Come noto, con l’entrata in vigore della legge 11 agosto 2014, n. 114,
di conversione del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, le competenze
dell’ANAC, relative alla misurazione e valutazione della performance,
di cui agli articoli 7, 8, 9, 10, 12, 13 e 14 del decreto legislativo
27 ottobre 2009, n. 150, sono state trasferite al Dipartimento della
Funzione pubblica (www.funzionepubblica.gov.it).
rivolto soprattutto ad operatori di Polizia che vogliono tenersi costantemente aggiornati
Trasporto Internazionale - Italia -Montenegro
Prot. n° 1928 del 28 gennaio 2015 - Proroga di validità del contingente delle autorizzazioni al trasporto internazionale di merci fra l'Italia e il Montenegro
La Prefettura non può annullare in autotutela i verbali già pagati o per i quali non è stato proposto ricorso
N. 00860/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00166/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 166 del 2009, proposto da:
Comune di Canzano in Persona del Sindaco P.T., rappresentato e difeso dall'avv. Lucia Rita Ricchetti, con domicilio eletto presso Claudio Avv. Verini in L'Aquila, via G.Carducci,30; Renzo Cipollini;
Comune di Canzano in Persona del Sindaco P.T., rappresentato e difeso dall'avv. Lucia Rita Ricchetti, con domicilio eletto presso Claudio Avv. Verini in L'Aquila, via G.Carducci,30; Renzo Cipollini;
contro
Prefetto di Teramo, rappresentato e difeso per legge
dall'Avvocatura, domiciliata in L'Aquila, Complesso Monumentale S.
Domenico; Ministero Interno, rappresentato e difeso per legge
dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata in L'Aquila, Complesso
Monumentale S. Domenico;
nei confronti di
(per i nominativi dei singoli controinteressati si fa rinvio all’epigrafe del ricorso);
per l'annullamento
DEL PROVVEDIMENTO DEL PREFETTO DI ANNULLARE IN
AUTOTUTELA TUTTI I VERBALI ELEVATI, CON APPARECCHIATURA ELETTRONICA,
ANCHE QUELLI PER I QUALI NON E' STATO PROPOSTO RICORSO O PAGATA
L'OBLAZIONE.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Prefetto di Teramo e del Ministero Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 ottobre
2014 il dott. Paolo Passoni e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Durante il periodo compreso fra agosto 2008 e febbraio
2009, il comune di Canzano elevava numerose contravvenzioni (con un
introito a titolo di oblazione spontanee, pari a circa 180.000 euro),
per violazione delle norme sui limiti di velocità accertate tramite
apparecchio fisso di rilevazione, in località Piano di Corte (Km 18+650
della SS 150). Il Prefetto di Teramo –adìto in sede di ricorso
amministrativo da numerosi automobilisti contravvenzionati- ha
sistematicamente accolto i vari gravami interposti, ritenendo
illegittime le sanzioni, in quanto irrogate in violazione della
prescrizione ex art. 201 comma 1 lett. f) del codice della strada, che
nel centro abitato (e tale sarebbe quello del Km 18+650 SS 150) non
consentirebbe l’elevazione della contravvenzione, senza contestazione
immediata della violazione.
Con il presente ricorso cumulativo, il Comune -dopo
aver precisato la sua legittimazione ed il suo interesse in giudizio- ha
impugnato in primis tutte le decisioni prefettizie di accoglimento di
cui sopra, ritenendo le relative motivazioni illegittime e stereotipate
(trattandosi di strada qualificata come pericolosa dalla stessa
prefettura, e comunque in presenza di connotati che escluderebbero la
natura urbana della località in questione, ai sensi dell’art. 3 comma 8
del codice della strada).
Sono state altresì gravate le comunicazioni del
Prefetto (anch’esse indicate in epigrafe), con le quali si è prima
delineata la possibilità di annullare in autotutela le contravvenzioni
ormai inoppugnabili (chiedendo conseguentemente agli organi della
polizia municipale di trasmettere tutti i verbali per i quali non è
stato proposto ricorso o non è stata pagata l’oblazione), e poi si è
intimata al Sindaco la consegna in questione, paventando in caso
contrario i poteri prefettizi ex art. 54 del d.leg.vo 267/2000 (nota del
4 maggio 2009). A proposito di tali reiterate richieste (di cui se ne
evidenzia il carico sproporzionato e gravatorio sulla stessa attività
degli uffici), se ne contesta il fondamento, che sarebbe del tutto
estraneo ed eversivo rispetto al ruolo di controllo sulla sicurezza
stradale attribuito dal codice della strada al Prefetto.
Si è costituita in giudizio l’amministrazione
intimata, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello
Stato di L’Aquila, che ha in primis eccepito l’inammissibilità
dell’impugnativa, sostenendone comunque l’infondatezza nel merito.
Alla pubblica udienza del 27.10.14 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Vanno in primis respinte le eccezioni in rito formulate dalla PA resistente.
Ha in proposito sostenuto l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di L’Aquila che “l’articolo
205 cds e la disciplina stabilita dal complesso delle norme sopra
richiamate, prevedono esclusivamente la proponibilità dell’opposizione
avverso l’ordinanza ingiunzione, oppure nei confronti del processo
verbale di accertamento e contestazione dell’infrazione (… ciò che…) porta
inevitabilmente ad affermare che il rimedio non è proponibile contro
atti non espressamente previsti e, in particolare, non è nella specie
proponibile dal Comune contro l’ordinanza di archiviazione adottata dal
Prefetto ex art. 204, che del resto ontologicamente sfugge ad ogni
controllo da parte del Comune (trovando la propria ratio in interessi
non certo di pertinenza comunale)”.
Ritiene il collegio che non possa in primo luogo
condividersi l’assunto circa l’asserita estraneità di qualificati
interessi oppositivi dell’ente civico nei riguardi della decisione
prefettizia di archiviazione di processi verbali elevati dallo stesso
ente, visto che appaiono concrete ed evidenti, non solo le conseguenze
di rilevanza economica che detta decisione postula (l’introito derivante
da sanzioni amministrative rappresenta una seria provvista, destinata a
far fronte alle esigenze della collettività di riferimento), ma anche
–più in generale- le possibili, negative, interazioni con i criteri
gestionali del settore amministrativo coinvolto dalla diversità di
vedute con l’organo statale, titolare del potere contenzioso, e ciò
anche in vista di similari episodi che dovessero in futuro ripetersi.
Una volta preso atto dei qualificati interessi ad
opporsi, poi, non può fondatamente sostenersi l’assenza,
nell’ordinamento, di rimedi giudiziari in capo al Comune, avverso tali,
lesive, decisioni prefettizie di accoglimento, diversamente dovendosi
ammettere una (inconfigurabile) limitazione di tutela nei confronti di
talune categorie di atti della pubblica amministrazione, in palese
violazione dell’art. 113 Cost..
Ora, considerato che l’azione esperita presso l’AGO
dal privato opponente contro le ordinanze ingiunzioni è un’azione
costitutiva, volta ad ottenere la rimozione di un provvedimento che è
espressione del potere autoritativo della P.A., si è correttamente
affermato in dottrina che tale giurisdizione caducatoria sull’atto
rappresenta una sorta di giurisdizione “esclusiva” del giudice
ordinario, pur consentita dal citato art. 113 u.c. della Cost. (che
rimanda al legislatore ordinario l’individuazione degli organi
giurisdizionali abilitati ad annullare atti amministrativi), ma comunque
espressiva di una fattispecie che deroga alla cognizione elettiva ed
istituzionale del giudice amministrativo. Ciò comporta che, in mancanza
di espressa previsione di legge, la diversa azione –non del privato
sanzionato- ma dell’ente irrogante che subisce l’accoglimento del
ricorso amministrativo proposto dallo stesso privato, non può parimenti
ascriversi alla giurisdizione dell’AGO, ed in questo senso si prende
atto (con ovvia condivisione) della conforme giurisprudenza sul punto
citata dall’Avvocatura Distrettuale.
Peraltro, al fine di evitare vuoti di tutela contra
costitutionem, non resta che riconoscere la riespansione della
giurisdizione caducatoria del giudice amministrativo sulla vertenza
degli enti pubblici soccombenti, avverso le decisioni giustiziali del
Prefetto, che annullano le sanzioni amministrative loro irrogate per
pretesa violazione delle norme del codice della strada.
Né resta convincente quanto sempre affermato dalla
difesa erariale, in ordine al fatto che il successo dell’iniziativa
giurisdizionale intrapresa non determinerebbe alcun concreto interesse
nella sfera giuridica dell’ente pubblico ricorrente, in presenza di un
sistema decisionale che –contemplando il silenzio-assenso (art.203 cds)-
determinerebbe pur sempre un accoglimento tacito del ricorso
amministrativo, anche in assenza della decisione annullata.
Detta tesi –mirata per altra via a sostenere
l’inammissibilità del proposto gravame per carenza di interesse- non
considera tuttavia che il meccanismo del silenzio assenso attiene al non liquet
dell’autorità decidente adìta, ma non riguarderebbe certamente la ben
diversa fattispecie di un accertamento giurisdizionale (ex se munito di
una fase rescissoria, oltreché rescindente-caducatoria), capace di
rovesciare e porre nel nulla l’esplicito accoglimento del rimedio
amministrativo.
Concludendo sul punto, va affermata la corretta
incardinazione presso questo GA della richiesta di annullamento degli
atti, con cui la Prefettura di Teramo ha disposto l’archiviazione dei
verbali redatti dalla Polizia Urbana di Canzano nei confronti dei
controinteressati indicati in epigrafe.
