martedì 31 marzo 2015

Festivi infrasettimanli e turni

Argomento che conta già copiosa giurisprudenza, compresa la Corte di Cassazione, sulla quale si pronuncia il Tribunale di Pavia, sezione lavoro, che con la sentenza depositata in data 12 febbraio 2015 va in netta controtendenza rispetto all'orientamento degli ermellini. Infatti, così conclude e motiva la pronuncia:
"... non può essere condivisa la giurisprudenza di legittimità che considera il lavoro prestato nei giorni di festività infrasettimanali, cadenti nel turno, come prestazione che non eccede il normale orario di lavoro, con la conseguenza che non spetta il riposo compensativo o la retribuzione prevista per il lavoro straordinario. In questo senso si è espressa anche altra giurisprudenza di merito. Con sentenza del 12.05.2010, il Tribunale di Napoli ha chiarito che: '... la volontà delle parti deve interpretarsi nel senso di aver riconosciuto che il turno di lavoro prestato in giornata festiva infrasettimanale comporta il diritto al recupero delle ore lavorate per evitare il superamento del monte orario di 36 ore settimanali. Ove tale recupero non sia assicurato dalla richiesta di uno specifico riposo compensativo, la prestazione lavorativa viene considerata come prestazione straordinaria festiva ai fini della maggiorazione retributiva. Così costruita la fattispecie appare evidente che essa sottende a finalità affatto diverse all'indennità di tuno festivo che è destinata a compensare non una prestazione straordinaria bensì quella ordinariamente resa nell'articolazione di un turno, in ragione del disagio derivante dalla particolare articolazione del lavoro. Devono pertanto ritenersi cumulabili l'uno e l'altro compenso'. Ancora più focalizzata sul punto della questione e che si condivide pienamente risulta altra sentenza del Tribunale di Napoli, del 13.01.2010, secondo cui: '... che poi vi sia coincidenza tra turno infrasettimanale non toglie che il lavoratore che presti la propria attività durante la settimana in coincidenza con un giorno in cui vi è una ricorrenza civile o religiosa, affronti un diverso e ulteriore sacrificio, quello di non potersi astenere dal rendere la prestazione lavorativa che, come noto, ha consistenza di diritto soggettivo, partecipando alla vita familiare, religiosa, sociale, di relazione ... poichè il disagio derivante dalla variabilità della fascia oraria è all'evidenza del tutto differente da quello legato alla impossibilità di partecipare alla festività non vi è ragione per negare questa seconda al lavoratore turnista che, peraltro, sarebbe anche sfavorevolmente discriminato nei confronti di quei lavoratori non turnisti che per la prestazione lavorativa resa nel giorno festivo infrasettimanale beneficiano a loro scelta o del riposo o della maggiorazione per straordinario'. Per tutti i sopra esposti motivi, non si condividono gli arresti giurisprudenziali espressi dalla Suprema Corte nel 2010 e nel 2012, secondo cui: '... per i lavoratori in turno, deve trovare applicazione la sola speciale disciplina dettata dall'art. 22, mentre l'art. 24 ha ad oggetto fattispecie lavorative ed ipotesi diverse dal turno. Soltanto il lavoratore in turno chiamato a prestare, in via eccezionale ovvero occasionale, la propria attività nella giornata di riposo settimanale che gli compete in base al turno assegnato, ovvero in giornata festiva infrasettimanale al di là dell'orario ordinario, ha diritto all'applicazione della disciplina dell'art. 24, comma 2. Infatti l'art. 24 contempla, ai primi tre commi, l'ipotesi di eccedenza, in forza del lavoro prestato in giorno non lavorativo, rispetto all'orario normale di lavoro, mentre l'art. 22 compensa il disagio del lavoro secondo turni, turni nei quali possono cadere giornate festive infrasettimanali, ma senza che la prestazione ecceda il normale orario di lavoro' (cfr. Cassazione, sentenza del 09.04.2010, n. 8548, nonchè sentenza del 24.02.2012, n. 2888, nonchè sentenza del 12.12.2012, n. 22799). Alla luce di quanto sopra, in accoglimento del ricorso, deve essere accertata e dichiarata l'applicabilità ai ricorrenti dell'art. 24, comma 2, CCNL Comparto Enti Locali del 14.09.2000. Conseguentemente, deve essere accertato e dichiarato il diritto dei ricorrenti al riposo compensativo o alla corresponsione del compenso per lavoro straordinario di cui all'art. 24, comma 2, CCNL in questione, per l'attività prestata in giorno festivo infrasettimanale".

da Publica.it

Sentenza tribunale di Pavia sezione lavoro del 12.02.2015

Regione Sicilia:Pubblicato il regolamento "Albergo Diffuso"

Con decreto presidenziale del 2 febbraio 2015, n. 7 (pubblicato sul supplemento ordinario della  G.U.R.S. n. 13 del 27 marzo 2015), sono state approvate le “Norme per il riconoscimento  dell’albergo diffuso in Sicilia”.

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La mobilità nel pubblico impiego

E’ stato registrato dalla Corte dei Conti lo scorso 11 marzo il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di definizione dei criteri di utilizzo e modalità di gestione delle risorse del fondo destinato al miglioramento dell'allocazione del personale presso le pubbliche amministrazioni ai sensi dell'articolo 30, comma 2.3, del d.lgs. 165/2001. Esso detta le regole per la distribuzione delle risorse per il finanziamento della mobilità volontaria. Occorre in premessa ricordare che solo alcune fattispecie di mobilità sono finanziate con specifici fondi.
La Funzione Pubblica ha inoltre stabilito che entro il 13 aprile tutte le PA devono trasmettere in modalità telematica le informazioni sui posti disponibili per la sistemazione del personale degli enti di area vasta che sarà collocato in mobilità.
LE NOZIONI
Il provvedimento detta le definizioni della mobilità volontaria, della mobilità volontaria sperimentale, della mobilità d’ufficio, della mobilità obbligatoria tra PA, della mobilità funzionale e della mobilità preliminare alla indizione di pubblici concorsi. Detta inoltre le definizioni della mobilità da finanziare con le risorse per le assunzioni e di mobilità neutrale per le pubbliche amministrazioni. Vengono dettate ulteriori definizioni che riguardano il bando di mobilità, il fondo per la mobilità e le amministrazioni pubbliche.
Vediamo le differenze tra le varie tipologie di mobilità:
  1. la mobilità volontaria è disciplinata dal comma 1 dell’articolo 30 del DLgs n. 165/2001, cioè essa si intende come il passaggio diretto sulla base di domande e previa autorizzazione dell’ente presso cui si presta servizio;
  2. la mobilità volontaria sperimentale è da intendere come “procedure che interessano sedi centrali di differenti ministeri, agenzie ed enti pubblici non economici nazionali per le quali non è richiesto l’assenso dell’amministrazione di appartenenza”. Esse devono essere disposte entro 2 mesi dalla richiesta, “fatti salvi i termini per il preavviso e a condizione che l’amministrazione di destinazione abbia una percentuale di posti vacanti superiore a quella dell’amministrazione di appartenenza”;
  3. la mobilità d’ufficio è da intendere come disposta nella “stessa amministrazione in sedi collocate nel territorio dello stesso comune ovvero a distanza non superiore a 50 km della sede in cui sono adibiti i lavoratori” (ricordiamo che questo istituto è stato introdotto dal DL n. 90/2014);
  4. la mobilità obbligatoria tra PA è da intendere come “disposta, anche senza l’assenso del lavoratore, previo accordo tra amministrazioni pubbliche, in altra amministrazione la cui sede è collocata nel territorio dello stesso comune ovvero a distanza non superiore a 50 km dalla sede in cui sono adibiti” (anche questo istituto, lo ricordiamo, è stato introdotto dal DL n. 90/2014);
  5. la mobilità funzionale è da intendere come la sommatoria di quella d’ufficio e di quella obbligatoria tra PA. Essa è “disposta o derivante dai criteri definiti con decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione previa consultazione” con i soggetti sindacali ed intesa in sede di Conferenza Unificata “anche con passaggi diretti di personale tra amministrazioni senza preventivo accorso, per garantire l’esercizio delle funzioni istituzionali da parte delle amministrazioni che presentano carenze di organico” (questo istituto è stato introdotto dal DL n. 90/2014);
  6. la mobilità preliminare all’indizione di pubblici concorsi è obbligatoria per tutte le amministrazioni pubbliche;
  7. la mobilità da finanziare con le risorse per le assunzioni è quella che si svolge tra PA “delle quali almeno una non è soggetta a limitazioni delle assunzioni”;
  8. la mobilità neutrale per la finanza pubblica si svolge tra amministrazioni che hanno vincoli e/o limiti alle assunzioni, per cui la utilizzazione in uscita di questo istituto non determina “risparmio utile per definire l’ammontare delle disponibilità finanziarie da destinare alle assunzioni o il numero delle unità sostituibili in relazione alle limitazioni del turn over;
  9. per bando di mobilità si intende quello dell’amministrazione che avvia le procedure e che va pubblicato sul sito per almeno 30 giorni indicando i posti, i requisiti e le competenze professionali ed i criteri di scelta;
  10. la disciplina del fondo di mobilità è “prevista dall’articolo 30, comma 2.3, del DLgs n. 165/2001 istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze”;
  11. per PA si devono intendere quelle di cui all’articolo 1, comma 2, del DLgs n. 165/2001, cioè la nozione ormai consolidata.
LE INDICAZIONI
Il DPCM ricorda che le mobilità sono ordinariamente finanziate dalle singole amministrazioni; l’eccezione del finanziamento attraverso lo specifico fondo si realizza esclusivamente nei casi previsti da specifiche disposizioni di legge, per mobilità funzionale ove previsto nello specifico decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione ed infine nella mobilità volontaria o obbligatoria con conclamata carenza di personale in cui il ricorso a questo istituto sia necessario per garantire il corretto funzionamento degli uffici. Non si può dare luogo al finanziamento in caso di mobilità che sono finanziate con le risorse destinate alle nuove assunzioni, di norma la mobilità sperimentale, la mobilità d’ufficio e la mobilità preliminare alla indizione dei concorsi pubblici.
Esso inoltre stabilisce che può essere richiesto l’accesso al fondo specificando che le singole amministrazioni cedenti devono impegnarsi a corrispondere il 50% del trattamento economico in godimento da parte del personale trasferito in mobilità. Occorre che siano indicate le specifiche motivazioni. Le risorse saranno distribuite dal Consiglio dei Ministri sulla base di relazioni predisposte da Funzione Pubblica e Ragioneria Generale dello Stato e queste risorse saranno trasferite fino a che questi dipendenti continueranno ad essere in servizio.
Il fondo è alimentato con le risorse previste dal legislatore e con il 50% del trattamento economico in godimento da parte del personale interessato dai processi di mobilità.
LA RICOGNIZIONE DEI POSTI PER LA RICOLLOCAZIONE DEL PERSONALE IN MOBILITA’
Il Dipartimento della Funzione Pubblica ha dettato le prime indicazioni sulla ricollocazione del personale interessato da processi di mobilità.
Le amministrazioni pubbliche, entro il prossimo13 aprile , devono inviare in modalità telematica le informazioni relative a:
A) dotazione organica;
B) unità di personale a tempo indeterminato e a tempo determinato;
C) unità di personale cessato nel 2014;
D) previsioni di cessazione per l'anno 2015 e l'anno 2016;
E) numero di posti destinato ai vincitori collocati nelle graduatorie vigenti di concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato di ciascuna amministrazione.
E’ stato aggiunto dallo stesso Dipartimento della Funzione Pubblica che “con la rilevazione in oggetto, le amministrazioni pubbliche adempiono anche all'obbligo di comunicazione di cui all'articolo 33, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in merito alle eventuale presenza di situazioni di soprannumero o comunque di eccedenze di personale”.
 

