05132/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5132 del 2013, proposto da:
Ugo Ricci, Raffaele Pilato, Maria Capasso, Anna Costagliola, Massimo Garofano, Francesco Saverio Iaccarino, Sabato Rescigno, Angelo Schiavelli, Michele Martino, Maria Martino, Michele Martino, Regina Martino, Michele Cilento, Eugenio Pecorella, Gioacchino Piedimonte, Rita Schirosi, Laura Mastrantuoni, Paolo Mattiello, Anna Antoniello, Valentina De Rosa, Rosa Gentile, Gennaro Pollice, Cristofaro Formisano, Giuseppe Errichiello, Fernando De Majo, Maria Immacolata Cassese, Clara Aiello, Vittorio Di Marino e Rocco Cannatelli, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Arcangelo D'Avino e Paolo D'Avino, con domicilio eletto presso Alberto D'Auria in Roma, via Calcutta, 45;
contro
Commissione Straordinaria di Liquidazione del Dissesto dell'Amministrazione Provinciale di Napoli;
Provincia di Napoli, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Aldo Di Falco e Luciano Scetta, con domicilio eletto presso la Segreteria della V Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE V, n. 1479/2013, resa tra le parti, concernente revoca dell’ammissione alla massa passiva del credito maturato a titolo di rivalutazione ed interessi.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 giugno 2014 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e udito per le parti l’avvocato Saverio Profeta, su delega dell'avvocato Arcangelo D'Avino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Campania gli odierni appellanti invocavano l’annullamento della delibera della Commissione straordinaria di liquidazione della Provincia di Napoli n. 37 del 5 giugno 2002, avente ad oggetto revoca ammissione alla massa passiva.
2. Il primo giudice, ribadito il principio secondo il quale la rivalutazione monetaria non va ricalcolata con riferimento alle somme già dovute a titolo di rivalutazione, come pure rispetto a somme dovute a titolo di interessi, respingeva la suddetta richiesta.
Il TAR nel suo argomentare poneva l’accento sulla legittimità dell’esercizio del potere di revoca, concludendo per l’infondatezza dei denunciati motivi di illegittimità: a) eccesso di potere per erroneità dei presupposti e contraddittorietà, b) eccesso di potere per sviamento e violazione del giudicato, nonché dell’art.1194 c.c.; c) eccesso di potere per carenza di istruttoria e motivazione.
3. Gli odierni appellanti con il gravame in esame si dolgono dell’erroneità della sentenza di prime cure, evidenziandone le seguenti erroneità: a) nel ricorso di primo grado sarebbe stata prospettata la violazione della sentenza del TAR Campania, n. 181/1988, divenuta giudicato a seguito della conferma da parte della sentenza del Cons. St., n. 758/1991. La prima, infatti, avrebbe condannato l’amministrazione provinciale a corrispondere ai ricorrenti la rivalutazione e gli interessi legali sulle competenze di lavoro corrisposte in ritardo come risultanti dalla delibera di Giunta 17 ottobre 1979, n. 4063: “con decorrenza dalla maturazione dei singoli ratei e sul loro ammontare rivalutato secondo gli indici ISTAT”; b) violazione dell’art. 21-quinquies, l. n. 241/1990, e del principio di certezza del diritto, perché, pur ammettendo che un cambio di giurisprudenza possa legittimare la revoca di provvedimenti amministrativi, l’atto impugnato violerebbe il principio di certezza dei rapporti giuridici. Inoltre, oggetto di revoca potrebbero essere solo quei provvedimenti ad efficacia durevole, ma non quelli che abbiano esaurito i loro effetti. Ancora la revoca avrebbe solo effetti exnunc e non ex tunc. Gli atti in questione, invece, sarebbero ad efficacia istantanea, essendo già stati liquidati gli importi a favore degli appellanti nel 1998, mentre la revoca sarebbe del 2002. Gli importi liquidati nel 1998 sarebbero stati determinati secondo la giurisprudenza prevalente e non potrebbe valere il successivo mutamento giurisprudenziale; c) con l’emissione delle delibere sarebbe sorto in capo agli appellanti un diritto soggettivo rimovibile solo attraverso un’azione giudiziaria; d) la delibera n. 127 dell’1 agosto 1998, sulla scorta della quale sono state adottate le delibere revocate, sarebbe ancora efficace. Pertanto sarebbe illegittimo il comportamento dell’amministrazione; e) ulteriore profilo di illegittimità riguarderebbe il difetto dei presupposti sulla scorta dei quali sarebbe stata adottata la revoca, che richiama le sentenze nn. 259/99, 260/99 e 263/99, con le quali il TAR investito delle impugnazioni delle delibere dei commissari ad acta escludeva che la rivalutazione potesse a sua volta essere oggetto di rivalutazione. Ma l’importo ammesso al passivo dalla Commissione straordinaria non sarebbe stato determinato sui calcoli effettuati dai Commissari ad acta, bensì su quelli operati dal SED, rimanendo le delibere dei Commissari totalmente estranee al provvedimento con il quale si sarebbe riconosciuto ed ammesso al passivo il credito dei ricorrenti; f) erronea sarebbe la sentenza in relazione all’imputazione di pagamento, le somme liquidate sarebbero il frutto del calcolo del SED e non dei commissari ad acta; g) la delibera che ha ammesso al passivo i ricorrenti avrebbe omesso di indicare i criteri di calcolo utilizzati per liquidare gli importi. Pertanto vi sarebbe stata violazione del diritto di difesa; h) vi sarebbe stata disparità di trattamento, perché per 119 dipendenti non sarebbe stato utilizzato il criterio deteriore utilizzato per gli appellanti; i) la delibera n. 121/98 non riguarderebbe il credito dell’appellante Aiello.
In via istruttoria, gli appellanti chiedono che le amministrazioni resistenti depositino i calcoli analitici, nonché la indicazione dei criteri seguiti nella determinazione degli importi.
4. Nelle proprie difese l’amministrazione provinciale invoca la conferma della sentenza gravata, evidenziando che: a) non vi sarebbe violazione di giudicato perché con le sentenze del 1999, in particolare la n. 260/99, il TAR Campania si sarebbe pronunciato solo sugli aspetti sui quali non si era formato il giudicato stabilendo che la rivalutazione monetaria, già maturata, non potesse a sua volta dare luogo ad ulteriore rivalutazione; b) non vi sarebbe violazione dell’art. 21 quinquies, l. n. 241/1990, sussistendo tutti i presupposti per l’esercizio del potere di revoca; c) la delibera n. 127/98 riguarderebbe tutti i dipendenti non aderenti al protocollo d’intesa, mentre le singole delibere riguarderebbero quei dipendenti per i quali vi sarebbe integrazione da parte del giudice amministrativo (g.a.) a seguito di reclamo della Provincia al g.a., quindi la delibera n. 127/98 non avrebbe potuto essere revocata; d) la Corte d’Appello di Napoli con sentenza 11 febbraio 2011 avrebbe disatteso la richiesta di disapplicare la delibera n. 37/2002, affermando la piena legittimità della stessa; e) se pure la delibera n. 127/98 non riguardava Aiello Clara avente causa di Aiello Filippo, la delibera n. 37/2002 la riguarderebbe espressamente. Infatti, la delibera n. 37/2002 avrebbe disposto la revoca anche della delibera n. 186/1997 che, appunto, riguardava Aiello Clara. Inoltre, la C.S.L., con delibera n. 47 del 9 luglio 2003, avrebbe provveduto alla correzione, in rettifica, di errori materiali contenuti nella delibera n. 34/2002. Infatti nella delibera n. 47/2003 si sarebbe deliberato di «provvedere a rettificare le proprie deliberazioni n. 36 e 37 correggendo l’indicazione degli atti di ammissione revocati, relativi ai nominativi di seguito indicati: deliberazione n.34 del 5/06/2002 – nominativo Aiello Filippo Si conferma le revoca della deliberazione n.186/97 e si revoca la deliberazione n.359 del 29/07/1998 anziché la n.121/98 erroneamente indicata».
5. In sede di incidente cautelare questa Sezione, con ordinanza n. 3232/2013, ha respinto la richiesta degli appellanti con la seguente motivazione: “Ritenuta, allo stato, indimostrata l’esistenza del danno grave ed irreparabile, anche alla luce del fatto che non sono state avviate azioni di recupero delle somme in contestazione;
Ritenuto, di conseguenza, di dover respingere l’istanza”.
6. La sentenza gravata è immune dalle denunciate censure, pertanto, l’appello in esame non può essere accolto.
7. Va preliminarmente chiarito che la sentenza del TAR per la Campania, n. 181/1988, aveva condannato l’amministrazione provinciale di Napoli al pagamento di interessi e rivalutazione monetaria a favore degli odierni appellanti con decorrenza dall’1/12/1972 sui crediti riconosciuti loro dalla deliberazione della Giunta provinciale n. 4063 del 17 ottobre 1979 a titolo di equa proporzione ex art. 228 del T.U.L.C.P.. La sentenza in questione, confermata in seconde cure, aveva precisato che gli interessi riconosciuti dovessero essere computati con decorrenza dalla maturazione dei singoli ratei e sul loro ammontare rivalutato secondo gli indici ISTAT.