Vanno altresì respinte le eccezioni in rito, con cui
l’Avvocatura Distrettuale ha ritenuto inammissibile l’impugnativa
rivolta dall’ente civico avverso le richieste prefettizie di consegna di
tutti i verbali degli accertamenti delle violazioni al limite di
velocità, effettuati sulla SS 150 nel territorio di Canzano; non può
infatti condividersi la natura meramente endoprocedimentale di tali
atti, poiché il momento lesivo alla base del ricorso qui non riguarda la
sorte futura dei singoli verbali da trasmettere, attenendo invece più a
monte alla decisione del Prefetto di scrutinare tali verbali in vista
di una delineata autotutela che –a prescindere se sarà o meno irrogata -
viene in radice contestata affermandosene l’inconfigurabilità giuridica
per l’incompatibile presenza di posizioni giustiziali ormai
consolidate.
Nel merito, va disatteso il capo di impugnativa mirato
ad avversare in modo cumulativo le varie decisioni della prefettura
teramana di archiviazione dei verbali civici.
Nelle determinazioni di accoglimento dei ricorsi
amministrativi proposti dai soggetti contro interessati, la PA decidente
ha infatti esternato con congrua e corretta motivazione le ragioni
poste a base dell’illegittimo plesso sanzionatorio posto in essere dal
responsabile della Polizia urbana del comune di Canzano, e ciò con
particolare riguardo alle seguenti circostanze in fatto e diritto:
-i verbali impugnati in sede amministrativa riguardano
violazioni ex art. 142 comma 8 del codice della strada (eccesso di
velocità) accertate senza aver proceduto alla contestazione immediata,
su strada interna al centro abitato, e quindi fuori dalla fascia di cd.
controllo remoto, e ciò in violazione dell’art. 201 del codice della
strada che tale contestazione (nei centri abitati) prescrive;
-la collocazione in centro abitato della strada
statale in questione (n. 150 della Val Vomano Km. 18+650) emerge sia
dalle delibere di giunta comunale n 71/2004, n. 40/2003 e da ultimo n.
37/2007, sia –più in generale- dalla circolare dell’8 aprile 2003 del
Ministero dell’interno (dalla valenza provvedimentale-classificatoria e
non meramente interpretativa) ove si precisa che le strade classificate
ai sensi dell’art. 2 comma 2 lett. c) del c.d.s. come extraurbane,
quando attraversano i centri abitati, assumono “automaticamente e
funzionalmente” la classificazione di cui all’art. 2 comma 2 lett. D, E o
F (strade urbane di quartiere o strade locali), a seconda delle
caratteristiche ed a prescindere dall’Ente che abbia la proprietà o la
gestione amministrativa della strada stessa, con conseguente divieto per
quegli ambiti di procedere a rilevazioni sanzionatorie con sistemi
fissi, senza immediata contestazione.
A fronte di tali convincenti argomentazioni, tutte
rigorosamente sviluppate nelle singole decisioni prefettizie di
archiviazione, il comune ricorrente deduce rilievi censori, da una parte
mirati a contestare la natura di centro abitato del tratto di strada in
questione, e dall’altra a sostenere comunque l’irrilevanza della
classificazione.
Trattasi di doglianze infondate.
In primo luogo, il fatto che la Prefettura abbia in
passato ritenuto (con proprio provvedimento del 5.11.2002) di
autorizzare anche in quell’ambito stradale –per la pericolosità del
sito- l’utilizzazione e l’installazione dei mezzi tecnici di controllo
del traffico, non significa affatto –come ritenuto dal ricorrente- che
tale autorizzazione abbia potuto consentire di prescindere dal suesposto
divieto di legge, così da procedere all’irrogazione della sanzione
senza contestazione immediata, senza oltre considerare che una tale
franchigia dalle disposizioni vigenti risulterebbe comunque tamquam non esset.
In presenza poi delle stringenti e comprovate ragioni
dalla Prefettura, poste a base della classificazione di centro abitato
del tratto stradale de quo, appaiono prive di pregio le insistite
doglianze mirate contestare tali concludenze, mediante diverse
interpretazioni di nome e circolari che condurrebbero a ravvisare, nel
predetto ambito, connotati extraurbani.
Piuttosto, proprio il fatto che la Giunta comunale
abbia ex post ritenuto nel 2009 (una volta insorta la problematica con
la Prefettura) di annullare, in pretesa autotutela, le proprie delibere
che negli anni hanno ravvisato il pacifico carattere urbano della strada
in questione, comprova –oltre al tentativo strumentale di forzare lo
scenario giuridico in proprio favore- la consapevolezza dell’ente civico
di aver utilizzato, nella irrogazione di quelle sanzioni, un modus
operandi incompatibile con le stesse classificazioni stradali,
formalizzate nel tempo dallo stesso ente.
Concludendo sul punto, vanno pertanto disattese le censure avverso i vari atti di archiviazione disposti dalla Prefettura.
Trovano invece accoglimento le doglianze dirette a
contestare la richiesta della Prefettura (mirata all’esercizio di
autotutela gerarchica impropria) di acquisizione dei verbali di
contravvenzione, per i quali i rispettivi interessati hanno corrisposto
oblazione, ovvero hanno fatto scadere i termini di impugnativa.
Quanto alla prima ipotesi, è noto che in tema di
violazioni al codice della strada, il cosiddetto pagamento in misura
ridotta comporta un’incompatibilità (oltre che un’implicita rinuncia) a
far valere qualsiasi contestazione della sanzione pecuniaria irrogata e
della violazione contestata (che della sanzione pecuniaria è il
presupposto giuridico), e ciò sia nella sede amministrativa che
giurisdizionale, anche in virtù di quanto esplicitamente previsto dal
codice della strada (sul punto, Cass. Civ. sez. II sentenza n. 15098 del
22.6.2010). Non si tratta solo di una preclusione impugnatoria a carico
della parte che –magari per eccesso di zelo- ha pagato la multa,
accorgendosi solo in seguito della sua ingiustizia. Il divieto in
questione attiene invece al fatto che con il pagamento immediato si
formalizza –secondo i noti principi generali della materia- una vera e
propria estinzione della controversia, non più recuperabile da parte di
tutte le parti in causa e quindi anche della parte pubblica; ora, a
fronte di detta intangibilità, resta evidente come sia precluso ogni
intervento d’ufficio sull’an e sul quantum della sanzione anche ad opera
dell’autorità preposta a decidere ricorsi amministrativi, non fosse
altro perché in tal modo il divieto da parte dell’interessato di
proporre, dopo l’oblazione, tali ricorsi verrebbe facilmente aggirato
tramite una sua semplice “segnalazione” all’Organo titolare del potere
contenzioso.
Simili argomentazioni possono estendersi al caso di
verbali per i quali è scaduto il termine per proporre impugnazione;
anche in dette fattispecie si assiste infatti ad un consolidamento
irreversibile della pretesa sanzionatoria, senza possibilità per
l’autorità contenziosa –alla quale gli interessati hanno ritenuto di non
rivolgersi - di inserirsi d’ufficio, per ridiscutere ex post una misura
ormai inoppugnabile ed esecutoria.
Né i poteri di vigilanza sulla sicurezza stradale
attribuiti al Prefetto possono essere intesi nel senso di consentire
un’ingerenza immanente nella rimodulazione ex post di sanzioni
incontestate, sia perché la norma di riferimento riguarda per l’appunto
la funzione contenziosa, attivabile solo in via eventuale a domanda
dell’interessato, sia perché –quand’anche si dovesse intendere tale
vigilanza in senso estensivo- comunque resterebbe precluso un ruolo
atipico di autotutela gerarchica prefettizia sui singoli atti
sanzionatori del comune rimasti inoppugnati, all’interno di una
relazione di gerarchia (solo) impropria. In ogni caso appare fuori
luogo il richiamo operato dalla PA intimata ai poteri sostitutivi del
Prefetto, in materie (del tutto estranee alla vicenda in esame)
collegate all’esercizio di funzioni del Sindaco in qualità di Ufficiale
del Governo ex art. 54 TUEL.
Di conseguenza va ravvisata l’illegittimità del modus
operandi della Prefettura in ordine ai paventati poteri di autototutela,
ed alle connesse richieste di documentazione afferente ai verbali di
contravvenzione non impugnati e/o con avvenuta oblazione.
In conclusione, il ricorso va in parte respinto ed in parte accolto nei sensi sopra esposti.