Risoluzione n. 45757 del 19 marzo 2014 - Registri di P.S. previsti dagli artt. 120 e 126 del T.U.L.P.S. – Imposta di bollo e/o tassa di concessione governativa


La risoluzione n. 45757 del 19 marzo 2014 diffonde il contenuto della nota del Ministero dell’Interno del 26-02-2014, n. 557/PAS/U/003489, con la quale la medesima Amministrazione ha risposto ad un quesito formulato da un Comune che chiedeva informazioni in merito all’assoggettabilità dei registri di cui all’oggetto all’obbligo dell’imposta di bollo.

Risoluzione n. 45757 del 19 marzo 2014 (formato pdf, 116 kb)

venerdì 27 marzo 2015

Riqualificazione periodica di bombole per il contenimento di metano per autotrazione di tipo CNG4 installate sui veicoli, di categoria M1 ed N1, sin dall'origine ed omologati secondo la direttiva 2007/46/CEE

Circolare Prot. 7865 del 27/03/2015
emessa da: Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti
Titolo/Oggetto
Divisione 3: Riqualificazione periodica di bombole per il contenimento di metano per autotrazione di tipo CNG4 installate sui veicoli, di categoria M1 ed N1, sin dall'origine ed omologati secondo la direttiva 2007/46/CEE
documenti da scaricare

martedì 24 marzo 2015

La nota del Segretario Nazionale in merito all'articolo del IlSole24Ore


Sulla pagina Enti Locali de Il Sole 24 Ore, della quale riportiamo il link, è stato pubblicato recentemente un articolo dal titolo: "Indennità e ordinamenti diversi per Polizia locale e Polizia di Stato"
La disamina della giornalista è chiara, anche se non nuova.
Noi facciamo la nostra altrettanta chiara e puntuale. Per uscire da questo pantano giuridico, bisogna cambiare l'ordinamento della polizia locale, modificando radicalmente lo status giuridico nel suo complesso (normativo ed economico) E' di sostanziale importanza che la Polizia Locale, seppur all'interno del comparto negoziale delle autonomie locali, sia organizzata come forza di polizia, sottoposta alle norme di diritto pubblico. Questa è la chiave (inglese) di lettura e di rottura di un sistema che penalizza la figura, le funzioni ed il lavoro della polizia locale nei territori.

I sindacati di categoria sono chiamati a condurre la lotta su questo terreno, che sta diventando ogni giorno più friabile e rischia di franare sotto i colpi pesanti della politica e dell'attuale governo nazionale. A tal proposito non si può non fare una considerazione notevole, quanto amara, sulla grande responsabilità, che pesa su quei sindacati di categoria che hanno preferito coltivare l'orto delle proprie vanità e dell'autoreferenzialità, fino al limite dell'autocelabrazione e che, di fronte al pericolo di perdere certi privilegi, si sono accasati in più "favorevoli condomini". Ma, di fatto, si sono annullati confluendo nel mare magnum della confusione, lasciando che la problematica particolare e speciale della Polizia Locale, venga inglobata in quella più generale ed ordinaria del pubblico impiego.
Chi, invece, tra le organizzazioni sindacali di categoria ha mantenuto l'identità e l'autonomia, ha le carte in regole per continuare la battaglia nel grande progetto di unire la categoria attorno all'unico obiettivo possibile e realizzabile, quello del riscatto ontologico e del riconoscimento istituzionale dei vigili urbani quale forza di polizia delle autonomie locali, sulla scorta di un ordinamento di diritto pubblico.
Non vi è altra via e l'unico sindacato di categoria ed autonomo rimasto attivo dopo la mattanza degli apparentamenti, prima ed elettorale, poi, è il Silpol, la cui voce è rimasta forte e chiara anche a rischio di apparire corporativo e la cui presenza nel panorama istituzionale è certificata senza infingimenti, nonchè avvalorata nelle conferme alle elezioni delle r.s.u.. Ma se essere corporativi vuol dire essere baluardo di lotta, allora è un bene. Purtroppo, ci duole dirlo, ma la categoria non risponde. Non risponde agli appelli al cambiamento ed alla rinascita, mentre preferisce caldeggiare le scelte teatrali dei soliti imbonitori ed affabulatori, che hanno adottato il massimalismo concettuale come metodo di lotta sindacale contrariamente a quell'etica della prassi, che invece non deve prescindere dalla difesa e dalla resistenza "sistematica" agli attacchi rivolti incessantemente alla nostra categoria. Il SILPoL rilancia l'appello a tutte le oo.ss. autonome e di categoria, affinchè ci si stringa attorno ad un disegno unitario di riforma dell'ordinamento della polizia municipale, mettendo persino in discussione le diverse "poltrone di comando, per fondare un coordinamento nazionale, progettuale e operativo, che dia alla politica il segno tangibile e forte che in Italia esiste una ed una sola Polizia Locale, nell'unità di intenti su tutto il territorio nazionale. Nella massima onestá intellettuale.
Nello Russo (Segr. Naz).
17/03/2015


Novità in materia di SCIA

In Commissione affari istituzionli, il ddl 1577 Riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche L’articolo 4, comma 1 nel testo licenziato nelle sedute del nelle sedute del 10, dell'11 , del 12 , del 17 e del 18 marzo 2015, prevede che:

Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per la precisa individuazione dei procedimenti oggetto di segnalazione certificata di inizio attività o di silenzio assenso, ai sensi degli articoli 19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché di quelli per i quali è necessaria l'autorizzazione espressa, e di quelli per i quali, in base alla legislazione vigente, è sufficiente una comunicazione preventiva introducendo anche la disciplina generale delle attività non assoggettate ad autorizzazione preventiva espressa, compresa la definizione delle modalità di presentazione e dei contenuti standard degli atti degli interessati e di svolgimento della procedura, anche telematica, nonché degli strumenti per documentare o attestare la produzione degli effetti prodotti dai predetti atti, sulla base dei princìpi e criteri direttivi desumibili dagli stessi articoli, dei princìpi del diritto dell’Unione europea relativi all'accesso alle attività di servizi e dei princìpi di ragionevolezza.

