martedì 31 gennaio 2012

Modalità di iscrizione nel registro delle imprese e nel REA


Il Ministero dello sviluppo economico, con appositi decreti, pubblicati nella G.U.R.I.n. 10 del 13 gennaio u.s.,   ha definito le :

Modalità di iscrizione nel registro delle impresee nel REA dei soggetti esercitanti l’attività di:
  1. mediatore disciplinata dalla legge 3 febbraio 1989, n. 39, in attuazione degli articoli 73 e 80 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (DECRETO 26 ottobre 2011);
  2. agente e rappresentante di commercio disciplinate dalla legge 3 maggio 1985, n. 204, in attuazione  degli articoli 74 e 80 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (DECRETO 26 ottobre 2011);
  3. mediatore marittimo disciplinata dalla legge 12 marzo 1968, n. 478 in attuazione degli articoli 75 e 80 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 ( DECRETO 26 ottobre 2011);
  4.  spedizioniere disciplinata dalla legge 14 novembre 1941, n. 1442, in attuazione degli articoli
    76 e 80 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 ( DECRETO 26 ottobre 2011)
  Soppressione dei ruoli mediatori, mediatori marittimi, agenti e rappresentanti di commercio e dell'elenco autorizzato degli spedizionieri - Decreti attuativi dell'art. 80 del decreto legislativo n. 59 del 2010

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Vedi commento di: http://www.lalentesulfisco.it

Modalità di iscrizione nel registro delle imprese e nel REA, dei soggetti esercitanti l'attività di mediatore

In data 13.01.2012 sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 10 quattro decreto del Ministero dello Sviluppo datati 26.10.2011 con cui vengono stabilite le modalità di registrazione al REA dei seguenti soggetti:
► mediatori;
► agenti e rappresentanti di commercio;
► mediatore marittimo;
► spedizioniere.

Per quanto riguarda nel dettaglio l’iscrizione dei mediatori nel registro delle imprese REA, il decreto del Ministero dello Sviluppo 26.10.2011 stabilisce che le imprese di affari in mediazione, presentano all'ufficio del registro delle imprese della Camera di commercio della provincia dove esercitano l'attività apposita Scia, corredata delle certificazioni e delle dichiarazioni sostitutive previste dalla legge, compilando la sezione «Scia» del modello «Mediatori», sottoscritto digitalmente dal titolare dell'impresa individuale, ovvero da un amministratore dell' impresa societaria.

Il possesso dei requisiti di idoneità previsti dalla legge per lo svolgimento dell'attività è attestato mediante compilazione della sezione «Requisiti» del modello «Mediatori». Sono tenuti alla compilazione della sezione requisiti:
► il titolare di impresa individuale;
► tutti i legali rappresentanti di impresa societaria;
► gli eventuali preposti;
► tutti coloro che svolgono a qualsiasi altro titolo l'attività per conto dell'impresa.

Il decreto, inoltre, prevede che l'impresa che esercita l'attività in più sedi o unità locali presenta una Scia per ciascuna di esse. Presso ogni sede o unità locale in cui si svolge l'attività, l'impresa nomina almeno un soggetto, in possesso dei requisiti di idoneità che, a qualsiasi titolo, eserciti l'attività per conto dell'impresa, certificati secondo le modalità appena definite. Per ogni sede o unità locale sono rese disponibili all'utenza, mediante esposizione nei locali, ovvero con l'utilizzo di strumenti informatici, le informazioni relative ai compiti ed alle attività svolte dai soggetti operanti nella sede o unità locale.

Per quanto concerne il controllo delle dichiarazioni presentate dal mediatore evidenziamo che l’ufficio del registro delle imprese, ricevute le dichiarazioni, provvede immediatamente ad assegnare la qualifica di intermediario per le diverse tipologie di attività, avviando contestualmente la verifica prevista dall'art. 19, comma 3, della legge n. 241 del 1990. L'assegnazione della qualifica è certificata nelle notizie Rea relative alla posizione dell'impresa.

Per quanto riguarda la permanenza dei requisiti l'ufficio Registro delle Imprese verifica, almeno una volta ogni quattro anni dalla presentazione della Scia, la permanenza dei requisiti che consentono all'impresa lo svolgimento dell'attività, nonché di quelli previsti per i soggetti che svolgono l'attività per suo conto.

Il Conservatore del registro delle imprese, che verifica la sopravvenuta mancanza di un requisito di legge, avvia il procedimento di inibizione alla continuazione dell'attività e adotta il conseguente provvedimento, salvo l'avvio di procedimenti disciplinari o l'accertamento di violazioni amministrative. Il provvedimento di inibizione allo svolgimento dell'attività, è iscritto d'ufficio nel Rea e determina l'annotazione nello stesso Rea della cessazione dell'attività medesima.

Definizione delle caratteristiche delle targhe di identificazione da porre sui filoveicoli e Registro elettronico nazionale delle imprese che esercitano la professione di trasportatore su strada





Con DECRETO 29 dicembre 2011, pubblicato nella G.U.R.I n. 11 del 14 gennaio u.s.(pag 36), il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha definito le caratteristiche delle targhe di identificazione da porre sui fi loveicoli, sia nel caso di acquisto di nuovi veicoli fi loviari che in caso di sostituzione per targhe smarrite o deteriorate.

download in PDF:
G.U. n. 11 del 14 gennaio 2012 MINISTERO DELLE ...
Sempre nella stessa Gazzetta, a pag. 39


DECRETO 10 gennaio 2012.
Disposizioni di attuazione dell’articolo 11, comma 1 e comma 2, punto 1 del decreto 25 novembre 2011 in materia di Registro elettronico nazionale delle imprese che esercitano la professione di trasportatore su strada.
 
                  

lunedì 30 gennaio 2012

Targa Obbligatoria per tutti i ciclomotori

Si avvicina la data fatidica del 12 febbraio, termine ultimo per l'adeguamento di cui in oggetto.
Leggi precedente post

P.S. Non ho ancora capito perchè nella provincia di Bolzano la scadenza è il 14 febbraio e non il 12.Se non ci credete leggete qui (ihihih)

Gestione in giudizio delle opposizioni a contestazione di violazioni al CdS

Mi è piaciuto molto questo articolo "analisi" apparso su FOXPOL.it di ieri e perciò lo ripropongo:

Il ricorso avverso il verbale ovvero quello presentato contro l´ordinanza-ingiunzione devono essere presentati nella forma del ricorso e devono contenere specifici elementi, a pena l´inammissibilità.
Il ricorso deve essere presentato al giudice di pace competente per il luogo in cui è stato commesso l´illecito amministrativo.
La sua presentazione non sospende l´esecuzione del verbale o dell´ordinanza-ingiunzione impugnata salvo che il giudice, su richiesta dell´opponente, non disponga diversamente.
Se il ricorso è stato tempestivamente proposto ed è ritenuto ammissibile, il giudice di pace, entro 5 giorni dal suo deposito in cancelleria, emana un decreto che fissa l´udienza di comparizione e determina l´acquisizione degli atti necessari.
Se è confermato l´accertamento dell´illecito per la determinazione dell´entità della sanzione principale, il giudice non è vincolato al limite prefissato, che condiziona l´applicazione della sanzione da parte dall´organo accertatore.

RICORSO NEL GIUDIZIO DI OPPOSIZIONE

Il ricorso avverso il verbale, ovvero quello presentato contro l´ordinanza-ingiunzione, devono essere presentati nella forma del ricorso e ad essi si applica il rito che disciplina le controversie in materia di lavoro.
I termini per proporre ricorso in opposizione al verbale o all´ordinanza sono di 30 giorni (60 per residenti all´estero). Si tratta di termini perentori tanto che quando il ricorso è proposto oltre i termini, il giudice alla prima udienza, lo dichiara inammissibile con sentenza.
Il ricorso può essere proposto anche a mezzo posta, assumendo come data di presentazione quella di spedizione della raccomandata.

Contenuto del ricorso in opposizione

Il ricorso di opposizione deve sempre contenere i seguenti elementi la cui mancanza può essere causa di inammissibilità:
• indicazione del giudice;
• nome, cognome, residenza o domicilio eletto del ricorrente nel comune in cui ha sede il giudice adito;
• nome, cognome, residenza o domicilio, o la dimora del convenuto; se sono coinvolte persone giuridiche, associazioni o comitati, il ricorso deve indicarne la denominazione e la sede;
• l´oggetto della domanda;
• indicazione del titolo in base al quale ricorre;
• l´esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni; cioè motivi per cui ci si oppone con estremi del verbale o dell´ordinanza-ingiunzione del prefetto, fornendone numero di protocollo, autorità che l´ha emessa, data di emissione e di notificazione (si deve sempre allegare copia dell´ordinanza o del verbale con la prova dell´avvenuta notificazione;
• l´indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e in particolare dei documenti che si offrono in comunicazione;
• richiesta del ricorrente (causa pretendi), con impugnativa delle sanzioni accessorie, anche per motivi diversi da quelli per cui si ricorre contro il verbale o l´ordinanza-ingiunzione;
• firma del ricorrente (o di suo procuratore speciale),
• eventuale richiesta di disporre la sospensione provvisoria del provvedimento impugnato o delle relative sanzioni accessorie.

Presentazione del ricorso in opposizione

Il ricorso può essere presentato al giudice di pace competente per il luogo in cui è stato commesso l´illecito amministrativo, alternativamente, mediante:
• deposito presso la cancelleria del giudice di pace adito, che ne rilascia copia per ricevuta;
• spedizione in plico postale raccomandato, diretto alla cancelleria del giudice di pace adito.

La presentazione del ricorso, in carta semplice, è tuttavia soggetta al pagamento del contributo unificato e delle spese forfetizzate.
L´opponente può presentare ricorso personalmente o a mezzo procuratore; non è prescritta l´assistenza di un legale, anche se in molti casi è consigliabile.
È sempre obbligatorio allegare al ricorso una copia del verbale da cui risulti chiaramente la data di contestazione o notificazione. Infatti, spetta sempre all´opponente, attraverso l´allegazione della prova della data in cui è avvenuta la notificazione, la dimostrazione del rispetto del termine per la presentazione del ricorso.

Possibilità di sospendere provvisoriamente l´applicazione delle sanzioni accessorie

La presentazione del ricorso non sospende l´esecuzione del verbale o dell´ordinanza-ingiunzione impugnata, salvo che il giudice, su richiesta dell´opponente, non disponga diversamente.
Infatti, se ricorrono gravi e documentati motivi il giudice nella prima udienza di comparizione, sentite le parti, può disporre, con ordinanza non impugnabile, la sospensione dell´applicazione delle sanzioni principali ed accessorie già irrogate fino alla decisione nel merito dell´opposizione.
Al procedimento di sospensione dell´applicazione delle sanzioni accessorie si applicano, in quanto compatibili, le regole del processo civile sull´adozione di misure cautelari.