Sussistono ragioni per la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo
(Sezione Prima) in parte respinge ed in parte accoglie il ricorso in
epigrafe, nei sensi di cui in motivazione;
compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in L'Aquila nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Michele Eliantonio, Presidente
Paolo Passoni, Consigliere, Estensore
Maria Abbruzzese, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/12/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
L'iniziativa economica privata è libera e non ci sono riserve.Annullato regolamento comunale per l’esercizio del servizio di taxi e del servizio di noleggio con conducente
N. 00552/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 552 del 2014, proposto da:
Radio Taxi Brixia Soc. Coop. A R.L., Salvatore Sammataro, rappresentati e difesi dagli avv. Leopoldo Facciotti, Cecilia Cominassi, con domicilio eletto presso Cecilia Cominassi in Brescia, C.Da Soncin Rotto, 1/B; Sergio Bonetti, Fabio Leviani, Italo Fabrizio Lamberti, Antonio Amodio, Sergio Luterotti, Mauro Pegoiani, Dario Bossini, Gabriele Caccagni, Massimiliano Della Tratta, Massimo Sanguinelli, rappresentati e difesi dagli avv. Cecilia Cominassi, Leopoldo Facciotti, con domicilio eletto presso Cecilia Cominassi in Brescia, C.Da Soncin Rotto, 1/B;
Radio Taxi Brixia Soc. Coop. A R.L., Salvatore Sammataro, rappresentati e difesi dagli avv. Leopoldo Facciotti, Cecilia Cominassi, con domicilio eletto presso Cecilia Cominassi in Brescia, C.Da Soncin Rotto, 1/B; Sergio Bonetti, Fabio Leviani, Italo Fabrizio Lamberti, Antonio Amodio, Sergio Luterotti, Mauro Pegoiani, Dario Bossini, Gabriele Caccagni, Massimiliano Della Tratta, Massimo Sanguinelli, rappresentati e difesi dagli avv. Cecilia Cominassi, Leopoldo Facciotti, con domicilio eletto presso Cecilia Cominassi in Brescia, C.Da Soncin Rotto, 1/B;
contro
Comune di Montichiari, rappresentato e difeso
dall'avv. Mauro Ballerini, con domicilio eletto presso Mauro Ballerini
in Brescia, v.le Stazione, 37;
nei confronti di
Luca Aldovrandi;
per
l’annullamento, previa sospensione,
della deliberazione 5 marzo 2014 n°19, pubblicata
all’albo pretorio dal 5 marzo 2014, con la quale il Consiglio comunale
di Montichiari ha approvato il regolamento comunale per l’esercizio del
servizio di taxi e del servizio di noleggio con conducente, quanto alla
previsione dell’art. 28 comma 1;
di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ancorché non conosciuto;
nonché l’accertamento
del diritto dei ricorrenti a svolgere la propria
attività di servizio taxi e stazionamento presso l’aeroporto “Gabriele
D’Annunzio” in Comune di Montichiari;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Montichiari;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 gennaio
2015 il dott. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti i difensori
come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I ricorrenti sono undici tassisti i quali agiscono
individualmente e sono titolari di licenza rilasciata dal Comune di
Brescia, nonché una cooperativa di tassisti, sempre bresciani (doc. ti
da 2 a 13, copie licenze ricorrenti e copia statuto associazione), ed
impugnano la delibera meglio indicata in epigrafe, e in particolare
l’art. 28 comma 1 del regolamento da essa approvato, secondo il quale “Premesso
che vale il principio generale che per il traffico originato nel
territorio comunale sono abilitati a svolgere il servizio taxi
esclusivamente i soggetti titolari di licenza rilasciata dal Comune di
Montichiari, ad eccezione: a) dei soggetti dotati di licenza rilasciata
dagli enti appartenenti al sistema aeroportuale lombardo così come
previsto dall’art. 28 della l.r. 4 aprile 2012 n°6, previa
determinazione del contingente da stabilirsi con la Regione Lombardia,
tenuto conto del volume di traffico passeggeri sviluppato
dall’aerostazione; b) i titolari di licenza rilasciata da altri enti con
i quali il comune di Montichiari ha stipulato apposito accordo ai sensi
dell’art. 5 bis comma 1 bis della l. 15 gennaio 1992 n°21 al fine di
ampliare l’offerta del servizio taxi relativo all’aeroporto, a
condizione che venga rispettato il principio di reciprocità” (doc. 1
ricorrenti, copia atto impugnato p. 23). Sostengono in sintesi i
ricorrenti che tali eccezioni non avrebbero contenuto pratico, e che la
norma riserverebbe di fatto il servizio di piazza presso l’aeroporto ai
soli tassisti di Montichiari.
A sostegno deducono due motivi:
- con il primo di essi, deducono violazione dell’art. 14 comma 8 del d. lgs. 19 novembre 1997 n°422, per cui: “Per
i collegamenti con gli aeroporti aperti al traffico aereo civile, ferme
restando le competenze degli enti gestori, sono autorizzati ad
effettuare servizio di piazza i titolari di licenze per servizio di taxi
rilasciate dai comuni capoluogo di regione e di provincia, nonché dal
comune o dai comuni nel cui ambito territoriale l'aeroporto ricade. I
comuni interessati, d'intesa, disciplinano le tariffe, le condizioni di
trasporto e di svolgimento del servizio, ivi compresa la fissazione del
numero massimo di licenze che ciascun comune può rilasciare
proporzionalmente al bacino di utenza aeroportuale. Nel caso di mancata
intesa tra i comuni, provvede il presidente della regione, sentita la
commissione consultiva regionale di cui all'articolo 4 della legge 15
gennaio 1992 n°21.” A dire dei ricorrenti, la norma consentirebbe
anche a loro, quali tassisti titolari di licenza rilasciata da Comune
capoluogo, di svolgere il servizio in questione all’aeroporto di
Montichiari;
- con il secondo motivo, deducono violazione anche
dell’art. 11 comma 2 della l. 15 gennaio 1992 n°21, che consente ai
tassisti di operare anche al di fuori del territorio comunale di
riferimento, ove ivi abbia origine il servizio, nel caso in cui il
regolamento si interpretasse come preclusivo non solo del servizio di
piazza ma anche dell’effettuazione delle corse;
Il Comune resiste, con atto 30 maggio e memoria 13
giugno 2014, in cui sostiene in sintesi l’inefficacia della norma
dell’art. 14 comma 8 sino a stipula dell’intesa fra Comuni interessati
che è prevista dalla norma stessa e che allo stato manca. Sostengono poi
che, fermi il divieto del servizio di piazza, i tassisti di altri
Comuni potrebbero pacificamente svolgere le corse.
La Sezione, all’udienza del giorno 8 gennaio 2015,
fissata previa rinuncia alla domanda cautelare alla camera di consiglio
del giorno 18 giugno 2014, ha trattenuto il ricorso in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e va accolto, per le ragioni di seguito precisate.
2. In via preliminare va precisato, a fini di
chiarezza e completezza, che il presente ricorso deve considerarsi
ammissibile anche se rivolto in via diretta contro un atto generale e
astratto quale è in generale un regolamento. Fra i ricorrenti nel caso
di specie vi è infatti una cooperativa di tassisti, ovvero un ente
esponenziale del relativo gruppo. Tale soggetto, così come chiarito, da
ultimo, da C.d.S. commissione speciale 26 giugno 2013 n°3014,
rappresenta l’interesse di tutta la categoria, e subisce quindi lesione
per il solo fatto che nell’ordinamento sia introdotta una norma il cui
contenuto arreca una menomazione a tutti i membri della stessa.
3. E’ poi possibile ritenere che la legittimazione
dell’ente attragga a se anche quella dei singoli operatori che nella
specie hanno agito unitamente ad essa. Si osserva infatti che una loro
estromissione sarebbe priva di effetti concreti, perché da un lato si
tratta di soggetti i quali pacificamente potrebbero intervenire nel
processo in via adesiva; dall’altro che nella specie l’intervento
adesivo avrebbe effetti non dissimili da quelli del ricorso proposto.
Nel caso di impugnazione di regolamento da parte di anche un solo
soggetto legittimato, infatti, l’annullamento come si vedrà è comunque
efficace erga omnes.
4. Ciò posto, sia i ricorrenti sia il Comune
resistente concordano su un dato innegabile, ovvero sull’esistenza
attuale nell’ordinamento della norma dell’art. 14 del d. lgs. 422/1997,
che liberalizza, se pure in modo non assoluto, il servizio taxi da e per
gli aeroporti, eliminando la rendita di posizione di cui sino a quel
momento fruivano gli operatori autorizzati dal Comune in cui l’aeroporto
si trova. La logica della norma stessa si spiega, all’evidenza,
ricordando che gli aeroporti vengono localizzati in base a ragioni più
spesso tecniche, ma talora anche storiche, le quali nulla hanno a che
vedere con l’importanza del Comune che li ospita. Poteva quindi
accadere, ed accadeva, che la competenza ad assicurare il servizio taxi
fosse determinata in modo del tutto casuale, e non coerente con le
necessarie ragioni di efficienza.
5. Le parti, viceversa, non concordano quanto al
termine di efficacia della norma, che secondo i ricorrenti sarebbe
immediata, e quindi già consentirebbe loro di lavorare presso
l’aerostazione; secondo il Comune sarebbe, in sostanza, sospesa a tempo
indeterminato, ovvero sino al futuro ed eventuale perfezionamento
dell’intesa che la norma pure prevede, senza ancorarla a dati certi.
Nella linea interpretativa dei ricorrenti, invece, l’intesa potrebbe
intervenire a meglio organizzare il servizio, ma resterebbe ferma la
loro possibilità di svolgerlo da subito, a prescindere dall’intesa
stessa.
6. Ad avviso del Collegio, va preferita la prima
interpretazione. Il recente “decreto liberalizzazioni”, ovvero il d.l.
24 gennaio 2012 n°1 convertito nella l. 24 marzo 2012 n°27, in
dichiarata attuazione di principi europei e costituzionali, dispone
all’art. 1 comma 2 che “Le disposizioni recanti divieti, restrizioni,
oneri o condizioni all'accesso ed all'esercizio delle attività
economiche sono in ogni caso interpretate ed applicate in senso
tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite
finalità di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi
costituzionali per i quali l'iniziativa economica privata è libera
secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunità tra tutti i
soggetti, presenti e futuri, ed ammette solo i limiti, i programmi e i
controlli necessari ad evitare possibili danni alla salute,
all'ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla
sicurezza, alla liberta', alla dignita' umana e possibili contrasti con
l'utilità sociale, con l'ordine pubblico, con il sistema tributario e
con gli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica”.