Fonte:M.Bombi http://www.marilisabombi.it
qui il testo

venerdì 20 marzo 2015

Rottami ferrosi, non è mai commercio “ambulante"

Corte di Cassazione, Sezione 3 penale  Sentenza 22 gennaio 2015, n. 2864

Smaltimento di rifiuti - Albo gestori ambientali - Mancata iscrizione - Articolo 256 comma 1 decreto legislativo 152 del 2006 - Condanna - Presupposti - Reato istantaneo - Ricevuta privata - Articolo 121 tulps - Deroghe - Liberalizzazione - Criteri - Decreto legislativo 114 del 1998 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIALE Aldo - Presidente
Dott. DI NICOLA Vito - Consigliere
Dott. RAMACCI Luca - rel. Consigliere
Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro Mar - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ASTI;

nei confronti di:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 1831/2013 GIP TRIBUNALE di ASTI, del 06/12/2013;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RAMACCI LUCA;

lette le conclusioni del PG Dott. PRATOLA G. annullamento con rinvio c/o GIP Tribunale di Asti.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Asti, con sentenza del 6.12.2013, ha assolto (OMISSIS), nei confronti del quale il Pubblico Ministero aveva richiesto l'emissione di decreto penale di condanna per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 1, perche' effettuava attivita' di raccolta e trasporto di rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi (per lo piu' rottami ferrosi) in assenza della prescritta iscrizione all'Albo dei gestori ambientali di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 212, (fatto commesso in (OMISSIS)).

Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti.

2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge e rileva che il G.I.P. ha fondato la propria decisione sull'assenza di "professionalita'" rilevante ai sensi del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, nella condotta oggetto di contestazione e sulla circostanza che, a seguito dell'abrogazione della norma istitutiva del registro degli esercenti dei mestieri girovaghi ai sensi dell'articolo 121 TULPS, l'attivita' di raccolta e trasporto di rifiuti in forma ambulante deve ritenersi liberalizzata in quanto non soggetta a specifici provvedimenti autorizzativi.

Cio' posto, osserva che la decisione impugnata si porrebbe in contrasto con il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, secondo cui il reato contemplato dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, ha natura di reato comune ed istantaneo e che in ogni caso, pur non aderendo a tale tesi interpretativa, considerando quindi il reato in questione come reato proprio, la questione non muterebbe, in quanto la condotta posta in essere dall'imputato, per le sue caratteristiche oggettive, sarebbe in ogni caso caratterizzata dalla necessaria "professionalita'" o "imprenditorialita'", risultando dagli atti di causa che, in occasione dell'attivita' di osservazione da parte della polizia giudiziaria, protrattasi per alcuni mesi, era emerso che questi aveva conferito i rifiuti raccolti ad un centro di recupero con idoneo mezzo di trasporto utilizzando la cd. "ricevuta private", la quale attesta che i rifiuti sono prodotti dal soggetto conferente, pur non essendo egli titolare di un'impresa dall'esercizio della quale derivano rifiuti.

Aggiunge che, in ogni caso, se il giudice avesse nutrito dubbi in proposito avrebbe dovuto, al piu', rigettare la richiesta di decreto penale e non anche pronunciare una sentenza assolutoria.

Per cio' che concerne, inoltre, la lettura del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 266, comma 5, offerta dall'impugnata sentenza, premessa l'analisi della normativa di settore e richiamate le precedenti pronunce di questa Corte in materia, rileva che la parziale abrogazione dell'articolo 121 TULPS non avrebbe di fatto liberalizzato, come ritenuto dal giudice, l'esercizio dell'attivita' di raccolta e trasporto di rifiuti in forma ambulante, essendo stata, al contrario, ripristinata la norma generale che impone l'obbligo di iscrizione all'Albo dei gestori ambientali ai sensi del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 212.

Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.

2. Il Procuratore Generale, nella requisitoria depositata, ha concluso per l'annullamento dell'impugnata sentenza con rinvio al Giudice per le indagini preliminari.

In data 26/11/2014 il Pubblico Ministero ricorrente faceva pervenire memoria ad ulteriore sostegno delle proprie ragioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e' fondato nei termini di seguito specificati.

Va premesso che il Pubblico Ministero ricorrente sottopone a questa Corte, sostanzialmente, due questioni: l'una concernente la natura del reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, e l'altra l'ambito di operativita' della deroga prevista dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 266, comma 5, per le attivita' di raccolta e trasporto di rifiuti in forma ambulante, ritenute entrambe rilevanti per confutare le argomentazioni poste a sostegno del provvedimento impugnato.

Il G.I.P. assume, infatti, che l'iscrizione richiesta dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 212, riguarda esclusivamente l'attivita' di gestione di rifiuti svolta in forma imprenditoriale, cosicche' la sua mancanza assumerebbe rilievo penale solo in tale ipotesi, restando quindi estranea la condotta di coloro che, come l'imputato, agiscono su piccola scala, raccogliendo modeste quantita' di rifiuti abbandonate o consegnate dai privati.

Osserva, inoltre, che il riferimento, contenuto nel Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 266, comma 5, ai "soggetti abilitati" allo svolgimento dell'attivita' di raccolta e trasporto in forma ambulante sarebbe frutto di una svista del legislatore o del mancato coordinamento tra norme, non essendosi tenuto conto dell'abrogazione della norma istitutiva del registro degli esercenti mestieri girovaghi, cui conseguirebbe l'inevitabile liberalizzazione dell'attivita' medesima, non potendosi peraltro ritenere ragionevole un'interpretazione che subordini l'operativita' della deroga di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 266, comma 5, al possesso dei requisiti soggettivi richiesti dalla disciplina del commercio introdotta con il Decreto Legislativo n. 114 del 1998, trattandosi di disposizioni il cui ambito di operativita' e' del tutto diverso da quello delineato per il Decreto Legislativo 152 del 2006.

2. Date tali premesse, occorre rilevare come il presente ricorso riguarda identiche questioni gia' sottoposte all'attenzione di questa Corte nell'ambito di altro procedimento facente parte del medesimo gruppo di procedimenti avviati dalla Procura della Repubblica di Asti.

Deve conseguentemente richiamarsi integralmente il contenuto della precedente decisione (Sez. 3 , n. 29992 del 24/6/2014, Lazzaro, non ancora massimata) all'esito della quale venivano formulati i seguenti principi di diritto:

"la condotta sanzionata dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 1, e' riferibile a chiunque svolga, in assenza del prescritto titolo abilitativo, una attivita' rientrante tra quelle assentibili ai sensi degli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 del medesimo decreto, svolta anche di fatto o in modo secondario o consequenziale all'esercizio di una attivita' primaria diversa che richieda, per il suo esercizio, uno dei titoli abilitativi indicati e che non sia caratterizzata da assoluta occasionalita'".

"la deroga prevista dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 266, comma 5, per l'attivita' di raccolta e trasporto dei rifiuti prodotti da terzi, effettuata in forma ambulante opera qualora ricorra la duplice condizione che il soggetto sia in possesso del titolo abilitativo per l'esercizio di attivita' commerciale in forma ambulante ai sensi del Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e, dall'altro, che si tratti di rifiuti che formano oggetto del suo commercio".

3. Va infine rilevato che il Pubblico Ministero ricorrente, con la memoria in data 11/11/2014 (pervenuta il 26/11/2014) critica la summenzionata decisione di questa Sezione (Sez. 3 , n. 29992 del 24/6/2014, Lazzaro,Rv. 260266) nella parte in cui ritiene applicabile la deroga di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 266, comma 5, nei casi in cui il soggetto interessato sia in possesso del titolo abilitativo per l'esercizio di attivita' commerciale in forma ambulante ai sensi del Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e che si tratti di rifiuti che formano oggetto del suo commercio.