PROCEDIMENTO DEL GIUDIZIO DI OPPOSIZIONE

Il giudizio d´opposizione costituisce un ordinario processo di cognizione, svolto con il rito del lavoro, con un procedimento particolarmente snello ed ha per oggetto l´atto amministrativo con il quale un organo di polizia stradale o il prefetto hanno applicato una sanzione amministrativa.

Valutazione preliminare dell´ammissibilità del ricorso

Il giudice, ricevuto il ricorso ed acquisita copia del verbale o dell´ordinanza-ingiunzione, compie una prima verifica formale del ricorso stesso per vagliarne l´ammissibilità processuale e può dichiarare con sentenza che il ricorso è
• inammissibile perché:
- presentato oltre i termini previsti, da persona non legittimata, ovvero a giudice incompetente per territorio,
- notificato a soggetto non legittimato, o carente di uno di quegli elementi sopra indicati come indispensabili per la sua valida compilazione,
- presentato dopo aver effettuato il pagamento in misura ridotta o dopo aver presentato un ricorso al prefetto;
• ammissibile, fissando contemporaneamente la data dell´udienza di comparizione.

Costituzione del contraddittorio tra le parti e deposito degli atti

Se il ricorso è stato tempestivamente proposto ed è ritenuto ammissibile, il giudice di pace, entro 5 giorni dal deposito, emana un decreto che fissa l´udienza di comparizione delle parti e determina l´acquisizione degli atti necessari.
Tra il giorno di deposito del ricorso e quello dell´udienza di comparizione non devono decorrere più di 60 giorni (80 per notificazioni effettuate all´estero).
Il ricorso e il decreto con cui il giudice fissa l´udienza di comparizione sono notificati, a cura della cancelleria, all´opponente, o al suo procuratore, e ai soggetti cui spetta la legittimazione passiva, anche a mezzo fax o per via telematica all´indirizzo elettronico indicato.
Il legittimato passivo del giudizio (cioè il prefetto) o quello della diversa amministrazione non statale da cui dipende l´agente accertatore) sono obbligati a presentare - almeno 10 giorni prima dell´udienza nella cancelleria del giudice - copia del verbale dell´organo di polizia stradale che ha compiuto l´accertamento, nonché elementi di prova dell´avvenuta contestazione o notificazione dell´infrazione per consentire a chi ha effettuato il ricorso di documentarsi adeguatamente.

Mancata presentazione dell´opponente alla prima udienza

Se alla prima udienza l´opponente o il suo difensore non si presentano senza addurre alcun legittimo impedimento, il giudice convalida con ordinanza appellabile il provvedimento opposto e provvede sulle spese.
L´effetto, tuttavia, non è automatico. Infatti, il giudice di pace non pronuncia l´ordinanza di convalida del verbale se:
• l´illegittimità del provvedimento risulta evidente, già dalla documentazione allegata dall´opponente.
• rileva un´omissione corrispondente dell´amministrazione che non si è costituita o non ha presentato la documentazione richiesta per legittimare la pretesa sanzionatorio.

In nessun caso, tuttavia, l´effetto automatico della conferma può essere interpretato nel senso opposto, cioè di accoglimento dell´opposizione, senza valutazione di merito, qualora l´amministrazione legittimata passiva non si sia costituita.

Poteri istruttori del giudice

Il giudice di pace ha poteri istruttori molto ampi. Infatti, su richiesta delle parti o anche d´ufficio, ha la possibilità di acquisire documentazione probatoria di ogni tipo, di citare ed ascoltare testimoni senza particolari formalità.
L´unico limite alle acquisizioni di prove d´ufficio delle prove sembra essere costituito, come si è detto, dalla necessità che le prove stesse siano funzionali a verificare l´esistenza dei vizi che sono stati eccepiti dall´opponente nel ricorso o comunque precisati nel giudizio.
Anche a fronte dell´acquisizione di prove in modo viziato, tuttavia, la particolare natura del procedimento esclude che si verifichino nullità assolute perché i vizi di acquisizione possono essere sempre sanati durante il giudizio. In ogni momento infatti il giudice può indicare alle parti irregolarità di atti o documenti e assegnare un termine per provvedervi.

Partecipazione delle parti alle udienze e poteri istruttori

Durante tutto il procedimento sia l´opponente sia il legittimato passivo possono stare in giudizio personalmente, cioè senza necessità di difensore, oppure avvalersi di un legale che li sostituisca alle udienze.
L´amministrazione legittimata passiva può naturalmente avvalersi di uno o più funzionari delegati che la rappresentino.
Non è obbligatorio l´intervento dell´agente di polizia che ha accertato o verbalizzato l´infrazione anche se, spesso, viene citato dal giudice per avere maggiori ragguagli sul fatto.

Formazione della prova in dibattimento

La legge impone che il giudice si pronunci per l´accoglimento totale dell´opposizione, tutte le volte che non vi sono sufficienti prove della responsabilità dell´opponente.
L´onere di provare l´esistenza del fatto illecito e la colpevolezza del trasgressore o la responsabilità dell´obbligato in solido spettano, perciò, all´organo di polizia stradale che ha redatto il verbale e all´amministrazione, legittimata passiva nel giudizio.
Tuttavia, pur con gli inevitabili limiti connessi all´applicazione del principio sopraenunciato, il verbale di contestazione assume, nel giudizio di opposizione, il valore di prova privilegiata da cui può fondarsi la dimostrazione dell´esistenza del fatto illecito contestato. Nonostante il valore di atto pubblico riconosciuto al verbale di accertamento, nella sua valutazione, il giudice può confutare la ricostruzione dei fatti fornita dagli accertatori, qualora l´accertamento sia avvenuto in condizioni che possano dar luogo a un´erronea rappresentazione della realtà. Per confutare tale erronea rappresentazione non è necessaria la presentazione di querela di falso.
La pubblica amministrazione, legittimata passiva, per adempiere a tale onere, può introdurre nel giudizio documenti esplicativi dell´attività di accertamento, ma non può integrare una motivazione carente del verbale.

DECISIONE DEL RICORSO ED ESITI

Se l´opponente si presenta e il contraddittorio è regolarmente instaurato, il corso normale del giudizio si articola in una o più udienze (dibattimento), necessarie alla valutazione degli atti e dei fatti a conclusione dei quali il giudice provvede all´emissione della sentenza. Il giudice esaurita la discussione orale della causa invita le parti a precisare le loro conclusioni e quindi può:
• pronunciare immediatamente la sentenza leggendone immediatamente il dispositivo ed eventualmente redigendo, leggendo e depositando in cancelleria (contestualmente) anche la relativa motivazione;
• fissare una nuova udienza, su richiesta delle parti, concedendo loro un termine non superiore a 10 giorni per il deposito di note difensive e rinviando la causa all´udienza immediatamente successiva alla detta scadenza per la discussione e la pronuncia della sentenza.

Possibili contenuti della sentenza

Dopo il dibattimento e la precisazione delle conclusioni delle parti, il giudizio si conclude con una sentenza che può avere diversi contenuti, quali:
• sentenza di rigetto dell´opposizione, quando il giudice valuta l´infondatezza dei motivi addotti dal ricorrente: in questo caso il ricorrente è tenuto al pagamento delle spese processuali;
• sentenza di accoglimento, che può essere parziale, totale o semplicemente modificativa dell´entità della sanzione applicata.

Valutazione della sanzione da parte del giudice in caso di rigetto dell´opposizione

Il giudice accoglie l´opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell´opponente e con la relativa sentenza può annullare in tutto o in parte il provvedimento opposto e così pure l´ordinanza che, se occorre, può modificare anche limitatamente all´entità della sanzione dovuta (che è determinata in una misura in ogni caso non inferiore al minimo edittale). Non si applica l´art. 113, c. 2 CPC e quindi non è consentito decidere secondo equità.
Se l´opposizione viene respinta (ed è perciò confermato l´accertamento dell´illecito), per la determinazione dell´entità della sanzione principale il giudice non è vincolato al limite prefissato da parte dall´organo accertatore e determina l´importo della sanzione in una misura compresa tra il minimo e il massimo edittale stabilito dalla legge per la violazione accertata.
Questo principio, sancito più volte dalla Corte costituzionale, ha un´importante conseguenza: la sanzione pecuniaria può essere fissata dal giudice anche in misura pari a quella prevista per il pagamento in misura ridotta.
Se invece il giudice, rigettando il ricorso, non ha determinato nella sentenza la sanzione applicabile, il ricorrente è tenuto a pagare:
• la somma richiesta a seguito dell´iscrizione a ruolo del verbale (metà del massimo edittale più le spese di accertamento, di notificazione e processuali);
• la somma richiesta dall´ordinanza-ingiunzione, più le spese processuali, se il ricorso era stato presentato avverso l´ordinanza ingiunzione del prefetto;

Il caso non dovrebbe tuttavia ricorrere per l´espressa previsione del comma 11 dell´art. 7 del DLG n. 150/2011, secondo cui in caso di rigetto del ricorso, il giudice determina l´importo della sanzione (tra il minimo e il massimo edittale). Il giudice, peraltro, può disporre la rateizzazione del pagamento della sanzione.
Quando rigetta l´opposizione, il giudice non può escludere l´applicazione delle sanzioni accessorie o la decurtazione dei punti dalla patente di guida.

Esecuzione della sentenza di rigetto dell´opposizione

La sentenza di rigetto del ricorso costituisce titolo esecutivo per la riscossione coatta delle somme inflitte dal giudice. Il pagamento della somma deve avvenire entro i 30 giorni successivi alla notificazione della sentenza e deve essere effettuato a vantaggio dell´amministrazione cui appartiene l´organo accertatore, con le modalità di pagamento da questa determinate.
L´esecuzione della sentenza può effettuarsi con riscossione coatta mediante ruolo esattoriale (ingiunzione fiscale quando in vigore), se necessario.

Spese di giudizio e risarcimento dei danni

Se il ricorso è respinto, il giudice condanna l´opponente al pagamento delle spese processuali che possono essere riscosse coattivamente dall´amministrazione procedente.
Se il ricorso è accolto, invece, il giudice può condannare l´amministrazione legittimata al pagamento delle spese processuali sostenute ovvero, se ricorrono giusti motivi, può compensarle tra le parti.
Il giudice di pace, invece, con la stessa sentenza di accoglimento dell´opposizione non può liquidare gli eventuali danni che l´applicazione del provvedimento impugnato, anche provvisoria, ha arrecato al ricorrente.
Per ottenere il risarcimento di tali danni, infatti, l´opponente deve agire in separato giudizio secondo le forme ordinarie del rito civile.

RIMEDI CONTRO LA SENTENZA DEL GIUDICE DI PACE

La sentenza del giudice di pace è appellabile al tribunale nche qualora venga effettuato il pagamento della sanzione come stabilito nella medesima sentenza
Contro la sentenza di appello è ammesso il ricorso in Cassazione

Carnevale, niente bombolette spray.Ordinanza Sindacale.