7. E’criterio interpretativo inequivoco, nel senso
che, come nella specie, fra due interpretazioni ugualmente possibili, si
debba preferire quella che consente una maggior liberalizzazione
dell’attività economica. Nel caso presente, è poi del tutto chiaro che
una maggior liberalizzazione, con quello che ne segue in tema di
concorrenza e di tariffe più favorevoli, si realizza allorquando presso
l’aeroporto presta servizio un numero maggiore di operatori, né pare che
tale situazione pregiudichi in alcun modo gli interessi superiori – in
sintesi, la protezione dell’ambiente e della persona- che la norma fa
salvi.
8. La previsione regolamentare impugnata va quindi
annullata senz’altro: dall’accoglimento del primo motivo, consegue come
effetto conformativo della sentenza, che i ricorrenti potranno svolgere
la loro attività di servizio taxi e stazionamento presso l’aeroporto in
questione così come desiderato, senza che sia necessaria una autonoma
declaratoria del presunto “diritto”. La domanda in tal senso va quindi
interpretata – nell’esercizio del potere di qualificazione giuridica
proprio del Giudice- come illustrazione della domanda di annullamento, e
non come domanda autonoma cui debba corrispondere una autonoma
pronuncia in dispositivo.
9. Per chiarezza, va poi ricordato che, argomentando
dall’art. dall’art. 14 comma 3 D.P.R. 24 novembre 1971 n°1197,
l’efficacia dell’annullamento di un atto regolamentare, per evidenti
ragioni di certezza legate alla sua duplice natura, di atto
amministrativo e di fonte del diritto, riguardi tutti i destinatari
potenziali di esso, ancorché non parti del relativo giudizio: così
esattamente C.d.S. sez. IV 19 febbraio 2007 n°883.
10. La novità e particolarità della questione, sulla
quale non constano precedenti editi negli esatti termini, è giusto
motivo per compensare le spese.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in
epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla la deliberazione 5
marzo 2014 n°19, del Consiglio comunale di Montichiari, concernente
approvazione del regolamento comunale per l’esercizio del servizio di
taxi e del servizio di noleggio con conducente, quanto alla previsione
dell’art. 28 comma 1. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 8 gennaio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Angelo De Zotti, Presidente
Mario Mosconi, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/01/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Se la SCIA contiene documenti non visionabili il suap non può inibire l'attività
N. 00610/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00396/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex articolo 60 Cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 396 del 2014, proposto da:
Telecom Italia S.p.A., rappresentata e difesa dall'avv. Alessandro Tudor, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo, in Trieste, Galleria Protti n. 1;
sul ricorso numero di registro generale 396 del 2014, proposto da:
Telecom Italia S.p.A., rappresentata e difesa dall'avv. Alessandro Tudor, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo, in Trieste, Galleria Protti n. 1;
contro
Comune di Pocenia, rappresentato e difeso dall'avv.
Michele Coceani, con domicilio eletto presso la Segreteria Generale del
T.A.R., in Trieste, piazza Unità d'Italia n. 7;
per l'annullamento, previa sospensione cautelare degli effetti
- del provvedimento a firma del Responsabile del
Servizio Urbanistica e gestione del territorio del Comune di Pocenia
prot. n. 4092/DG - Rif. 3938 di data 3 luglio 2014, con il quale è stato
comunicato il divieto di prosecuzione dell'attività per la modifica
impianto fisso di telefonia mobile esistente per installazione di
impianto di nuovo gestore per l'immobile sito in via Nasse;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o
consequenziale a quello impugnato ancorché non conosciuto dalla società
ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pocenia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 19
novembre 2014 la dott.ssa Alessandra Tagliasacchi e uditi per le parti i
difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'articolo 60 Cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La società Telecom Italia S.p.A. espone di aver
presentato a mezzo pec, unitamente alla società Vodafone Omnitel B.V.,
segnalazione certificata di inizio attività - SCIA per la modifica di un
proprio impianto fisso per la telefonia mobile in Comune di Pocenia:
l’intervento consiste nella rimozione delle tredici antenne esistenti e
nella sostituzione con dodici nuove antenne di cui quattro utilizzate
dalla ricorrente e le altre otto dalla precitata concorrente per andare a
costituire un cd. impianto di co-site.
Espone, altresì, la ricorrente di essere intervenuto
il divieto comunale di prosecuzione dell’attività oggetto di SCIA,
disposto sulla scorta di un duplice ordine di ragioni, e segnatamente
perché uno dei file digitali contenenti la documentazione allegata alla
segnalazione non risultava apribile e dunque visionabile, e perché
l’intervento si porrebbe in contrasto con il Piano comunale antenne, che
lì non prevede un nuovo impianto.
Avverso tale provvedimento la deducente qui insorge, chiedendone l’annullamento, previa sospensione cautelare degli effetti.
Queste le censure dedotte dalla ricorrente.
I^) Violazione degli articoli 3, 4, 12, 45, 65 D.Lgs.
n. 82/2005. Eccesso di potere per carenza assoluta dei presupposti ed
erroneità della motivazione.
Con riferimento alla prima delle ragioni poste a
fondamento del divieto comunale di prosecuzione dell’attività oggetto di
SCIA, e segnatamente l’inaccessibilità di parte della documentazione
trasmessa a mezzo pec dagli interessati, sostiene parte ricorrente che
in tal modo il provvedimento contrasterebbe con la disciplina della cd.
Amministrazione digitale, disciplina che consente ai privati di
relazionarsi con la pubblica Autorità mediante l’uso delle tecnologie
telematiche. Invero, nel caso in cui, come avvenuto nella fattispecie
qui in esame, siano rispettati i parametri tecnici nell’invio telematico
della documentazione opererebbe una presunzione di corretta consegna
che esonera il mittente da ulteriori verifiche presso il destinatario.
II^) Violazione dell’articolo 6 L. n. 241/1990, degli
articoli 87 e 87 bis D.Lgs. n. 259/2003, dell’articolo 18 L.R. F.V.G. n.
3/2011. Eccesso di potere per violazione dei principi del giusto
procedimento, di buona fede e di buon andamento e trasparenza
dell’azione amministrativa.
Sempre con riferimento alla prima delle ragioni poste a
fondamento del divieto comunale di prosecuzione dell’attività oggetto
di SCIA, lamenta la ricorrente la mancata attivazione da parte
dell’Amministrazione procedente dei poteri di soccorso istruttorio in
luogo di quelli inibitori. Più specificatamente, ritiene la deducente
che il Comune avrebbe dovuto chiedere la produzione, anche cartacea, del
documento mancante, anziché vietare l’esecuzione dell’intervento di
riconfigurazione tecnologica di cui si discute.
III^) Eccesso di potere per carenza dei presupposti,
presupposti erronei, carenza di istruttoria e della motivazione.
Contraddittorietà manifesta.
Con riferimento alla seconda delle ragioni poste a
fondamento del divieto comunale di prosecuzione dell’attività oggetto di
SCIA, e segnatamente la contrarietà dell’impianto di telefonia mobile
progettato alle previsioni del piano antenne comunale, evidenzia la
società ricorrente come non si tratti affatto di nuova stazione radio
base, bensì di adeguamento tecnologico di impianto già esistente.
Sottolinea, inoltre, come il progetto abbia ottenuto parere
radioprotezionistico positivo da parte dell’ARPA.
Si è costituito in giudizio il Comune di Pocenia,
contestando la prospettazione avversaria e chiedendo il rigetto del
ricorso proposto dalla controparte.
Rappresenta l’Amministrazione resistente come il piano
comunale di localizzazione degli impianti di telefonia mobile non sia
stato contestato, divenendo così inoppugnabile. Il piano, elaborato in
collaborazione con i gestori del servizio, prevede, per quanto qui di
interesse, i siti ove sia Telecom Italia S.p.A. che Vodafone Ominitel
B.V. possono installare e sviluppare la relativa rete. Lo strumento
comunale, di contro, non consentirebbe all’interno dei siti autorizzati
la sostituzione di apparati di un gestore con quelli di un altro. Di
talché, risulterebbe vietato l’intervento di cui alla SCIA presentata
dalla ricorrente, tenuto vieppiù conto che l’impianto in esame verrebbe a
trovarsi a distanza ravvicinata a due edifici sensibili (scuole).
Sotto altro profilo, la difesa comunale sostiene che
l’incompletezza documentale comporta l’inefficacia della SCIA,
legittimando l’esercizio dei poteri inibitori dell’attività, senza che
incomba sulla Amministrazione alcun obbligo di domandare l’integrazione
della documentazione incompleta o illeggibile come nel caso di specie.
Alla camera di consiglio fissata per la decisione
sulla domanda cautelare avanzata dalla ricorrente, la difesa del Comune
di Pocenia, pur riportandosi ai propri scritti difensivi, eccepiva
preliminarmente il difetto di interesse a ricorrere in capo a Telecom
Italia S.p.A., sulla scorta dell’osservazione che l’impianto oggetto di
modifica già è al servizio di tale gestore, che dunque dal provvedimento
impugnato non riceverebbe lesione alcuna. La lesività del divieto
impugnato si configurerebbe esclusivamente con riferimento alla
posizione di Vodafone Ominitel B.V., la quale tuttavia, pur non potendo
ivi installare le proprie antenne, non ha ritenuto di attivare i rimedi
di tutela giurisdizionale.
Replica il patrocinio di parte ricorrente, riferendosi
agli accordi privatistici intercorsi tra la propria assistita e l’altro
gestore del servizio.
DIRITTO
Il Collegio ritiene di poter definire la causa in
forma semplificata ai sensi dell’articolo 60 Cod. proc. amm.,
sussistendone i presupposti, e avendo il Presidente reso edotte le parti
di tale eventualità, come risulta dal verbale di causa.