Sostiene infatti il Pubblico Ministero, richiamando il contenuto dell'articolo 121 TULPS, che la deroga non sarebbe, di fatto, operante dovendosi, quindi, applicare anche alla raccolta ed al trasporto ambulante di rifiuti la disciplina ordinaria.

Si afferma, nella memoria, come appaia plausibile che il legislatore, pur riferendosi improvvidamente, nella Legge 426 del 1998, al commercio ambulante, avesse voluto fare riferimento, invece, all'articolo 121 TULPS, il quale contemplava le attivita' di "cenciaiolo" e mestieri analoghi, richiamando, a sostegno della fondatezza delle proprie affermazioni, il contenuto delle disposizioni in tema di commercio ambulante, succedutesi nel tempo ed osservando come tale disciplina non si attagli ai raccoglitori itineranti di rifiuti, i quali svolgono un'attivita' del tutto diversa, assimilabile a quella del commerciante all'ingrosso o dell'intermediario.

Si aggiunge, poi, che il Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 266, comma 5, nel riferirsi ai rifiuti non considera la loro classificazione, in base alla quale dovrebbe concludersi che non resta spazio alcuno per l'attivita' di raccolta ambulante dei rifiuti, che, pertanto, non rientrerebbe nella deroga, riferendosi la stessa alle sole attivita' precedentemente disciplinate dall'articolo 121 TULPS.
A conferma della tesi nuovamente prospettata la memoria richiama una proposta di legge, non meglio indicata, relativa all'interpretazione autentica del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 266, comma 5, in base alla quale la deroga sarebbe applicabile, come pure indicato nella relazione illustrativa, ai soggetti che, sulla base delle disposizioni vigenti in tema di commercio ambulante (richiamato espressamente il Decreto Legislativo 114 del 1991), siano autorizzati al commercio al dettaglio, su aree pubbliche, di beni usati ovvero di oggetti di antiquariato e da collezionismo non aventi valore storico - artistico, riferendosi esplicitamente la relazione a chi svolge attivita' di "robivecchi" o assimilate.

4. Osserva a tale proposito il Collegio che la sentenza 29992/2014, diversamente da quanto ritenuto dal Pubblico Ministero ricorrente, non si pone affatto su un piano diverso, perche', richiamato quanto gia' precisato in precedenti pronunce della Sezione sul fenomeno del "commercio ambulante di rifiuti", ha chiaramente delimitato l'ambito di efficacia della deroga di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 266, comma 5, alle sole ipotesi in cui sia effettivamente applicabile la disciplina sul commercio ambulante di cui al Decreto Legislativo n. 114 del 1998, e tale applicabilita' sia dimostrata dall'interessato ed accertata in fatto dal giudice del merito, escludendosi, conseguentemente, che l'attivita' di raccolta e trasporto di rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi consistenti, per lo piu', in rottami ferrosi (quale e' quella oggetto dell'imputazione nel presente procedimento) possa rientrare nella nozione di commercio ambulante come individuata dal menzionato Decreto Legislativo 114 del 1998.

Ulteriore conseguenza di tale interpretazione e' che l'ambito di operativita' della deroga e' proprio limitata, come sembra ritenere il Pubblico Ministero con il richiamo alla proposta di legge di interpretazione autentica, ad ipotesi residuali quali quelle della vendita su aree pubbliche di cose del tipo di quelle descritte nella proposta di legge medesima.

5. L'unica differenza, a questo punto senza alcun effetto concreto, resta il riferimento all'articolo 121 TULPS che proprio l'esplicita menzione del Decreto Legislativo n. 114 del 1998 operato dalla proposta di legge, cui il Pubblico Ministero attribuisce un rilevante significato, sembra peraltro escludere.

La sentenza 29992/2014, invero, contiene (pag. 9, punto 10) un esplicito richiamo ad altra precedente pronuncia (Sez. 3 n. 19111 del 3/5/ 2013, Mihalache, non massimata) nella quale la questione era stata gia' affrontata, riportandone nel dettaglio i punti salienti della motivazione.

Tra questi, merita di essere ancora una volta ricordato quello concernente espressi richiami ai contenuti del Decreto Legislativo n. 114 del 1998 e, segnatamente, alla definizione, contenuta nell'articolo 4, comma 1, lettera b), di "commercio al dettaglio", descritto come "l'attivita' svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o mediante altre forme di distribuzione, direttamente al consumatore finale".

Si aggiunge, poi, che la disciplina astrattamente applicabile e' quella regolata dal Titolo X, relativo al commercio al dettaglio su aree pubbliche, definite, dall'articolo 27, comma 1, lettera b), come "le strade, i canali, le piazze, comprese quelle di proprieta' privata gravate da servitu' di pubblico passaggio ed ogni altra area di qualunque natura destinata ad uso pubblico" e che l'attivita' commerciale esercitabile e', inoltre, quella indicata dall'articolo 18, comma 1, lettera b), e, cioe', quella che puo' essere svolta "su qualsiasi area purche' in forma itinerante" e soggetta all'autorizzazione di cui al successivo comma 4, rilasciata, in base alla normativa emanata dalla Regione, dal Comune nel quale il richiedente, persona fisica o giuridica, intende avviare l'attivita'.

Rinviando, per le ulteriori considerazioni sui rapporti tra le diverse discipline a quanto prospettato nelle precedenti decisioni, deve ricordarsi che, tra l'altro, nella sentenza si e' anche esplicitamente rilevato come "la deroga e' giustificata dalla valutazione di minor pericolosita' per la salute e per l'ambiente operata dal legislatore con riguardo ad una attivita' che poteva pacificamente ricondursi a quella dei cd. robivecchi", escludendo chiaramente che essa possa essere utilizzata "per legittimare attivita' diverse che richiedono, invece, il rispetto delle disposizioni di carattere generale".

Inoltre, si e' ulteriormente chiarito, in motivazione, che "il Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 266, comma 5, spieghera' i suoi effetti solo nel caso in cui si verifichino le condizioni suddette, dovendosi applicare, in tutti gli altri casi, la disciplina generale sui rifiuti".

5. Cio' posto, e' di tutta evidenza che quanto paventato dal Pubblico Ministero nella memoria e, cioe', che per attivita' quale quella oggetto di imputazione possa essere richiesta ed ottenuta un'autorizzazione per l'attivita' svolta in forma itinerante, e' del tutto impensabile, perche' giammai una simile attivita' potrebbe essere astrattamente riconducibile a quelle descritte dal Decreto Legislativo n. 114 del 1998, ed esercitata in concreto con le modalita' che lo stesso decreto stabilisce.

5. La sentenza impugnata deve conseguentemente essere annullata con rinvio, richiamando i summenzionati principi cui il giudice del merito dovra' attenersi.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Asti.


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giovedì 19 marzo 2015

Indennità e ordinamenti diversi per Polizia locale e Polizia di Stato


Una delle richieste sindacali avanzate attualmente dagli addetti alle Polizie locali consiste nell'estensione anche a loro dell'indennità di pubblica sicurezza di cui godono i Corpi di polizia. A questo proposito paiono interessanti alcune precisazioni sia sull'indennità in questione sia sulle diverse caratteristiche di Polizia di Stato e Polizia locale.

L'indennità di pubblica sicurezza e quella di vigilanza

L'indennità di pubblica sicurezza ha radici legislative di difficile cronologia e probabilmente può essere fatta risalire all'indennità concessa ai dipendenti statali appartenenti alle Forze di Polizia dal Rd n. 690 del 1907 e ai militari dell'Arma dei Carabinieri in servizio di pubblica sicurezza dal Rd 19 aprile 1910, n. 880.
Da allora l'istituto ha subito numerose modifiche, tra le quali va ricordata soprattutto la legge 23 dicembre 1970, n. 1054 del 1970 (Norme per il riordinamento della indennità mensile per servizi di istituto dovuta alle forze di polizia ed al personale civile dell'amministrazione penitenziaria).
Agli addetti alle Polizie locali si applica invece l'indennità cosiddetta di vigilanza, che nasce con l'articolo 34 del Dpr n.268 del 1987 (di recepimento dell'accordo dall'accordo sindacale per il triennio 1985-1987 relativo al comparto del personale degli enti locali) e che viene riconosciuta a quanti il Prefetto attribuisca la qualità di agente di pubblica sicurezza ai sensi dell'articolo 5 della legge n.65 del 1986 (Legge-quadro sull'ordinamento della polizia municipale).
Si tratta perciò di indennità la cui origine è profondamente diversa: strettamente legislativa per la prima, frutto di contrattazione collettiva la seconda. 
 
