giovedì 30 maggio 2019

Non integra il reato di violenza privata l’installazione di telecamere su strada pubblica





LIBERTÀ MORALE (REATI CONTRO LA –ARTT. 610-613)
CP Art. 610

Non integra il reato di violenza privata l’installazione di telecamere su strada pubblica


CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - SENTENZA 13 maggio 2019, n.20527MASSIMA

Nel delitto di violenza privata è tutelata la libertà psichica dell'individuo pregiudicata da qualsiasi mezzo idoneo a comprimere la libertà di autodeterminazione e di azione della persona offesa. Ne consegue che non è integrato il reato de quo in caso di installazione di sistemi di videosorveglianza con riprese del pubblico transito che implichino condizionamenti minimi tali da non potersi considerare espressivi di una significativa costrizione della libertà di autodeterminazione.


CASUS DECISUS

Il Tribunale di Chieti dichiarava due soggetti colpevoli del reato di violenza privata consistita nell'installare sul muro perimetrale delle rispettive abitazioni telecamere a snodo telecomandabile per ripresa visiva e sonora, orientate su zone e aree aperte al pubblico transito, costringendo gli abitanti della zona, e in particolare le costituite parti civili, a tollerare di essere costantemente osservati e controllati nell'espletamento delle loro attività lavorative e nei loro movimenti. La penale responsabilità veniva confermata dalla Corte di Appello di L'Aquila; pertanto gli imputati ricorrevano in Cassazione, denunciando, tra gli altri motivi, violazione di legge in merito alla configurabilità del reato di violenza privata.


PRECEDENTI
Conforme Difforme

Cass., Sez. U, n. 2437 del 18/12/2008 - dep. 21/01/2009, Giulini, in motivazione) ( Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016 c.c., Rv. 268405



ANNOTAZIONE

Nella sentenza in epigrafe viene sottoposta all’attenzione della Suprema Corte una vicenda relativa all’installazione di videocamere e conseguente ripresa su strada pubblica di attività quotidiane di determinati soggetti passanti su quella strada. In particolare, viene chiesto ai giudici di legittimità se tale installazione possa integrare il reato di violenza privata a carico degli installatori per aver costretto gli abitanti della zona a tollerare di essere costantemente osservati e controllati nell'espletamento delle loro attività lavorative e nei loro movimenti. Ritiene il Collegio di dare risposta negativa al predetto quesito sulla base più ordini di considerazioni. La Corte evidenzia che nel delitto di violenza privata è tutelata la libertà psichica dell'individuo e la fattispecie criminosa ha carattere generico e sussidiario rispetto ad altre figure in cui la violenza alle persone è elemento costitutivo del reato, sicché, esso reprime genericamente fatti di coercizione non espressamente considerati da altre norme di legge, e, per consolidato orientamento di legittimità, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a comprimere la libertà di autodeterminazione e di azione della persona offesa. Ciò posto, proseguono i giudici, l'installazione di sistemi di videosorveglianza con riprese del pubblico transito non costituisce in sé un'attività illecita, né lo sono le concrete modalità di attuazione della condotta descritta in imputazione, e neppure è ravvisabile, nel prospettato cambiamento di abitudini che si sarebbe registrato da parte di alcuni abitanti - con l'individuare percorsi alternativi per rientrate in casa, o altre aree di sosta dei veicoli, per sottrarsi alle riprese delle telecamere in questione - l'offesa al bene giuridico protetto dalla norma di cui all'art. 610 cod.pen., trattandosi di condizionamenti minimi indotti dalle condotte de quibus, tali da non potersi considerare espressivi di una significativa costrizione della libertà di autodeterminazione. Il Collegio osserva altresì, che la risposta negativa al predetto quesito è indotta anche dalla dell'accreditata ermeneusi di questa Corte secondo cui non può ritenersi integrato il reato di cui all'art. 610 cod.pen. laddove non sia ravvisabile, per le caratteristiche dell'azione, una costrizione a tollerare alcunché di ulteriore e diverso dalla condotta che già sia integrativa di altre fattispecie di reato. Come hanno puntualizzato le Sezioni Unite, l'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 610 cod. pen., è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l'effetto di costringere taluno a fare, tollerare, od omettere una determinata cosa; la condotta violenta o minacciosa «deve atteggiarsi alla stregua di mezzo destinato a realizzare un evento ulteriore: vale a dire la costrizione della vittima a fare, tollerare od omettere qualche cosa; deve dunque trattarsi di "qualcosa" di diverso dal "fatto" in cui si esprime la violenza», sicché «la coincidenza tra violenza» - e, può aggiungersi, minaccia - «ed evento di "costrizione a tollerare" rende tecnicamente impossibile la configurabilità del delitto di cui all'art. 610 cod. pen.». Non è configurabile, cioè, il delitto di violenza privata allorquando gli atti di violenza non siano diretti a costringere la vittima ad un "pati", ma siano essi stessi produttivi dell'effetto lesivo, senza alcuna fase intermedia di coartazione della libertà di determinazione della persona offesa. E, allora, anche a volere ritenere integrata, nell'istallazione delle telecamere e nella connessa videoripresa, una violenza "cd. impropria", è di tutta evidenza che l'azione (installazione delle telecamere) ha conseguito immediatamente il suo effetto (ripresa delle attività svolte nella pubblica via dagli abitanti della zona) senza che vi sia stata alcuna fase intermedia e distinta di coartazione della libertà di determinazione delle persone offese, introdotta qui solo attraverso una evidente forzatura dialettica, volta a scindere l'atto di asserita violenza (installazione delle telecamere) dal suo effetto (ripresa video), per cogliere nel secondo l'atto coartato della vittima.