Gli originari ricorrenti per l’esecuzione del giudicato ottenevano la nomina di commissario ad acta, i cui atti venivano reclamati dall’amministrazione provinciale con ricorsi che venivano parzialmente accolti dal TAR per la Campania, che, con alcune decisioni del 1999, quali la n. 260/1999, chiariva come: “In definitiva, quindi, non vi sono ostacoli all’accoglimento del reclamo in esame per la parte in cui è rivolto ad escludere che la rivalutazione monetaria già maturata potesse a sua volta dar vita ad ulteriore rivalutazione (non esistendo, su questo specifico punto, un vincolo da precedenti statuizioni giudiziali)”. Questa specificazione operata dal giudice campano, a sua volta divenuta irrevocabile, fa definitivamente chiarezza sull’assenza di qualsivoglia violazione del giudicato da parte del provvedimento oggetto di impugnazione con l’originario ricorso di primo grado.
8. Del pari, non può essere condivisa la prospettazione degli appellanti circa la violazione della disciplina contenuta nell’art. 21-quinquies, l. n. 241/1990. Sul punto è bene notare che la norma in questione non risulta applicabile direttamente alla fattispecie, perché risulta introdotta solo nel 2005, mentre il provvedimento impugnato in primo grado è del 5 giugno 2002, sicché i parametri di riferimento vanno individuati nei principi generali in materia di autotutela come cristallizzati nel diritto vivente. Del resto, non si è mai dubitato in giurisprudenza che il potere di autotutela della Pubblica amministrazione, finalizzato a rimuovere determinazioni amministrative che si rivelino non idonee a perseguire il pubblico interesse, costituisce principio generale operante anche in assenza di specifica previsione normativa o contrattuale (Cons. St., Sez. VI, 25 marzo 2004, n. 1613).
Fatta questa precisazione, è bene notare che sussistono nel caso in esame tutti i presupposti per l’esercizio del potere di revoca. Ed, infatti, la giurisprudenza amministrativa (cfr. ex multis, Cons. St., Sez. V, 24 settembre 2003, n. 5444) ha sempre ritenuto che l'esercizio dello jus poenitendi da parte della Pubblica amministrazione incontra un limite nell'esigenza di salvaguardare le situazioni dei soggetti privati che, confidando nella legittimità dell'atto rimosso, hanno acquisito il consolidamento delle posizioni di vantaggio loro attribuite; pertanto, il travolgimento di tali posizioni è legittimo solo se è giustificato dalla necessità d'assicurare il soddisfacimento di un interesse di carattere generale, prevalente come tale sulle posizioni individuali, dandone idonea contezza nella motivazione del provvedimento di rimozione, affinché ne sia consentito il controllo di legittimità in sede giurisdizionale. Tipico esempio di prevalenza dell’interesse generale su quello del singolo è stato individuato nell’illegittimo esborso di denaro pubblico, elemento valutato dalla giurisprudenza di questo Consiglio in grado di rappresentare adeguatamente l’interesse pubblico, senza particolare ulteriore motivazione (Cons. St., Sez. V, 21 novembre 2003, n. 7524; Id., 16 giugno 2003, n. 3356; Id., Sez. VI, 9 settembre 2002, n. 4570).
Allo stesso tempo appare legittimo l’esercizio dello jus poenitendi sulla scorta di una nuova valutazione dell’interesse pubblico anche sulla scorta dei citati dicta giurisdizionali resi dal TAR campano in sede di ottemperanza.
Del pari non si ravvisa alcuna illegittimità nell’esercizio del potere di revoca in ragione della natura del provvedimento che ne è stato oggetto. Infatti, posto che il richiamo alla disciplina di cui all’art. 21 quinquies, l. n. 241/1990, per le ragioni già esposte non risulta conferente, va chiarito che il provvedimento di ammissione alla massa passiva non ha effetto istantaneo, ma, al contrario, nella misura in cui riconosce ai creditori per un certo ammontare il loro credito rappresenta un provvedimento ad efficacia durevole. Pertanto, non solo ne è legittima la revoca, ma non è corretto rilevare che la stessa non possa operare, perché non può che valere ex nunc. Ed, infatti, come precisato, il travolgimento del riconoscimento del credito nella misura prevista dal provvedimento revocato si limita ad operare conformemente ai limiti sempre riconosciuti al potere di revoca solo ex nunc.
9. Con altro motivo gli appellanti lamentano l’impossibilità da parte dell’amministrazione di utilizzare il potere di autotutela, ritenendo ineludibile che le ragioni dell’appellata dovessero transitare per il ricorso al giudice civile. Una simile doglianza non appare, però, convincente in quanto il potere di revoca è stato esercitato su di un atto amministrativo, ossia nei limiti fisiologici in cui lo stesso poteva essere esercitato, senza che assuma efficacia ostativa la circostanza che lo stesso incida su diritti soggettivi degli odierni appellanti.
10. Va disattesa anche la prospettazione degli appellanti che lamentano come l’amministrazione provinciale avrebbe dovuto rimuovere il provvedimento presupposto rappresentato dalla delibera n. 127/98. Quest’ultima, infatti, rappresenta il presupposto per l’ammissione alla massa passiva di tutti i crediti dei dipendenti non aderenti al protocollo di intesa del 23 settembre 1996, ossia l’intero novero di soggetti che avevano deciso di non accettare la transazione. Pertanto, correttamente l’amministrazione provinciale ha provveduto con la delibera n. 37/2002 alla rideterminazione degli importi per quei dipendenti nei confronti dei quali il TAR aveva accolto in sede di ottemperanza i reclami proposti dall’amministrazione provinciale nei limiti sopra rammentati.
10.1. Quest’ultimo rilievo esclude anche l’esistenza della denunciata disparità di trattamento, giacché l’amministrazione provinciale ha correttamente preso in esame la posizione di quei dipendenti destinatari delle citate sentenze del TAR per la Campania.
11. Non si ravvisa, inoltre, alcuna violazione del dettato dell’art. 1194 c.c., che prevede il criterio legale di imputazione del pagamento agli interessi anziché al capitale, il quale opera sempre che l’imputazione stessa non sia stata oggetto di sindacato giurisdizionale, circostanza quest’ultima che esclude il potere di accettazione del creditore, avendo trovato la fattispecie la regola del caso concreto proprio in sede giurisdizionale.
12. Infine, non possono essere condivise le critiche in ordine al presunto errore di fatto, inerente la circostanza che l’importo ammesso al passivo dalla Commissione straordinaria non sarebbe stato determinato sui calcoli effettuati dai Commissari ad acta, bensì su quelli operati dal SED, rimanendo le delibere dei Commissari totalmente estranee al provvedimento con il quale si sarebbe riconosciuto e ammesso al passivo il credito dei ricorrenti. Un simile rilievo, infatti, risulta pienamente coperto dalle statuizioni giurisdizionali, rese dal TAR per la Campania in sede di reclamo avverso i provvedimenti adottati dal Commissario ad acta, sicché in questa sede non può trovare accoglimento, essendo rilievo che avrebbe dovuto essere portato avverso quella statuizione giurisdizionale e non invece avverso la delibera n. 37/2002, che ha dato esecuzione alla regula juris ivi statuita.
13. Infine, non coglie nel segno la presunta violazione del diritto di difesa per mancata indicazione dei criteri di calcolo sulla scorta dei quali sono stati diversamente ammessi al passivo gli odierni appellanti, risultando adeguato e sufficiente il richiamo ai citati provvedimenti giurisdizionali.
14. Quanto, invece, alla posizione dell’appellante Aiello, va rilevato che, come correttamente evidenziato dalla difesa dell’amministrazione provinciale, sebbene la delibera n. 121/98 non riguardasse il credito di Aiello Clara (dante causa di Aiello Filippo), è vero che la delibera n. 37/2002 disponeva la revoca anche della delibera n. 186/1997, che la riguardava. Inoltre, la delibera n. 47/2003 provvedeva a correggere l’errore materiale inerente la posizione di Aiello Filippo.
15. Appare pertanto giocoforza respinge l’appello in esame. Attesa la complessità delle questioni in fatto ed in diritto trattate si ravvisano eccezionali motivi per compensare le spese dell’odierno grado di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese tra le parti costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 giugno 2014 con l'intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Vito Poli, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore
 