Leggi  qui l'articolo completo su "Sole 24 Ore" di Roberta Bortone

Veicoli adibiti trasporto merci

Prot. 5681 del 16 marzo 2015 - art. 94, comma 4bis del Codice della strada Disposizioni in materia di disponibilità temporanea, per comodato o locazione senza conducente, di veicoli adibiti al trasporto merci.

immatricolazione veicoli fine serie_Direttiva 2007/46/CE e successive modifiche ed integrazioni_Regolamento CE 661/2009_ultima data di immatricolazione 31.10.2014

Circolare Prot. 6726 del 17/03/2015
emessa da: Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti
Titolo/Oggetto
div. 3_6726_17032015_immatricolazione veicoli fine serie_Direttiva 2007/46/CE e successive modifiche ed integrazioni_Regolamento CE 661/2009_ultima data di immatricolazione 31.10.2014
documenti da scaricare

martedì 17 marzo 2015

Servizio di Taxi sharing a Palermo

Via a Palermo al "Taxi condiviso": tutti i percorsi e le tariffe (tratto da www.gds.it)


PALERMO. Percorsi, modalità di chiamata e tariffe : è tutto pronto per il servizio di Taxi sharing. La Giunta comunale ha approvato la delibera che definisce le linee guida e dà il via al cosiddetto "Taxi condiviso".

“Un’occasione in più per la mobilità cittadina”, ha dichiarato l’assessora alle Attività produttive Giovanna Marano.

I percorsi individuati sono sei in totale, di cui cinque urbani e uno extraurbano. Percorso 1 - urbano: partenza dalla Stazione Centrale, passaggio intermedio piazza Ruggero Settimo, arrivo piazza Alcide De Gasperi e viceversa. Percorso 2 - urbano: partenza parcheggio Basile, arrivo Stazione Centrale e viceversa. Percorso 3 - urbano: partenza parcheggio via Nina Siciliana, passaggio intermedio piazza Principe Di Camporeale, arrivo piazza Castelnuovo e viceversa. Percorso 4 - urbano: partenza Foro Italico, passaggio intermedio piazza Castelnuovo, arrivo via Notarbartolo e viceversa. Percorso 5 - urbano: partenza piazzale John Lennon, passaggio intermedio via Notarbartolo, arrivo piazza Castelnuovo e viceversa. Percorso 6 - extraurbano: partenza Stazione Centrale, passaggio intermedio piazza Ruggero Settimo/via Dante/via Villafranca/viale Piemonte/piazza Matteotti/via A. De Gasperi, arrivo Aeroporto Falcone e Borsellino.

Per facilitare l’utenza, nelle aree di stazionamento, si prevede l'installazione di appositi cartelli informativi con il percorso effettuato dal taxi-sharing e le modalità di chiamata e di utilizzo.

Il servizio potrà essere attivato tramite le centrali radio – taxi che avranno il compito di razionalizzare le prenotazioni, al fine di prelevare gli utenti presso i centri di raccolta, o mediante richiesta dell’utente direttamente presso le aree di stazionamento individuate. Il costo previsto è di 2 euro fissi a persona all'interno del percorso urbano e di 8 euro per il percorso extraurbano. Il numero minimo consentito è di 4 persone. Non sarà consentita l’acquisizione della corsa mediante l’utilizzo di telefoni personali, né sarà possibile prelevare utenti in punti del percorso differenti da quelli di partenza o di arrivo.

Le autovetture che aderiranno all’iniziativa saranno identificabili mediante l’applicazione sul parabrezza anteriore del veicolo di un disco di diametro di 12 centimetri di colore giallo fosforescente, con la scritta "Taxi-sharing – Taxi condiviso – 2,00 € tariffa fissa a persona percorso urbano – 8,00 € tariffa fissa a persona percorso extraurbano – minimo 4 persone".

Le tariffe stabilite saranno applicate solo al raggiungimento di un minimo di 4 utenti, sia per i percorsi urbani, che per quelli extraurbani.

Camper e roulotte: opera abusiva anche se non è fissata al suolo

Da: ANCC (info@coordinamentocamperisti.it)
Camper e roulotte: opera abusiva anche se non è fissata al suolo
Campeggi: reato di costruzione edilizia abusiva anche nel caso di installazione, su un terreno, senza permesso di costruire, di strutture mobili anche se non incorporate al suolo.

Perché scatti il reato di costruzione edilizia abusiva [1] non è necessario che l’opera, realizzata senza permesso di costruire, sia fissata, in modo permanente, al suolo. Ben potrebbe trattarsi dell’installazione di strutture mobili, quali camper, roulotte o case mobili che, come noto, non sono incorporate al suolo, ma montate su ruote. La condizione, però, è che tali opere siano destinate al soddisfacimento di esigenze abitative in modo stabile. Insomma, chi vive in una roulotte, non si può appropriare del terreno pubblico e lì “piantarsi” per farne la propria fissa dimora. E ciò vale anche se la zona non è urbanizzata (per esempio, un camper “parcheggiato” da sempre in piena campagna).

A chiarirlo è una recente sentenza della Cassazione [2].

No alle case prefabbricate munite di ruote gommate
Anche la casa prefabbricata, che può essere spostata facilmente grazie alle ruote su cui è montata, così come i camper e le roulotte quando, di fatto, vengono trasformati in vere e proprie unità abitative, possono integrare un reato edilizio urbanistico. Questo perché tali strutture sono idonee a determinare un’alterazione dell’originario assetto territoriale ed una modificazione urbanistica, tale da comportare la violazione delle prescrizioni della strumentazione urbanistica.
Il testo unico sull’edilizia [3] impone, infatti, il previo permesso di costruire anche per l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati ed in genere per l’installazione di strutture di qualsiasi tipologia, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, a condizione che siano utilizzate come abitazioni, ambienti di lavoro, depositi, magazzini, ecc. e siano tese a soddisfare esigenze durevoli nel tempo.

Insomma, per integrare il reato di lottizzazione abusiva non è necessario l’ancoraggio al suolo del fabbricato. Anche le strutture adibite a campeggio, per esempio, se posizionate in modo stabile a terra, possono dare luogo a uno insediamento abitativo di rilevante impatto negativo sull’assetto territoriale.

La legge, in questo modo, mira a tutelare l’ordinata pianificazione urbanistica e il corretto uso del territorio, nonché il controllo del territorio da parte del Comune, cui solo spetta la funzione di pianificazione.
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[1] Art. 44 co. 1, lett. b), d.P.R. n. 380/2001.
[2] Cass. sent. n. 10504/2015 del 12.03.2015.
[3] Art. 3, comma 1, lett. e) T.U. Edilizia.
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Silenzio-assenso e diniego tardivo -Distribuzione carburanti: impianti “ghost” senza limiti .Da www.infocommercio.it







