N. 04919/2014REG.PROV.COLL.
N. 05132/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5132 del 2013, proposto da:
Ugo
Ricci, Raffaele Pilato, Maria Capasso, Anna Costagliola, Massimo
Garofano, Francesco Saverio Iaccarino, Sabato Rescigno, Angelo
Schiavelli, Michele Martino, Maria Martino, Michele Martino, Regina
Martino, Michele Cilento, Eugenio Pecorella, Gioacchino Piedimonte, Rita
Schirosi, Laura Mastrantuoni, Paolo Mattiello, Anna Antoniello,
Valentina De Rosa, Rosa Gentile, Gennaro Pollice, Cristofaro Formisano,
Giuseppe Errichiello, Fernando De Majo, Maria Immacolata Cassese, Clara
Aiello, Vittorio Di Marino e Rocco Cannatelli, tutti rappresentati e
difesi dagli avvocati Arcangelo D'Avino e Paolo D'Avino, con domicilio
eletto presso Alberto D'Auria in Roma, via Calcutta, 45;
contro
Commissione Straordinaria di Liquidazione del Dissesto dell'Amministrazione Provinciale di Napoli;
Provincia
di Napoli, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa
dagli avvocati Aldo Di Falco e Luciano Scetta, con domicilio eletto
presso la Segreteria della V Sezione del Consiglio di Stato in Roma,
piazza Capo di Ferro, n. 13;
per la riforma
della
sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE V, n. 1479/2013, resa
tra le parti, concernente revoca dell’ammissione alla massa passiva del
credito maturato a titolo di rivalutazione ed interessi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 24 giugno 2014 il Cons. Luigi
Massimiliano Tarantino e udito per le parti l’avvocato Saverio Profeta,
su delega dell'avvocato Arcangelo D'Avino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.
Con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Campania gli odierni
appellanti invocavano l’annullamento della delibera della Commissione
straordinaria di liquidazione della Provincia di Napoli n. 37 del 5
giugno 2002, avente ad oggetto revoca ammissione alla massa passiva.
2.
Il primo giudice, ribadito il principio secondo il quale la
rivalutazione monetaria non va ricalcolata con riferimento alle somme
già dovute a titolo di rivalutazione, come pure rispetto a somme dovute a
titolo di interessi, respingeva la suddetta richiesta.
Il
TAR nel suo argomentare poneva l’accento sulla legittimità
dell’esercizio del potere di revoca, concludendo per l’infondatezza dei
denunciati motivi di illegittimità: a) eccesso di potere per erroneità
dei presupposti e contraddittorietà, b) eccesso di potere per sviamento e
violazione del giudicato, nonché dell’art.1194 c.c.; c) eccesso di
potere per carenza di istruttoria e motivazione.
3.
Gli odierni appellanti con il gravame in esame si dolgono
dell’erroneità della sentenza di prime cure, evidenziandone le seguenti
erroneità: a) nel ricorso di primo grado sarebbe stata prospettata la
violazione della sentenza del TAR Campania, n. 181/1988, divenuta
giudicato a seguito della conferma da parte della sentenza del Cons.
St., n. 758/1991. La prima, infatti, avrebbe condannato
l’amministrazione provinciale a corrispondere ai ricorrenti la
rivalutazione e gli interessi legali sulle competenze di lavoro
corrisposte in ritardo come risultanti dalla delibera di Giunta 17
ottobre 1979, n. 4063: “con decorrenza dalla maturazione dei singoli ratei e sul loro ammontare rivalutato secondo gli indici ISTAT”; b) violazione dell’art. 21-quinquies,
l. n. 241/1990, e del principio di certezza del diritto, perché, pur
ammettendo che un cambio di giurisprudenza possa legittimare la revoca
di provvedimenti amministrativi, l’atto impugnato violerebbe il
principio di certezza dei rapporti giuridici. Inoltre, oggetto di revoca
potrebbero essere solo quei provvedimenti ad efficacia durevole, ma non
quelli che abbiano esaurito i loro effetti. Ancora la revoca avrebbe
solo effetti exnunc e non ex tunc. Gli atti in
questione, invece, sarebbero ad efficacia istantanea, essendo già stati
liquidati gli importi a favore degli appellanti nel 1998, mentre la
revoca sarebbe del 2002. Gli importi liquidati nel 1998 sarebbero stati
determinati secondo la giurisprudenza prevalente e non potrebbe valere
il successivo mutamento giurisprudenziale; c) con l’emissione delle
delibere sarebbe sorto in capo agli appellanti un diritto soggettivo
rimovibile solo attraverso un’azione giudiziaria; d) la delibera n. 127
dell’1 agosto 1998, sulla scorta della quale sono state adottate le
delibere revocate, sarebbe ancora efficace. Pertanto sarebbe illegittimo
il comportamento dell’amministrazione; e) ulteriore profilo di
illegittimità riguarderebbe il difetto dei presupposti sulla scorta dei
quali sarebbe stata adottata la revoca, che richiama le sentenze nn.