 

L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/10/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Rinvio esami per eventi atmosferici

Prot. 23129 del 21 ottobre 2014 - Candidati con autorizzazione ad esercitarsi alla guida in scadenza di validità che non hanno potuto sostenere l’esame di guida per il conseguimento della patente a causa di eccezionali eventi alluvionali.

Protocollo di Comunicazione MTCTNet2 - Precisazioni varie

Prot. 23327 del 22 ottobre 2014 -

Pensiero del giorno: “Ognuno nella vita ha quel che merita”


 In questi ultimi giorni si è  consolidata in me la consapevolezza che ognuno si ritrova, nella vita, quel che merita.
“Ogni popolo ha il governo che si merita” diceva Aristotele.
A mio parere il principio Aristotelico però è da estendere a qualsiasi altro campo (soprattutto in ambito lavorativo)  e non soltanto a quello politico. 
Ognuno di noi, quindi, dovrebbe analizzare attentamente le propria coscienza e porsi anche qualche seria autocritica.
Mario Serio

“Perché una società vada bene, si muova nel progresso, nell’esaltazione dei valori della famiglia, dello spirito, del bene, dell’amicizia, perché prosperi senza contrasti tra i vari consociati, per avviarsi serena nel cammino verso un domani migliore, basta che ognuno faccia il suo dovere”  “La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”.
 “Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l’essenza della dignità umana”.
“Il coraggioso muore una volta, il codardo cento volte al giorno”.
“Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola”.
Giovanni Falcone










Circolazione stradale Il proprietario deve sempre conoscere l'identità del conducente al quale ha affidato l'automobile

In una recente decisione la Suprema Corte ha nuovamente affrontato la questione relativa alla corretta interpretazione dell'art. 126-bis del Codice della Strada, nell'ipotesi in cui il veicolo appartenga ad una persona giuridica (nel caso di specie, una s.r.l.) e questa ometta, ovvero non sia in grado di indicare i dati identificativi del conducente del veicolo stesso.
Cassazione civile Sentenza, Sez. II, 16/10/2014, n. 21957
http://www.quotidianogiuridico.it/

Omissione di Soccorso.Dopo avere investito con l'auto un ciclista ed averlo fatto cadere in terra, non si era fermata per fornire le sue generalità e prestare soccorso.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 16 maggio – 21 ottobre 2014, n. 43831
Presidente Bianchi – Relatore Izzo


Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 5/6/2013 la Corte di Appello di Milano confermava la pronuncia di primo grado con la quale S.O. era stata condannata per i delitti di cui all'art. 189, commi 6° e 7°, C. d. S. (acc. in Milano il 21/4/2007). All'imputata era stato addebitato che, dopo avere investito con l'auto un ciclista, G.R., ed averlo fatto cadere in terra, non si era fermata per fornire le sue generalità e prestare soccorso.
Osservava la Corte che, la dinamica del sinistro e la violenza dell'impatto con il ciclista aveva con certezza determinato in capo all'imputata la consapevolezza delle lesioni traumatiche patite dal G. (15 gg. di prognosi) e ciò avrebbe dovuto indurla a fermarsi sul luogo del fatto. In ogni caso, quanto meno sussisteva il dolo eventuale quale elemento soggettivo dei delitti contestati.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputata, lamentando la erronea applicazione della legge ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo dei reati contestati. Invero dopo la caduta il G. si era rialzato e l'imputata si era fermata per constatare quali fossero le sue condizioni. Visto che stava bene si era allontanata.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
ella sentenza impugnata sono riportate le deposizioni dei testi presenti al fatto, i quali hanno riferito che l'imputata si era fermata solo per urlare qualcosa al ciclista dopo avere abbassato il finestrino e non per dare le proprie generalità ed attendere l'arrivo della forza pubblica o dei soccorsi; anzi l'auto aveva ripreso la marcia in tutta fretta, passando sulla bicicletta stesa in terra.
Ciò premesso, va ricordato la giurisprudenza di questa corte di legittimità è consolidata nel suo orientamento interpretativo, laddove ha statuito che "risponde del reato previsto dall'art. 189, comma sesto, il soggetto che, coinvolto in un sinistro con danni alle persone, effettui soltanto una sosta momentanea, insufficiente a garantire l'adempimento degli obblighi di fermarsi e di fornire le proprie generalità ai fini del risarcimento" (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 9128 del 02/02/2012 Ud. (dep. 07/03/2012), Rv. 252734; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 20235 del 25/01/2006 Ud. (dep. 14/06/2006), Rv. 234581; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 34621 del 27/05/2003 Ud. (dep. 21/08/2003), Rv. 225622).
Inoltre, quanto all'elemento soggettivo, anche in tal caso va rammentata la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale "Nel reato di fuga previsto dall'art. 189, comma sesto, C.d.S. l'accertamento del dolo, necessario anche se esso sia di tipo eventuale, va compiuto in relazione alle circostanze concretamente rappresentate e percepite dall'agente al momento della condotta, laddove esse siano univocamente indicative del verificarsi di un incidente idoneo ad arrecare danno alle persone (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 16982 del 12/03/2013 Ud. (dep. 12/04/2013), Rv. 255429; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 3982 del 12/11/2002 Ud. (dep. 28/01/2003), Rv. 223500; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 14222 dei 16/12/2005 Ud. (dep. 21/04/2006), Rv. 233954).
Orbene il giudice di merito ha tratto il convincimento della possibilità per l'imputata di percepire che il ciclista avesse patito lesioni, dalla sua caduta sull'asfalto e dai danni riportati dal velocipide.
La non manifesta infondatezza delle motivazione sul punto, rende insindacabile la sentenza in questa sede.
Segue, per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Vedi anche qui

Mancato avvertimento alla persona da sottoporre al controllo alcoli metrico della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 26 settembre – 21 ottobre 2014, n. 43847
Presidente Brusco – Relatore Piccialli

Ritenuto in fatto

Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Venezia ricorre avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Treviso, in sede di opposizione a decreto penale di condanna emesso nei confronti di B.M. per la contravvenzione di cui all'articolo 186, comma 2 del codice della strada (fatto accertato in data (omissis) ), pronunciava sentenza di assoluzione dell'imputato con la formula perché il fatto non sussiste.
Il giudicante - accogliendo l'eccezione difensiva svolta nella memoria depositata il 30 novembre 2011 (considerata quale primo atto difensivo concretamente esperibile contestuale all'atto di nomina a difensore fiduciario) - ha fondato tale decisione sulla ritenuta ricorrenza di una ipotesi di nullità a regime intermedio per essere stato omesso, da parte della polizia operante, previamente all'esecuzione dell'alcoltest, l'avviso all'indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore. Stante l'inutilizzabilità dell'atto, il giudice ha ritenuto mancante la prova della condotta tipica, ricorrendo alla formula assolutoria sopra richiamata.
Con l'impugnazione il ricorrente deduce violazione di legge, perché, il giudicante, pur avendo correttamente qualificate come intermedia la nullità derivante dall'omesso avviso all'indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore, ha ritenuto l'inutilizzabilità dell'atto, pur essendo la stessa sanata ai sensi dell'art. 182 cod. proc. pen.. Nel caso di specie non risultava infatti che l'eccezione fosse stata formulata nei termini indicati da un consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale la citata nullità, avente natura incontestabilmente intermedia, deve ritenersi sanata se non dedotta prima ovvero immediatamente dopo il compimento dell'atto da parte dell'interessato, non ricorrendo facoltà processuali comportanti cognizioni tecniche professionali proprie del difensore (v. da ultimo Sezione IV, 4 giugno 2013, Proc. gen. App. Bologna in proc. Martelli, rv. 255989).