http://www.infocommercio.it/

Una società ha presentato istanza di apertura per una media struttura di vendita non alimentare. Il Comune, dopo l’avvio del procedimento e la convocazione di una conferenza di servizi, ha lasciato trascorrere i novanta giorni previsti per la conclusione dell’iter e il rilascio del titolo senza formalizzare alcun atto. Solo alcuni mesi dopo è intervenuta una comunicazione di preavviso di rigetto ai sensi dell’art. 10-bis l. n. 241/90, a seguito della quale però, non è stato adottato il definitivo diniego. Successivamente, il ramo d’azienda costituito dalla media struttura veniva ceduto ad altra società, che presentava comunicazione all’apertura per subingresso nell’autorizzazione tacitamente accordata. Il Comune lasciava trascorrere i sessanta giorni previsti dall’art. 19 l. n. 241/90 per i controlli senza emettere alcun divieto di prosecuzione dell’attività, mentre il provvedimento di diniego sull’iniziale domanda di autorizzazione veniva adottato a distanza di un anno dalla presentazione. A fondamento, il Comune ha sostenuto che la destinazione commerciale non sarebbe urbanisticamente compatibile con le previsioni delle N.T.A. del P.R.G. per l’area interessata.
Il T.A.R. Lombardia, nella sentenza n. 521/2015, ha rilevato come in realtà sulla domanda si sia formato il silenzio-assenso previsto dall’art. 8 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114. Non è apparsa condivisibile la tesi del Comune, secondo cui per la corretta formazione del silenzio-assenso non basta l’infruttuoso decorso dei termini, ma occorre anche la presenza di tutti gli elementi richiesti dalla legge per il rilascio del titolo abilitativo. Se così fosse, risulterebbe vanificata l’utilità dell’istituto del silenzio-assenso, per il perfezionamento del quale è sufficiente il decorso del termine di legge. Per il Collegio milanese, il silenzio-assenso “risponde ad una valutazione legale tipica in forza della quale l’inerzia “equivale” a provvedimento di accoglimento”. Gli effetti della fattispecie sono sottoposti al medesimo regime dell’atto amministrativo, per cui ove sussistono i requisiti di formazione del silenzio-assenso, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche con riguardo ad una domanda non conforme a legge.
Inoltre, ritenere invece che il silenzio-assenso sia produttivo di effetti solo nel caso in cui sussistano tutti gli elementi della fattispecie sostanziale, significa convertire gli elementi essenziali al perfezionamento del silenzio in requisiti di validità.
Nella vicenda della media struttura, elementi essenziali sono la presentazione della relativa istanza nei termini e secondo le indicazioni di legge. Sul fronte dei requisiti di validità si colloca invece la conformità alle prescrizioni urbanistiche, edilizie e di viarie.
Anche a seguito del silenzio-assenso e alla formazione del conseguente  provvedimento tacito, l’Amministrazione potrà sempre intervenire in autotutela per disporne l’annullamento.
Secondo il T.A.R., “il diniego esplicito, sopravvenuto alla formazione del silenzio-assenso, non può considerarsi atto inesistente, ma atto che si sostituisce all’assenso tacito, quale ulteriore rinnovata espressione del potere di cui l'amministrazione era e rimane titolare” quanto meno in via di autotutela, per l’appunto.
Ma perché possa legittimamente esercitarsi il potere di autotutela, anche se solo contro una fattispecie formatasi per semplice decorso del termine, occorre che si presentino tutti i presupposti richiesti dalla legge, tanto sul piano del necessario scambio partecipativo, quanto in riferimento alla sussistenza di un interesse pubblico prevalente.
L’emissione di un mero diniego tardivo, sprovvisto di ogni valutazione motivazionale, non si configura come legittima manifestazione del potere di autotutela.
E’ stato dunque annullato il diniego tardivo espresso dal Comune in quanto fondato su ragioni di incompatibilità urbanistica emerse tardivamente, dopo che il silenzio-assenso si era già formato.
I restanti motivi sono stati ritenuti assorbiti, stante la valenza satisfattiva delle considerazioni espresse più sopra. Per completezza, il T.A.R. non manca di richiamare l’evoluzione della propria giurisprudenza sui vincoli non proporzionati o non giustificati (sentenza n. 2271/2013) in applicazione della recente normativa sulle liberalizzazioni (d. lgs. n. 59/2010; d.l. n. 201/2011 art. 31) e della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 38/2013). (Michele Deodati)






Distribuzione carburanti: impianti “ghost” senza limiti

La sentenza del Consiglio di Stato n. 931 del 25 febbraio 2015, si occupa di impianti di distribuzione carburanti “ghost”, cioè dotati di sistema di erogazione a self-service senza presenza del gestore. Quello degli impianti non presidiati è un tema che si inserisce nel più ampio dibattito in ordine alla liberalizzazione dei punti vendita dei carburanti, da sempre terreno di scontro tra ordinamento comunitario, nazionale e regionale. Basti pensare che i primi interventi di regolazione del settore (l. n. 1034/70, D.P.R. n. 1269/71), consideravano quest’attività un vero e proprio “servizio pubblico”, oggetto di provvedimento concessorio dello Stato nei confronti dei privati.
Con il successivo decreto n. 32/98, anche se il regime concessiorio ha ceduto il passo all’autorizzazione, veniva ribadito l’impianto programmatorio fortemente vincolistico. Si è inoltre cercato di ridurre il numero dei punti vendita per consolidare la solidità finanziaria media di ciascuno, a scapito delle realtà marginali. Questo comportamento ha provocato la reazione della Commissione europea, che ha avviato una procedura di infrazione ai danni dello Stato italiano (2004/4365). Anche l’Autorità Antitrust, con la Segnalazione n. 453/2008, era intervenuta per auspicare una liberalizzazione del settore che eliminasse limiti di distanza fra esercizi, contingenti numerici, divieti per le attività non-oil. La liberalizzazione è poi arrivata con la l. n. 133/2008, ma anche dopo questo intervento sono rimaste alcune sacche di resistenza ancora presenti nella normativa regionale.
La sentenza n. 931/2015 del Consiglio di Stato, si occupa proprio di un caso in cui vincoli e restrizioni presenti nella regolamentazione locale sono stati alla base di una serie di provvedimenti interdittivi preordinati ad imporre il requisito della presenza del gestore in un impianto di distribuzione carburanti attrezzato con sistema di pre-pagamento. In sede d’appello, il Collegio romano ha disatteso le conclusioni a cui era giunto il Giudice di primo grado, ritenendo che né i (…) regolamenti regionali, ne le leggi regionali che li hanno autorizzati, né il d.lgs. n. 32 del 1998 hanno introdotto, nell’ordinamento nazionale ed in quello regionale di riferimento, un divieto esplicito di gestione automatica degli impianti di distribuzione carburante senza personale”. A questa considerazione, il Collegio perviene facendo leva innanzitutto sull’obbligo di interpretazione conforme o adeguatrice che grava sul giudice nazionale, che si sostanzia nel dovere di quest’ultimo di utilizzare, fra le chiavi di interpretazione del diritto nazionale, quella che consenta di attribuirgli un significato conforme o almeno compatibile con il diritto europeo. Per altro verso, il Consiglio di Stato ha attinto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, che con la sentenza 11 marzo 2010, n. 384/08, (Attanasio Group), ha avuto modo di valutare severamente la disciplina interna sulla distribuzione dei carburanti, assumendo, in particolare, che non sono applicabili motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare la permanenza di restrizioni alla concorrenza. I limiti rinvenibili nella normativa italiana a tutela della salute, dell’ambiente e della sicurezza stradale non sono stati ritenuti adeguati e proporzionati, posto che si applicano solo ai nuovi impianti di distribuzione e non a quelli preesistenti. I controlli per la tutela dei su indicati interessi pubblici possono essere efficacemente demandati al concreto riscontro dell’autorità competente, senza inadeguate limitazioni generali basate sul calcolo delle distanze. La tutela dei consumatori, identificata nella “razionalizzazione del servizio reso agli utenti della rete distributiva”, costituisce un motivo economico e non un motivo imperativo di interesse generale e si rivela, sul piano pratico, un espediente per favorire gli operatori già presenti sul territorio. Su questa ultima conclusione si è assestata anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. V, 27 aprile 2012, n. 2456; Sez. V, 23 maggio 2011, n. 3084).
La successiva evoluzione normativa in materia di impianti non presidiati estende sempre di più i margini di insediabilità per gli impianti “ghost”. L’art. 28, comma 7, d.l. n. 98/2011, convertito in l. n. 111/2011, ha stabilito una sostanziale liberalizzazione di tali impianti, indicando che Nel rispetto delle norme di circolazione stradale, presso gli impianti stradali di distribuzione carburanti, ovunque siano ubicati, non possono essere posti vincoli o limitazioni all'utilizzo continuativo, anche senza assistenza, delle apparecchiature per la modalità di rifornimento senza servizio con pagamento anticipato”. L’inciso “ovunque siano ubicati” è stato introdotto dall’ancor più recente l. n. 161/2014 (Legge europea 2013-bis), mentre in precedenza era necessario verificare la collocazione al di fuori dei centri abitati. (Michele Deodati)


lunedì 16 marzo 2015

Svolta dehors, pratiche più veloci: "Superate le difficoltà"

Svolta dehors, pratiche più veloci: "Superate le difficoltà"
Così l'assessore alle Attività produttive, Giovanna Marano: "Il rallentamento delle istruttorie delle  istanze per utilizzo del suolo pubblico per locali di somministrazione, verificatosi a gennaio, è stato superato"
Continua


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Movida, Orlando firma l'ordinanza Gestori sul piede di guerra

Movida, Orlando firma ordinanza: gestori sul piede di guerraTra le novità del provvedimento niente musica amplificata e multe fino a 500 euro anche per i clienti. Ma i titolari dei pub non ci stanno e annunciano battaglia: "Mazzata per i regolari, vantaggio per gli abusivi". Il paradosso delle band...
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Si.Ce.Ant. - Sistema Certificazione Antimafia Palermo:Moduli editabili

alcol e droga al volante

Da: Nuove Direzioni (info@nuovedirezioni.it)
In Italia, se si assumono medicinali che limitano la percezione psicofisica
oppure se siamo alcolisti o se assumiamo droga,
si può tranquillamente guidare un veicolo
ed  è impunita la procurata incapacità che può distruggere la propria e l’altrui vita.