TESTO DELLA SENTENZA

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - SENTENZA 13 maggio 2019, n.20527 - Pres. Zaza – est. Belmonte

Ritenuto in fatto



1. Il Tribunale di Chieti dichiarava MA. PA. e SE. ME. colpevoli del reato di violenza privata consistita nell'installare sul muro perimetrale delle rispettive abitazioni telecamere a snodo telecomandabile per ripresa visiva e sonora, orientate su zone e aree aperte al pubblico transito, costringendo gli abitanti della zona , e in particolare le costituite parti civili, a tollerare di essere costantemente osservati e controllati nell'espletamento delle loro attività lavorative e nei loro movimenti; controlli che venivano poi puntualmente riferiti e utilizzati strumentalmente per rimarcare la commissione di presunti illeciti che sarebbero stati perseguiti mediante esposti e denunce effettivamente poi inoltrati alle competenti autorità di P.S.. Il giudice di primo grado condannava, quindi, i due imputati, alla pena di anni uno di reclusione, ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali, e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili (Ma. Ie., Ma. Di Bo., An. De Be., Ro. Di Pe., Ga. Ma.), liquidato equitativamente in Euro 1000 cadauno, e alla refusione, in loro favore, delle spese processuali, con la confisca e la distruzione dei reperti.

2. La Corte di Appello di L'Aquila, sull'impugnazione degli imputati, riformava solo per il trattamento sanzionatorio, rideterminando la pena in mesi sei di reclusione ciascuno, la sentenza del Tribunale, confermandola per il resto, con l'ulteriore condanna alla refusione delle spese del grado in favore delle parti civili.

3. Avverso la sentenza della Corte di Appello hanno proposto ricorso I entrambi gli imputati con il ministero dei rispettivi difensori.

4. Il difensore di Se. Me. articola cinque motivi.

4.1. Con i primi tre motivi, sulla premessa che i giudici di merito avevano pronunciato condanna senza considerare la diversità di posizione dei due imputati - non concorrenti nel medesimo reato, ma chiamati a rispondere di autonome fattispecie monosoggettive - il difensore deduce, in sintesi, violazione o erronea applicazione della legge, e correlato vizio della motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, con riferimento a tutti gli elementi strutturali del reato di violenza privata.

4.1.1. Quanto all'elemento oggettivo, le telecamere installate sul muro perimetrale della sua abitazione non erano funzionanti, poiché nel periodo in contestazione l'abitazione era disabitata per lavori di ristrutturazione, che riguardarono anche l'impianto elettrico, e, comunque, esse erano prive di microfono, in tal senso richiamando plurime deposizioni testimoniali.

4.1.2. Con riferimento all'elemento soggettivo, le deposizioni testimoniali delle stesse persone offese consentono di escludere l'intento del Me. di osservare e controllare gli abitanti della zona, essendo le telecamere finalizzate solo alla tutela della propria sicurezza, peraltro, essendo del tutto inconferente l'episodio, valorizzato dalla Corte territoriale, che vide coinvolta la moglie del Me., non quest'ultimo, e, comunque, risalente a due anni prima dei fatti, così come antecedente era l'esposto presentato dall'imputato per denunciare esalazioni provenienti da laboratori artigianali della zona e dalle deiezioni dei cani lasciate dinanzi alla sua abitazione ( esposto del 30.4.2011, mentre le telecamere furono istallate a maggio). Richiama giurisprudenza di questa Corte in ordine alla liceità delle videoriprese che attingono luoghi di pubblico transito, peraltro, nel caso di specie, corredate di visibili presidi informativi, e segnala la contraddittorietà tra le due pronunce di merito in ordine alla rilevanza, ai fini della integrazione della fattispecie, della circostanza del mancato funzionamento delle telecamere.

4.1.3. Con riferimento al nesso di causalità, deduce l'insostenibilità della tesi delle pp.oo. circa il cambiamento delle abitudini di vita che avrebbe fatto seguito all'istallazione delle telecamere, alla luce della capillare diffusione di analoghi strumenti di sorveglianza presenti nei centri abitati e normalmente tollerati dalla cittadinanza.

4.2. Con il quarto e il quinto motivo, che attingono la parte relativa al trattamento sanzionatorio, denuncia violazione di legge e vizio della motivazione sia in ordine alla liquidazione del danno in favore delle persone offese - dolendosi che la liquidazione equitativa è stata operata senza tenere conto della concreta e reale entità dei fatti ascritti, e segnalando che alcune persone offese non hanno avanzato alcuna pretesa nei confronti del Me. (così Di Pe.) , e ciononostante era stata inflitta condanna sia al risarcimento dei danni che alla refusione delle spese del giudizio per entrambi i gradi - sia per la entità delle pena, troppo elevata, sia per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in considerazione della tenuità e del minimo disvalore sociale del fatto.

5. Il difensore di Ma. Pasquino affida il ricorso a due motivi.

5.1. Deduce, in primis, violazione dell'art. 610 cod.pen., nella parte in cui la corte territoriale ha affermato che la istallazione delle telecamere avesse prodotto un cambiamento delle abitudini di vita degli abitanti della zona, senza considerare che , secondo l'affermato orientamento di legittimità, l'indiscriminata esposizione alla vista altrui di un'area destinata alla pubblica via, non deputata alle manifestazioni di vita privata esclusiva, è incompatibile con una tutela della riservatezza, sicché neppure è rinvenibile, in capo all'imputato, il dolo generico di determinare una costrizione o indurre una tolleranza negli abitanti del quartiere, in capo ai quali non è riconoscibile il diritto alla riservatezza.