Preliminarmente, va esaminata l’eccezione di difetto
di interesse formulata dal patrocinio del Comune resistente in sede di
discussione dell’istanza cautelare presentata dalla società ricorrente,
così come più compiutamente esposta in narrativa.
L’eccezione è infondata.
Come emerge dalla documentazione versata in atti, la
società ricorrente è tra i presentatori della SCIA ed è tra i
destinatari del provvedimento inibitorio impugnato. Il che già di per sé
è sufficiente a fondare l’interesse a ricorrere della società Telecom
Italia S.p.A., configurandosi la stessa come soggetto obbligato a non
proseguire l’attività segnalata e suscettibile di sanzione in caso di
violazione della disciplina urbanistica.
Ma al di là del dato formale, rileva la circostanza
che il divieto di prosecuzione dell’attività qui in esame, precludendo
la realizzazione dell’impianto di cd. co-site, leda anche l’interesse,
economico e organizzativo, della società ricorrente, legittimandola,
conseguentemente, all’azione impugnatoria qui dispiegata.
Si deve dunque passare all’esame delle doglianze dedotte dalla società Telecom Italia S.p.A..
Nel merito il ricorso è fondato, perché nessuna delle
ragioni, che autonomamente sorreggono il provvedimento impugnato, è in
grado di superare il vaglio di legittimità.
La pec, quale tecnologia telematica, è strumento con
il quale i privati possono relazionarsi con la pubblica Amministrazione
(articolo 3 D.Lgs. n. 82/2005); la trasmissione a mezzo pec equivale a
notificazione a mezzo posta (articolo 48 D.Lgs. n. 82/2005); se
rispondenti ai requisiti formali normativamente fissati, le istanze e
dichiarazioni inviate alla pubblica Amministrazione in via telematica
equivalgono a quelle presentate su supporto cartaceo con sottoscrizione
autografa (articolo 65 D.Lgs. n. 82/2005).
Ne consegue che a fronte di una SCIA presentata in via
telematica l’Amministrazione procedente è tenuta al rispetto delle
regole che ordinariamente informano i rapporti con i privati, e, prima
di tutte, del principio di leale collaborazione.
Nel momento in cui il sistema genera la ricevuta di
accettazione della pec e di consegna della stessa nella casella del
destinatario si determina una presunzione di conoscenza della
comunicazione da parte del destinatario analoga a quella prevista, in
tema di dichiarazioni negoziali, dall’articolo 1335 Cod. civ.. Spetta la
destinatario, in un’ottica collaborativa, rendere edotto il mittente
incolpevole delle difficoltà di cognizione del contenuto della
comunicazione legate all’utilizzo dello strumento telematico, pure
ammesso dalla legge.
Nel caso di specie il Comune non ha nemmeno
prospettato che la mancata apertura dei file contenenti la
documentazione allegati alla SCIA dipendesse da una scelta deliberata
delle segnalanti: ne consegue che era suo dovere rappresentare agli
interessati la circostanza, fissando un termine per ovviare al problema,
con l’avvertimento che il mancato tempestivo adempimento
dell’incombente avrebbe determinato l’esercizio dei poteri inibitori nel
termine di cui all’articolo 87 bis D.Lgs. n. 259/2003. A ben guardare
non si trattava nemmeno di chiedere un’integrazione documentale, perché
nel caso di specie il documento era stato inviato, ma di sollecitare,
nell’interesse delle stesse segnalanti, una riproduzione dello stesso in
un formato visionabile dall’Amministrazione.
Per quanto attiene la prospettata contrarietà del
progetto presentato con la SCIA di cui è causa rispetto alle previsioni
del piano comunale antenne, va considerato che la ricorrente non intende
realizzare un impianto nuovo, ma modificarne uno esistente, collocato
in un’area già prevista in piano e rispetto alla quale l’Amministrazione
comunale, dunque, ha già effettuato le proprie valutazione in relazione
ai due siti sensibili (scuole) presenti nelle vicinanze. D’altro canto,
sotto questo profilo, l’Arpa ha escluso che le emissioni generate dal
nuovo impianto in co-site superino i limiti fissati dall’Autorità
statale ai sensi dell’articolo 4 L. n. 36/2001.
Ora, è irrilevante che l’impianto sia utilizzato da un
gestore del servizio di telefonia mobile piuttosto che da un altro.
Invero, giusta quanto dispone l’articolo 16 L.R. F.V.G. n. 3/2011, il
regolamento comunale, tra le altre cose, individua le aree del
territorio comunale preferenziali e quelle controindicate per
l’installazione degli impianti di telefonia mobile.
Ma una volta individuato il sito per l’installazione,
non spetta al Comune stabilire quale sia l’operatore privato che lo deve
utilizzare o impedire che altri lo utilizzino. Diversamente, esso
finirebbe per esorbitare dai propri compiti, per determinare una
conformazione limitativa della attività economica privata, che pure
l’articolo 41 Cost. consacra come libera, per scopi eccedenti gli
interessi pubblici affidati alla sua cura.
Invero, è compito del Comune tutelare la salute di
cittadini, l’uso razionale del territorio, i beni di interesse storico,
artistico, culturale, paesaggistico, ambientale e naturalistico (cfr.,
articolo 16 L.R. F.V.G. n. 3/2011). Ne discende che l’aggressione a tali
beni può derivare non certo dall’identità del soggetto che si serve
della stazione radio-base, ma dalla sua collocazione e dal suo livello
di emissioni.
Nel caso di specie, il sito era già stato individuato
dal piano comunale antenne e l’ARPA aveva certificato il rispetto dei
limiti di emissione. Conseguentemente, il Comune non poteva vietare la
modifica dell’impianto in ragione del fatto che lo stesso sarebbe stato
utilizzato anche da Vodafone Omnitel B.V. oltre che da Telecom S.p.A..
In definitiva, il ricorso viene accolto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli
Venezia Giulia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul
ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie.
Condanna l’Amministrazione resistente a rifondere alla
società ricorrente le spese del giudizio, che liquida in complessivi
€uro 3.000,00, oltre ad accessori di legge, e al rimborso del contributo
unificato, come da previsione di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Umberto Zuballi, Presidente
Manuela Sinigoi, Primo Referendario
Alessandra Tagliasacchi, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/12/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Il soggetto che circoli abusivamente con il veicolo di sua proprietà sottoposto a sequestro amministrativo, ai sensi dell'art. 213, comma 4, d.lgs. n. 285/1992 (Codice della Strada), commette esclusivamente la violazione amministrativa e non anche il reato di sottrazione di cose sottoposte a sequestro
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 19 novembre 2014 – 28 gennaio 2015, n. 4197
Presidente Milo – Relatore Bassi
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 16 aprile 2012, la Corte d'appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha confermato la sentenza del 23 giugno 2008, con la quale il Tribunale di Taranto condannava G.A. alla pena di mesi due di reclusione, in relazione al reato di cui all'art. 335 cod. pen., per avere consentito a D.F.G. di fare uso dell'autovettura Fiat 500 di proprietà di Di Fiore Anna, sottoposta a sequestro e contestuale fermo amministrativo ed affidata in custodia allo stesso G., fatto accertato in Taranto l'11 febbraio 2005.
2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l'Avv. Fabrizio Lamanna, difensore di fiducia di G.A., chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi.
2.1. Carenza ed illogicità della motivazione svolta dalla Corte d'appello a conferma del giudizio di penale responsabilità di G..
2.2. Violazione di legge penale, per avere la Corte d'appello confermato la condanna di G. in ordine al reato di cui all'art. 335 cod. pen. trascurando di considerare la recente pronuncia di questa Corte di cassazione a Sezioni Unite n. 1963 del 28 ottobre 2010, secondo cui il soggetto che circoli abusivamente con il veicolo di sua proprietà sottoposto a sequestro amministrativo, ai sensi dell'art. 213, comma 4, d.lgs. n. 285/1992 (Codice della Strada), commette esclusivamente la violazione amministrativa e non anche il reato di sottrazione di cose sottoposte a sequestro.
3. II Procuratore generale ha chiesto che la sentenza sia annullata senza rinvio per intervenuta prescrizione del reato.
Considerato in diritto
1. II primo motivo è inammissibile per totale genericità degli argomenti svolti: il ricorrente si è limitato a contestare le conclusioni cui è pervenuto il giudice di secondo grado nel confermare la penale responsabilità di G.A. senza esplicitare in modo specifico le ragioni per le quali l'apparato argomentativo sia da censurare.
L'evidenziata genericità delle doglianze riverbera di per sé in termini di inammissibilità del motivo, laddove i motivi di ricorso in cassazione devono essere specifici e quindi, pur nella libertà della loro formulazione, devono indicare con chiarezza le ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano le censure, al fine di delimitare con precisione l'oggetto del gravame ed evitare, di conseguenza, impugnazioni generiche o meramente dilatorie (Cass. Sez. 6, n. 1770 del 18/12/2012, P.G. in proc. Lombardo, Rv. 254204).
2. II secondo motivo è invece fondato, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, ma è sanzionato solo quale illecito amministrativo.
2.1. Giova premettere che il ricorrente è stato condannato per il reato di cui all'art. 335 cod. pen. per avere, quale custode dell'auto di Di Fiore Anna sottoposta a fermo amministrativo in data 30 gennaio 2005, consentito l'utilizzo di tale mezzo a D.F.G., il quale, in data 11 febbraio 2005, veniva sorpreso alla guida della vettura e, nel frangente, spiegava che il veicolo gli era stato dato in uso dal suo amico G.A..