Considerato in diritto

Come è noto, in tema di guida in stato di ebbrezza, il cosiddetto alcool test, eseguito dall'agente accertatore, costituisce la prova "regina" a fondamento della responsabilità del conducente, anche perché solo attraverso l'esame alcolimetrico è possibile verificare quale delle tre ipotesi previste rispettivamente dalle lettere a), b) e c) del comma 2 dell'articolo 186 del codice della strada risulti integrata: la prima delle quali è di rilievo solo amministrativo.
Il tema da affrontare è quello delle facoltà difensive attribuite all'interessato in occasione della sottoposizione all'esame tecnico, con particolare riferimento all'eventuale mancato avvertimento della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, in violazione dell'articolo 114 delle disposizioni di attuazione cod. proc. pen..
Deve, invero, innanzitutto rilevarsi, sotto un profilo di ordine generale che l'atto in questione (il rilievo del tasso alcol emico mediante il c.d. alcol-test) è sussumibile nella previsione dell'art. 354 cod. proc. pen., concernente l'accertamento urgente e la conservazione delle tracce del reato, e che, ai sensi dell'art. 356 cod. proc. pen., il difensore dell'indagato "ha facoltà di assistere, senza diritto di essere preventivamente avvisato", ai sensi, poi, dell'art. 114 disp. att. cod. proc. pen., la polizia giudiziaria, nel compimento degli atti di cui all'art. 356 cod. proc. pen. avverte la persona sottoposta alle indagini, se presente, che ha facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia; in mancanza di questo, non è prevista per il compimento di tali atti la nomina di un difensore di ufficio come disposto per altri atti (tra gli altri, v. artt. 340,364 cod. proc. pen.).
Ciò posto, per l'orientamento giurisprudenziale prevalente (v. da ultimo, Sezione IV, 4 giugno 2013, n.36009, P.G ed altro e, da ultimo, 11 marzo 2014, Pittiani, non massimata), il mancato avvertimento della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, in violazione dell'articolo 114 delle disposizioni di attuazione cod.proc. pen., da luogo ad un nullità a regime intermedio, soggetta pertanto alla disciplina dettata dagli articoli 178, lettera c), 180 e 182 cod. proc. pen. Tale nullità deve, pertanto, ritenersi sanata se non è dedotta prima del compimento dell'atto, oppure, se ciò non è possibile, immediatamente dopo il compimento dell'atto al quale la parte ha partecipato, ai sensi dell'articolo 182, comma 2, cod. proc. pen., anche mediante lo strumento delle memorie o richieste, senza quindi attendere il compimento di un successivo atto del procedimento.
Come emerge anche dall'ultima relazione sul tema dell'Ufficio del Ruolo e del Massimario n. 12 del 6 febbraio 2014, la giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nell'inquadramento della nullità predetta tra quelle generali a regime intermedio, dovendosi ritenere superate le diverse opzioni interpretative, secondo le quali tale nullità doveva essere qualificata come relativa (v. in tal senso, tra le altre, Sezione IV, 16 settembre 2003, n. 42020, P.M. in proc Della Luna, rv. 227294) e quelle decisioni che, invece, affermavano, sia pure con riferimento a fattispecie diverse da quella in esame, che il ritardato deposito del verbale contenente l'accertamento strumentale dell'alcoltest comportasse una mera irregolarità (v. Sezione IV, 5 marzo 2008, n. 15272, Ardolino, rv. 239538; 18 dicembre 2009, n. 1855/10, Testani, n.n.), ulteriormente precisando, in taluni casi, che il verbale contenente gli esiti del c.d. alcoltest non è soggetto al deposito ex articolo 366 c.p.p. e conseguentemente ritenevano non configurabile la nullità dell'accertamento urgente derivante dall'omesso deposito (v. Sezione IV, 7 febbraio 2006, n. 26738, Belogi, rv. 234512 e per altri riferimenti, anche la relazione del Massimario preliminare alla trattazione del procedimento Zedda rimesso alle Sezioni unite all'udienza del 25 marzo 2010 per la stessa questione, in caso identico a quello in esame, che non venne affrontata, in ragione dell'abnormità della sentenza impugnata).
Inquadrata, alla luce della consolidata giurisprudenza sopra richiamata, la predetta nullità tra quelle a regime intermedio, va, invece, rilevata una diversità di interpretazioni nell'ambito della giurisprudenza di legittimità quanto al limite temporale entro il quale è utilmente proponibile l'eccezione di nullità.
Sulla questione sono ravvisabili due distinti orientamenti.
Il primo, più restrittivo, che parte da una interpretazione rigorosa della lettera dell'art. 182, comma 2, cod. proc. pen., ritiene che l'assistenza della parte (nel caso di specie, l'imputato, presente all'atto dell'accertamento del tasso alcol emico) comporti la necessità di procedere immediatamente a sollevare l'eccezione (ossia, prima del compimento dell'atto) oppure, nel caso di impossibilità (da intendersi, soggettiva, in quanto impedito dalla mancata conoscenza della facoltà di farsi assistere dal suo difensore, proprio perché non preventivamente avvisato dalla polizia giudiziaria in base all'art. 114 disp. att. cod. proc. pen.) di doverla sollevare "immediatamente dopo", nel senso di non poter attendere il primo atto del procedimento ma di dovervi provvedere attraverso il meccanismo delle memorie ex art. 121 cod. proc. pen..
In conseguenza, proprio con riferimento all'esecuzione di alcoltest, è stata considerata tardivamente proposta l'eccezione di nullità per l'omesso avviso previsto dall'art. 114 disp att. cod. proc.pen., allorché la parte, invece di sollevare l'eccezione immediatamente dopo il compimento dell'atto, abbia atteso il compimento di un successivo atto del procedimento (v. Sezione IV, 11 ottobre 2012, n. 44840, PG in proc. Tedeschi, rv. 254959; 19 settembre 2012, n. 38003, Avventuroso, rv. 254374; 08/05/2007, n. 27736, Nania, rv. 236934).
Nello stesso senso, è stato ulteriormente precisato (v. Sezione II, 9 febbraio 2012, n. 14873, Rispo rv. 252397; Sezione IV, 14 marzo 2008, n. 15739, Alberti, rv. 299737), sempre con riferimento alla violazione da parte della polizia giudiziaria all'obbligo di cui all'art. 114 disp. att. cod. proc. pen., avvenuta però nel corso di una perquisizione, che l’espressione "immediatamente dopo" va intesa nel senso che la nullità deve essere eccepita dal difensore subito dopo la sua nomina, ovvero entro il termine di cinque giorni che l'art. 366 cod. proc. pen. concede a quest'ultimo per l'esame degli atti.
A questa tesi se ne affianca una meno rigorosa che muovendo da una lettura costituzionalmente orientata del combinato disposto degli articoli 354, 356, 366 cod. proc. pen. e 114 disp. att. cod. proc. pen. giunge all'opposta conclusione di considerare come tempestiva l'eccezione di nullità sollevata con il primo atto procedimentale utile (che, nel caso di specie sarebbe costituito dall'opposizione al decreto penale di condanna), non essendo pertinente il richiamo all'art. 121 cod.proc.pen., né potendosi considerare intempestiva un'eccezione di nullità sollevata in sede di opposizione, tenuto conto della brevità dei termini previsti dalla legge processuale per impugnare il provvedimento emesso inaudita altera parte (v. in tal senso, Sezione V, 9 febbraio 2012, n. 7654, Masella, rv. 252172; Sezione III, 14 maggio 2009, n. 26588, Di Sturco, rv. 244370; Sezione III, 12 luglio 2005, n. 33517, Rubino, rv. 233164, secondo le quali la nullità derivante dall'omesso avviso all'indagato - da parte della polizia giudiziaria che proceda al sequestro del corpo di reato - della facoltà di farsi assistere dal difensore può essere fatta valere anche in sede di richiesta di riesame).
Si segnala, in particolare, per l'argomentata motivazione la sentenza Rubino concentrata su una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 182, comma 2, cod. proc. pen., al fine di individuare la soluzione ermeneutica più conforme al dettato legislativo ed allo stesso tempo più adeguatrice rispetto al fondamentale ed inviolabile principio del diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost..
In particolare, partendo dall'interpretazione letterale dell'art. 182 cod. proc. pen. si evidenzia come il presupposto per potersi applicare il primo periodo del secondo comma dell'art. 182 cod. proc. pen. (ovvero che la nullità di un atto deve essere eccepita, quando la parte vi assista, prima del suo compimento ovvero, se ciò non sia possibile, immediatamente dopo) è la circostanza che la parte assista al compimento dell'atto nullo. Nell'interpretare la disposizione in esame nella parte in cui impone all'indagato di sollevare l'eccezione "prima del suo compimento" dell'atto, la Corte evidenzia che la stessa presuppone anche che la parte che vi assiste sia in grado di eccepire la nullità prima del compimento dell'atto, ossia che possa presumersi che essa sia a conoscenza o sia comunque in grado di essere a conoscenza dell'atto che si sta per compiere, così come presuppone che la parte stessa non decada dal diritto di eccepire la nullità dell'atto dopo il suo compimento fino a quando non possa ritenersi provato che essa abbia avuto conoscenza o almeno la possibilità di avere conoscenza della nullità dell'atto e sia quindi in grado di eccepirne immediatamente la nullità. E difatti, in tanto il legislatore impone l'obbligo alla polizia giudiziaria di avvisare l'indagato che ha facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia proprio in quanto presuppone che normalmente l'indagato non sia e non debba essere a conoscenza di questa facoltà e quindi impone alla polizia giudiziaria di avvisarlo appunto perché egli possa esercitare il suo diritto di difesa e per evitare una violazione dell'art. 24 Cost..
Nell'affrontare la questione dell'applicabilità della medesima disposizione nella parte in cui impone all'indagato di eccepire la nullità immediatamente dopo il compimento dell'atto nullo e nello stabilire quando l'eccezione debba considerarsi tardiva, la Corte, sottolinea che l'ignoranza della parte non viene meno solo perché l'atto è stato compiuto e quindi deve logicamente presumersi che la parte continui ad ignorare la sussistenza della nullità e non possa quindi eccepirla almeno sino a quando non sia provato o possa presumersi che essa ne sia venuta a conoscenza o almeno sia stata in grado di venirne a conoscenza, il che generalmente avviene solo nel momento in cui si ha la prova che l'indagato abbia contattato un difensore e possa perciò ritenersi che questi lo abbia messo a conoscenza della nullità ed in condizione di eccepirla. La sentenza indicata, nel sottoporre a critica l'opposto orientamento, sottolinea l'esigenza di ancorare la presunzione di conoscenza o della nullità che inficiava l'atto ad un momento ben preciso ed alla presenza di un atto che possa dare una qualche sicurezza sul punto, derivandone altrimenti la più assoluta incertezza, diversità ed arbitrarietà di opinioni e di soluzioni.
È tematica peraltro meritevole di ulteriore approfondimento, nell'ottica di una effettiva soddisfazione delle esigenze difensive, ove si consideri che, in assenza dell'assistenza del difensore, è fin troppo ovvio che si determini la sanatoria della nullità per il formarsi delle condizioni di cui sopra.
Ciò a fronte di quell'orientamento secondo cui l'eccezione può e deve essere formalizzata dallo stesso interessato, non essendo necessario l'intervento del difensore, in quanto non ricorrono facoltà processuali che comportino la cognizione di elementi tecnici rientranti nelle specifiche competenze professionali del difensore (Sezione IV, 4 giugno 2013, Proc. gen. App. Bologna in proc. Martelli).
È necessario allora un intervento chiarificatore, ove si consideri che il richiamato orientamento che accredita la capacità diretta dell'interessato presenta profili di dubbia corrispondenza con i principi del diritto di difesa, trascurando di considerare a tacer d'altro proprio le condizioni pregiudicate in cui si trova, nel contesto dell'accertamento, il trasgressore e, in ogni caso, trascura di considerare il ruolo della difesa tecnica di cui svaluta la portata e il significato.
In questa prospettiva, il tema centrale della questione ruota intorno alla tutela del diritto alla difesa e, ad avviso del Collegio, ai fini della soluzione del quesito non può prescindersi dalla instaurazione del rapporto tra l'indagato/imputato ed il difensore.
Appare utile richiamare in proposito alcune decisione del Giudice delle Leggi in materia. Chiamata a verificare la legittimità costituzionale, in rapporto all'art. 24 Cost., comma 2, dell'art. 401 codice di rito 1930 nella parte in cui faceva decorrere il termine di cinque giorni per la deduzione delle nullità relative intercorse nell'istruzione sommaria dalla notifica all'imputato del decreto di citazione a giudizio, anziché dalla notificazione al difensore dell'avviso della data fissata per il dibattimento, la Corte costituzionale, ha puntualizzato che "il diritto di difesa deve essere garantito in modo adeguato alle circostanze, con modalità che a queste si adattino, esplicandosi anche come effettiva potestà di assistenza tecnica e professionale". Pertanto il principio costituzionale invocato è stato ritenuto violato dalla previsione di un breve termine decorrente dalla conoscibilità del decreto di citazione a giudizio da parte del diretto interessato piuttosto che del suo difensore, benché la cognizione di elementi tecnici rientranti nella specifica competenza professionale del difensore fosse indispensabile per rendersi conto delle nullità e far rilevare i vizi invalidanti (C. cost. sent. n. 162 del 17/06/1975, n. 162).
Il principio è stato ribadito in successive pronunce, tra le quali merita di essere ricordata in questa sede la sentenza n. 120 del 2002, con la quale il giudice delle leggi ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 458 c.p.p., comma 1, nella parte in cui prevede che il termine entro cui l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato decorre dalla notificazione del decreto di giudizio immediato, anziché dall'ultima notificazione, all'imputato o al difensore, rispettivamente del decreto ovvero dell'avviso della data fissata per il giudizio immediato. In tale occasione la Corte ha evidenziato come il nucleo centrale della questione di legittimità costituzionale attenesse alla violazione del diritto alla difesa tecnica, in quanto la disciplina censurata era congegnata in maniera tale che il termine stabilito a pena di decadenza per presentare richiesta di giudizio abbreviato poteva scadere senza che il difensore avesse potuto illustrare al proprio assistito le opzioni difensive rispettivamente collegate al giudizio abbreviato e alla celebrazione del dibattimento. Tanto rilevato i giudici della Consulta hanno ribadito che il diritto di difesa, inteso come effettiva possibilità di ricorrere all'assistenza tecnica del difensore, risulta violato in ogni caso in cui, "ai fini dell'esercizio di facoltà processuali che comportano la cognizione di elementi tecnici rientranti nelle specifiche competenze professionali del difensore", venga posto a pena di decadenza un termine decorrente dalla notificazione all'imputato, anziché al difensore, dell'atto da cui tali facoltà conseguono (C. cost. 26/02/2002, n. 120).
Alla luce delle puntualizzazioni operate dalla Consulta va, pertanto, esaminato se la verifica del rispetto del diritto di difesa vada condotta tenuto conto della semplicità/complessità delle cognizioni richieste dalla proposizione dell'eccezione (v. da ultimo, in tal senso, la già richiamata sentenza n. 36009/2013, che, proprio con riferimento all'ipotesi dei test previsti dall'art. 186 C.d.S., commi 3 e 4, ha ritenuto che la deduzione dell'omesso avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore non richiede necessariamente l'intervento del difensore medesimo. Ciò perché l'avviso intende garantire la semplice conoscenza da parte del difensore del compimento dell'atto, che non deve essere ritardato in attesa che egli giunga, ove abbia deciso di assistervi. Ed inoltre perché l'accertamento non è invasivo e non scaturisce da attività pregresse la cui conoscenza è essenziale per l'esercizio della difesa) sicché il termine decadenziale per la formulazione di una eccezione di nullità intermedia prescinde dalla instaurazione del rapporto tra l'indagato/imputato ed il difensore oppure, secondo la soluzione più garantista, che, secondo questo Collegio, appare meglio tutelare le esigenze difensive, tale termine abbia corso solo dopo la nomina di un difensore o, comunque, dal compimento di un atto difensivo (per es. l'opposizione a decreto penale).
In conclusione, per tutte le ragioni che si son sinora esposte, la possibilità di soluzioni interpretative in radicale contrasto, afferente il regolamento di un diritto di rilievo costituzionale, quale il diritto alla difesa, sembra imporre l'intervento regolatore delle Sezioni unite di questa Corte, sulla seguente questione: "se in tema di accertamento della contravvenzione di guida sotto l'influenza dell'alcol (art. 186 c.d.s.), nel caso di mancato avvertimento alla persona da sottoporre al controllo alcoli metrico della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia in violazione dell'art. 114 disp.att. cod. proc. pen., tale nullità- da ritenere a regime intermedio - possa ritenersi sanata se non eccepita dall'interessato prima del compimento dell'atto ovvero immediatamente dopo ai sensi dell'art. 182, comma 2, cod. proc. pen; nel caso in cui si ritenga verificata la decadenza entro quale termine e con quali mezzi la nullità possa essere eccepita".