5.2. Con il secondo motivo lamenta vizio della motivazione, mancante e manifestamente illogica, avendo la Corte territoriale fondato la propria decisione sull'asserito cambiamento di abitudini di vita prospettato, tuttavia, solo dagli abitanti della zona, costituitisi parti civili e, dunque, portatori di diretto interesse contrario; in ogni caso, alla luce delle stesse testimonianze, si tratterebbe di modifiche, insignificanti e trascurabili.

6. Con memoria inoltrata a mezzo fax il 15/2/2019, e depositata il 21/2/2019, la parte civile Ie. Ma. ha replicato alle doglianze degli imputati rifacendosi alle decisioni dei giudici di merito e agli esiti dell'istruttoria dibattimentale, richiamando, in particolare, un esposto datato 8.5.2014, a firma del Me. e della moglie del Pa. corredato di fotogrammi di riprese dall'alto effettuati dalle telecamere , in cui sono riprese fasi dell'attività lavorativa dello Ie.. Ricorda che, secondo le testimonianze, le telecamere erano occultate dalle fronde degli alberi, e direzionate, non verso le abitazioni degli imputati, ma esclusivamente verso spazi pubblici e tutte con cablaggi ben visibili. Richiama la natura della fattispecie di violenza privata, nella sua accezione ampia, delineata da dottrina e giurisprudenza, nonché le regole fissate in materia di videosorveglianza e i principi ispiratori, per concludere nel senso della illiceità dell'attività posta in essere dagli imputati, anche segnalando, per smentire la deduzione circa il mancato funzionamento della telecamera da questi installata, che l'imputato Me. è proprietario di altri appartamenti situati nel medesimo stabile, dove viveva durante la ristrutturazione riguardante solo quello al piano inferiore.



Considerato in diritto



1. Il ricorso è fondato non essendo ravvisabile, nella condotta contestata, il reato di violenza privata.

2. Come correttamente precisato alla Corte di Appello di L'Aquila nella sentenza impugnata, la condotta contestata concerne, non l’ acquisizione di immagini relative alla condotta tenuta da cittadini sulla pubblica via, ma il condizionamento esercitato su alcune persone - e segnatamente sulle costituite parti civili - dagli imputati, mediante la istallazione e l'utilizzo di immagini tratte dai filmati registrati dalle telecamere.

2.1. Come si legge nel capo di imputazione, gli imputati, con violenza o comunque con minaccia consistite nell'installare sul muro perimetrale delle rispettive abitazioni, telecamere a snodo telecomandabile per ripresa visiva e sonora su zone e aree comunque aperte al pubblico transito, costringevano gli abitanti della zona, tra cui le partii civili, a tollerare di essere costantemente osservati e controllati nell'espletamento delle loro attività lavorative e nei loro movimenti. Detti controlli erano poi riferiti agli abitanti così ripresi, e utilizzati strumentalmente per rimarcare la commissione di presunti illeciti (schiamazzi, parcheggio delle auto fuori dalle aree di sosta consentite; deiezioni animali abbandonante dinanzi al cancello delle abitazioni, e così via), che sarebbero stati perseguiti medianti esposti e denunce poi effettivamente inoltrati alle autorità competenti.

3. Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, nel delitto di violenza privata è tutelata la libertà psichica dell'individuo, e la fattispecie criminosa ha carattere generico e sussidiario rispetto ad altre figure in cui la violenza alle persone è elemento costitutivo del reato, sicché, esso reprime genericamente fatti di coercizione non espressamente considerati da altre norme di legge, e, per consolidato orientamento di legittimità, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a comprimere la libertà di autodeterminazione e di azione della persona offesa ( tra le tante, Sez. 2 n. 11522 del 3.3.2009 rv. 244199 che ha definito la libertà morale come libertà di determinarsi spontaneamente secondo motivi propri, sicché alla libertà morale va ricondotta sia la facoltà di formare liberamente la propria volontà sia quella di orientare i propri comportamenti in conformità delle deliberazioni liberamente prese - Sez. 5, n. 40291 del 06/06/2017 c.c. (dep. 05/09/2017 ) Rv. 271212). In altri termini, come osservato anche dalla dottrina, è troppo restrittiva, ai fini che ci occupano, la definizione di libertà morale come libertà di autodeterminazione, perché essa identifica solo un aspetto della libertà morale e non consente di includervi gli altri aspetti tutelati sotto tale oggettività giuridica, dalla libertà di autodeterminazione secondo motivi propri, fino alla tranquillità psichica (nel senso della necessaria inclusione della libertà psichica nella oggettività della norma in esame, v. rv 200681).