259/99, 260/99 e 263/99, con le quali il TAR investito delle
impugnazioni delle delibere dei commissari ad acta escludeva che
la rivalutazione potesse a sua volta essere oggetto di rivalutazione. Ma
l’importo ammesso al passivo dalla Commissione straordinaria non
sarebbe stato determinato sui calcoli effettuati dai Commissari ad acta,
bensì su quelli operati dal SED, rimanendo le delibere dei Commissari
totalmente estranee al provvedimento con il quale si sarebbe
riconosciuto ed ammesso al passivo il credito dei ricorrenti; f) erronea
sarebbe la sentenza in relazione all’imputazione di pagamento, le somme
liquidate sarebbero il frutto del calcolo del SED e non dei commissari ad acta;
g) la delibera che ha ammesso al passivo i ricorrenti avrebbe omesso di
indicare i criteri di calcolo utilizzati per liquidare gli importi.
Pertanto vi sarebbe stata violazione del diritto di difesa; h) vi
sarebbe stata disparità di trattamento, perché per 119 dipendenti non
sarebbe stato utilizzato il criterio deteriore utilizzato per gli
appellanti; i) la delibera n. 121/98 non riguarderebbe il credito
dell’appellante Aiello.
In via istruttoria, gli
appellanti chiedono che le amministrazioni resistenti depositino i
calcoli analitici, nonché la indicazione dei criteri seguiti nella
determinazione degli importi.
4. Nelle proprie
difese l’amministrazione provinciale invoca la conferma della sentenza
gravata, evidenziando che: a) non vi sarebbe violazione di giudicato
perché con le sentenze del 1999, in particolare la n. 260/99, il TAR
Campania si sarebbe pronunciato solo sugli aspetti sui quali non si era
formato il giudicato stabilendo che la rivalutazione monetaria, già
maturata, non potesse a sua volta dare luogo ad ulteriore rivalutazione;
b) non vi sarebbe violazione dell’art. 21 quinquies, l. n.
241/1990, sussistendo tutti i presupposti per l’esercizio del potere di
revoca; c) la delibera n. 127/98 riguarderebbe tutti i dipendenti non
aderenti al protocollo d’intesa, mentre le singole delibere
riguarderebbero quei dipendenti per i quali vi sarebbe integrazione da
parte del giudice amministrativo (g.a.) a seguito di reclamo della
Provincia al g.a., quindi la delibera n. 127/98 non avrebbe potuto
essere revocata; d) la Corte d’Appello di Napoli con sentenza 11
febbraio 2011 avrebbe disatteso la richiesta di disapplicare la delibera
n. 37/2002, affermando la piena legittimità della stessa; e) se pure la
delibera n. 127/98 non riguardava Aiello Clara avente causa di Aiello
Filippo, la delibera n. 37/2002 la riguarderebbe espressamente. Infatti,
la delibera n. 37/2002 avrebbe disposto la revoca anche della delibera
n. 186/1997 che, appunto, riguardava Aiello Clara. Inoltre, la C.S.L.,
con delibera n. 47 del 9 luglio 2003, avrebbe provveduto alla
correzione, in rettifica, di errori materiali contenuti nella delibera
n. 34/2002. Infatti nella delibera n. 47/2003 si sarebbe deliberato di «provvedere
a rettificare le proprie deliberazioni n. 36 e 37 correggendo
l’indicazione degli atti di ammissione revocati, relativi ai nominativi
di seguito indicati: deliberazione n.34 del 5/06/2002 – nominativo
Aiello Filippo Si conferma le revoca della deliberazione n.186/97 e si
revoca la deliberazione n.359 del 29/07/1998 anziché la n.121/98
erroneamente indicata».
5. In sede di incidente
cautelare questa Sezione, con ordinanza n. 3232/2013, ha respinto la
richiesta degli appellanti con la seguente motivazione: “Ritenuta,
allo stato, indimostrata l’esistenza del danno grave ed irreparabile,
anche alla luce del fatto che non sono state avviate azioni di recupero
delle somme in contestazione;
Ritenuto, di conseguenza, di dover respingere l’istanza”.
6. La sentenza gravata è immune dalle denunciate censure, pertanto, l’appello in esame non può essere accolto.
7.
Va preliminarmente chiarito che la sentenza del TAR per la Campania, n.