P.Q.M.

Dispone trasmettersi gli atti alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Conversioni patenti di guida moldave

Circolare Prot. 23495 del 23/10/2014
emessa da: Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti
Titolo/Oggetto
div. 5_23495_23102014_conversioni patenti di guida moldave. Rappresentanze diplomatiche della Repubblica di Moldova. Aggiornamenti.
documenti da scaricare

mercoledì 22 ottobre 2014

Ultimi decreti del MIT

Decreto Dirigenziale 16 ottobre 2014 n.4908 Kria SrL Estenzione dell’ omologazione del sistema per la rilevazione degli accessi di veicoli ai centri storici e alle zone a traffico limitato denominato “T-ID versione 1.1 con Unità di Ripresa HD”.
Decreto Dirigenziale 16 ottobre 2014 n.4910 KRIA SRL dispositivo T-EXSPEED V.2.0: estensione ad una versione per le riprese frontali con oscuramento automatico del lunotto anteriore dei veicoli in infrazione ai limiti di velocità,per l’accertamento delle violazioni ricadenti nelle previsioni dei commi 2 e 3 dell’art.146 del C.d.S.
Decreto Dirigenziale 16 ottobre 2014 n.4909 KRIA SRL. Estensione dell’omologazione del dispositivo denominato “T-XROD” per il rilevamento delle violazioni ricadenti nelle previsioni dei commi 2 e 3 dell’art.146 del CdS
Decreto Dirigenziale 03 ottobre 2014 n.4684 Sismic Sistemi SrL Omologazione del sistema per la rilevazione degli accessi di veicoli ai centri storici e alle zone a traffico limitato denominato “S.R.A.R.T./2”.
Pubblicazione della norma sulla G.U. n. 237 del 11/10/2014
Decreto Linate n. 395 del 01-10-2014

domenica 19 ottobre 2014

venerdì 17 ottobre 2014

Modifiche al disciplinare per le scorte tecniche alle competizioni ciclistiche su strada

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
DETERMINA 22 luglio 2014
Modifiche al disciplinare per le scorte tecniche alle competizioni ciclistiche su strada, approvato con provvedimento del 27 novembre 2002, e successive modificazioni e integrazioni. (14A07894) (GU Serie Generale n.242 del 17-10-2014) 

venerdì 10 ottobre 2014

La provincia non può licenziare un suo dipendente per annunci internet rivolti ad omosessuali e bisessuali

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 28 marzo – 7 ottobre 2014, n. 21107
Presidente Salvago – Relatore Mercolino