3.1. Tale principio trova rispondenza in altre pronunce della Corte secondo cui la nozione di violenza è riferibile a qualsiasi atto o fatto posto in essere dall'agente che si risolva comunque nella coartazione della libertà fisica o psichica del soggetto passivo che viene così indotto, contro la sua volontà, a fare, tollerare o omettere qualche cosa, indipendentemente dall'esercizio su di lui di un vero e proprio costringimento fisico (Cass. 39941/2002 rv. 222847; Cass.1176/2013 rv. 254126). E' consolidata, infatti, l'opzione ermeneutica secondo cui l'elemento della violenza, nel reato di cui all'art. 610 cod. pen., si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione, potendo consistere anche in una violenza «impropria», che si attua attraverso l'uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione (Sez. 5, n. 4284 del 29/09/2015 - dep. 2016, Rv. 266020, in fattispecie di chiusura a chiave di una serratura di una stanza; Sez. 5, n. 11907 del 22/01/2010, Rv. 246551, in fattispecie relativa a sostituzione della serratura della porta di accesso di un vano-caldaia; Sez. 5, n. 1195 del 27/02/1998, Rv. 211230, in fattispecie di apposizione di una catena con lucchetto ad un cancello; conf. Sez. 5, n. 10133 del 05/02/2018 ; Rv. 272672; Sez. 5, n. 10498 del 16/01/2018, Rv. 272666; Sez. 5, n. 1913 del 16/10/2017 Ud. (dep. 17/01/2018) Rv. 272322 ; Sez. 5, n. 29261 del 24/02/2017 , Rv. 270869; Sez. 5, n. 28174 del 14/05/2015 , Rv. 265310; Sez. 5, n. 603 del 18/11/2011 Ud. (dep. 12/01/2012) Rv. 252668) Così, la configurabilità del reato è stata pacificamente ammessa dall'elaborazione giurisprudenziale, senza che il responsabile risultasse aver compiuto atti di violenza o minaccia strictu sensu, in presenza di atti costrittivi o comunque impeditivi, idonei a incidere sulla libertà di autodeterminazione: come nella condotta di chi - intenzionalmente, e rifiutandosi poi di liberare l'accesso, pur senza intemperanze verbali - parcheggi un'auto in modo tale da impedire a un'altra vettura di spostarsi (Cass., Sez. V, n. 16571 del 20/04/2006, Badalamenti), o ostruisca così il passaggio verso un fabbricato (Cass., Sez. V, n. 8425/2014 del 20/11/2013, Iovino), ovvero occupi l'area di sosta riservata ad una specifica persona invalida (Cass., Sez. V, n. 17794 del 23/02/2017, Milano), giacché, ai fini del delitto di violenza privata, non è richiesta una minaccia verbale o esplicita, essendo sufficiente un qualsiasi comportamento o atteggiamento, sia verso il soggetto passivo, sia verso altri, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, finalizzato ad ottenere che, mediante tale intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa, (principio affermato già da sez. 2 n. 11641 del 6.3.1989 rv. 182005 ; Conf. Sez. 5, n. 48369 del 13/04/2017 c.c. Rv. 271267; Massime precedenti Conformi: N. 603 del 2012 Rv. 252668 -, INI. 8425 del 2014 Rv. 259052 , N. 46786 del 2014 Rv. 261051 , N. 33253 del 2015 Rv. 264549 , N. 4284 del 2016 Rv. 266020 , N. 29261 del 2017 Rv. 270869).

4. Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, si tratta , dunque, di valutare se, nel caso peculiare qui in scrutinio, la condotta dei ricorrenti sia configurabile come violenza privata, ovvero se - sotto il profilo oggettivo e causale - essa possa essere considerata idonea a indurre la descritta coartazione negli abitanti della zona, e, specificamente, nelle parti civili, che, secondo l'editto accusatorio, sarebbero stati così costretti a tollerare di essere costantemente osservati e controllati nell'espletamento delle loro attività lavorative e nei loro movimenti.

5. Ritiene, il Collegio di dare risposta negativa al predetto quesito sulla base più ordini di considerazioni.

5.1. In primis, perché l'installazione di sistemi di videosorveglianza con riprese del pubblico transito non costituisce in sé un'attività illecita, né lo sono le concrete modalità di attuazione della condotta descritta in imputazione, e neppure è ravvisabile, nel prospettato cambiamento di abitudini che si sarebbe registrato da parte di alcuni abitanti - con l'individuare percorsi alternativi per rientrate in casa, o altre aree di sosta dei veicoli, per sottrarsi alle riprese delle telecamere in questione - l'offesa al bene giuridico protetto dalla norma di cui all'art. 610 cod.pen., trattandosi di condizionamenti minimi indotti dalle condotte de quibus, tali da non potersi considerare espressivi di una significativa costrizione della libertà di autodeterminazione. Si vuole dire che nel fatto tipico della norma incriminatrice in commento non possono farsi rientrare tutti i comportamenti pure astrattamente condizionati da una condotta altrui, ma solo quelli che siano concretamente offensivi del bene giuridico protetto che, come visto, è la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo, e tanto nel rispetto del principio di offensività, quale criterio interpretativo idoneo a escludere la tipicità dei fatti che risultino in concreto inoffensivi ( in tal senso anche Corte Cost. 18 luglio 1997 n. 247; Corte Cost. 26 marzo 1986 n. 62). In realtà, quando il legislatore definisce determinati tipi di condotta come punibili, non può non riferirsi a comportamenti aventi un determinato significato sociale, non può, cioè, evitare di recepire quelle regole naturali o sociali che, definendone il significato, valgono a individuare le condotte da tipizzare. Sicché, l'offensività propria di ciascuna fattispecie legislativa non dipende solo dalla struttura linguistica della descrizione normativa, ma anche dal significato sociale che essa assume in relazione a un determinato contesto di convenzioni comunicative.

5.2. Nel caso di specie, non può non farsi riferimento - al fine di stabilire se vi fu una concreta lesione della libertà di autodeterminazione dei vicini di casa degli imputati - al necessario contemperamento tra beni e valori ugualmente garantiti; ciò che rileva qui è il bilanciamento tra il valore fondamentale della libertà individuale, e altri, come quello della sicurezza, parimenti presidiati.