Manfredonia – “SIGNORA permette? Sono la schiuma”. E in un attimo tutti di bianco, rosso, azzurro o del colore utilizzato per la spruzzatura. E come le facce anche i capelli, i vestiti, le mura, le auto, le mani, le torte, le pinze, le pizze e finanche l’intera Manfredonia. Del resto “questo è il nostro Carnevale e lo coloriamo come ci pare”.

Ma come già fatto con le deiezioni maleodoranti dei cani – e per i botti di Capodanno – (con risultanti comunque alterni essendo necessari infatti i doverosi controlli), il Comune di Manfredonia stabilisce un’ordinanza anti-schiuma carnescialesca. Difatti, “dato che durante il periodo di Carnevale (febbraio 2012, ndR) molti cittadini, prevalentemente giovani, fanno uso di bombolette schiumogene a varia denominazione (“a varia denominazione”?, ndR); atteso che tale uso può costituire motivo di pregiudizio per l’ordine pubblico e per l’incolumità pubblica in particolare dei bambini e delle persone anziane (ma comunque anche per gli adulti e le giovani coppie, ndR); ravvisata la necessità di vietare la detenzione, il commercio e l’uso delle citate bombolette schiumogene (…)” il sindaco ha ordinato “in concomitanza del Carnevale Dauno, dal primo febbraio (dunque da domani, ndR) al 26 febbraio 2012” il divieto “della detenzione, commercio ed utilizzo delle bombolette schiumogene a varia denominazione, al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”.


Multe per i trasgressori
: non si rischia addirittura l’arresto come nel caso dei botti di Capodanno, ma in ogni modo “gli schiumeggiatori selvaggi” saranno assoggettati al pagamento di una sanzione amministrativa pecunaria da euro 25,82 a 258,23, che sarà applicata ai sensi di legge (..), fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali previste dall’articolo 650 del codice penale. Incaricati dell’esecuzione dell’ordinanza: comando di Polizia Municipale ed agenti della Forza Pubblica. La Città respira con gioia speranzosa di evitare le invasioni di schiuma.