Svolgimento del processo

1. - Con sentenza del 13 giugno 2012, il Tribunale di Verbania ha accolto il ricorso proposto dalla Provincia del Verbano Cusio Ossola avverso il provvedimento emesso il 6 dicembre 2011, n. 468, con cui il Garante per la Protezione dei Dati personali aveva fatto divieto alla ricorrente di trattare ulteriormente le informazioni relative alla vita sessuale di C.B.
Ha premesso il Tribunale che, a seguito di una comunicazione anonima con cui si segnalava l'esercizio dell'attività di escort da parte di un dipendente, l'Amministrazione aveva proceduto a verifica mediante accesso ai siti web indicati, promuovendo successivamente un procedimento disciplinare nei confronti del B.; tale procedimento si era concluso con determinazione del 28 settembre 2011, con cui il dirigente del settore aveva applicato al dipendente la sanzione della destituzione, per aver inserito su siti per escort annunci contenenti l'offerta di prestazioni sessuali a pagamento, in danno dell'immagine della Provincia.
Precisato che la sanzione si riferiva esclusivamente agli annunci pubblicati sui predetti siti, e non anche alle inserzioni pubblicate su siti di contenuto sociale rivolti prevalentemente a persone omosessuali e bisessuali, il Tribunale ha escluso che la raccolta delle informazioni in rete fosse avvenuta in difetto delle condizioni richieste dal d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 per il trattamento dei dati sensibili finalizzato alla gestione del rapporto di lavoro, osservando che nella specie non poteva trovare applicazione la disciplina in materia di tutela della privacy, in quanto, avuto riguardo alle finalità del provvedimento disciplinare, la raccolta dei dati era volta ad acquisire non già elementi relativi all'orientamento sessuale del dipendente, ma la prova della denunciata pubblicizzazione dell'attività di prostituzione, che, per le modalità prescelte, era stata ritenuta lesiva dell'immagine dell'Ente.
2. - Avverso la predetta sentenza il Garante ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, illustrati anche con memoria. La Provincia ha resistito con controricorso, anch'esso illustrato con memoria. Il B. non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. - Con il primo motivo d'impugnazione, il Garante denuncia la contraddittorietà della motivazione circa un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha negato la sussistenza di un trattamento di dati riguardanti la vita sessuale del dipendente, in contrasto con gli atti di causa, dai quali risultava pacificamente che la Provincia aveva raccolto in rete le informazioni poi utilizzate nell'ambito del procedimento disciplinare.
2. - Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 4, comma primo, lett. a), del d.lgs. n. 196 del 2003, sostenendo che, nell'escludere l'applicabilità della disciplina in materia di tutela della privacy, il Tribunale non ha considerato che costituisce trattamento di dati personali qualsiasi operazione o complesso di operazioni concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, la consultazione e l'utilizzo di informazioni.
3. - Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta l'insufficienza e la contraddittorietà della motivazione circa un punto decisivo della controversia, osservando che, nonostante l'avvenuto accertamento della raccolta di informazioni inerenti alla vita sessuale, in quanto riguardanti lo svolgimento dell'attività di prostituzione, la sentenza impugnata ha escluso la configurabilità di un trattamento di dati sensibili.
4. - Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 4, comma primo, lett. d), del d.lgs. n. 196 del 2003, rilevando che l'esclusione della configurabilità di un trattamento di dati sensibili ha indotto il Tribunale a negare l'applicabilità della tutela rafforzata prevista dalla predetta disposizione in considerazione della particolare natura di tali dati, che investono la parte più intima della persona nella sua corporeità e nelle sue convinzioni psicologiche più riservate.
5. - Con il quinto motivo, il ricorrente deduce la violazione dell'art. 20, commi primo e secondo, del d.lgs. n. 196 del 2003, come integrato dal regolamento approvato con d.P.C. n. 78 del 2005 e modificato con d.P.C. n. 49 del 2006, sostenendo che l'utilizzazione di dati personali per l'adozione di provvedimenti disciplinari nei confronti di un dipendente costituisce un accadimento tipico della gestione del rapporto di lavoro, tale da giustificare nella specie l'applicazione della disciplina regolamentare adottata dalla Provincia ai sensi dell'art. 20 cit., la quale consente il trattamento dei dati sensibili soltanto in caso di rettifica di attribuzione di sesso.
6. - In ordine all'ammissibilità delle predette censure, va disattesa l'eccezione sollevata dalla difesa della Provincia, secondo cui l'osservanza dell'onere di specificazione dei motivi d'impugnazione avrebbe richiesto l'indicazione e la trascrizione nel ricorso dei documenti che costituiscono oggetto del contenzioso, e segnatamente degli estratti dei siti internet e delle comunicazioni in discussione, oltre che del regolamento adottato dalla Provincia a tutela dei dati sensibili, nonchè la formulazione dei quesiti di diritto sottesi alle singole censure.
Il ricorso ha infatti ad oggetto una sentenza pubblicata in data successiva all'entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n. 69, e pertanto, ai sensi dell'art. 58, comma quinto, ad esso si applica l'art. 47, comma primo, lett. ci), della medesima legge, il quale, disponendo l'abrogazione dell'ars. 366-bis cod. proc. civ., introdotto dall'ars. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ha escluso la necessità della formulazione del quesito di diritto, che la norma abrogata imponeva a corredo dell'illustrazione di ciascun motivo d'impugnazione.
L'indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali si fonda il ricorso è resa invece superflua dall'assenza di contestazioni in ordine alla ricostruzione dei fatti emergente dalla sentenza impugnata e dalla natura prettamente giuridica delle questioni sollevate dal ricorrente, che escludono la necessità di procedere all'esame degli atti, ai fini del riscontro dei relativi presupposti. La verifica della osservanza di quanto prescritto dall'art. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ. dev'essere infatti compiuta con riguardo al contenuto dei motivi d'impugnazione, potendo condurre alla declaratoria di inammissibilità soltanto quando si tratti di censure rispetto alle quali uno o più specifici atti o documenti ne costituiscano il fondamento, nel senso che, senza l'esame di quell'atto o quel documento, risulterebbero impossibili la comprensione del motivo di doglianza e degl'indispensabili presupposti fattuali sui quali esso si basa, nonché la valutazione della sua decisività (cfr. Cass., Sez. I, 5 luglio 2013, n. 16887).
Quanto al regolamento per il trattamento dei dati sensibili e giudiziari, adottato dall'Amministrazione provinciale con deliberazione consiliare del 22 dicembre 2005, n. 78 e modificato con deliberazione consiliare del 31 luglio 2006, n. 49, il suo richiamo dev'essere ritenuto sufficiente ai fini dell'applicazione delle relative disposizioni, nonostante la mancata trascrizione delle relative disposizioni nel ricorso, trattandosi di un atto normativo secondario integrativo della disciplina legale, e quindi conoscibile anche d'ufficio da parte del giudice, che può farne applicazione indipendentemente dalle prospettazioni delle parti, in ossequio al principio jura novit curia (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. II, 15 giugno 2010, n. 1446; 2 febbraio 2009, n. 2563).
7. - I cinque motivi devono essere trattati congiuntamente, avendo ad oggetto profili diversi della medesima questione.
Il trattamento di dati personali da parte dei soggetti pubblici è disciplinato dall'art. 18 del d.lgs. n. 196 del 2003 (c.d. codice in materia di protezione dei dati personali), il quale stabilisce, al comma secondo, il principio generale secondo cui tale trattamento è consentito soltanto per lo svolgimento delle funzioni istituzionali dell'ente, precisando al comma terzo che nel trattare i dati il soggetto pubblico deve rispettare i presupposti e i limiti stabiliti dal medesimo codice, anche in relazione alla diversa natura dei dati, nonché dalla legge e dai regolamenti. Con particolare riferimento ai dati sensibili, comprendenti tra l'altro quelli idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale dell'interessato (art. 4, comma primo, lett. e), i predetti limiti sono stabiliti dall'art. 20, il quale consente il trattamento solo se autorizzato da un'espressa disposizione di legge, in cui devono essere specificati i tipi di dati che possono essere trattati ed i tipi di operazioni eseguibili, nonché le finalità di rilevante interesse pubblico perseguite. Tra le predette finalità l'art. 112, comma primo, annovera specificamente quelle inerenti all'instaurazione ed alla gestione di rapporti di lavoro di qualunque tipo da parte di soggetti pubblici, in relazione alle quali il comma secondo della medesima disposizione elenca, a titolo meramente esemplificativo, i tipi di trattamenti consentiti, includendovi, tra l'altro, lo svolgimento di attività dirette all'accertamento della responsabilità civile, disciplinare e contabile e l'esame dei ricorsi amministrativi, in conformità alle norme che regolano le rispettive materie (lett. g). Poiché quest'ultima disposizione si limita ad indicare genericamente le finalità del trattamento, senza specificare i dati che possono essere trattati e le operazioni che possono essere eseguite, trova applicazione il comma secondo dell'art. 20, il quale stabilisce che in siffatti casi il trattamento è consentito solo in riferimento ai tipi di dati e di operazioni identificati e resi pubblici a cura dei soggetti che ne effettuano il trattamento, in relazione alle specifiche finalità perseguite nei singoli casi e nel rispetto dei principi di cui all'art. 22, con atto di natura regolamentare adottato in conformità al parere espresso dal Garante ai sensi dell'art. 154, comma primo, lett. g), anche su schemi tipo.