5.3. Ora, in materia di riprese tramite strumenti di videosorveglianza, il sistema positivo prevede che chiunque installi un sistema di videosorveglianza deve provvedere a segnalarne la presenza, facendo in modo che qualunque soggetto si avvicini all'area interessata dalle riprese sia avvisato della presenza di telecamere già prima di entrare nel loro raggio di azione. La segnalazione deve essere effettuata tramite appositi cartelli, collocati a ridosso dell'area interessata, ed in modo tale che risultino chiaramente visibili. ('Codice in Materia dei Dati Personali'). Precauzioni e avvertimenti che risultano rispettati nel caso di specie, secondo quanto emerge dalla ricostruzione dei giudici di merito. L'avvertimento in parola è, evidentemente, finalizzato a rendere edotto 'quispue de populo' della presenza di strumentazione atta alla captazione di comportamenti che lo riguardano. In tale contesto, se, per un verso, l'avvertimento, rectius, la consapevolezza della presenza del sistema di videosorveglianza può costituire un condizionamento della libertà di movimento del cittadino, d'altro canto, consente a quest'ultimo di determinarsi cognita causa, selezionando i comportamenti consequenziali da tenere. Si tratta, dunque, di un delicato equilibrio di compromesso tra libertà individuali ed esigenze di sicurezza sociale. In tal senso, una recente pronuncia della Corte Edu (C. Giust. UE causa C-212/13 dell'11.12.2014.) ha precisato che, pur non considerandosi la videosorveglianza che si estende allo spazio pubblico, quella cioè installata dal privato e diretta al di fuori della sua sfera privata, un'attività esclusivamente personale o domestica, tuttavia, ciò, che in astratto è illegittimo, può essere considerato lecito se, secondo il giudice nazionale, nel caso concreto, vi sia un legittimo interesse del responsabile del trattamento alla protezione dei propri beni come la salute, la vita propria o della sua famiglia, la proprietà privata. In tali casi, il trattamento di dati personali può essere effettuato senza il consenso dell'interessato, se ciò è strettamente necessario alla realizzazione dell'interesse del responsabile del trattamento. La Corte ha precisato che, ricorrendo tali condizioni, è sufficiente la informazione alle persone della presenza del predetto sistema. Alla luce di quanto emerge dalla ricostruzione fattuale consegnata dalla sentenza impugnata, non può ragionevolmente escludersi che il sistema di videoripresa attuato dagli imputati fosse finalizzato proprio alla protezione degli indicati beni primari della sicurezza, della vita e della proprietà privata, essendo stata, peraltro, rispettata la prescrizione della preventiva informativa al pubblico.

6. Il Collegio osserva altresì, che la risposta negativa al predetto quesito è indotta anche dalla dell'accreditata ermeneusi di questa Corte secondo cui non può ritenersi integrato il reato di cui all'art. 610 cod.pen. laddove non sia ravvisabile, per le caratteristiche dell'azione, una costrizione a tollerare alcunché di ulteriore e diverso dalla condotta che già sia integrativa di altre fattispecie di reato. Come hanno puntualizzato le Sezioni Unite di questa Corte, l'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 610 cod. pen., è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l'effetto di costringere taluno a fare, tollerare, od omettere una determinata cosa; la condotta violenta o minacciosa «deve atteggiarsi alla stregua di mezzo destinato a realizzare un evento ulteriore: vale a dire la costrizione della vittima a fare, tollerare od omettere qualche cosa; deve dunque trattarsi di 'qualcosa' di diverso dal 'fatto' in cui si esprime la violenza», sicché «la coincidenza tra violenza» - e, può aggiungersi, minaccia - «ed evento di 'costrizione a tollerare' rende tecnicamente impossibile la configurabilità del delitto di cui all'art. 610 cod. pen.» (Sez. U, n. 2437 del 18/12/2008 - dep. 21/01/2009, Giulini, in motivazione). Non è configurabile, cioè, il delitto di violenza privata allorquando gli atti di violenza non siano diretti a costringere la vittima ad un 'pati', ma siano essi stessi produttivi dell'effetto lesivo, senza alcuna fase intermedia di coartazione della libertà di determinazione della persona offesa ( Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016 c.c., Rv. 268405 -

6.1. E, allora, anche a volere ritenere integrata, nell'istallazione delle telecamere e nella connessa videoripresa, una violenza 'cd. impropria' come ricostruito dall'editto accusatorio, è di tutta evidenza che l'azione ( installazione delle telecamere) ha conseguito immediatamente il suo effetto (ripresa delle attività svolte nella pubblica via dagli abitanti della zona) senza che vi sia stata alcuna fase intermedia e distinta di coartazione della libertà di determinazione delle persone offese, introdotta qui solo attraverso una evidente forzatura dialettica, volta a scindere l'atto di asserita violenza (installazione delle telecamere) dal suo effetto (ripresa video), per cogliere nel secondo l'atto coartato della vittima. (Sez. 5, n. 10132 del 05/02/2018 Ud. (dep. 06/03/2018), Va, cioè, rimarcata la necessità che, ai fini dell'integrazione della fattispecie di violenza privata, vi sia distinzione tra condotta - violenta o minacciosa - ed evento/'costrizione' a cui tale condotta sia finalizzata. ( Sez. 5, n. 1215 del 06/11/2014 - dep. 13/01/2015, Rv. 261743, che ha

sottolineato la necessità, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 610 cod. pen, di un aliquid diverso dal fatto concretante la violenza). La risposta negativa al quesito se, nel caso di specie, così come ricostruito dalla sentenza impugnata, sia ravvisabile la costrizione a tollerare «'qualcosa' di diverso» dai fatti di violenza o minaccia contestati, fa leva sulle connotazioni dell'azione e sul connesso difetto della necessaria alterità rispetto all'evento tipico previsto dalla norma incriminatrice di cui all'art. 610 cod. pen..