FONTE: http://www.statoquotidiano.it

Il tempo necessario per indossare la divisa deve essere retribuito

Tribunale di Genova - Sezione Lavoro
Sentenza 27 settembre 2011, n. 1401

Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Il Giudice monocratico, in persona dello dott.ssa Francesca Maria Parodi, pronuncia la seguente sentenza definitiva, dando lettura della motivazione e del dispositivo ai sensi dell'art. 429 c.p.c.
Lu.D'A., Fr.Co., Ma.Ca. convenivano in giudizio l'Il. S.p.A. per sentir accertare il loro diritto a vedersi computare nel normale orario di lavoro, con la maggiorazione per il lavoro straordinario, il tempo da loro impiegato per indossare tuta di lavoro e dpi presso lo spogliatoio assegnato, quindi recarsi all'orologio marcatempo del relativo reparto e compiere l'operazione inversa a fine servizio.
Richiamavano a tal fine la normativa nazionale e comunitaria in materia di orario di lavoro, nonché la giurisprudenza di legittimità e di merito in ordine alla riconducibilità all'orario di lavoro di ogni attività, anche preparatoria, purché etero - diretta dal datore di lavoro.
Poiché Il. S.p.A. aveva stabilito il numero e la dislocazione dei reparti, il numero e la dislocazione degli spogliatoi, l'organizzazione degli stessi e del servizio di trasporto all'interno dello stabilimento, nonché aveva imposto a tutti i lavoratori l'obbligo di vestizione e vestizione in Azienda della tuta e dei dpi e l'obbligo di conservazione degli stessi all'interno di uno specifico armadietto, personalmente assegnato ad ogni lavoratore, non poteva che concludersi per la riconducibilità del c.d. tempo tuta e del tempo impiegati dai lavoratori per recarsi dallo spogliatoio all'orologio di reparto riconducibile nell'ambito dell'orario di lavoro retribuibile.
Chiedevano che questo maggior orario lavorato venisse remunerato con la maggiorazione prevista per il lavoro straordinario e fosse computato anche ai fini della retribuzione di ferie, 13esima mensilità secondo la disciplina del ccnl applicabile.
Si costituiva Il. S.p.A., chiedendo il rigetto del ricorso, contestando che i lavoratori, sia nel tempo per recarsi allo spogliatoio (e viceversa) sia per il tempo di vestizione/vestizione dei i dpi, siano a disposizione del datore di lavoro, non essendo in alcun modo assoggettati al suo potere gerarchico e direttivo, con la conseguenza che tali attività non potevano essere considerate tempo di lavoro effettivo ai sensi dell'art. 5 n. 2 de r.d.l. n. 1955/23 e quindi remunerate per come invece richiesto.
E ciò in conformità alla la stessa contrattazione collettiva applicabile (sia l'art. 5 comma 9 del ccnl 9.7.1994 sia l'art. 5 CCNL industria metalmeccanica privata applicata a decorrere dall'1.7.1999) che considerano ore di lavoro solo quelle di effettiva prestazione.
Sulla base di tali difese la causa è stata decisa, senza necessità di istruttoria, previa acquisizione dei verbali di interrogatorio delle parti reso in altre cause omologhe (Mi.Fr./Il. rg. 2444/2008 e Ro./Il. S.p.A. rg. 2799/2006, Uv./Ma. rg. 9313/2004 Tribunale Milano acquisizione di copia delle CTU effettuate nell'ambito delle cause Am. + 15 e Ca.Gi. + 13 circa la quantificazione dei tempi di maggior lavoro oggetto di ricorso.
Veniva depositato conteggio concordato circa i tempi di lavoro oggetto di ricorso secondo i parametri individuati con ordinanza 22.3.2011, nonché quantificazione concordata degli importi spettanti ai ricorrenti.
Il ricorso è fondato e merita accoglimento nei limiti che seguono.
I ricorrenti chiedono il pagamento a titolo di straordinario (in quanto tempo eccedente le 40 ore lavorative), incidenza su ferie e XIII del tempo di lavoro impiegato per indossare la tuta ed i dispositivi di protezione individuale presso lo spogliatoio loro assegnato e per i tempi necessari a compiere, a fine turno, le operazioni inverse, nonché per il tempo impiegato per recarsi dallo spogliatoio di competenza sino all'orologio marcatempo di reparto, orologio ove gli stessi timbravano in entrata ed in uscita dal reparto di assegnazione.
Oggetto della causa è verificare se detti tempi siano o meno considerabili tempi di lavoro e quindi da retribuire.
La disciplina legislativa in materia è costituita innanzitutto dal R.D.L. 629/1923, il quale all'art. 3 precisa che "E' considerato lavoro effettivo ai sensi del presente decreto ogni lavoro che richieda un'applicazione assidua e continuativa".
Prevede poi l'art. 5 del R.D. n. 1955/1923 (regolamento per l'applicazione del RDL 629/1923) che "non si considerano come lavoro effettivo: ... 2) il tempo impiegato per recarsi sul posto di lavoro".
Rientrano nell'ambito del lavoro effettivo ex art. 6 RDL 692/23 anche "i lavori preparatori e complementari che debbano eseguirsi al di fuori dell'orario normale delle aziende". "Costituiscono lavori preparatori e complementari rientranti nell'orario di servizio, quelli che siano strettamente necessari per predisporre il funzionamento degli impianti e dei mezzi di lavoro, per apprestare materie prime, per la pulizia, per l'ultimazione e lo sgombro dei prodotti ed in genere tutti gli altri servizi indispensabili ad assicurare la regolare ripresa e cessazione del lavoro nelle industrie a funzionamento non continuativo, limitatamente al personale addetto a tali lavori".
Ai sensi dell'art. 2 punto 1 della Direttiva 23 novembre 1993 n. 93/104 del Consiglio dell'Unione Europea rientra nell'orario di lavoro" qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni".
Il legislatore nazionale ha recepito tale direttiva con il D.Lgs. 8 aprile 2003 n. 66, il quale all'art. 1 co. 2 lett. a) prevede omologa disposizione e all'art. 8 conferma che il tempo impiegato dal lavoratore per recarsi sul luogo di lavoro deve ritenersi escluso dal concetto di orario di lavoro.
Statuisce la Cassazione: "L'art. 3 del R.D.L. 15 marzo 1923 n. 692 definisce come lavoro effettivo ogni lavoro che richieda un'applicazione assidua e continuativa; tale definizione, apparentemente rigorosa ed inflessibile; va interpretata sistematicamente con le restanti norme della stessa legge e del suo regolamento attuativo del R.D. 10 settembre 1923, n. 1955. Costituiscono lavoro effettivo, a norma dell'art. 5, n. 3, del R.D. n. 1955 del 1923, le pause interne alla prestazione (diverse dalle pause intermedie tra archi temporali della prestazione, previste da alcuni contratti collettivi, su cui "infra") inferiori a dieci minuti, ed anche le soste superiori a; quindici minuti, nei lavori molto faticosi, in quanto necessarie per ristorare le energie fisiche per riprendere il lavoro.
Pertanto, come precisato anche dalla dottrina, l'espressione "lavoro effettivo" deve essere inteso come sinonimo di prestazione lavorativa, comprendendovi anche i periodi di mera attesa o quelli nei quali non sia richiesta al lavoratore una attività assorbente, bensì soltanto un tenersi costantemente a disposizione del datore di lavoro; restano pertanto esclusi dal "lavoro effettivo" soltanto gli intervalli di tempo dei quali il lavoratore abbia la piena disponibilità. Così intesa la nozione di lavoro effettivo, l'art. 3 del R.D.L. 15 marzo 1923 n. 692 non preclude che il tempo impiegato per indossare la divisa sia considerato lavoro effettivo. Vero è che l'atto di indossare la divisa, in quanto antecedente all'inizio della prestazione lavorativa e funzionale alla sua corretta esecuzione, va inquadrato non tra le pause lavorative, bensì tra le attività preparatorie.
Queste vanno distinte tra remote e dirette.
Certamente costituisce attività preparatoria il tragitto necessario per recarsi sul posto di lavoro ed iniziare l'attività lavorativa, ma il tempo richiesto per tale operazione non costituisce lavoro effettivo, a norma dell'art. 5, n. 2, del R.D. 10 settembre 1923, n. 1955, la cui espressa previsione testimonia l'esistenza del dilemma. Per le attività preparatorie dirette il discrimine è costituito dalla disciplina contrattuale del caso concreto. Vi è una serie di obblighi di preparazione all'esecuzione del contratto, i quali rappresentano l'emersione a livello giuridico di obblighi comportamentali di nutrice culturale e sociale. La partecipazione della persona a qualsiasi evento sociale richiede una preparazione e presentazione appropriata alla natura dell'evento. Diverso, ad es., è l'abbigliamento che si richiede per la partecipazione ad una cerimonia, a un matrimonio, ad un funerale, ad un pubblica riconoscimento, ad una premiazione, ad una cena sociale, ad una festa da ballo, ad uno stabilimento balneare, etc., tanto che in alcune circostanze l'invito contiene anche, tra gli altri dati necessari per la partecipazione, anche la prescrizione dell'abbigliamento ammesso. Tale dato di costume assume un rilievo giuridico nel momento in cui attiene all'esecuzione di un contratto di lavoro. Un adeguato riposo prima della prestazione lavorativa, la cura dell'igiene e della presentazione della persona, l'abbigliamento appropriato alle mansioni da svolgere, sono tutti obblighi che attengono alla esecuzione della prestazione (ed alla sua accettazione da parte del creditore) ma che, come correttamente statuito dalla sentenza impugnata, non costituiscono di per sé prestazione, ma vanno qualificati come atti di diligenza preparatoria, che non richiedono apposita retribuzione finché si mantengono nei limiti della normalità socio - culturale. E benché la nozione di normalità non sia un concetto giuridico molto rigoroso, sicuramente è tale l'obbligo contrattuale motivato di indossare un vestito piuttosto che un altro. Nel caso di specie il ricorrente non contesta le circostanze di fatto accertate dalla sentenza impugnata: l'uso della divisa da sorvegliante Fiat era obbligatoria, ma il lavoratore aveva facoltà, prima di uscire di casa, di indossare, in luogo dell'abito borghese, la divisa, alla pari di A una guardia giurata, di un agente delle forze dell'ordine, etc. L'atto di vestizione in tali condizioni non costituisce lavoro effettivo e non dà diritto a retribuzione".
Da tale situazione vanno distinti due gruppi di situazioni: a) l'obbligo di vestizione di particolari protezioni tecniche, o di particolare ed impegnativa cura dell'immagine; b) l'obbligo di vestizione di normali divise, ma con pregnanti disposizioni del datore di lavoro circa il tempo ed il luogo di esecuzione (Cass. 3763/1998 cit. "infra"), sicché l'esecuzione dell'obbligo di vestizione diventa eterodiretta. Il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale deve essere retribuito, o non deve essere retribuito, a seconda della disciplina contrattuale specifica: ove vi sia facoltà del lavoratore circa il tempo ed il luogo (anche a casa) in cui indossarlo, fa parte degli atti di diligenza preparatoria e non deve essere retribuito: ove tale operazione sia eterodiretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e come tale il tempo necessario deve essere retribuito" Cass. n. 15734 del 2003).
Applicati tali principi al caso di specie può invero osservarsi quanto segue.
Non sono contestate le circostanze in fatto relative all'indicazione dei turni di lavoro, dei percorsi eseguiti, di individuazione degli spogliatoi assegnati, degli orologi marcatempo utilizzati per timbrare e dei reparti di assegnazione come indicati in ricorso.
E' quindi pacifico che:
- Lu.D'A. per il periodo oggetto di causa (...) abbia lavorato la reparto zincatura a freddo, sia stato assegnato al secondo piano dello spogliatoio "Oc." e abbia timbrato all'orologio marcatempo b/50;
- Fr.Co. per il periodo oggetto di causa (...) abbia lavorato la reparto zincatura a freddo, sia stato assegnato al secondo piano dello spogliatoio "Oc." e abbia timbrato all'orologio marcatempo b/50;
- Ma.Ca. per il periodo oggetto di causa (...) (...) abbia lavorato la reparto Co. a caldo, sia stato assegnato al primo piano dello spogliatoio "Ca." e abbia timbrato all'orologio marcatempo 13.
E' pacifico ancora che i dipendenti debbano presentarsi alla timbratura all'orologio marcatempo con divisa e dpi indossati.
E' pacifico che sia il datore di lavoro ad assegnare a ciascun dipendente uno stipetto all'interno dello spogliatoio di riferimento.
E' invece contestato che i lavoratori debbano lasciare in azienda i dispositivi di protezione, che i lavoratori siano obbligati ad indossare in azienda gli abiti da lavoro o che abbiano obbligo di dismetterli alla fine dell'orario, lasciandoli in azienda.
La tesi sostenuta dall'azienda circa la libertà di vestirsi/svestirsi degli abiti a da lavoro e di indossare/dismettere i dpi anche a casa risulta smentita dalle risultanze degli atti acquisiti da procedimenti omologhi al presente.
Emerge infatti dagli atti del procedimento Ro./Il. e del procedimento Mi./Il. (ed in particolare dal verbale di libero interrogatorio del procuratore speciale di Il. acquisito in copia) come tale eventualità sia solo un'eccezione al dato oggettivo che tuta e dpi vengano normalmente indossati all'interno dello spogliatoio, prima di andare al reparto e vengano normalmente dismessi nel medesimo spogliatoio dopo aver finito il turno.
Non a caso per far uscire tali beni dall'azienda è necessaria avere una specifica autorizzazione da parte dell'azienda.
Risulta ammesso dal procuratore speciale della convenuta che senza tuta e dpi non si può entrare in reparto ed iniziare le lavorazioni (cfr verbali cause Mi.Fr./Il. e Ro.An., acquisiti in copia)
E' stato in particolare ammesso dal rappresentante dell'azienda che:
- la tuta non può essere portata a casa se non previa autorizzazione del capo turno o comunque, in assenza del capoturno previa espletamento di un apposita procedura, - nessuno dei dipendenti esce dallo stabilimento indossando gli scarponi antinfortunistici che, per essere conformi alle prescrizione di legge, non possono che essere rigidi, pesanti e certamente non indicati per camminare per le strade della città;
- gli scarponi, in ogni caso, non possono essere portati fuori se non previa autorizzazione;
- caschi guanti e occhiali non possono essere portati al di fuori dello stabilimento (cfr verbale di udienza della causa Mi.).
Deve quindi giungersi alla conclusione che gli indumenti debbano per disposizione aziendale essere indossati all'interno dello stabilimento nel luogo e nel momento individuato dal datore di lavoro a seconda della proprie esigenze organizzative.
Se così non fosse, non si vede perché sarebbe necessaria un'autorizzazione in senso contrario. Non può poi accogliersi la tesi dell'azienda secondo la quale l'utilizzo dei dpi è imposto dalla legge e non dal datore di lavoro, poiché, in realtà, l'imposizione di legge è conseguenza della tipologia di attività produttiva scelta ed organizzata dal datore di lavoro che la impone con l'assoggettamento a precisi obblighi legislativi e non.
Il tempo necessario per indossare e dismettere la tuta e i dpi deve quindi essere retribuito, trattandosi di attività etero diretta dal datore di lavoro che ne ha disciplinato tempi e luoghi.
Non ostano in tal senso le previsioni contrattual - collettive citate in ricorso e che prevedono che l'orario di lavoro sia solo quello rilevato dagli orologi marcatempo nell'ambito del tetto massimo ordinario di 40 ore.
La Cassazione, intervenuta a pronunciarsi ex art. 420 bis c.p.c. sulla legittimità di tali clausole, ha statuito che: "L'art. 5 del contratto collettivo nazionale per i lavoratori delle industrie meccaniche private in data 8 giugno 1999 e del contratto collettivo nazionale delle aziende meccaniche pubbliche aderenti all'In., nella parte in cui prevede che "sono considerate ore di lavoro quelle di effettiva prestazione", deve essere interpretato nel senso che siano da ricomprendere nelle ore di lavoro effettivo, come tali da retribuire, anche le attività preparatorie o successive allo svolgimento dell'attività lavorativa, purché eterodirette dal datore di lavoro, fra le quali deve ricomprendersi anche il tempo necessario ad indossare la divisa aziendale, qualora il datore di lavoro ne disciplini il tempo ed il luogo di esecuzione. Né può ritenersi incompatibile con tale interpretazione la disposizione contenuta nell'art. 5 citato secondo la quale "le ore di lavoro sono contate con l'orologio dello stabilimento o reparto", posto che tale clausola non ha una funzione prescrittiva, ma ha natura meramente ordinatoria e regolativa, ed è destinata a cedere a fronte dell'eventuale ricomprensione nell'orario di lavoro di operazioni preparatorie e/o integrative della prestazione lavorativa che siano, rispettivamente, anteriori o posteriori alla timbratura dell'orologio marcatempo" (Cassazione 2.7.2009 n. 15492).
Quindi la pattuizione collettiva secondo la quale le ore di lavoro sono contate con l'orologio dello stabilimento o del reparto non incide sulla disciplina dell'orario di lavoro.
Ai fini della quantificazione del tempo di vestizione pare necessario prendere in considerazione, ai fini di obiettività di giudizio, un tempo medio utilizzato dalla normalità dei lavoratori.
Non avendo allegato l'esistenza di particolare complessità dell'operazione, ritiene questo Giudice che tale tempo debba essere quantificato in via equitativa in 5 minuti per la vestizione e 5 per la vestizione per ogni giorno di effettiva attività lavorativa.
Ritiene inoltre questo Giudice che anche il tempo impiegato per recarsi dallo spogliatoio all'orologio marcatempo e viceversa debba essere retribuito.
E' vero che per principio generale il tempo per recarsi sul luogo di lavoro non costituisce l tempo di lavoro e non deve essere retribuito.
Vi sono però delle eccezioni: in primo luogo il lavoro nelle miniere o nelle cave, in cui l'orario di lavoro si computa dall'ingresso al pozzo; secondariamente quando il viaggio sia connaturato alla prestazione lavorativa - come nel caso dell'attività di trasporto -; oppure nel caso in cui il viaggio sia funzionale rispetto alla prestazione, come nel caso in cui il lavoratore si di volta in volta dislocato in diverse località per svolgervi la sua attività lavorativa (Cass. 22.3.2004 n. 5701); o infine quando sussista una diversa disposizione collettiva (Cass. 8 marzo 190 n. 1878).
Come osservato da altro Giudice di questa Sezione "Nella specie la predisposizione da parte dell'Il. di spogliatoi lontani dai reparti e dagli orologi di reparto presso i quali si effettua la timbratura costringe i lavoratori ad un ulteriore tempo di percorrenza funzionale esclusivamente alle esigenze organizzative del'azienda (che lo si rammenta non consente ai lavoratori di portare fuori dallo stabilimento gli indumenti di lavoro se non previa autorizzazione del capo turno).
L'accentramento degli spogliatoi obbliga i lavoratori a percorrere un ulteriore tratto di strada dallo spogliatoio fino agli orologi marcatempo di reparto, non sempre (o meglio quasi mai) collocati in prossimità dello spogliatoio.
La dislocazione degli orologi marcatempo nei punti sopra indicati (non coincidenti con lo spogliatoio) è, come già detto, pacifica tra le parti.
Ritiene il giudicante che questo tempo di percorrenza - reso necessario dalla particolare organizzazione logistica che l'azienda ha inteso darsi - debba essere retribuito" (Tribunale di Genova sent. n. 271/2010 est. Dott.ssa Sc.).
Per la quantificazione di tale maggior tempo di lavoro, sulla base di precedenti CTU acquisite in atti, le parti hanno elaborato un conteggio concordato circa i tempi impiegati nel compiere il tragitto spogliatoio - orologio assegnato dai singoli ricorrenti.
Secondo tale conteggio, che deve essere fatto proprio dal questo Giudice, il tempo di percorrenza di detto tragitto deve essere quantificato in:
- Quanto a D'A.Lu. in 7 minuti e 16 secondi per l'andata e altrettanto per il ritorno e ciò tenuto conto della seconda ipotesi, meritevole di considerazione in quanto elaborata alla luce di criteri omogenei (distanza fra spogliatoio ed orologio calcolato sulla cartografia in atti secondo un percorso medio) a quelli utilizzati nella CTU;
- Quanto a Fr.Co. in 7 minuti e 11 secondi per l'andata e altrettanto per il ritorno e ciò tenuto conto della seconda ipotesi, meritevole di considerazione in quanto elaborata alla luce di criteri omogenei (distanza fra spogliatoio ed orologio calcolato sulla cartografia in atti secondo un percorso medio) a quelli utilizzati nella CTU;
- Quanto a Ma.Ca. in 2 minuti e 10 secondi per l'andata e altrettanto per il ritorno; Ne deriva che in capo ai ricorrenti va riconosciuto il diritto alla maggiorazione a titolo di lavoro straordinario di 20 minuti giornalieri (considerati 10 minuti per la vestizione e 10 per il percorso spogliatoio orologio e viceversa).
Ne consegue che il lavoro prestato dai ricorrenti oltre il normale orario di lavoro in ogni giorno di effettiva presenza deve essere quantificato in:
- Quanto a D'A.Lu. 24 minuti e 32 secondi (10 minuti + 7 minuti e 16 secondo + 7 minuti e 16 secondi) da arrotondarsi per eccesso a 25 minuti complessivi;
- Quanto a Fr.Co. e così per un tempo complessivo di 24 minuti e 22 secondi (10 minuti + 7 minuti e 11 secondo + 7 minuti e 11 secondi) da arrotondarsi per difetto in 24 minuti complessivi;
- Quanto a Ma.Ca. e così per un tempo complessivo di 14 minuti e 20 secondi (10 minuti + 2 minuti e 10 secondi + 2 minuti e 10 secondi) da arrotondarsi per difetto in 14 minuti complessivi.
I tempi riconosciuti vanno considerati unicamente per i giorni di effettiva attività e devono essere retribuiti, tenendo conto della maggiorazione per lavoro straordinario prevista dal CCNL applicabile.
Quanto all'incidenza del compenso per lavoro straordinario e sulla retribuzione spettante per ferie e tredicesima mensilità, viene in rilievo la disciplina stabilita dagli artt. 12 e 13 disciplina speciale Parte III CCNL - Metalmeccanici di Settore Privato dell'8 giugno 1999 applicato da ILVA a decorrere dall'1 luglio 1999 ed avente efficacia per la parte normativa sino al 31.12.2002 - e quindi ratione temporis applicabile alle domande in causa - secondo i quali "durante il periodo di ferie decorre la retribuzione globale di fatto".
Inoltre "l'azienda è tenuta a corrispondere per ciascun anno al lavoratore di cui alla presente Parte Terza, in occasione della ricorrente natalizia, un tredicesima mensilità di importo ragguagliato all'intera retribuzione di fatto percepita" (art. 13).
Poiché dunque la contrattazione collettiva del settore per il calcolo della retribuzione spettante per le ferie e per la tredicesima mensilità fa riferimento alla retribuzione globale di fatto e poiché nella specie il lavoro straordinario è fisso e continuativo, i compensi per il 1 lavoro straordinario risultano utili ai fini del calcolo dei due istituti in questione.
Per la quantificazione dei crediti così riconosciuti ai ricorrenti sulla base dei criteri che precedono deve farsi riferimento ai conteggi concordati depositati in atti e riportati nel totale rispettivo di ciascuna deposizione in dispositivo.
Sui crediti dei ricorrenti spettano ex art. 429 c.p.c. la rivalutazione monetaria ed interessi legali sul capitale annualmente rivalutato dalle singole maturazioni al saldo. Le spese di lite seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunciando:
1) dichiara il diritto dei ricorrenti ad essere compensati, con applicazione della maggiorazione contrattualmente prevista per il lavoro straordinario, con incidenza di tali maggiori compensi sulla retribuzione dovuta per le ferie e la tredicesima, quantificati in 25 minuti per Lu.D'A., 24 minuti per Fr.Co. e 14 minuti per Ma.Ca. per ogni giorno di effettiva presenza al lavoro;
2) condanna Il. S.p.A. in persona del legale rappresentante pro - tempore al pagamento in favore dei ricorrenti a titolo di lavoro straordinario, differenze sui ratei ai XIII mensilità e ferie, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal giorno della presente sentenza sino al saldo, dei seguenti importi:
- quanto a Lu.D'A. Euro 6.429,59 di cui Euro 4.202,96 a titolo di capitale e Euro 986,95 a titolo di rivalutazione monetaria e Euro 1.239,68 a titolo di interessi legali maturati sino al 27.9.2011;
- quanto a Fr.Co. Euro 6.094,61 di cui Euro 4.029,41 a titolo di capitale e Euro 914,27 a titolo di rivalutazione monetaria e Euro 1.150,93 a titolo di interessi legali maturati sino al 27.9.2011;
- quanto a Ma.Ca. Euro 749,18 di cui Euro 466,10 a titolo di capitale e Euro 126.07 A titolo di rivalutazione monetaria e Euro 157,01 a titolo di interessi legali.
3) condanna altresì Il. S.p.A. in persona del legale rappresentante pro - tempore al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese di lite quantificate in Euro 2.200,00 per diritti, Euro 3.300,00 per onorari, oltre spese generali, oltre IVA e CPA, con distrazione in favore degli avv.ti, antistatari, S. e F.Fo. limitatamente alla posizione di Lu.D'A. per l'importo di Euro 700,00 per diritti e Euro 1.100,00 per onorari.