La predetta disciplina riproduce fedelmente quella dettata dall'abrogata legge 31 dicembre 1996, n. 675, come modificata dal d.lgs. 11 maggio 1999, n. 135, in relazione alla quale questa Corte ha affermato il principio secondo cui il trattamento dei dati sensibili, la cui legittimità è ancorata in linea generale alla contestuale presenza del consenso scritto dell'interessato ed all'autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali, è consentito, da parte dei soggetti pubblici, anche in difetto del predetto consenso e della predetta autorizzazione, a condizione che sussistano a) una rilevante finalità d'interesse pubblico, b) un'espressa disposizione di legge autorizzatoria e c) una specificazione legislativa dei tipi di dati trattabili e delle operazioni eseguibili. Con particolare riguardo al trattamento di dati effettuato nell'ambito di un rapporto di lavoro per l'accertamento della responsabilità disciplinare, si è quindi precisato che l'espressa inclusione di tale finalità tra quelle d'interesse pubblico non è di per sé sufficiente ad escludere la necessità del consenso e dell'autorizzazione, occorrendo a tal fine anche l'indicazione dei tipi di dati sensibili che possono essere trattati e delle operazioni eseguibili sugli stessi, da parte dello stesso soggetto pubblico o, su sua richiesta, della Autorità garante. Si è infatti osservato che la particolare natura dei dati sensibili, e segnatamente di quelli riguardanti la salute e la vita sessuale delle persone (che appartengono alla categoria dei dati c.d. supersensibili, i quali investono la parte più intima della persona, nella sua corporeità e nelle sue convinzioni psicologiche più riservate), esige, in ragione dei valori costituzionali posti a loro presidio (artt. 2 e 3 Cost.), una protezione rafforzata, la quale trova espressione anche nelle garanzie previste per il trattamento effettuato dai soggetti pubblici, che può quindi aver luogo soltanto nel rispetto del modulo procedimentale previsto dalla legge (cfr. Cass., Sez. I, 8 luglio 2005, n. 14390).
In riferimento alla fattispecie in esame, tale modulo procedimentale ha trovato espressione nel regolamento adottato dall'Amministrazione provinciale con le citate deliberazioni consiliari, il quale, nel disciplinare il trattamento dei dati sensibili e giudiziari, individua alla scheda n. 1 i tipi di dati trattabili e le operazioni eseguibili ai fini dell'instaurazione e della gestione del rapporto di lavoro, ed alla scheda n. 7 quelli consentiti ai fini della gestione del contenzioso, prevedendo un regime differenziato dei dati riguardanti la vita sessuale, il cui trattamento è consentito senza limitazioni nella seconda ipotesi, mentre nella prima ipotesi è permesso soltanto in caso di eventuale rettificazione di attribuzione di sesso.
Alla stregua di tali indicazioni, non possono condividersi le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata, la quale ha escluso l'applicabilità della disciplina in esame, in virtù dell'osservazione che l'attività posta in essere dall'Amministrazione non era finalizzata alla raccolta di dati inerenti alla vita sessuale del dipendente, ma alla verifica dell'avvenuta pubblicizzazione dell'attività di meretricio da quest'ultimo svolta, attraverso l'acquisizione dei documenti informatici attestanti gli annunci da lui pubblicati sul web per l'offerta di prestazioni sessuali a pagamento. Nella parte in cui fa leva sulle finalità della ricerca ai fini dell'esclusione della configurabilità di un trattamento di dati, tale affermazione si pone in contrasto con l'ampia definizione risultante dall'art. 4, comma primo, lett. a), del d.lgs. n. 196 del 2003, che include nella predetta nozione «qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l'ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, la consultazione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto, l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati», conferendo pertanto rilievo alla natura dell'operazione, oggettivamente considerata, senza fare alcun riferimento alle motivazioni o ai fini della stessa, che vengono in considerazione esclusivamente per l'individuazione delle modalità e dei limiti del trattamento. Portata decisiva, in quest'ottica, deve riconoscersi al dato oggettivo dell'acquisizione d'informazioni attinenti alla vita sessuale del dipendente, di per sé sufficiente a rendere configurabile un trattamento di dati sensibili, le cui modalità ed i cui limiti devono essere ricostruiti avendo riguardo alla gestione del rapporto di lavoro, cui è indiscutibilmente preordinata l'adozione di provvedimenti disciplinari: e poiché, come emerge dalla scheda n. 1 allegata al regolamento provinciale, il trattamento di dati relativi alla vita sessuale è consentito soltanto in caso di rettificazione di attribuzione di sesso, deve concludersi per l'illegittimità dell'operazione posta in essere dall'Amministrazione attraverso l'acquisizione dei documenti informatici.
Non merita consenso, al riguardo, la tesi sostenuta dall'Amministrazione, secondo cui il trattamento in questione, in quanto volto all'adozione di un provvedimento suscettibile di dare origine ad un contenzioso, dev'essere ricondotto alle indicazioni contenute nella scheda n. 7 del regolamento, che esclude qualsiasi limitazione all'acquisizione ed all'utilizzazione dei dati relativi alla vita sessuale. Nel definire la gestione del contenzioso come insieme delle attività relative alla consulenza giuridica, al patrocinio ed alla difesa in giudizio dell'Amministrazione, la predetta scheda attribuisce ai trattamenti ivi contemplati la finalità di consentire l'esercizio del diritto di difesa in sede amministrativa e/o giudiziaria, in tal modo postulando una diretta connessione dell'operazione con una controversia in atto, non ancora configurabile nella fase amministrativa che conduce all'adozione del provvedimento concernente la gestione del rapporto di lavoro. Se è vero, peraltro, che la difesa dell'Amministrazione in sede amministrativa o giurisdizionale può richiedere il trattamento di dati sensibili, soprattutto (ma non solo) nel caso in cui la controversia riguardi la legittimità di un provvedimento che ne presuppone l'utilizzazione, è anche vero, però, che da tale esigenza difensiva non può farsi discendere la legittimità di qualsiasi trattamento dei predetti dati, risultando altrimenti elusi i principi generali di proporzionalità, necessità, pertinenza e non eccedenza allo scopo della raccolta e del trattamento, stabiliti dall'art. 11 del d.lgs. n. 196 del 2003, e dei quali costituiscono espressione le limitazioni imposte dalla disciplina in esame.
Quanto al rilievo conclusivo della sentenza impugnata, secondo cui il riconoscimento della tutela assicurata dal codice della privacy deve ritenersi precluso per effetto dello stesso ricorso dell'interessato all'uso della rete, il quale implica la volontà di rivolgersi ad un pubblico potenzialmente indeterminato, con la conseguente impossibilità di garantire la limitata diffusività degli annunci, è sufficiente osservare che l'immissione di alcuni dei propri dati personali in rete, pur lasciando presumere la volontà dell'interessato di permetterne l'utilizzazione in vista degli obiettivi per cui gli stessi sono stati posti a disposizione del pubblico, non consente tuttavia di ritenere che quel consenso sia stato implicitamente prestato anche in funzione di qualsiasi altro trattamento. L'utilizzazione dei dati diffusi per finalità diverse da quella per cui ne è stata consentita la divulgazione costituisce d'altronde un'eventualità già presa in considerazione da questa Corte, la quale ha affermato in proposito che la tutela apprestata dal d.lgs. n. 196 del 2003 si estende anche ai dati già pubblici o pubblicati, dal momento che colui che compie operazioni di trattamento di tali informazioni può ricavare dal loro accostamento, comparazione, esame, analisi, congiunzione, rapporto od incrocio ulteriori informazioni, e quindi un «valore aggiunto informativo», non estraibile dai dati isolatamente considerati, potenzialmente lesivo della dignità dell'interessato, valore sommo (tutelato dall'art. 3, primo comma, prima parte, e dell'art. 2 Cost.) a cui si ispira la legislazione in materia di trattamento dei dati personali (cfr. Cass., Sez. I, 8 agosto 2013, n. 18981; 25 giugno 2004, n. 11864).
8. - Il ricorso va pertanto accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con il rigetto della domanda proposta dalla Provincia.
9. - La novità della questione trattata giustifica la dichiarazione dell'integrale compensazione delle spese dei due gradi di giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta dalla Provincia del Verbano Cusio Ossola; dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali. 