7. Quanto, poi, alle successive condotte, di cui pure vi è traccia nell'imputazione, con le quali i ricorrenti avrebbero rappresentato, in plurime occasioni, l'intenzione - peraltro attuata - di sporgere denuncia per i fatti illeciti emergenti dalle videoriprese, trattasi di condotte in ordine alle quali possono al più ritenersi integrati i singoli reati di minaccia, di molestia, di ingiuria, ma non quello di violenza privata. Trattasi, infatti, di un uso strumentale o molesto delle immagini catturate dalle telecamere di videosorveglianza, attuato successivamente a tale azione e, dunque, estraneo allo schema legale della fattispecie di violenza privata. Si è già detto che la definizione di libertà morale comprende sia la libertà di autodeterminazione, che altri aspetti tutelati sotto tale oggettività giuridica, fino a ricomprendervi la tranquillità psichica. Perché ricorra la lesione della libertà psichica occorre, però, che il soggetto passivo percepisca, anche solo in parte, l'azione costrittiva dell'agente, mentre essa viene attuata, dovendosi ritenere che, quando l'azione sia percepita dopo che essa è stata interamente compiuta, il reato configurabile può essere quello di molestie ex art. 660 c.p. (Cass. 6 marzo 1953, Brosio, riv. Pen. 1953, 11, 1032)

8. L'epilogo del presente giudizio di legittimità è l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste, a cui consegue la revoca delle statuizioni rese nei gradi di merito in favore delle costituite parti civili.



P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste e revoca le statuizioni civili.

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Tabella CUNA NC344-20 Adattatore frenatura
Giovedì 23 Maggio 2019 10:46
  Prot. n° 15881 del 20 maggio 2019 - Nuova regolamentazione relativa all'omologazione e alla vigilanza del mercato e dei veicoli agricoli e forestali.

Conversioni - Brasile

Martedì 21 Maggio 2019 13:37
  Prot. n° 15957 del 20 maggio 2019 - Brasile- Accordo di reciprocità in materia di conversione di patenti di guida. Applicazione dell'art. 8 - scambio informazioni.

Accordi internazionali veicoli

Mercoledì 15 Maggio 2019 13:33
  Prot 14756 del 9 maggio 2019 - Accordo internazionale relativo all'adozione di condizioni uniformi di omologazione ed al riconoscimento reciproco delle omologazioni degli accessori e parti di veicoli a motore (Ginevra, 20/03/58).




MIT

Trasporto internazionale di merci. Transito in territorio italiano di semirimorchi immatricolati in Stato non appartenente all'UE pervenuti via mare. Aggancio da parte di veicolo a motore dell’UE

Circolare numero 2 del 28/05/2019

Descrizione breve
Trasporto internazionale di merci. Transito in territorio italiano di semirimorchi immatricolati in Stato non appartenente all'UE pervenuti via mare. Aggancio da parte di veicolo a motore dell’UE

Allegati

Circolare numero 2 del 28 maggio 2019.pdf

MIT

sabato 25 maggio 2019

Notifica Atto Giudiziario - nuove tariffe in vigore da giugno 2019

A partire dal 10 giugno 2019, in linea con le modifiche recentemente apportate alla Legge 890/1982 e con le Delibere attuative dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni in tema di notifiche a mezzo del servizio postale* , varieranno le condizioni di offerta del Servizio Atto Giudiziario di Poste Italiane 

Vedi immagine sopra oppure pdf scaricabile da telegram

giovedì 23 maggio 2019

Direttiva 15 maggio 2019 ex articolo 11 del d.lgs. n. 286/1998 recante il Testo Unico in materia di Immigrazione

Direttiva 15 maggio 2019 ex articolo 11 del d.lgs. n. 286/1998 recante il Testo Unico in materia di Immigrazione

Ministro, dipartimento o ufficio di riferimento: Matteo Salvini
Allegati: La direttiva

giovedì 16 maggio 2019

Circolazione dei veicoli che partecipano a manifestazioni o competizioni sportive in Italia


Ministero dell'Interno
Legge 1 dicembre 2018, n. 132 recante "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell'Interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Delega al Governo in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze di Polizia e delle Forze armate".
Circolazione dei veicoli che partecipano a manifestazioni o competizioni sportive in Italia



(Circ. 300/A/4238/19/149/2018/06 del 14 maggio 2019)

ASAPS


Si fa seguito alla circolare prot. n. 300/A/245/19/149/2018/06 del 10 gennaio 2019 con la quale sono state fomite le prime istruzioni operative per l'attività di controllo degli organi di polizia stradale in materia di circolazione di veicoli stranieri.

In proposito si segnala che, in esito ai lavori di tavoli tecnici, interlocuzioni istituzionali e confronti tra le Amministrazioni interessate, sono stati valutati alcuni contesti che, nell'ambito di questo primo periodo, hanno fatto emergere criticità applicative per le quali sono attualmente in corso i necessari approfondimenti. 