Fermo e ipoteca: lite costosa e mai assieme (Commissione tributaria provinciale di Bari, seconda sezione, con la sentenza n. 177 dell'11 novembre 2011)

Se il contribuente impugna l'avviso di fermo o di ipoteca, il contributo unificato deve essere calcolato non considerando la controversia di valore indeterminabile ma in base ai crediti tributari elencati nella comunicazione del fermo o dell'ipoteca. A chiarirlo è Dipartimento delle Finanze del Ministero dell'Economia in risposta ad uno specifico quesito nel corso di Telefisco.
Con l'entrata in vigore del contributo unificato è stato previsto che in caso di controversia avente valore indeterminabile si corrisponde il contributo per l'importo di euro 120. È il caso, chiarito in passato dal ministero dell'Economia, delle operazioni catastali (intestazioni, classamenti eccetera) e del ricorso contro il diniego di iscrizione o la cancellazione dal l'anagrafe delle Onlus.
Fermi e ipoteche
Tuttavia, fino ad ora, nulla era stato detto in merito ad altre frequenti controversie quali, ad esempio, i ricorsi contro fermi amministrativi e le ipoteche, per i quali era sorto il dubbio se dovessero scontare il contributo in misura fissa ovvero osservando altri parametri.
Rispondendo nel corso del Telefisco il Ministero ha precisato che, in ipotesi di impugnazione dell'avviso di fermo amministrativo e di ipoteca, occorre fare riferimento al valore dei crediti tributari elencati nella comunicazione del fermo o dell'ipoteca. In particolare, il Dipartimento delle Finanze, dopo aver premesso che l'avviso di fermo e l'iscrizione di ipoteca sono atti prodromici alla riscossione coattiva dei crediti tributari, e che detti atti sono impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie, ha chiarito che ai fini della quantificazione del contributo unificato occorre tener conto del valore dei soli crediti tributari elencati nella comunicazione del fermo o dell'ipoteca.
Pertanto, nel valore della controversia non devono essere inclusi i crediti di altra natura, quali, ad esempio, quelli previdenziali e quelli derivanti dalle violazioni del Codice della strada, ancorché detti crediti concorrano a formare il valore complessivo posto a base della misura cautelare.
Qualora il fermo e l'ipoteca siano stati, invece, iscritti con riguardo a più cartelle di pagamento, ma impugnati per presunti vizi afferenti solo ad alcune di esse, il valore della controversia sarà quello correlato ai "crediti tributari" elencati nelle sole cartelle che il ricorrente ritiene viziate.
L'appello
Il Ministero ha poi fornito un altro interessante chiarimento che concerne i casi in cui, in sede di appello, la somma del valore dell'appello principale e di quello incidentale rientrano nel medesimo scaglione
Più in particolare è stato posto il seguente esempio: valore controversia 200mila euro (contributo unificato di 500 euro, scaglione da 75mila euro a 200mila euro), l'amministrazione appella la sentenza di primo grado per un valore di 120mila euro "prenotando" a debito 500 euro di contributo unificato, il contribuente presenta appello incidentale per 80mila euro.
È stato quindi chiesto se il contribuente debba versare o meno il contributo di 500 euro per la sua parte, atteso che rientra nel medesimo scaglione per il quale già ha prenotato a debito il contributo l'amministrazione appellante
La risposta del Mef chiarisce che il contribuente è comunque tenuto (per un valore di 80mila euro), a versare il contributo unificato commisurato alla parte del valore della sentenza di primo grado (80mila euro) oggetto dell'impugnativa.
Secondo il Dipartimento tale soluzione è conforme alla ratio della norma che obbliga anche l'appellante incidentale al pagamento del contributo unificato, in quanto risulta ampliato il thema decidendum (ndr: il materiale sul quale il giudice si troverà a decidere) della controversia.
Sul punto occorre sottolineare che certamente il thema decidendum è ampliato ma esso rientra sempre in uno scaglione per il quale il contributo unificato è stato già corrisposto. In sostanza, sotto il profilo del valore della controversia, non vi è un ampliamento in quanto l'appello incidentale, proposto dal contribuente, concerne un importo che comunque rientra nello stesso scaglione.
Alla luce di tale interpretazione, benché il valore complessivo della causa sia di 200mila euro, alla fine l'erario incassa non il contributo previsto dallo scaglione (500 euro) ma esattamente il doppio (mille euro) solo perché l'appello ha riguardato due parti differenti. La soluzione appare obiettivamente opinabile: basti pensare che se l'appello fosse stato proposto soltanto da una parte ma per l'importo complessivo (nell'esempio 200mila euro) avrebbe pagato 500 euro e non mille.