Ritiene il Collegio che il caso in oggetto, così come ricostruito dai giudici di merito, debba essere qualificato quale concorso colposo nella fattispecie delineata nell'art. 213, comma 4, del Codice della Strada, che - a seguito della depenalizzazione operata dall'art. 19, comma 5, d.lgs. n. 507/1999 - punisce, non più quale reato (ex art. 334 cod. pen), ma con la sola sanzione amministrativa la condotta di colui il quale circoli abusivamente con un veicolo sottoposto a sequestro dall'autorità amministrativa.
2.2. E' bene premettere che le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di chiarire che la condotta di chi circola abusivamente con il veicolo sottoposto a sequestro amministrativo, ai sensi dell'art. 213 Cod. Strada, integra esclusivamente l'illecito amministrativo previsto dal quarto comma dello stesso articolo e non anche il delitto di sottrazione di cose sottoposte a sequestro di cui all'art. 334 cod. pen., atteso che la norma sanzionatoria amministrativa risulta speciale rispetto a quella penale, con la conseguenza che il concorso tra le stesse deve essere ritenuto solo apparente (Cass. Sez. U, n. 1963 dei 28/10/2010, P.G. in proc. Di Lorenzo, Rv. 248721). In particolare, questo giudice di legittimità ha rilevato che la disposizione penale e la violazione amministrativa danno luogo ad un concorso eterogeneo di norme che si declina in termini di concorso apparente di norme con riguardo alla sola condotta di chi circoli abusivamente con il veicolo sottoposto a fermo amministrativo, laddove la fattispecie di illecito amministrativo si presenta come speciale, contenendo tutti gli elementi qualificanti l'illecito (id est la circolazione abusiva e la natura amministrativa dei sequestro), con l'ulteriore elemento specializzante rappresentato dal fatto che la condotta può essere commessa da "chiunque".
Alla luce dell'art. 9 L. n. 689/1981 (principio di specialità), deve, dunque, essere privilegiata la specialità e, quindi, l'apparenza del concorso di norme in tutti i casi in cui ad una condotta penalmente sanzionata si aggiunga una disciplina normativa che la preveda anche come violazione di natura amministrativa, soprattutto allorchè ciò avvenga - come appunto nel caso di specie - in un momento successivo rispetto all'entrata in vigore della prima norma. Ne discende che - salvo che non risulti, da una previsione espressa o da ragioni logiche implicite o altre considerazioni, che il legislatore abbia inteso affiancare la sanzione amministrativa a quella penale - l'interprete deve privilegiare l'interpretazione che valorizzi la specialità, ritenendo la depenalizzazione della condotta in precedenza costituente reato che sia presa in considerazione dalla nuova normativa, e nel caso inverso, optando per la sola ipotesi penalmente sanzionata (sul punto si veda Cass. Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, cit.).
2.3. Per altro verso, deve essere posto in luce che la Corte Costituzionale - investita della questione di legittimità costituzionale della disposizione di cui all'art. 335 cod. pen. per violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui la condotta posta in essere dal custode che abbia colposamente agevolato la circolazione abusiva di un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo, diversamente dalla condotta prevista dall'art. 334 cod. pen., non possa ritenersi sanzionata in via solo amministrativa a norma dell'art. 213, comma 4, d.lgs. n. 285 dei 1992 -, nel dichiarare inammissibile la questione di incostituzionalità, ha evidenziato come il giudice rimettente avesse omesso di verificare se tale condotta non potesse configurare un'ipotesi di concorso colposo dell'illecito amministrativo altrui, ai sensi del combinato disposto degli artt. 5 L. n. 689 del 1981 e 213, comma 4, d.lgs. n. 285 del 1992, così da escludere la configurabilità dell'autonomo reato ex art. 335 cod. pen. (C. Cost. sent. del 15/02/2012, n. 58; C. Cost. ord. del 6/6/2012, n. 175).
2.4. Tenuto conto delle linee interpretative tracciate da questo giudice di legittimità a composizione allargata e dal giudice delle leggi, fra più letture interpretative di una norma, si deve pertanto privilegiare quella che, da un lato, valorizzi il principio di specialità, anche quando esso riguardi i rapporti fra illecito penale ed illecito amministrativo; dall'altro lato, consenta di percorrere un'interpretazione costituzionalmente conforme al principio di ragionevolezza fissato nell'art. 3 Cost.
Ora, non è revocabile in dubbio che la condotta di colui il quale agevola colposamente la sottrazione (e quindi anche la circolazione abusiva) da parte di un terzo del veicolo affidato al medesimo in custodia - sanzionata quale reato autonomo dall'art. 335 cod. pen. -, in effetti, sostanzi un'ipotesi di concorso colposo nella condotta di sottrazione (e circolazione) abusiva di veicolo sottoposto a sequestro amministrativo, prevista dall'art. 334 cod. pen. e da ritenere depenalizzata a seguito della introduzione dell'art. 213, comma 4, Codice della Strada (sul punto si richiama Cass. Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, cit.). Ed invero, il custode che favorisca la sottrazione, da parte di terzi, del veicolo sottoposto a vincolo reale ed al medesimo affidato (e la conseguente circolazione a bordo del mezzo) certamente rende più agevole la condotta illecita altrui e, segnatamente, presta un contributo materiale e/o morale alla commissione della condotta di sottrazione (circolazione) delineata nell'art. 334 cod. pen., oggi sanzionata solo in via amministrativa.
In ossequio alle coordinate ermeneutiche sopra delineate, ai fini dell'inquadramento giuridico della condotta di colposa agevolazione dell'utilizzazione da parte di terzi del veicolo sottoposto a fermo amministrativo posta in essere dal custode del veicolo stesso, fra le due letture alternative sopra delineate - reato autonomo ex art. 335 cod. pen. e concorso colposo nell'illecito amministrativo ex art. 213, comma 4, del Codice della Strada - si deve certamente privilegiare la soluzione interpretativa più consona al principio di specialità e, sopratutto, al principio di ragionevolezza, così da scongiurare disparità di trattamento di situazioni nella sostanza equipollenti e, dunque, da evitare di assoggettare a sanzione penale la condotta di agevolazione colposa dell'utilizzo da parte di terzi di un veicolo sottoposto a fermo amministrativo (ex art. 335 cod. pen.) ed alla sola sanzione amministrativa (ex art. 213, comma 4, Codice della Strada) la condotta - obbiettivamente non meno grave - di sottrazione abusiva del veicolo sottoposto a fermo amministrativo (e circolazione a bordo dello stesso).
L'interpretazione costituzionalmente conforme al principio di ragionevolezza sancito dall'art. 3 Cost. impone, dunque, di applicare nella specie i principi generali dell'ordinamento in tema di concorso di persone del reato e, nello specifico, il disposto dell'art. 5 della legge di depenalizzazione del 1981 (alla stregua del quale, "quando più persone concorrono in una violazione amministrativa, ciascuna di essere soggiace alla sanzione per questa disposta salvo che sia diversamente stabilito dalla legge"): la condotta di colui il quale agevoli colposamente la sottrazione da parte di un terzo di un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo ed affidato alla propria custodia (con conseguente circolazione abusiva) deve dunque ritenersi integrare - piuttosto che l'ipotesi autonoma di reato ex art. 335 cod. pen. - un'ipotesi di concorso colposo nella condotta oggi integrante l'illecito amministrativo di cui all'art. 213, comma 4, del Codice della Strada.
D'altronde, il nostro sistema penale ammette il concorso colposo nel reato doloso sia nel caso in cui la condotta colposa concorra con quella dolosa alla causazione dell'evento secondo lo schema del concorso di cause indipendenti, sia in quello della cooperazione colposa purchè, in entrambi i casi, il reato del partecipe sia previsto dalla legge anche nella forma colposa e nella sua condotta siano presenti gli elementi della colpa, in particolare la finalizzazione della regola cautelare violata alla prevenzione del rischio dell'atto doloso del terzo e la prevedibilità per l'agente dell'atto del terzo (ex piurimis Cass. Sez. 4, n. 4107 del 12/11/2008, Calabrò, Rv. 242830). Requisiti appunto sussistenti nella specie.
2.5. Ne discende che la sentenza di condanna in verifica deve essere annullata senza rinvio atteso che il fatto per il quale G.A. è stato condannato non è previsto dalla legge come reato.
3. Giova precisare che, in caso di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per non essere il fatto previsto dalla legge come reato, ma solo come illecito amministrativo, il giudice non ha l'obbligo di trasmettere gli atti all'autorità amministrativa competente a sanzionare l'illecito amministrativo qualora la legge di depenalizzazione non preveda norme transitorie analoghe a quelle di cui agli artt. 40 e 41 legge 24 novembre 1981, n. 689, la cui operatività è limitata agli illeciti da essa depenalizzati e non riguarda gli altri casi di depenalizzazione (Cass. Sez. U, n. 25457 del 29/03/2012, Campagne Rudie Rv. 252694).
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Presidente Milo – Relatore Bassi
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 16 aprile 2012, la Corte d'appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha confermato la sentenza del 23 giugno 2008, con la quale il Tribunale di Taranto condannava G.A. alla pena di mesi due di reclusione, in relazione al reato di cui all'art. 335 cod. pen., per avere consentito a D.F.G. di fare uso dell'autovettura Fiat 500 di proprietà di Di Fiore Anna, sottoposta a sequestro e contestuale fermo amministrativo ed affidata in custodia allo stesso G., fatto accertato in Taranto l'11 febbraio 2005.
2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l'Avv. Fabrizio Lamanna, difensore di fiducia di G.A., chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi.