Non c'è lo stato di necessità o l'adempimento di un dovere per il medico che risponde al telefono mentre è alla guida

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 8 ottobre 2014, n. 21266

Svolgimento del processo
T.S. proponeva opposizione ai sensi dell’art. 204 bis C.d.S. per sentire annullare il verbale di accertamento di violazione del codice della strada n. V-2544636 del 13.7.2006, emesso nei suoi confronti dalla Polizia municipale di Padova, relativo a violazione dell’art. 173 C.d.S., commi 2 e 3, per aver usato, alla guida di un’autovettura, un telefono cellulare non dotato di auricolare, invocando l’applicazione della esimente dello stato di necessità o dell’adempimento del dovere, in quanto – nella sua veste di specializzanda in medicina cardiovascolare – nell’occasione avrebbe ricevuto una telefonata urgentissima dal proprio diretto superiore, dott. Payan, che la contattava per ricevere informazioni su un paziente in pericolo di vita. Il Giudice di pace di Padova, nella resistenza del Comune, rigettava il ricorso e per l’effetto confermava il verbale di accertamento. In virtù di rituale appello interposto dalla S., la quale insisteva affinchè venisse riconosciuta la esimente, il Tribunale di Padova, nella resistenza del COMUNE, respingeva il gravame.
A sostegno delle decisione il giudice di secondo grado evidenziava che non sussisteva nella specie l’ipotesi di cui all’art. 4 della legge n. 689 del 1981 giacchè trattandosi di chiamata in arrivo, l’appellante non poteva conoscere le ragioni e l’eventuale urgenza della telefonata. E d’altra parte se avesse saputo già prima di porsi alla guida della ricezione di una chiamata telefonica urgente, avrebbe dovuto predisporre l’uso dell’auricolare o del viva voce. Aggiungeva che la fattispecie non integrava neanche l’adempimento di un dovere non essendovi la inevitabilità della condotta contraria al precetto sanzionato. L’opponente ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. Il Comune di Padova ha resistito con controricorso, illustrato anche da memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 della legge n. 689 del 1981 e 54 c.p. per non avere il giudice del gravame, nel ritenere insussistente la esimente dello stato di necessità, tenuto conto dell’urgenza della chiamata del dott. Payan, riguardante una paziente in grave stato di salute, e la situazione di fatto relativa alla percorrenza da parte della ricorrente del Cavalcavia Vicenza, per cui era impossibilitata ad accostare, non essendovi corsie di emergenza.
Con il secondo motivo, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 della legge n. 689 del 1981 e 51 c.p., la ricorrente assume che nella situazione di fatto dedotta il giudice del gravame avrebbe dovuto configurare la esistenza dell’adempimento di un dovere, venendo in rilievo un diritto fondamentale quale quello relativo alla salute (artt. 2 e 32 Cost.).
Il terzo mezzo, nel dedurre la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, comma 2, della legge n. 689 del 1981, 54 e 59 c.p., invoca l’applicazione del c.d. stato di necessità putativo ed il quarto, a conclusione delle difese, denuncia l’omessa motivazione per non avere il giudice di appello dato conto della ritenuta non ammissibilità e non rilevanza della testimonianza del dott. Payan, né era stata presa in considerazione la circostanza che ella stava attraversando un cavalcavia nel momento della ricezione della telefonata, per cui non era consentito alcun arresto a lato della strada, che avrebbe sicuramente provocato un maggiore pericolo; il quinto mezzo, infine, deduce il vizio di motivazione per non avere considerato che la ricorrente non poteva prevedere il repentino peggioramento della salute di una paziente e conseguentemente di ricevere una telefonata in detta ottica. Tutti i mezzi articolati – che per la evidente connessione, ponendo in rilievo la medesima vicenda, vanno esaminati congiuntamente – non appaiono fondati. Ritiene il Collegio che lo svolgimento argomentativo dei mezzi in esame non sia congruo rispetto alla denunziata violazione di norme di legge, atteso che le censure sono strutturate in modo da stimolare, da parte della Corte, un approccio fattuale alle emergenze di causa – non consentito in sede di legittimità – al fine di valutare se, nel caso concreto, quella determinata situazione potesse giustificare la condotta di guida della ricorrente, non considerando dunque che la valutazione se una condotta sia necessitata ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 4, impinge in un giudizio di fatto di esclusiva pertinenza del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità se, come nel caso di specie, sia stato congruamente motivato; va sul punto messo in rilievo che il ricorso non prende in esame le pur compiute argomentazioni poste a base della decisione del giudice del gravame, al fine di giustificare il giudizio di non idoneità della condotta della ricorrente a fronte del sopraggiungere di una telefonata e, per altro verso, introduce inammissibilmente un diverso profilo di censura rispetto a quelli che – stando all’analitica ricostruzione degli antefatti processuali contenuta nel ricorso – erano stati i motivi dell’appello, adducendo la sussistenza di uno stato di necessità quanto meno putativo (così Cass. n. 16715 del 2013 e Cass. n. 29390 del 2011).
Il giudice di merito, infatti, nel ritenere insussistente la dedotta esimente riconducibile allo stato di necessità prospettato dalla ricorrente (motivato dall’urgenza di dovere rispondere al cellulare perché si trattava del suo superiore, dott. Payan, che chiedeva informazioni circa lo stato di una paziente in pericolo di vita) ha adottato una motivazione assolutamente logica, asserendo che la opponente non poteva conoscere il contenuto delle richieste che le sarebbero pervenute dal suo superiore e che ove fosse stata a conoscenza della possibilità di ricevere telefonate relative a pazienti gravi, avrebbe dovuto predisporre le condizioni per rispondere con auricolare ovvero viva voce, così facendo buon governo dei principi di cui all’indirizzo giurisprudenziale costante di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 17479 del 2005 e Cass. n. 15195 del 2008), alla stregua del quale l’esclusione della responsabilità per violazioni amministrative derivante da “stato di necessità” ovvero da “adempimento del dovere” secondo la previsione della L. n. 689 del 1981, art. 4 postula, in applicazione degli artt. 54, 51 e 59 c.p., che fissano i principi generali della materia, una effettiva situazione di pericolo imminente di danno grave alla persona, non altrimenti evitabile, ovvero l’avere agito in esecuzione di un ordine non macroscopicamente illegittimo, nonché l’erronea persuasione di trovarsi in tali situazioni, persuasione provocata da circostanze oggettive. Per tale ragione, poiché i fatti dedotti non integravano una situazione di fatto a sostegno dell’operatività di un’esimente reale o putativa, il giudice di secondo grado correttamente ha ritenuto non necessaria l’assunzione del teste Payan; inoltre, l’affermazione circa la possibilità di predisporre fin dal momento di mettersi alla guida di strumenti tali da consentire l’utilizzo del telefono mobile in sicurezza, deve ritenersi una mera argomentazione svolta ad abundantiam. Conclusivamente il proposto ricorso deve rigettarsi per le considerazioni sopra espote, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi €. 1.000,00, oltre ad €. 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori, come per legge. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2^ Sezione Civile.

giovedì 9 ottobre 2014

La riforma del codice della strada


Il 9 ottobre 2014 la Camera ha approvato in prima lettura il progetto di legge C. 731-1588-A che conferisce una delega al Governo per la riforma del codice della strada.
informazioni aggiornate a giovedì, 9 ottobre 2014
Il progetto di legge C. 731-1588-A nasce dalla confluenza della proposta di legge di iniziativa parlamentare C. 731 e del disegno di legge di iniziativa governativa C. 1588. L'esame presso la IX Commissione trasporti è stato avviato nella seduta del 27 giugno 2013. Il provvedimento prevede tempi ristretti per l'esercizio della delega (dodici mesi) e un doppio parere obbligatorio delle commissioni parlamentari competenti sugli schemi di decreto legislativo.
La semplificazione del codice e la tutela dell'utenza vulnerabile
I criteri direttivi della delega sono in primo luogo orientati alla semplificazione del codice e alla tutela dell’utenza vulnerabile. In tal senso possono essere richiamati i seguenti criteri:
  • Semplificazione del codice della strada circoscrivendone i contenuti alla disciplina dei comportamenti, alle previsioni sanzionatorie e alla regolazione dello spazio stradale (art. 2, co. 1, lett. c)
  • Possibilità di riduzione dei limiti di velocità in particolare nelle aree urbane (art. 2, co. 1 lett. d) numero 1)
  • Sostegno dell’utenza vulnerabile con una specifica attenzione alla promozione della sicurezza delle biciclette, in particolare per i ciclisti di età inferiore a 14 anni, e introduzione di disposizioni per favorire l’accesso di biciclette, ciclomotori e motocicli nelle corsie riservate ai mezzi pubblici (art. 2, co. 1, lett. d) numeri 5 e 6)
  • Possibilità di circolazione sulle autostrade e sulle superstrade per i motocicli di cilindrata superiore a 120 cc, se condotti da maggiorenni (art. 2, co. 1, lett. d) numero 9)
Revisione dell'apparato sanzionatorio
Misure di semplificazione sono previste anche con riferimento all’apparato sanzionatorio del codice, laddove si dispone, ad esempio, la graduazione delle sanzioni in funzione dell’effettiva pericolosità del comportamento (art. 2, co. 1, lett. i), numero 1). Con riferimento all’apparato sanzionatorio, particolare rilievo assume il principio di delega (art. 2, co. 1, lett. n), numero 3) che prevede che il codice individui il grado di colpevolezza e la tipologia di violazioni del codice della strada che in presenza di omicidio colposo provocato da queste violazioni comportano le sanzioni accessorie della revoca della patente e dell’inibizione alla guida perpetue; revoca ed inibizione perpetua dovranno comunque essere previste in caso di omicidio colposo effettuato da conducente alla guida con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l o sotto l’effetto di stupefacenti (art. 589, terzo comma, codice penale) ovvero in caso di omicidio colposo con più vittime o con morte di una persona e lesioni di una o più persone (art. 589, quarto comma).
Un ulteriore criterio di delega prevede l’introduzione del codice di norme per determinare con precisione e certezza l'alterazione psicofisica dovuta all'assunzione di sostanze stupefacenti, anche ai fini dell'accertamento del reato di omicidio colposo da parte di soggetto alla guida sotto l'effetto di tali sostanze (art. 2, co. 1, lett. n), numero 4).
In materia sanzionatoria merita richiamare infine la previsione dell’applicazione della decurtazione dei punti della patente anche ai soggetti minorenni, superando le difficoltà interpretative derivanti dalla norma generale (L. n. 689/1981) che prevede che le sanzioni amministrative si applichino solo a soggetti maggiorenni (art. 2, co. 1, lett. q)
La sicurezza stradale
I criteri di delega mirano anche al potenziamento dei controlli in materia di sicurezza stradale. In proposito merita richiamare:
  • la previsione di una banca dati unica delle infrazioni stradali (art. 2, co. 1, lett. g)
  • la previsione della fruibilità attraverso sistemi telematici dei dati relativi ai veicoli e alle patenti, con dati di formato aperto che possano essere liberamente utilizzati e rielaborati dagli interessati a fini statistici, di ricerca o altro (art. 2, co. 1, lett. l)
  • la previsione della destinazione prioritaria dei proventi delle multe riscosse da organi dello Stato a un fondo per l’intensificazione dei controlli su strada e al finanziamento del piano nazionale di sicurezza stradale (art. 2, co. 1, lett. n), numero 9).
La delegificazione
L'articolo 2, comma 2, del provvedimento autorizza il Governo ad adottare regolamenti di delegificazione in una serie di materie attualmente disciplinate dal codice della strada. Tra queste merita richiamare le caratteristiche dei veicoli eccezionali; la disciplina della massa limite e della sagoma limite dei veicoli; le caratteristiche della segnaletica stradale; le procedure di immatricolazione e cessazione dalla circolazione dei veicoli.
Dossier pubblicati
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