181/1988, aveva condannato l’amministrazione provinciale di Napoli al
pagamento di interessi e rivalutazione monetaria a favore degli odierni
appellanti con decorrenza dall’1/12/1972 sui crediti riconosciuti loro
dalla deliberazione della Giunta provinciale n. 4063 del 17 ottobre 1979
a titolo di equa proporzione ex art. 228 del T.U.L.C.P.. La sentenza in
questione, confermata in seconde cure, aveva precisato che gli
interessi riconosciuti dovessero essere computati con decorrenza dalla
maturazione dei singoli ratei e sul loro ammontare rivalutato secondo
gli indici ISTAT.
Gli originari ricorrenti per l’esecuzione del giudicato ottenevano la nomina di commissario ad acta,
i cui atti venivano reclamati dall’amministrazione provinciale con
ricorsi che venivano parzialmente accolti dal TAR per la Campania, che,
con alcune decisioni del 1999, quali la n. 260/1999, chiariva come: “In
definitiva, quindi, non vi sono ostacoli all’accoglimento del reclamo
in esame per la parte in cui è rivolto ad escludere che la rivalutazione
monetaria già maturata potesse a sua volta dar vita ad ulteriore
rivalutazione (non esistendo, su questo specifico punto, un vincolo da
precedenti statuizioni giudiziali)”. Questa specificazione operata
dal giudice campano, a sua volta divenuta irrevocabile, fa
definitivamente chiarezza sull’assenza di qualsivoglia violazione del
giudicato da parte del provvedimento oggetto di impugnazione con
l’originario ricorso di primo grado.
8. Del pari,
non può essere condivisa la prospettazione degli appellanti circa la
violazione della disciplina contenuta nell’art. 21-quinquies, l. n.
241/1990. Sul punto è bene notare che la norma in questione non risulta
applicabile direttamente alla fattispecie, perché risulta introdotta
solo nel 2005, mentre il provvedimento impugnato in primo grado è del 5
giugno 2002, sicché i parametri di riferimento vanno individuati nei
principi generali in materia di autotutela come cristallizzati nel
diritto vivente. Del resto, non si è mai dubitato in giurisprudenza che
il potere di autotutela della Pubblica amministrazione, finalizzato a
rimuovere determinazioni amministrative che si rivelino non idonee a
perseguire il pubblico interesse, costituisce principio generale
operante anche in assenza di specifica previsione normativa o
contrattuale (Cons. St., Sez. VI, 25 marzo 2004, n. 1613).
Fatta
questa precisazione, è bene notare che sussistono nel caso in esame
tutti i presupposti per l’esercizio del potere di revoca. Ed, infatti,
la giurisprudenza amministrativa (cfr. ex multis, Cons. St., Sez. V, 24 settembre 2003, n. 5444) ha sempre ritenuto che l'esercizio dello jus poenitendi
da parte della Pubblica amministrazione incontra un limite
nell'esigenza di salvaguardare le situazioni dei soggetti privati che,
confidando nella legittimità dell'atto rimosso, hanno acquisito il
consolidamento delle posizioni di vantaggio loro attribuite; pertanto,
il travolgimento di tali posizioni è legittimo solo se è giustificato
dalla necessità d'assicurare il soddisfacimento di un interesse di
carattere generale, prevalente come tale sulle posizioni individuali,
dandone idonea contezza nella motivazione del provvedimento di
rimozione, affinché ne sia consentito il controllo di legittimità in
sede giurisdizionale. Tipico esempio di prevalenza dell’interesse
generale su quello del singolo è stato individuato nell’illegittimo
esborso di denaro pubblico, elemento valutato dalla giurisprudenza di
questo Consiglio in grado di rappresentare adeguatamente l’interesse
pubblico, senza particolare ulteriore motivazione (Cons. St., Sez. V, 21
novembre 2003, n. 7524; Id., 16 giugno 2003, n. 3356; Id., Sez. VI, 9
settembre 2002, n. 4570).
Allo stesso tempo appare legittimo l’esercizio dello jus poenitendi sulla scorta di una nuova valutazione dell’interesse pubblico anche sulla scorta dei citati dicta giurisdizionali resi dal TAR campano in sede di ottemperanza.
Del
pari non si ravvisa alcuna illegittimità nell’esercizio del potere di
revoca in ragione della natura del provvedimento che ne è stato oggetto.