2.1. Carenza ed illogicità della motivazione svolta dalla Corte d'appello a conferma del giudizio di penale responsabilità di G..
2.2. Violazione di legge penale, per avere la Corte d'appello confermato la condanna di G. in ordine al reato di cui all'art. 335 cod. pen. trascurando di considerare la recente pronuncia di questa Corte di cassazione a Sezioni Unite n. 1963 del 28 ottobre 2010, secondo cui il soggetto che circoli abusivamente con il veicolo di sua proprietà sottoposto a sequestro amministrativo, ai sensi dell'art. 213, comma 4, d.lgs. n. 285/1992 (Codice della Strada), commette esclusivamente la violazione amministrativa e non anche il reato di sottrazione di cose sottoposte a sequestro.
3. II Procuratore generale ha chiesto che la sentenza sia annullata senza rinvio per intervenuta prescrizione del reato.
Considerato in diritto
1. II primo motivo è inammissibile per totale genericità degli argomenti svolti: il ricorrente si è limitato a contestare le conclusioni cui è pervenuto il giudice di secondo grado nel confermare la penale responsabilità di G.A. senza esplicitare in modo specifico le ragioni per le quali l'apparato argomentativo sia da censurare.
L'evidenziata genericità delle doglianze riverbera di per sé in termini di inammissibilità del motivo, laddove i motivi di ricorso in cassazione devono essere specifici e quindi, pur nella libertà della loro formulazione, devono indicare con chiarezza le ragioni di fatto e di diritto su cui si fondano le censure, al fine di delimitare con precisione l'oggetto del gravame ed evitare, di conseguenza, impugnazioni generiche o meramente dilatorie (Cass. Sez. 6, n. 1770 del 18/12/2012, P.G. in proc. Lombardo, Rv. 254204).
2. II secondo motivo è invece fondato, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, ma è sanzionato solo quale illecito amministrativo.
2.1. Giova premettere che il ricorrente è stato condannato per il reato di cui all'art. 335 cod. pen. per avere, quale custode dell'auto di Di Fiore Anna sottoposta a fermo amministrativo in data 30 gennaio 2005, consentito l'utilizzo di tale mezzo a D.F.G., il quale, in data 11 febbraio 2005, veniva sorpreso alla guida della vettura e, nel frangente, spiegava che il veicolo gli era stato dato in uso dal suo amico G.A..
Ritiene il Collegio che il caso in oggetto, così come ricostruito dai giudici di merito, debba essere qualificato quale concorso colposo nella fattispecie delineata nell'art. 213, comma 4, del Codice della Strada, che - a seguito della depenalizzazione operata dall'art. 19, comma 5, d.lgs. n. 507/1999 - punisce, non più quale reato (ex art. 334 cod. pen), ma con la sola sanzione amministrativa la condotta di colui il quale circoli abusivamente con un veicolo sottoposto a sequestro dall'autorità amministrativa.
2.2. E' bene premettere che le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di chiarire che la condotta di chi circola abusivamente con il veicolo sottoposto a sequestro amministrativo, ai sensi dell'art. 213 Cod. Strada, integra esclusivamente l'illecito amministrativo previsto dal quarto comma dello stesso articolo e non anche il delitto di sottrazione di cose sottoposte a sequestro di cui all'art. 334 cod. pen., atteso che la norma sanzionatoria amministrativa risulta speciale rispetto a quella penale, con la conseguenza che il concorso tra le stesse deve essere ritenuto solo apparente (Cass. Sez. U, n. 1963 dei 28/10/2010, P.G. in proc. Di Lorenzo, Rv. 248721). In particolare, questo giudice di legittimità ha rilevato che la disposizione penale e la violazione amministrativa danno luogo ad un concorso eterogeneo di norme che si declina in termini di concorso apparente di norme con riguardo alla sola condotta di chi circoli abusivamente con il veicolo sottoposto a fermo amministrativo, laddove la fattispecie di illecito amministrativo si presenta come speciale, contenendo tutti gli elementi qualificanti l'illecito (id est la circolazione abusiva e la natura amministrativa dei sequestro), con l'ulteriore elemento specializzante rappresentato dal fatto che la condotta può essere commessa da "chiunque".
Alla luce dell'art. 9 L. n. 689/1981 (principio di specialità), deve, dunque, essere privilegiata la specialità e, quindi, l'apparenza del concorso di norme in tutti i casi in cui ad una condotta penalmente sanzionata si aggiunga una disciplina normativa che la preveda anche come violazione di natura amministrativa, soprattutto allorchè ciò avvenga - come appunto nel caso di specie - in un momento successivo rispetto all'entrata in vigore della prima norma. Ne discende che - salvo che non risulti, da una previsione espressa o da ragioni logiche implicite o altre considerazioni, che il legislatore abbia inteso affiancare la sanzione amministrativa a quella penale - l'interprete deve privilegiare l'interpretazione che valorizzi la specialità, ritenendo la depenalizzazione della condotta in precedenza costituente reato che sia presa in considerazione dalla nuova normativa, e nel caso inverso, optando per la sola ipotesi penalmente sanzionata (sul punto si veda Cass. Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, cit.).
2.3. Per altro verso, deve essere posto in luce che la Corte Costituzionale - investita della questione di legittimità costituzionale della disposizione di cui all'art. 335 cod. pen. per violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui la condotta posta in essere dal custode che abbia colposamente agevolato la circolazione abusiva di un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo, diversamente dalla condotta prevista dall'art. 334 cod. pen., non possa ritenersi sanzionata in via solo amministrativa a norma dell'art. 213, comma 4, d.lgs. n. 285 dei 1992 -, nel dichiarare inammissibile la questione di incostituzionalità, ha evidenziato come il giudice rimettente avesse omesso di verificare se tale condotta non potesse configurare un'ipotesi di concorso colposo dell'illecito amministrativo altrui, ai sensi del combinato disposto degli artt. 5 L. n. 689 del 1981 e 213, comma 4, d.lgs. n. 285 del 1992, così da escludere la configurabilità dell'autonomo reato ex art. 335 cod. pen. (C. Cost. sent. del 15/02/2012, n. 58; C. Cost. ord. del 6/6/2012, n. 175).
2.4. Tenuto conto delle linee interpretative tracciate da questo giudice di legittimità a composizione allargata e dal giudice delle leggi, fra più letture interpretative di una norma, si deve pertanto privilegiare quella che, da un lato, valorizzi il principio di specialità, anche quando esso riguardi i rapporti fra illecito penale ed illecito amministrativo; dall'altro lato, consenta di percorrere un'interpretazione costituzionalmente conforme al principio di ragionevolezza fissato nell'art. 3 Cost.
Ora, non è revocabile in dubbio che la condotta di colui il quale agevola colposamente la sottrazione (e quindi anche la circolazione abusiva) da parte di un terzo del veicolo affidato al medesimo in custodia - sanzionata quale reato autonomo dall'art. 335 cod. pen. -, in effetti, sostanzi un'ipotesi di concorso colposo nella condotta di sottrazione (e circolazione) abusiva di veicolo sottoposto a sequestro amministrativo, prevista dall'art. 334 cod. pen. e da ritenere depenalizzata a seguito della introduzione dell'art. 213, comma 4, Codice della Strada (sul punto si richiama Cass. Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, cit.). Ed invero, il custode che favorisca la sottrazione, da parte di terzi, del veicolo sottoposto a vincolo reale ed al medesimo affidato (e la conseguente circolazione a bordo del mezzo) certamente rende più agevole la condotta illecita altrui e, segnatamente, presta un contributo materiale e/o morale alla commissione della condotta di sottrazione (circolazione) delineata nell'art. 334 cod. pen., oggi sanzionata solo in via amministrativa.
In ossequio alle coordinate ermeneutiche sopra delineate, ai fini dell'inquadramento giuridico della condotta di colposa agevolazione dell'utilizzazione da parte di terzi del veicolo sottoposto a fermo amministrativo posta in essere dal custode del veicolo stesso, fra le due letture alternative sopra delineate - reato autonomo ex art. 335 cod. pen. e concorso colposo nell'illecito amministrativo ex art. 213, comma 4, del Codice della Strada - si deve certamente privilegiare la soluzione interpretativa più consona al principio di specialità e, sopratutto, al principio di ragionevolezza, così da scongiurare disparità di trattamento di situazioni nella sostanza equipollenti e, dunque, da evitare di assoggettare a sanzione penale la condotta di agevolazione colposa dell'utilizzo da parte di terzi di un veicolo sottoposto a fermo amministrativo (ex art. 335 cod. pen.) ed alla sola sanzione amministrativa (ex art. 213, comma 4, Codice della Strada) la condotta - obbiettivamente non meno grave - di sottrazione abusiva del veicolo sottoposto a fermo amministrativo (e circolazione a bordo dello stesso).
L'interpretazione costituzionalmente conforme al principio di ragionevolezza sancito dall'art. 3 Cost. impone, dunque, di applicare nella specie i principi generali dell'ordinamento in tema di concorso di persone del reato e, nello specifico, il disposto dell'art. 5 della legge di depenalizzazione del 1981 (alla stregua del quale, "quando più persone concorrono in una violazione amministrativa, ciascuna di essere soggiace alla sanzione per questa disposta salvo che sia diversamente stabilito dalla legge"): la condotta di colui il quale agevoli colposamente la sottrazione da parte di un terzo di un veicolo sottoposto a sequestro amministrativo ed affidato alla propria custodia (con conseguente circolazione abusiva) deve dunque ritenersi integrare - piuttosto che l'ipotesi autonoma di reato ex art. 335 cod. pen. - un'ipotesi di concorso colposo nella condotta oggi integrante l'illecito amministrativo di cui all'art. 213, comma 4, del Codice della Strada.