Aveva imboccato l'autostrada contromano e, ubriaco, si scontrò frontalmente con un'auto, con a bordo 5 giovani francesi, uccidendone 4 all'istante.
La Suprema Corte ha annullato la pesante sentenza inflitta visto che era ubriaco e non uccise volontariamente, quindi, per questi giudici si è trattato di reato colposo anziché doloso. Si veda uno degli articoli apparsi sui quotidiani aprendo http://www.liberoquotidiano.it/news/italia/11766062/Ubriaco-contromano--uccide-quattro-persone.html : 12 marzo 2015 Ubriaco contromano, uccide quattro persone: "Non è omicidio stradale".
Noi siamo intervenuti per anni rappresentando a Governo e parlamentari precise analisi e proposte da anni, si veda l’articolo pubblicato (si veda su http://www.incamper.org/swf_num.asp?num=116&startPage=116) da pagina 114 a pagina 127 della rivista INCAMPER numero 116 del novembre-dicembre 2007 che, in sintesi, chiedeva quanto segue:
Ubriachi e drogati alla guida di veicoli uccidono e invalidano. Il Governo può e deve fermarli.
Ogni giorno leggiamo di ubriachi e/o drogati che alla guida di autoveicoli uccidono e/o invalidano altri cittadini innocenti. L’attuale legge gli consente di ripetere tali comportamenti assassini tanto che pare posseggano la LICENZA DI UCCIDERE. …. L’informazione ha confermato che la guida in stato di ebbrezza alcolica o sotto l’effetto di stupefacenti determina almeno il 30% degli incidenti gravi.. e la strage sulle strade italiane prosegue. Serve un Governo che prenda atto della guerra in atto sulle strade, dichiari l’emergenza, tolga “la LICENZA DI UCCIDERE” guidando un veicolo e provveda tempestivamente a emanare i seguenti provvedimenti:
  1. Chi, a prescindere dall’età, guida in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope e/o bevande alcoliche e attiva un incidente, arrecando morte e/o gravi lesioni permanenti ad altri, è oggetto di:
·       arresto immediato;
·       sequestro cautelativo del veicolo (spese di rimessaggio a carico di chi guida e vendita del veicolo una volta che le spese di rimessaggio hanno superato i 2/3 del valore commerciale dello stesso, al fine di evitare ulteriori oneri ai cittadini);
·       processo per direttissima (competenza a giudicare del Tribunale in composizione monocratica);
·       reclusione da 2 anni a 10 anni con lavoro obbligatorio (manutenzione delle strade, degli edifici pubblici e/o religiosi, boschi pubblici, ecc..) per rifondere i danni provocati ai coinvolti nell’incidente e rifondere ai cittadini gli oneri derivanti dall’assistenza sanitaria, processo e detenzione.
  1. Chi, a prescindere dall’età, guida in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope e/o bevande alcoliche e attiva un incidente anche senza arrecare morte e/o gravi lesioni permanenti ad altri, è punito con il ritiro della patente per 2 anni.
  2. Chi, a prescindere dall’età, è soggetto all'assunzione di farmaci con effetti di alterazione psico-fisica e/o assume sostanze stupefacenti e/o alcolista, è soggetto al ritiro della patente di guida che potrà ottenere di nuovo al ristabilimento delle normali condizioni psicofisiche. I medici di base e le strutture sanitarie devono segnalare entro 24 ore via e-mail alla Direzione Generale per la Sicurezza Stradale i dati dei soggetti di cui al comma precedente, specificando il periodo della terapia. La mancata segnalazione è punita con:
       l’arresto immediato del responsabile,
       il processo per direttissima (competenza a giudicare al Tribunale in composizione monocratica),
       una pena alla reclusione da 2 mesi a 2 anni con lavoro obbligatorio (manutenzione delle strade, degli edifici pubblici e/o religiosi, boschi pubblici, ecc..) per rifondere i cittadini degli oneri derivanti dal processo e detenzione.
  1. Stesso trattamento del punto 3 a chi è sorpreso a guidare senza la patente di guida.
  2. Gli alcolici di qualsiasi tipo e gradazione sono erogati esclusivamente nei luoghi preposti alle somministrazioni quali le Enoteche, i Bar, i Ristoranti, gli Alberghi e i negozi autorizzati alla vendita al dettaglio. L’erogazione al di fuori di tali luoghi è punita con:
       l’arresto immediato del responsabile,
       processo per direttissima (competenza a giudicare al Tribunale in composizione monocratica),
       una pena alla reclusione da 1 anno a 3 anni con lavoro obbligatorio (manutenzione delle strade, degli edifici pubblici e/o religiosi, boschi pubblici, ecc..) per rifondere i cittadini degli oneri derivanti dal processo e la detenzione.
  1. I Pubblici Amministratori possono concedere in uso il suolo pubblico e/o edifici pubblici per manifestazioni adottando la clausola della NON SOMMINISTRAZIONE DI ALCOLICI di qualsiasi tipo e gradazione. Il contravvenire al comma precedente è punito con:
       l’arresto immediato del responsabile,
       processo per direttissima (competenza a giudicare al Tribunale in composizione monocratica),
       una pena alla reclusione da 6 mesi a 2 anni con lavoro obbligatorio (manutenzione delle strade, degli edifici pubblici e/o religiosi, boschi pubblici, ecc..) per rifondere i cittadini degli oneri derivanti dal processo e detenzione.

A tutti il diritto – dovere di intervenire sollecitando
Governo e parlamentari a emanare quanto sopra perché
la prossima vittima potrai essere tu o un tuo familiare o un tuo amico.


venerdì 13 marzo 2015

Finché le contravvenzioni non saranno state pagate il Consigliere Comunale è incompatibile con l'Ente

Consigliere comunale, al quale sono stati notificati atti ingiuntivi di pagamento per contravvenzioni al codice della strada, nonché per imposte e tasse comunali.
Il Ministero dell'Interno con parere 15900/TU/00/63  del  24 febbraio 2015 ha stabilito che finché le contravvenzioni in questione non saranno state pagate, non potrà che ritenersi esistente la prospettata fattispecie di incompatibilità.

Presenta ricorsi al Prefetto adducendo che trasportava titolare di pass invalidi.Tutto falso ma non si configura la truffa.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 13 febbraio – 9 marzo 2015, n. 9951
Presidente Petti – Relatore Gallo