FONTE: http://www.ilsole24ore.com

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La Commissione tributaria di Bari impone a Equitalia di evitare gli eccessi di cautela

Il fermo e l'ipoteca mai insieme

Sullo stesso bene non possono coesistere le due misure

Equitalia deve evitare gli eccessi di cautela. Fermi e ipoteche non possono coesistere. L'agente della riscossione non può disporre il fermo di un'autovettura di un agente di commercio, se ha già iscritto ipoteca sull'immobile del debitore per un importo pari al doppio del debito fiscale. Peraltro, privare dell'autovettura un agente di commercio comporta la mancata produzione di reddito e rende permanente lo stato di insolvenza. Lo ha stabilito la Commissione tributaria provinciale di Bari, seconda sezione, con la sentenza n. 177 dell'11 novembre 2011.Secondo la commissione, «i due provvedimenti congiunti appaiono fortemente penalizzanti proprio perché emessi in eccesso di cautela». A maggior ragione sono state considerate dannose le ganasce fiscali, in quanto il contribuente «svolge anche attività di rappresentante di commercio per il quale l'autovettura è strumento indispensabile per lo svolgimento del proprio lavoro». E «la conseguente mancata produzione di reddito porterebbe oltre tutto all'insolvenza anche nei confronti dell'ente stesso». Tra l'altro, con l'ipoteca già iscritta su beni immobili il creditore era garantito per un importo pari al doppio del debito.
In realtà, la legge non prevede che una misura esecutiva escluda l'altra. Tuttavia, in un periodo di crisi sarebbe meglio non calcare la mano sui contribuenti inadempienti. Del resto, è questo il motivo per cui il legislatore con il dl sviluppo (70/2011) ha ampliato le garanzie per i debitori del Fisco. In particolare, viene posto un freno ai provvedimenti invasivi come il fermo amministrativo e le iscrizioni ipotecarie. Gli esattori, infatti, sono tenuti a inviare preventivamente due solleciti di pagamento prima di adottare azioni esecutive e cautelari nel caso in cui i crediti da riscuotere non siano superiori a 2 mila euro. Quindi, essendo il fermo dei beni mobili (autoveicoli, barche, aeromobili e così via) una misura cautelare non è possibile adottarla qualora non venga preceduta dall'invio, mediante posta ordinaria, di due solleciti di pagamento, il secondo dei quali decorsi almeno sei mesi dalla spedizione del primo. Inoltre, per il fermo amministrativo iscritto su beni mobili registrati il contribuente non è più tenuto ex lege a pagare nulla né a Equitalia né all'Aci/Pra per la cancellazione del provvedimento dai pubblici registri. Questa regola vale sia quando la cancellazione viene disposta in seguito a un'attività di riesame del provvedimento e di conseguente annullamento, sia quando i giudici dichiarano illegittimo il provvedimento.
Il concessionario, poi, non può iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e, per l'effetto, procedere a esecuzione forzata nel caso in cui l'importo complessivo del credito sia inferiore complessivamente a: 20 mila euro, se la pretesa iscritta a ruolo sia contestata in giudizio o sia ancora contestabile in sede processuale e il debitore sia proprietario dell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale; 8 mila euro in tutti gli altri casi.
FONTE:Italia Oggi

domenica 29 gennaio 2012

Un vigile multa il sindaco

Parcheggia la sua auto nello stallo a lui riservato davanti al municipio ma non espone il pass, dimenticato a casa, e, nonostante sia il sindaco viene multato da un vigile urbano che non riconosce la sua auto. Protagonista della vicenda – pubblicata stamane dal quotidiano “La Sicilia” di Catania – che ricorda il film ‘Il vigile’ con Alberto Sordi, è stato il primo cittadino di Trecastagni, paese alle falde dell’Etna, Giuseppe Messina. Messina non ha voluto usufruire della possibilità di annullare in autotutela il verbale, di 39 euro, e lo ha regolarmente pagato. Ha però ordinato al Comando dei Vigili Urbani di disporre una vettura riservata che ogni mattina lo prelevi a casa e lo porti in municipio per poi riaccompagnarlo nella sua abitazione al termine della giornata lavorativa.
“Ho voluto pagare – commenta Messina sulle pagine del quotidiano – perché non potevo tollerare che qualcuno potesse sostenere che in qualità di sindaco mi faccio annullare le multe. Quanto alle modalità dell’episodio, sono convinto che un po’ tutti in questo paese conoscano la mia vecchia ‘Lancia’. Certo, avevo però dimenticato il pass…”. “Sulla disposizione di utilizzare una vettura di servizio per gli spostamenti istituzionali – conclude Messina – vorrei ricordare che finora ho utilizzato la mia auto privata anche per recarmi in Prefettura per incontri che riguardano il Comune che amministro. D’ora in poi non sarà più così”.

FONTE: http://www.livesicilia.it/2012/01/27/trecastagni-un-vigile-multa-il-sindaco/

Il Sole 24 Ore - Sportello unico: mancano all'appello 1200 comuni

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Igiene degli alimenti – Quadro di sintesi

Tutti i riferimenti legislativi comunitari, nazionali e regionali in materia di igiene degli alimenti.
FIDA – Federazione nazionale dettaglianti dell’alimentazione

Igiene degli alimenti – Quadro di sintesi

Consiglio nazionale – Roma 4 febbraio 2009


Comando e controllo

 

L.    30.04.62 n. 283 Disciplina igienica alimenti e bevande.

DPR 26.03.80 n. 327 Regolamento attuazione disciplina igienica.


Autocontrollo aziendale

 

Nuovo concetto di valutazione del rischio.

Dlgs 26.05.97 n. 155 - HACCP

Manuali di corretta prassi igienica (ruolo delle Federazioni di categoria).
Formazione professionale; libretto idoneità sanitaria.


Nuovo diritto alimentare europeo

Regolamento (CE) n. 178/2002 del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare. GUCE L 31 del 01.02.2002.

Nel Regolamento 178 sono riportati i principi della legislazione alimentare:
-          Alimenti sicuri: principio di precauzione (art. 14);
-          Presentazione degli alimenti (art. 16);
-          Responsabilità degli operatori del settore: gestione delle crisi (art. 17)
-          Rintracciabilità dei prodotti (art. 18);
-          Notifica/cooperazione con le autorità competenti (artt. 19-20).

Conferenza Stato/Regioni:
-          Accordo 28.07.05 Linee guida rintracciabilità in soGURI 294 del 19.12.2005
-          Provvedimento 15.12.2005 Linee guida sistema di allerta in GURI 9 del

     12.01.2006



Pacchetto igiene

I principali regolamenti del pacchetto comunitario sull’igiene degli alimenti sono:

Igiene generale:                        Reg. 852/2004 (7 principi HACCP)
Igiene prodotti origine animale:  Reg. 853/2004
Igiene controlli ufficiali:              Reg. 854/2004
Igiene controlli ufficiali:              Reg. 882/2004
Criteri microbiologici:                 Reg. 2073/05
Igiene mangimi:                        Reg. 183/05





Il Regolamento 852/CE/2004 obbliga l’operatore alimentare ad adottare le seguenti misure igieniche specifiche:
- applicazione di procedure necessarie per conseguire gli obiettivi del Regolamento;
- conformità ai criteri microbiologici per gli alimenti;
- mantenimento della catena del freddo;
- conformità ai requisiti di controllo della temperatura degli alimenti;
- campionamento ed analisi;
Gli operatori commerciali del settore alimentare devono attenersi alle norme riportate nell’Allegato II che riporta i requisiti relativi a locali, postazioni mobili, traporto, impianti, scarti alimentari, alimentazione dell’acqua, igiene del personale, alimenti processo di produzione, incarti e confezionamento, trattamento a caldo,  formazione del personale.

Il Regolamento n. 853/2004/CE stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale.
Nel Regolamento 853/CE/2004 vengono stabilite le procedure per:
- registrazione e approvazione degli stabilimenti;
- salute animale e marchiatura di identificazione;
- importazione di prodotti di origine animale.
Nell’Allegato III sono stabilite misure igieniche specifiche per ungulati domestici, pollame, selvaggina da allevamento, selvaggina selvatica, carne trita, preparazioni, carne separata meccanicamente, prodotti a base di carne, molluschi bivalvi vivi, prodotti ittici, latte di stalla e latticini, uova e prodotti di uova, cosce di rana e lumache, grassi animali, stomaci, vesciche e intestini trattati, gelatina.

Il Regolamento n. 854/2004/CE stabilisce regole specifiche dei controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano.
Ai sensi del Regolamento, l’audit sulle buone pratiche di igiene comprende:
- informazioni sulla filiera alimentare;
- strutturazione e manutenzione degli impianti;
- igiene pre e post operativa;
- igiene del personale;
- formazione (igiene, procedure);
- controllo degli infestanti;
- qualità dell’acqua;
- controllo della temperatura;
- entrata-uscita dei prodotti alimentari (documenti);
mentre l’audit HACCP verte su:
- applicazione costante e adeguata delle procedure;
- conformità dei criteri microbiologici;
- conformità riguardo ai residui, alla contaminazione e alle sostanze proibite;
- assenza di pericoli fisici.
Particolari attenzioni devono essere verificate al controllo delle competenze del personale, verifica delle registrazioni rilevanti e campionamenti ogni volta che è necessario.

Ai sensi del Regolamento 882/CE/2004, se viene identificata una non conformità, l’autorità competente adotta misure al fine di garantire che gli operatori del settore alimentare pongano rimedio alla situazione attraverso:
- imposizione di misure di risanamento;
- limitazione o proibizione della collocazione sul mercato;
- richiamo, ritiro, distruzione;
- autorizzazione ad utilizzare i prodotti per altri impieghi;
- sospensione o ritiro della autorizzazione dello stabilimento;
- sospensione, chiusura completa o parziale;
- sospensione o ritiro della autorizzazione dello stabilimento;
- in caso di lotti provenienti da paesi terzi: sequestro, distruzione, rispedizione.
Altre misure ritenute appropriate.

Il Regolamento n. 2073/2005 definisce i criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari in relazione al “pacchetto igiene” in vigore dal 1 gennaio 2006.
Per quanto concerne tale Regolamento, l’allegato 1 riporta sia i criteri di sicurezza alimentare per alcune categorie di alimenti  relativi a Listeria monocytogenes, Salmonella, enterotossine stafilococciche, Enterobacter sakazakii, E.coli, istamina con la relativa interpretazione dei risultati, sia i criteri di igiene del processo (diversi a seconda della tipologia di prodotto: carne, lattiero-caseari,uova, pesci, ortaggi frutta e derivati).
Se necessario, gli operatori del settore alimentare responsabili della fabbricazione del prodotto effettuano studi, in conformità all’allegato 2, per verificare se i criteri sono rispettati per l'intera durata del periodo di conservazione. In particolare ciò si applica agli alimenti pronti che costituiscono terreno favorevole alla crescita di Listeria monocytogenes e che possono costituire un rischio per la salute pubblica in quanto mezzo di diffusione di tale batterio.
Interessante quanto stabilito all'articolo 9 che prevede che gli operatori del settore alimentare analizzino gli andamenti dei risultati delle prove e, in caso di una tendenza verso risultati insoddisfacenti, adottino provvedimenti adeguati.
Il Regolamento si applica a decorrere dal 1° gennaio 2006, con deroga transitoria fino al 31 dicembre 2009 per i valori di Salmonella nella carne macinata, preparazioni a base di carne e nei prodotti a base di carne da consumare cotti immessi sul mercato nazionale di uno Stato membro.