Infatti, posto che il richiamo alla disciplina di cui all’art. 21 quinquies,
l. n. 241/1990, per le ragioni già esposte non risulta conferente, va
chiarito che il provvedimento di ammissione alla massa passiva non ha
effetto istantaneo, ma, al contrario, nella misura in cui riconosce ai
creditori per un certo ammontare il loro credito rappresenta un
provvedimento ad efficacia durevole. Pertanto, non solo ne è legittima
la revoca, ma non è corretto rilevare che la stessa non possa operare,
perché non può che valere ex nunc. Ed, infatti, come precisato,
il travolgimento del riconoscimento del credito nella misura prevista
dal provvedimento revocato si limita ad operare conformemente ai limiti
sempre riconosciuti al potere di revoca solo ex nunc.
9.
Con altro motivo gli appellanti lamentano l’impossibilità da parte
dell’amministrazione di utilizzare il potere di autotutela, ritenendo
ineludibile che le ragioni dell’appellata dovessero transitare per il
ricorso al giudice civile. Una simile doglianza non appare, però,
convincente in quanto il potere di revoca è stato esercitato su di un
atto amministrativo, ossia nei limiti fisiologici in cui lo stesso
poteva essere esercitato, senza che assuma efficacia ostativa la
circostanza che lo stesso incida su diritti soggettivi degli odierni
appellanti.
10. Va disattesa anche la
prospettazione degli appellanti che lamentano come l’amministrazione
provinciale avrebbe dovuto rimuovere il provvedimento presupposto
rappresentato dalla delibera n. 127/98. Quest’ultima, infatti,
rappresenta il presupposto per l’ammissione alla massa passiva di tutti i
crediti dei dipendenti non aderenti al protocollo di intesa del 23
settembre 1996, ossia l’intero novero di soggetti che avevano deciso di
non accettare la transazione. Pertanto, correttamente l’amministrazione
provinciale ha provveduto con la delibera n. 37/2002 alla
rideterminazione degli importi per quei dipendenti nei confronti dei
quali il TAR aveva accolto in sede di ottemperanza i reclami proposti
dall’amministrazione provinciale nei limiti sopra rammentati.
10.1.
Quest’ultimo rilievo esclude anche l’esistenza della denunciata
disparità di trattamento, giacché l’amministrazione provinciale ha
correttamente preso in esame la posizione di quei dipendenti destinatari
delle citate sentenze del TAR per la Campania.
11.
Non si ravvisa, inoltre, alcuna violazione del dettato dell’art. 1194
c.c., che prevede il criterio legale di imputazione del pagamento agli
interessi anziché al capitale, il quale opera sempre che l’imputazione
stessa non sia stata oggetto di sindacato giurisdizionale, circostanza
quest’ultima che esclude il potere di accettazione del creditore, avendo
trovato la fattispecie la regola del caso concreto proprio in sede
giurisdizionale.
12. Infine, non possono essere
condivise le critiche in ordine al presunto errore di fatto, inerente la
circostanza che l’importo ammesso al passivo dalla Commissione
straordinaria non sarebbe stato determinato sui calcoli effettuati dai
Commissari ad acta, bensì su quelli operati dal SED, rimanendo le
delibere dei Commissari totalmente estranee al provvedimento con il
quale si sarebbe riconosciuto e ammesso al passivo il credito dei
ricorrenti. Un simile rilievo, infatti, risulta pienamente coperto dalle
statuizioni giurisdizionali, rese dal TAR per la Campania in sede di
reclamo avverso i provvedimenti adottati dal Commissario ad acta,
sicché in questa sede non può trovare accoglimento, essendo rilievo che
avrebbe dovuto essere portato avverso quella statuizione
giurisdizionale e non invece avverso la delibera n. 37/2002, che ha dato
esecuzione alla regula juris ivi statuita.
13.
Infine, non coglie nel segno la presunta violazione del diritto di
difesa per mancata indicazione dei criteri di calcolo sulla scorta dei
quali sono stati diversamente ammessi al passivo gli odierni appellanti,
risultando adeguato e sufficiente il richiamo ai citati provvedimenti
giurisdizionali.
14. Quanto, invece, alla posizione
dell’appellante Aiello, va rilevato che, come correttamente evidenziato
dalla difesa dell’amministrazione provinciale, sebbene la delibera n.
121/98 non riguardasse il credito di Aiello Clara (dante causa di Aiello
Filippo), è vero che la delibera n. 37/2002 disponeva la revoca anche
della delibera n. 186/1997, che la riguardava. Inoltre, la delibera n.
47/2003 provvedeva a correggere l’errore materiale inerente la posizione
di Aiello Filippo.
15. Appare pertanto giocoforza
respinge l’appello in esame. Attesa la complessità delle questioni in
fatto ed in diritto trattate si ravvisano eccezionali motivi per
compensare le spese dell’odierno grado di giudizio.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo
respinge.
Compensa le spese tra le parti costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 giugno 2014 con l'intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Vito Poli, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/10/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)