E' stato anche vagliato il tema della circolazione dei veicoli immatricolati all'estero quando partecipano a manifestazioni o competizioni sportive sul territorio nazionale e risultano condotti da piloti residenti in Italia. Le Amministrazioni coinvolte nell'approfondimento sono state concordi nel ritenere che tali ipotesi esulino dalla stretta applicazione dei divieti e delle prescrizioni imposte dall'art. 93, commi 1 bis, 1 ter ed 1 quater, C.d.S, in ragione della peculiare natura che caratterizza la circolazione di tali veicoli.
Infatti, nell'ambito delle predette manifestazioni e competizioni, la conduzione è affidata a piloti intutitu personae, individuati preventivamente in ragione dell'iscrizione alle manifestazioni stesse e l'attività di pilotaggio del veicolo risulta funzionale soltanto allo svolgimento del particolare evento e circoscritta allo sviluppo temporale dello stesso.

Pertanto, nelle more dell'adozione del provvedimento normativo, in corso di predisposizione, con il quale si andranno ad individuare soluzioni per far fronte alle criticità all'attenzione delle Amministrazioni interessate, si ritiene che, in vista dell'imminente inizio della stagione delle competizioni motoristiche su strada, le disposizioni di cui ai richiamati commi 1 bis, 1 ter ed 1 quater dell'art. 93 C.d.S non trovino, stante i presupposti, applicazione per i seguenti casi specifici:

a) conducenti residenti in Italia di veicoli immatricolati all'estero impegnati in competizioni sportive su strada regolarmente autorizzate ai sensi dell'articolo 9, limitatamente alla durata delle competizioni stesse e delle relative tappe di trasferimento;
b) conducenti residenti in Italia di veicoli d'interesse storico o collezionistico e di veicoli d'epoca immatricolati all'estero, limitatamente allo svolgimento di manifestazioni regolarmente autorizzate.

Per tale ultima categoria di veicoli, si sottolinea che, in molti casi, l'immatricolazione estera originaria è necessariamente da conservarsi in ragione del valore storico o collezionistico del bene che, altrimenti, imponendone la reimmatricolazione, perderebbe ogni rilevanza rispetto agli interessi di conservazione del patrimonio culturale, ingegneristico e di storia industriale che tali veicoli, unici nel loro genere, rappresentano.

Le Prefetture - Uffici Territoriali del Governo sono pregate di voler estendere il contenuto della presente ai Corpi o servizi di Polizia Municipale e Provinciale.

giovedì 2 maggio 2019

Sicurezza, terrorismo, estremismo islamico e immigrazione. Indirizzi operativi

Direttiva del ministro dell’Interno N. 11001/114 (1) del 30 aprile 2019
Sicurezza, terrorismo, estremismo islamico e immigrazione. Indirizzi operativi Ministro, dipartimento o ufficio di riferimento: Matteo Salvini
Allegati: La direttiva


La direttiva 108.87 KB 
 
http://www.interno.gov.it/it

OGGETTO: Sicurezza, terrorismo, estremismo islamico e immigrazione. Indirizzi operativi.
 
Gli eventi degli ultimi anni fino ad arrivare ai più recenti attentati che il giorno di Pasqua hanno colpito lo Sri Lanka dimostrano come la tutela della sicurezza nazionale debba costantemente adeguarsi a nuovi profili di rischio, modellandosi su contesti e problematiche che sono, per loro natura, fluidi ed impongono un continuo ed attento processo di affinamento ed aggiornamento di metodi e prassi di intervento.
Il riferimento è innanzitutto al terrorismo di matrice jihadista, la cui perdurante forza attrattiva è tale da innescare processi di radicalizzazione all’interno degli stessi Paesi target, incoraggiando l’attivazione autonoma dei seguaci e traducendosi in un pericolo di carattere puntiforme e sfuggente.

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Altrettanto significativa per le dimensioni assunte è la tendenza alla migrazione di massa, alimentata non solo da conflitti in atto a livello internazionale, ma soprattutto dalla mediazione di trafficanti senza scrupoli, organizzazioni e reti criminali coinvolte nella gestione dei flussi che veicolano come accessibile agli interessati la prospettiva di una vita migliore fuori dai Paesi di origine, alimentando i canali dell’immigrazione clandestina offerti all’eventualità di infiltrazioni terroristiche.
In questo scenario, il grande impegno profuso dalle diverse componenti del nostro comparto sicurezza ha consentito di ostacolare progettualità criminali che si caratterizzano per una accentuata imprevedibilità, estensione e natura poliedrica, sia negli attori che nelle pratiche.
Come testimoniano le risultanze statistiche, la decisa mobilitazione di risorse ed apparati ha permesso di contrastare le suggestioni operative della propaganda, assicurando sul territorio idonei presidi di vigilanza e sicurezza nei luoghi maggiormente a rischio.
L’azione condotta in sinergia da tutti i protagonisti del sistema ha reso possibile la migliore riuscita di eventi, anche di rilievo internazionale, ed il sereno svolgimento di cerimonie ed attività, come quelle in occasione delle recenti festività pasquali, caratterizzate da una notevole affluenza di persone nelle località religiose e turistiche di tradizionale richiamo.
Appare di tutta evidenza come si tratti di un processo complesso e molto delicato che richiede una serrata attività di indagine e monitoraggio volta a cogliere per tempo segnali anticipatori del pericolo sui quali intervenire con immediatezza.
Ciò posto, gli ambiti verso i quali si è rivolta l’attenzione degli operatori sono quelli in cui trova alimento e diffusione l’attività propagandistica ostile di DAESH, con specifico riguardo agli ambienti virtuali del web e ai sempre più numerosi centri di aggregazione, esposti all’ascendente di alcuni “predicatori” di orientamento estremista capaci di attribuire “dignità ideologica” ai propositi violenti, talvolta innescati da condizioni di disagio personale, anche di ordine psichiatrico, di soggetti spesso con trascorsi di criminalità comune.
A conferma degli sforzi compiuti in questa direzione, è sufficiente ricordare il crescente rilievo assunto dalle espulsioni per motivi di ordine e sicurezza pubblica, uno strumento di assoluta efficacia per allontanare, ove ammissibile e necessario, soggetti estremisti.
Tanto premesso, la permanente attualità della minaccia cui si accompagnano episodi di natura emulativa verosimilmente ispirati da influenze mediatiche esigono la massima tensione delle SS.LL. nella ricerca di moduli di osservazione ed analisi delle