 PROVVEDIMENTI Conferenza Stato/Regioni

Provv.  09.02.06 Linee guida Reg. 852/2004 in soGURI 259 del 07.11.06

Provv.  09.02.06 Linee guida Reg. 853/2004 in soGURI 259 del 07.11.06

Intesa 05.06.03 deroghe per i prodotti tradizionali ai sensi dei Regolamenti CE nn. 852 2 853 del 2004. soGURI 36 del 13.02.07.

Intesa 05.06.03 deroghe transitorie per la produzione di formaggi prodotti con latte bovini e con periodo di maturazione di almeno 60 giorni ai sensi dei Regolamenti CE nn. 852 2 853 del 2004. soGURI 36 del 13.02.07.

Intesa 25 gennaio 2007 in materia di vendita diretta di latte crudo per l'alimentazione umana, del 25 gennaio 2007. soGURI n. 36 del 13.02.07.

Intesa linee guida sui molluschi bivalvi e alla nuova regolamentazione comunitaria. SoGURI n. 36 del 13.02.07

Provvedimento 16.11.06. Linee guida sui prodotti della pesca in soGURI 68 del 22.03.07

Intesa tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano su "Linee guida relative all'applicazione del Regolamento CE della Commissione europea n. 2073 del 15 novembre 2005 che stabilisce i criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari". (Repertorio atti n. 93/CSR del 10 maggio 2007).
soGURI n. 124 del 30.05.07
 
ALTRI REGOLAMENTI COMUNITARI


-Reg. n. 1774/2002: Sottoprodotti di origine animale non uso umano.
-Reg. n. 921/2004 Latte e prodotti a base di latte: norme sanitarie produzione e commercializzazione. GUCE L163 del 30.04.04
-Reg. n. 1935/2004 riguardante i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari e che abroga le direttive 80/590/CEE e 89/109/CEE.
-Reg. n. 37/2005 Controllo temperature alimenti surgelati. GUCE L338 del 22.12,05
-Reg. n. 183/2005 Igiene mangimi. GUCEL35 del 08.0205
-Conferenza Stato/Regioni 18.04.07
Linee guida vincolanti per la gestione operativa del sistema di allerta rapida per mangimi. GURI 107 del 10.05.07
-Reg. n. 2075/2005: Carni: contaminazioni trichine. GUCE L338 del 22.12.05
-Determinazione 10 maggio 2007 Intesa tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano concernente linee guida per la corretta applicazione del Regolamento CE 2075/2005 che definisce norme specifiche applicabili ai controlli ufficiali relativi alla presenza di trichinella nelle carni. (Repertorio n. 94/CSR del 10 maggio 2007). soGURI n. 124 del 30.05.07
-Reg. n. 2023/2006 sulle buone pratiche di fabbricazione dei materiali e degli oggetti destinati a venire a contatto con prodotti alimentari.
-Regolamento (CE) n. 1243/2007 della Commissione, del 24 ottobre 2007, che modifica l’allegato III del regolamento (CE) n. 853/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale – GUCE L 281/8 del 25.10.2007
-Regolamento (CE) n. 1244/2007 della Commissione, del 24 ottobre 2007, che modifica il regolamento (CE) n. 2074/2005 recante modalità di attuazione relative a taluni prodotti di origine animale destinati al consumo umano e che stabilisce norme specifiche per l’organizzazione di controlli ufficiali sulle carni – GUCE L -281/12 del 25.10.2007
-Regolamento (CE) n. 1432/2007 della Commissione, del 5 dicembre 2007, che modifica gli allegati I, II e VI del regolamento (CE) n. 1774/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la marcatura e il trasporto di sottoprodotti di origine animale – GUCE L 320/13 del 6.12.2007
-Regolamento (CE) n. 1441/2007 della Commissione, del 5 dicembre 2007, che modifica il regolamento (CE) n. 2073/2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari – GUCE L 322/12 del 7.12.2007
-Regolamento (CE) n. 1020/2008 della Commissione, del 17 ottobre 2008, che modifica gli allegati II e III del regolamento (CE) n. 853/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale e il regolamento (CE) n. 2076/2005 per quanto riguarda la marchiatura d’identificazione, il latte crudo e i prodotti lattiero-caseari, le uova e gli ovoprodotti e taluni prodotti della pesca – GUUE L 277/8 del 18.10.2008
-Regolamento (CE) n. 1021/2008 della Commissione, del 17 ottobre 2008, che modifica gli allegati I, II e III del regolamento (CE) n. 854/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce norme specifiche per l’organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano e il regolamento (CE) n. 2076/2005 per quanto riguarda i molluschi bivalvi vivi, taluni prodotti della pesca e il personale assistente durante i controlli ufficiali nei macelli – GUUE L 277/15 del 18.10.2008
 

SANZIONI TRACCIABILITA’

D.Lgs. n. 190/2006 - Disciplina sanzionatoria per le violazioni del Regolamento 178/2000/CE in GURI 118 del 23.05.2006


SANZIONI IGIENE

Dlgs 06.11.07 n. 193 - Attuazione della direttiva 2004/41/CE relativa ai controlli in materia di sicurezza alimentare e applicazione dei regolamenti comunitari nel medesimo settore. SoGURI n. 261 del 09.11.2007 in vigore dal 24.11.2007

LE NOVITA’

Nuove procedure di registrazione o riconoscimento.

DIA – Dichiarazione di inizio attività - Planimetria e relazione tecnica
         (sostituisce precedente autorizzazione sanitaria; abolisce parere preventivo
          dell’A.S.L.)
          Presentazione: Sportello unico attività produttive del Comune
          Da Sportello a Dipartimento prevenzione A.S.L. per predisposizione
          registro imprese alimentari  (1° gennaio 2009)
DIA SEMPLICE: gli operatori non soggetti ad autorizzazione sanitaria ex art. 2  L. 30.04.62 n. 283 Disciplina igienica alimenti e bevande; efficacia immediata.
DIA DIFFERITA: gli operatori soggetti ad autorizzazione sanitaria ex art. 2 L. 30.04.62 n. 283 Disciplina igienica alimenti e bevande; 30/45 giorni; possibile sopralluogo ASL.
La più complessa procedura di RICONOSCIMENTO si differenzia da quella di registrazione (semplice o differita) perché si applica ai prodotti di origine animale (Reg. 853/2004) o se prescritto in precedenza dalla legislazione nazionale, e non senza che l’azienda abbia ricevuto obbligatoriamente almeno un’ispezione da parte dell’A.U.S.L.
Notifica di: - qualsivoglia cambiamento significativo;
                - chiusura dello stabilimento / esercizio.
False dichiarazioni: DPR n. 445 del 28.12.2000
La gestione delle DIA è di competenza regionale.

Controllo ed addestramento del personale: un salto di qualità dal punto di vista culturale.

La pubblica Amministrazione può delegare i controlli ad organismi terzi.

 
Abruzzo        DGR   n.  950  del 21.08.2006
        Determinazione n. DG11/124 del 10.09.2008
                   (deroghe per i prodotti tradizionali - (criteri microbiologici)

Basilicata      DGR n. 1119 del 08.08.2007
                   Determinazione n. 359 del 14.05.2008

Calabria        DGR n. 32 del 19.01.2007
                    DGR n. 523 del 30.07.2007
                    DGR n. 194 del 03.03.2008  (criteri microbiologici)

Campania      DGR  n.  796  del 16.06.2006 (Reg. 853/2004)
         DGR  n.  797  del 16.06.2006 (Reg. 852/2004)
         DGR n. 1976 del 16.11.2007 (criteri microbiologici)
                    DGR n. 1972 del 1611.2007 (deroga macellazione)

Emilia R.        DGR n. 970 del 02.07.2007
         Determina n. 9746 del 27.07.07
         Circ. sanità n. 965 del 30.07.07
                    DGR n. 1669 del 12.11.2007 (deroga macellazione)

Friuli VG        DGR.  n. 3160  del 22.12.2006
                    Circ. n. 1332/ul-c/2-7071/99 del 11.04.1999

Lazio             DGR  n.  275  del 16.05.2006
         Determina n. 2145 del 21.07.2006
         Circ. n. n. 11459/4V/15 del 30.01.2007
         Determina n. 1663 del 09.05.2007
         Determinazione direttore n. 3795 del 29.10.2007
         (criteri microbiologici)
                    DGR n. 1043 del 28.12.2007 (sostituzione paragrafo)

Liguria          DRG n. 386 del 20.04.2006
                    DGR   n. 1465  del 15.12.2006
                    Circ. n. 175364/77 del 27.12.2006

Lombardia     LR      n.     8  del 0204/2007
        Circ. sanità n. 11 del 06.04.2007
        DGR n. 4502 del 03.04.2007
                    Decreto direttoriale n. 4221 del 28.02.2007

Marche         DGR n. 339 del 27.03.2006
                   DGR n. 741 del 27.06.2006
                   DGR n. 340 del 16.04.2007
                   DGR n. 1366 del 26.11.2007 (deroga macellazione)
                   DGR n. 1367 de 26.11.2007 (produzione primaria)

Molise          DGR n. 1394 del 28.11.2007
       DGR n. 1395 del 28.11.2007
       DGR n. 57 del 28.01.2008 (deroga macellazione)
                  DGR n. 372 del 08.04.2008 (libretto sanitario)
 
Piemonte      LR    n.     38  del 29.12.2006 (somministrazione)
                   DGR n. 62 del 28.05.2007 (Reg. 852/2004)
        DGR n. 80-7606 del 26.11.2007
        DGR n. 4-9933 del 03.11.2008
        Indicazioni operative riguardanti l’attuazione e l’applicazione
        omogenea sul territorio della Regione Piemonte dei contenuti del
        Regolamento CE/853/2004 recante norme specifiche in materia di
        igiene per gli alimenti di origine animale e procedure per il
        riconoscimento delle unità produttive
                   Bur n. 47 del 20 Novembre 2008

Puglia           DGR   n.  713  del 28.05.2007
        DGR n. 158 del 19.02.2008 (criteri microbiologici)
        DGR n. 1924 del 21 ottobre 2008
        “Linee guida applicative del regolamento n. 852/2004/CE del
         parlamento Europeo e del Consiglio sull’igiene dei prodotti
        alimentari. Indicazioni operative e approvazione modulistica”
        Modifiche ed integrazioni.
                    Bur n. 181 del 24 Novembre 2008

Sardegna      LR     n.      5  del 18.05.2006

Sicilia           Decreto 27.02.2008 (registrazione operatori)