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza in data 8/5/2014, il Gup di Milano dichiarava non doversi procedere nei confronti di C.G. imputato di falso in atto pubblico e truffa aggravata con la formula perché il fatto non sussiste con riferimento al reato di cui all'art. 640, 2 co. cod. pen. e per difetto di querela con riferimento al reato di falso, riqualificato ex art. 485 cod. pen..
2. I fatti in contestazione riguardavano la presentazione di una serie di ricorsi al Prefetto avverso verbali di accertamento di violazioni al CdS, in cui si prospettava falsamente di aver trasportato un soggetto titolare di pass per invalidi e si allegavano false dichiarazioni degli invalidi.
3. Il Gup escludeva che il fatto materiale di presentare ricorsi al Prefetto con motivazioni pretestuose e fondati su documenti falsi potesse integrare l'elemento oggettivo del reato di truffa evidenziando due profili fra loro collegati: da un lato il fatto che i raggiri fossero destinati ad incidere su una attività tipicamente inerente all'esercizio di una pubblica funzione e dall'altro il fatto che il soggetto raggirato (il Prefetto) non coincideva con il soggetto danneggiato (il Comune), non avendo il primo alcun potere di disposizione sul patrimonio del secondo.
4. Quanto al reato di falso il Gup riqualificava il fatto come falso in scrittura privata, non punibile per mancanza di querela.
5. Avverso tale sentenza propone ricorso il P.M. deducendo violazione di legge ed osservando che la condotta contestata comportava l'annullamento di sanzioni già irrogate, venendo così ad incidere sul patrimonio dell'organo competente. Eccepiva inoltre che la struttura del delitto di truffa non postula l'identità fra la persona offesa e quella indotta in errore. Quanto al reato di falso, contestava la riqualificazione del fatto come falso ex art. 485, insistendo per la tesi della falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.
2. Questa Sezione, in un caso analogo al presente ha statuito che non integra il delitto di tentata truffa la condotta costituita dalla produzione di falsa documentazione a sostegno di un ricorso al prefetto avverso l'ordinanza-ingiunzione di pagamento di una sanzione amministrativa per violazione delle norme sulla circolazione stradale, perché l'eventuale decisione favorevole non da luogo ad un atto di disposizione patrimoniale (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17472 del 24/03/2009 Ud. (dep. 23/04/2009 ) Rv. 244349) In motivazione la Corte ha osservato:
“Il reato di truffa è un reato contro il patrimonio la cui ratio consiste nella tutela della libertà di determinazione negoziale che, per essere tale, dev'essere assunta in assenza di qualsiasi atto fraudolento; - il reato in questione, è caratterizzato, sotto il profilo dell'elemento materiale, dai seguenti elementi: a) gli artifizi o raggiri; b) l'incidenza sul patrimonio della vittima;
- secondo, poi, il consolidato indirizzo di questa Corte, nel caso in cui il soggetto raggirato sia diverso dal soggetto danneggiato, ai fini della configurabilità del reato, è indispensabile che fra i due sussista un rapporto di rappresentanza legale o negoziale tale per cui il soggetto che subisce il comportamento dell'agente abbia la possibilità di incidere giuridicamente sul patrimonio del rappresentato nel senso che il rappresentante abbia il potere di compiere l'atto di disposizione destinato efficacemente a incidere sul patrimonio del danneggiato per effetto di una libera scelta negoziale: in altri termini, l'induzione in errore ed il conseguente danno non possono derivare da qualsiasi generico rapporto di interferenza fra soggetto raggirato e soggetto danneggiato ma solo da un rapporto qualificato per cui il rappresentante abbia il potere di compiere libere scelte negoziali destinate a ricadere sul patrimonio del danneggiato: ex plurimis Cass. 37409/2001, rv 220307;
- sulla base di tale osservazione, questa Corte, ha tratto la conclusione che non è configurabile il reato di truffa, tutte le volte in cui la frode (rectius: gli artifizi o raggiri) sia destinata ad incidere sulla determinazione di un organo che esercita un potere di natura pubblicistica, proprio perché manca l'elemento costitutivo del reato ossia l'atto di disposizione patrimoniale di natura privatistica: ex plurimis Cass. 37409/2001, rv 220307 fattispecie, come quella in esame, in tema di frode sia destinata a incidere sull'autorità amministrativa tenuta ad accertare una violazione amministrativa nell'ambito di un procedimento destinato alla verifica della sussistenza delle condizioni per l'emanazione dell'ordinanza- ingiunzione di cui alla L 24 novembre 1981, n. 689, art. 18 Cass. 21868/2002, Rv 221842 - Cass. 29929/2007, Rv 237699 fattispecie in tema di ed truffa processuale - Cass. 6022/2008, Rv 239506 fattispecie in tema di decisione favorevole ottenuta con artifizi e aggiri in un procedimento arbitrale”.
3. Non c'è motivo di cambiare tale orientamento che il Collegio condivide. Di conseguenza nessuna censura può essere mossa alla sentenza del GUP che legittimamente ha dichiarato non doversi procedere perché il fatto non sussiste.
4. Ugualmente infondate sono le censure in punto di falso. Le false dichiarazioni degli invalidi costituiscono falso materiale in scrittura privata, perché tale è la natura delle scritture allegate ai numerosi ricorsi al Prefetto presentati dall'imputato. Tali scritture non sono destinate ad essere trasfuse in alcun atto pubblico destinato a provare la verità dei fatti attestati. Sul punto la giurisprudenza di questa Corte ha precisato che il delitto previsto dall'art. 483 cod. pen. sussiste qualora l'atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è trasfusa, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati e, cioè, quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all'atto-documento nel quale la dichiarazione è inserita dal pubblico ufficiale ricevente. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso la configurabilità del delitto in questione nel caso di falsa dichiarazione di distruzione di documentazione contabile e societaria rilasciata al curatore fallimentare e ad un organo di polizia giudiziaria). (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18279 del 02/04/2014 Ud. (dep. 30/04/2014 ) Rv. 259883). Pertanto legittimamente il GUP ha derubricato il reato contestato in falso in scrittura privata, dichiarando non doversi procedere per difetto di querela.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Poliziotto privo di casco rifiuta di fornire i documenti ai Carabinieri: Condannato

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 14 novembre 2014 – 9 marzo 2015, n. 9957
Presidente Caiazzo – Relatore Casa

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 26.6.2013, il Tribunale di Messina in composizione monocratica condannava D.M.D. alla pena di 150,00 euro di ammenda per essersi rifiutato di fornire ai Carabinieri del R.O.N.R. di quella città i propri documenti e le proprie generalità, così integrando il reato contravvenzionale di cui all'art. 651 cod. pen. (fatto commesso il 12.5.2010).
Il Giudice di merito perveniva all'affermazione di responsabilità in base alle testimonianze dei militari G. e F., i quali avevano fermato per un controllo l'imputato che viaggiava privo di casco a bordo di uno scooter. Il D.M. dichiarava, nell'occorso, che avrebbe fornito le sue generalità e i documenti d'identità solo a personale della Polizia di Stato, corpo al quale egli apparteneva con la qualifica di Ispettore; infatti, solo al successivo sopraggiungere di una pattuglia di colleghi l'imputato si decideva a fornire i suoi documenti, come dichiarato dai Carabinieri P. e S., nelle more intervenuti in ausilio agli altri due operanti prima menzionati.
2. Nel ricorso per cassazione, il difensore del D.M. deduce violazione di legge e vizio di motivazione, assumendo, da un lato, che il rifiuto di fornire i propri documenti d'identità - l'unica condotta ascritta al suo assistito - non poteva integrare il reato previsto dall'art. 651 cod. pen., ma, eventualmente, quello di cui agli artt. 4 T.U.L.P.S. e 294 del relativo regolamento; dall'altro, che non erano indicati nella sentenza impugnata gli elementi dimostrativi del rifiuto da parte dell'imputato di fornire le proprie generalità ai Carabinieri che lo avevano fermato.

Considerato in diritto

1. Il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.
2. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, l'elemento materiale dei reato previsto dall'art. 651 cod. pen. consiste nel rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità e non nella mancata esibizione di un documento, che costituisce violazione degli artt. 4, comma secondo, T.U.L.P.S. e 294 del relativo regolamento: pertanto, l'indicazione orale delle proprie generalità è sufficiente ad escludere il reato (fra molte, Sez. 6, n. 14211 del 12/3/2009 Trovato, Rv. 243317; Sez. 1, n. 10676 del 24/2/2005, Albanese, Rv. 231125).
E' pacifico che le due fattispecie possano concorrere, trattandosi di reati aventi un diverso elemento materiale ed una diversa obiettività giuridica (Sez. 6, n. 34 del 18/10/1995, dep. 4/1/1996, Cozzella, Rv. 203852).
Occorre, infine, rammentare che, in considerazione della natura di reato istantaneo, caratterizzante la fattispecie di cui all'art. 651 cod. pen., deve ritenersi irrilevante, ai fini della sussistenza dell'illecito, che le indicazioni sulla propria identità personale vengano fornite successivamente (Sez. 6, n. 34689 del 3/7/2007, Tedesco, Rv. 237606; Sez. 6, n. 9337 del 28/6/1995, P.G. in proc. Masiero, Rv. 202978).
3. II Giudice di merito si è puntualmente attenuto agli enunciati principi, ritenendo correttamente integrato il reato contestato al ricorrente, il quale, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, non si è semplicemente astenuto dall'esibire i suoi documenti d'identità (condotta che sarebbe ricaduta nell'alveo della diversa fattispecie prevista dagli artt. 4, comma secondo, T.U.L.P.S. e 294 del relativo regolamento), ma si è anche rifiutato di declinare le proprie generalità ai due Carabinieri che lo avevano fermato per un controllo, così perfezionando la fattispecie di cui all'art. 651 cod. pen., scopo della quale - lo si ricorda - è quello di evitare che la Pubblica amministrazione sia intralciata nell'identificazione della persona cui le generalità sono richieste nell'esercizio dei potere discrezionale attribuito al pubblico ufficiale (Sez. 1, n. 3764 del 25/3/1998, Soldani, Rv. 210123).
Irrilevante, ai fini della sussistenza dell'illecito, che le indicazioni sulla propria identità personale siano state fornite dal D.M. successivamente ai colleghi della Polizia di Stato.
Del tutto destituita di fondamento è la censura sulla carenza di motivazione a proposito dell'indicazione degli elementi di prova del reato, precisamente indicati in sentenza nelle dichiarazioni testimoniali dei due Carabinieri G. e F..
4. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, equa al caso, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.q.m.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.