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fenomenologie locali capaci di far emergere situazioni sospette meritevoli di intervento.
In considerazione del descritto profilo della minaccia, incarnata anche da singoli radicalizzati istigati dal messaggio propagandistico, occorre riservare una cura particolare alle dimensioni di elezione del proselitismo.
In questa categoria rientra la variegata realtà dei centri di aggregazione e delle associazioni culturali asseritamente ispirate alla fede musulmana, distribuite su tutto il territorio nazionale ma concentrate soprattutto in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte, Sicilia e Toscana. Una presenza in aumento, contraddistinta da differenti ideologie di riferita matrice religiosa, in certi casi orientata a una strumentale interpretazione radicale e intransigente dell’Islam.
Altri circuiti di rilievo sono quelli parentali e relazionali che, tuttavia, risultano di difficile penetrazione.
Nello sviluppo di modelli informativi calibrati sulle singole realtà, capaci di “leggere” i contesti territoriali per prevenire il compimento di qualsivoglia illegalità, un ruolo importante deve essere assegnato alle amministrazioni locali.
Si tratta, come è chiaro, di un impegno di grande portata che fa leva sulla naturale vocazione di quegli enti a “sentinella” delle comunità, volto ad accrescerne la resilienza all’estremismo violento, così da tutelare la sicurezza nazionale.
A tal fine, sarà cura delle SS.LL. valorizzare le opportune forme di collaborazione e di interazione con i suddetti attori istituzionali per la creazione di ulteriori canali informativi, accompagnando la proiezione operativa con una attenta pianificazione delle relative strategie che tenga conto dell’incessante evoluzione del settore.
Il costante raccordo e le interlocuzioni che saranno avviate nelle sedi competenti contribuiranno a rilevare possibili progettualità ostili, intercettando il bacino potenzialmente esteso ed insidioso dei “radicalizzati in casa”. Il patrimonio conoscitivo così acquisito, messo a disposizione delle Autorità, potrà scongiurare l’attivazione violenta dei militanti grazie al ventaglio di misure di prevenzione e contrasto proficuamente impiegato dalle Forze dell’ordine.
Ripongo il massimo affidamento sulla consueta, preziosa collaborazione delle SS.LL., delle Forze di Polizia e delle Amministrazioni locali affinché siano poste in essere tutte le azioni necessarie per garantire la piena attuazione della presente direttiva.
IL MINISTRO
F.to Matteo Salvini

Comunicazione di cessione di fabbricato come se non esistesse...

Comunicazione di cessione di fabbricato nell’ambito di un procedimento di emersione da lavoro irregolare
Cons. St., sez. III, 30 aprile 2019, n. 2801 - Pres. (ff.) Ferrari, est. Manzione

  • Straniero - Emersione lavoro irregolare - Cessione fabbricato - Comunicazione - Omissione - Conseguenza.

La comunicazione di cessione di fabbricato di cui all’art. 7, d.lgs. n. 286 del 1998 non consegnata all’Ufficio di P.S. competente a riceverla è tamquam non esset in quanto non ha esplicato la funzione di mettere l’Amministrazione a conoscenza dell’ ospitalità resa allo straniero; la produzione del relativo modulo nell’ambito di un procedimento di emersione da lavoro irregolare, pertanto, non accompagnata da dichiarazioni mendaci sul punto, è inidonea a dimostrare la disponibilità di un alloggio da parte dello straniero, ma non determina ex se la nullità del contratto di soggiorno ai sensi dell’art. 5, comma 12, del d.lgs. 16 luglio 2012, n. 109; l’adempimento, ancorché tardivo, all’obbligo di comunicazione, non incide sulla pregressa sussistenza di fattispecie di illeciti, ma deve comunque essere valutato dall’Ufficio in sede di istruttoria dell’istanza di emersione, se non altro quale elemento sopraggiunto ai sensi dell’art. 5, comma 5, d.lgs. n. 286 del 1998 (1).

(1) La Sezione affronta il tema della non veridicità dei fatti sulla base dei quali vieni stipulato il contratto di soggiorno, necessario nell’ambito della procedura di emersione da lavoro irregolare a vantaggio di uno straniero (art. 5, comma 12, d.lgs. n. 16 luglio 2012, n. 109). Non integra ex se un dato non rispondente al vero la produzione di un documento inidoneo a comprovare la disponibilità di un alloggio rientrante nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica da parte del lavoratore straniero. Tale deve ritenersi il modulo della comunicazione di cessione del fabbricato ove effettivamente lo straniero dimora, compilato con dati veritieri, ma privo del timbro dell’ufficio presso il quale avrebbe dovuto essere presentato nel termine di 48 ore di cui all’art. 7, d.lgs. n. 286 del 1998.
 https://www.giustizia-amministrativa.it