Toscana        GPGR n.   40/r  del 01.08.2006
        DGR   n.  133 del 25.0208 (criteri microbiologici)
        Delibera n. 583 del 28.07.2008 (applicazione sanzioni)
        Deliberazione della Giunta regionale n. 583 del 28 luglio 2008
        Linee di indirizzo per la verifica dell’applicazione del decreto
        legislativo 6 novembre 2007, n. 193, in materia di sicurezza   
        alimentare
        Bur  n. 32 del 6 Agosto 2008
        Testo coordinato della dpgr 1 agosto 2006 n. 40/R (Regolamento di
        attuazione del regolamento (CE) n. 852/2004 Parlamento europeo e
        del Consiglio del 29 aprile 2004 all’igiene dei prodotti alimentari e del
        regolamento (CE) n. 853/2004 del parlamento europeo e del 
        Consiglio del 29 aprile 2004 che stabilisce norme specifiche in materia
        di igiene per gli alimenti di origine animale)
                   Bur n. 27 – 8 Agosto 2008
 
Trentino AA   DGP n. 1755 del 01.09.2006
        DGP n. 2645 del 15.12.2006
        Delibera ASL n. 695/2007
        DGP n. 1528 del 20.07.2007
        DGP n. 159 del 01.02.2008 (libretto sanitario)
                   DGP n. 1438 del 28.04.2008 (registrazione operatori)
 
Umbria          DGR  n.  791  del 18.05.2005
         DGR  n.  295  del 22.02.2006
         DGR  n.  510  del 02.04.2007
         Dd    n. 5723 del 22.08.2007
         Dd    n. 8624 del 30.09.2008
         Sospensione temporanea rilascio libretti idoneità sanitaria
         in attesa definitiva soppressione - Proroga
         Bur 47 del 22.10.2008
         Dd n. 8626 del 30.09.2008
         DDGGRR n. 1199 e n. 1826/2003
         Requisiti igienico sanitari commercio prodotti alimentari
         sulle aree pubbliche: ulteriore differimento termini di adeguamento
         al 30 settembre 2009
                    Bur n. 47 del 22.10.2008

Valle d’Aosta  Rr n. 2 del 11.10.07 (somministrazione)

Veneto          DGR n. 2950 del 11.10.05 Latte crudo
                    DGR n. 1041 del 11.04.2006
                    DGR n. 2016 del 03.07.07 PMI
                    DGR n. 2019 del 22.07.2008 (libretto sanitario ora formativo)
                    DGR n. 2560 delm16.09.08 Carni rosse trichinella

OBIETTIVI POLITICI DELLA FIDA

1.    Elaborazione Testo unico sicurezza alimentare, come previsto dalla Legge di Semplificazione 2001 (Legge 29.07.2003 n. 229 - art. 6), che disciplini uniformemente sul territorio nazionale i contenuti essenziali delle dichiarazioni di inizio attività e delle domande di autorizzazione.

2.    Riordino del sistema sanzionatorio; con particolare riferimento alle responsabilità del settore primario ed, all’interno dello stesso settore commerciale, alle differenti capacità professionali ed organizzative tra le piccole e le medio-grandi strutture.

3.    Coordinamento dei controlli (Reg. 882 – art. 5) con un piano pluriennale ed una soluzione condivisa sui troppi Enti controllori. Lo Stato deve assicurare  una vigilanza costante, professionalmente ineccepibile, ma anche coerente.

4.    Costituzione di un’Autorità nazionale per la sicurezza alimentare, con un Comitato scientifico indipendente.
Per il coordinamento politico e di indirizzo viene oggi previsto un Organismo guidato dal Ministero della Salute, con la presenza del Ministero dell’Agricoltura, della Conferenza Stato / Regioni ed il supporto degli Organismi di rappresentanza delle categorie interessate.
Sarebbe necessaria, invece, un’Autorità slegata dal Ministero gestore, e quindi del tutto indipendente, a cui possano rivolgersi le Regioni, le imprese ed i cittadini, facendo tutti affidamento sull’autorevolezza scientifica dei componenti l’Autorità.

GLOSSARIO

- Acqua potabile: l’acqua rispondente ai requisiti minimi fissati dalla normativa sulla qualità delle acque destinate al consumo umano.
- Alimento (o prodotto alimentare): qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani. Sono comprese le bevande, le gomme da masticare e qualsiasi sostanza, compresa l'acqua, intenzionalmente incorporata negli alimenti nel corso della loro produzione,
preparazione o trattamento.
- Analisi del rischio: processo costituito da tre componenti interconnesse: valutazione, gestione e comunicazione del rischio.
- Analisi dei pericoli: processo che consiste nel raccogliere e valutare informazioni relative ai pericoli e alle condizioni che portano alla loro presenza, al fine di decidere quali di essi sono importanti per la sicurezza dei prodotti alimentari e andranno pertanto affrontati nell’ambito del piano HACCP.
- Autorità competente: l’autorità centrale di uno Stato membro incaricata di garantire il rispetto delle prescrizioni di cui al presente Reg. CE o qualsiasi altra autorità a cui detta autorità centrale abbia delegato tale competenza la definizione include, se del caso, l’autorità corrispondente di un paese terzo.
- CCP Punto critico di controllo: uno stadio del processo produttivo o distributivo in cui il controllo può essere applicato ed è essenziale per prevenire od eliminare un pericolo per la sicurezza alimentare o ridurlo ad un livello accettabile.
- CP Punto di controllo: identificato dall’analisi dei pericoli come essenziale al fine di controllare la probabilità dell’introduzione o della proliferazione nel prodotto o nell’ambiente di pericoli per la sicurezza dei prodotti alimentari.
- Codex Alimentarius: ente responsabile di stabilire standard riconosciuti internazionalmente , codici professionali e linee guida, uno dei quali è l’HACCP.
- Commercio al dettaglio: la movimentazione e/o trasformazione degli alimenti e il loro stoccaggio nel punto di vendita o di consegna al consumatore finale, compresi i terminali di distribuzione, gli esercizi di ristorazione, le mense di aziende e istituzioni, i ristoranti e altre strutture di ristorazione analoghe, i negozi, i centri di distribuzione per supermercati e i punti di vendita all'ingrosso.
- Comunicazione del rischio: lo scambio interattivo, nell'intero arco del processo di analisi del rischio, di informazioni e pareri riguardanti gli elementi di pericolo e i rischi, i fattori connessi al rischio e la percezione del rischio, tra responsabili della valutazione del rischio, responsabili della gestione del rischio, consumatori, imprese alimentari e del settore dei mangimi, la comunità accademica e altri interessati, ivi compresi la spiegazione delle scoperte relative alla valutazione del rischio e il fondamento delle decisioni in tema di gestione del rischio.
- Consumatore finale: il consumatore finale di un prodotto alimentare che non utilizzi tale prodotto nell'ambito di un'operazione o attività di un'impresa del settore alimentare.
- Contaminazione: la presenza o l’introduzione di un pericolo.
- Equivalente: riferito a sistemi diversi, significa capace di conseguire gli stessi obiettivi.
- Fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione: qualsiasi fase, importazione compresa, a partire dalla produzione primaria di un alimento inclusa fino al magazzinaggio, al trasporto, alla vendita o erogazione al consumatore finale inclusi e, ove pertinente, l'importazione, la produzione, la lavorazione, il magazzinaggio, il trasporto, la distribuzione, la vendita e l'erogazione dei mangimi.
- Gestione del rischio: processo, distinto dalla valutazione del rischio, consistente nell'esaminare alternative d'intervento consultando le parti interessate, tenendo conto della valutazione del rischio e di altri fattori pertinenti e, se necessario, compiendo adeguate scelte di prevenzione e di controllo.
- HACCP: un sistema che identifica, valuta e controlla i pericoli di carattere rilevante per la sicurezza dei prodotti alimentari.
- Igiene degli alimenti: le misure e le condizioni necessarie per controllare i pericoli e garantire l’idoneità al consumo umano di un prodotto alimentare tenendo conto dell’uso previsto.
- Imballaggio: il collocamento di uno o più prodotti alimentari confezionati in un secondo contenitore, nonché detto secondo contenitore.
- Immissione sul mercato: la detenzione di alimenti a scopo di vendita, comprese l'offerta di vendita o ogni altra forma, gratuita o a pagamento, di cessione, nonché la vendita stessa, la distribuzione e le altre forme di cessione propriamente detta.
Impresa alimentare: ogni soggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, che
svolge una qualsiasi delle attività connesse ad una delle fasi di produzione,
trasformazione e distribuzione degli alimenti.
- Legislazione alimentare: le leggi, i regolamenti e le disposizioni amministrative riguardanti gli alimenti in generale, e la sicurezza degli alimenti in particolare, sia nella Comunità Europea che a livello nazionale; sono incluse tutte le fasi di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti e anche dei mangimi prodotti per gli animali destinati alla produzione alimentare o ad essi somministrati.
- Operatore del settore alimentare: la persona fisica o giuridica responsabile di garantire il rispetto delle disposizioni della legislazione alimentare nell'impresa alimentare posta sotto il suo controllo.
- Pericolo: agente biologico, chimico o fisico contenuto in un alimento, o condizione in cui un alimento si trova, in grado di provocare un effetto nocivo sulla salute.
- Prodotti non trasformati: prodotti alimentari non sottoposti a trattamento, compresi prodotti che siano stati divisi, separati, sezionati, affettati, disossati, tritati, scuoiati, frantumati, tagliati, puliti, rifilati, decorticati, macinati, refrigerati, congelati, surgelati o scongelati.
- Prodotti primari: i prodotti della produzione primaria compresi i prodotti della terra, dell’allevamento, della caccia e della pesca;
- Prodotti trasformati: prodotti alimentari ottenuti dalla trasformazione di prodotti non trasformati. Tali prodotti possono contenere ingredienti necessari alla loro lavorazione o per conferire loro caratteristiche specifiche.
- Produzione primaria, tutte le fasi della produzione, dell'allevamento o della coltivazione dei prodotti primari, compresi il raccolto, la mungitura e la produzione zootecnica precedente la macellazione e comprese la caccia e la pesca e la raccolta di prodotti selvatici.
- Recipiente ermeticamente chiuso: contenitore destinato ad impedire la penetrazione al suo interno di pericoli.
- Rintracciabilità: la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta ad entrare a far parte di un alimento o di un mangime attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione.
- Rischio: funzione della probabilità e della gravità di un effetto nocivo per la salute, conseguente alla presenza di un pericolo.
- Stabilimento: ogni unità di un’impresa del settore alimentare.
- Trattamento: qualsiasi azione che provoca una modificazione sostanziale del prodotto iniziale, compresi trattamento termico, affumicatura, salagione, stagionatura, essiccazione, marinatura, estrazione, estrusione o una combinazione di tali procedimenti.
- Valutazione del rischio: processo su base scientifica costituito da quattro fasi:
individuazione del pericolo, caratterizzazione del pericolo, valutazione dell'esposizione al pericolo e caratterizzazione del rischio.