D'altronde, il nostro sistema penale ammette il concorso colposo nel reato doloso sia nel caso in cui la condotta colposa concorra con quella dolosa alla causazione dell'evento secondo lo schema del concorso di cause indipendenti, sia in quello della cooperazione colposa purchè, in entrambi i casi, il reato del partecipe sia previsto dalla legge anche nella forma colposa e nella sua condotta siano presenti gli elementi della colpa, in particolare la finalizzazione della regola cautelare violata alla prevenzione del rischio dell'atto doloso del terzo e la prevedibilità per l'agente dell'atto del terzo (ex piurimis Cass. Sez. 4, n. 4107 del 12/11/2008, Calabrò, Rv. 242830). Requisiti appunto sussistenti nella specie.
2.5. Ne discende che la sentenza di condanna in verifica deve essere annullata senza rinvio atteso che il fatto per il quale G.A. è stato condannato non è previsto dalla legge come reato.
3. Giova precisare che, in caso di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per non essere il fatto previsto dalla legge come reato, ma solo come illecito amministrativo, il giudice non ha l'obbligo di trasmettere gli atti all'autorità amministrativa competente a sanzionare l'illecito amministrativo qualora la legge di depenalizzazione non preveda norme transitorie analoghe a quelle di cui agli artt. 40 e 41 legge 24 novembre 1981, n. 689, la cui operatività è limitata agli illeciti da essa depenalizzati e non riguarda gli altri casi di depenalizzazione (Cass. Sez. U, n. 25457 del 29/03/2012, Campagne Rudie Rv. 252694).
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Affinchè un veicolo dismesso possa considerarsi rifiuto pericoloso è necessario non solo che esso sia fuori uso, ma anche che contenga liquidi o altre componenti pericolose
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 dicembre 2014 – 28 gennaio 2015, n. 3951
Presidente Teresi – Relatore Andreazza
Ritenuto in fatto
1. D.B.A. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello di Caltanissetta, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Enna di condanna per il reato di cui all'art.6 lett. d), nn. 1 e 2 del d.l. n. 172 del 2008 relativo alla raccolta e al trasporto di rifiuti pericolosi e non pericolosi.
2. Con un unico motivo lamenta l'erronea qualificazione come rifiuti pericolosi del materiale ferroso costituito dalla carcassa rimossa di una Fiat Croma abbandonata da tempo su un fondo agricolo e prelevata dall'imputato proprio perché priva di gasolio o sostanze infiammabili all'interno; di qui la riqualificazione del fatto all'interno della fattispecie ex art. 6, comma 1, lett. d), n. 1, del d.l. n. 172 del 2008, con necessità di rideterminazione della pena sulla base di limiti edittali differenti, tenuto anche conto della condotta in concreto tenuta e volta a procacciarsi il necessario per la sussistenza propria e della famiglia.
Considerato in diritto
3. II ricorso è fondato.
Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello per cui, affinché un veicolo dismesso possa considerarsi rifiuto pericoloso è necessario non solo che esso sia fuori uso, ma anche che contenga liquidi o altre componenti pericolose, diversamente rientrando nella categoria 16.01.06 (prevista nell'allegato D, parte IV, del d.lgs. 26 aprile 2006, n. 152) e non potendo dunque essere qualificato come pericoloso (cfr., tra le altre, Sez.3, n. 29973 del 21/06/2011, Rigotti, Rv. 251020; Sez.3, n. 5803/2008 del 19/12/2007, Baldini, non massímata). Infatti, l'art.184, comma 5, del d. Igs. n. 152 dei 2006 come modificato dall'art.11 del d.lgs. n. 205 del 2010, prevede che "L'elenco dei rifiuti di cui all'allegato D alla parte quarta del presente decreto include i rifiuti pericolosi e tiene conto dell'origine e della composizione dei rifiuti e, ove necessario, dei valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose. Esso è vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi. L'inclusione di una sostanza o di un oggetto nell'elenco non significa che esso sia un rifiuto in tutti i casi, ferma restando la definizione di cui all'art. 183"; e detto allegato D, alla parte IV, considera come rifiuti pericolosi sotto la categoria 16.01.04 i veicoli fuori uso, mentre considera come rifiuti non pericolosi i veicoli fuori uso appartenenti a diversi modi di trasporto (categoria 16.01) ed i veicoli fuori uso, non contenenti liquidi né altre componenti pericolose (categoria 16.01.06).
Ciò posto, nella specie, la sentenza impugnata, in luogo di fare riferimento ai criteri posti dalla legge per ricondurre i veicoli fuori uso nell'una piuttosto che nell'altra categoria, si è limitata a ravvisare la natura pericolosa in considerazione della "natura e composizione di tutti i materiali utilizzati per la costruzione di un'autovettura di vecchia concezione e progettualità" in tal modo, dunque, valorizzando un criterio che, oltre ad essere implicitamente disconosciuto dalla legge (posto che le diverse categorie indicate dal legislatore appaiono evidentemente prescindere dall'epoca di fabbricazione del veicolo), finisce per far coincidere tout court la natura pericolosa del rifiuto con la "vecchia" concezione dell'autovettura interessata senza che, peraltro, sia dato comprendere quale sarebbe il discrimine temporale (evidentemente necessario per conferire certezza al criterio utilizzato) da individuare con precisione. La sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Caltanissetta per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Caltanissetta.
Presidente Teresi – Relatore Andreazza
Ritenuto in fatto
1. D.B.A. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello di Caltanissetta, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Enna di condanna per il reato di cui all'art.6 lett. d), nn. 1 e 2 del d.l. n. 172 del 2008 relativo alla raccolta e al trasporto di rifiuti pericolosi e non pericolosi.
2. Con un unico motivo lamenta l'erronea qualificazione come rifiuti pericolosi del materiale ferroso costituito dalla carcassa rimossa di una Fiat Croma abbandonata da tempo su un fondo agricolo e prelevata dall'imputato proprio perché priva di gasolio o sostanze infiammabili all'interno; di qui la riqualificazione del fatto all'interno della fattispecie ex art. 6, comma 1, lett. d), n. 1, del d.l. n. 172 del 2008, con necessità di rideterminazione della pena sulla base di limiti edittali differenti, tenuto anche conto della condotta in concreto tenuta e volta a procacciarsi il necessario per la sussistenza propria e della famiglia.
Considerato in diritto
3. II ricorso è fondato.
Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello per cui, affinché un veicolo dismesso possa considerarsi rifiuto pericoloso è necessario non solo che esso sia fuori uso, ma anche che contenga liquidi o altre componenti pericolose, diversamente rientrando nella categoria 16.01.06 (prevista nell'allegato D, parte IV, del d.lgs. 26 aprile 2006, n. 152) e non potendo dunque essere qualificato come pericoloso (cfr., tra le altre, Sez.3, n. 29973 del 21/06/2011, Rigotti, Rv. 251020; Sez.3, n. 5803/2008 del 19/12/2007, Baldini, non massímata). Infatti, l'art.184, comma 5, del d. Igs. n. 152 dei 2006 come modificato dall'art.11 del d.lgs. n. 205 del 2010, prevede che "L'elenco dei rifiuti di cui all'allegato D alla parte quarta del presente decreto include i rifiuti pericolosi e tiene conto dell'origine e della composizione dei rifiuti e, ove necessario, dei valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose. Esso è vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi. L'inclusione di una sostanza o di un oggetto nell'elenco non significa che esso sia un rifiuto in tutti i casi, ferma restando la definizione di cui all'art. 183"; e detto allegato D, alla parte IV, considera come rifiuti pericolosi sotto la categoria 16.01.04 i veicoli fuori uso, mentre considera come rifiuti non pericolosi i veicoli fuori uso appartenenti a diversi modi di trasporto (categoria 16.01) ed i veicoli fuori uso, non contenenti liquidi né altre componenti pericolose (categoria 16.01.06).
Ciò posto, nella specie, la sentenza impugnata, in luogo di fare riferimento ai criteri posti dalla legge per ricondurre i veicoli fuori uso nell'una piuttosto che nell'altra categoria, si è limitata a ravvisare la natura pericolosa in considerazione della "natura e composizione di tutti i materiali utilizzati per la costruzione di un'autovettura di vecchia concezione e progettualità" in tal modo, dunque, valorizzando un criterio che, oltre ad essere implicitamente disconosciuto dalla legge (posto che le diverse categorie indicate dal legislatore appaiono evidentemente prescindere dall'epoca di fabbricazione del veicolo), finisce per far coincidere tout court la natura pericolosa del rifiuto con la "vecchia" concezione dell'autovettura interessata senza che, peraltro, sia dato comprendere quale sarebbe il discrimine temporale (evidentemente necessario per conferire certezza al criterio utilizzato) da individuare con precisione. La sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Caltanissetta per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Caltanissetta.
L’Autorità dei trasporti approva il Regolamento per la tutela dei passeggeri su autobus
AUTORITA' DI REGOLAZIONE DEI TRASPORTI
COMUNICATO
Regolamento sul procedimento sanzionatorio per le violazioni delle disposizioni del Regolamento (UE) n. 181/2011, che modifica il Regolamento (CE) n. 2006/2004, relativo ai diritti dei passeggeri nel trasporto effettuato con autobus, del 21 gennaio 2015. (15A00492) (GU Serie Generale n.21 del 27-1-2015)
COMUNICATO
Regolamento sul procedimento sanzionatorio per le violazioni delle disposizioni del Regolamento (UE) n. 181/2011, che modifica il Regolamento (CE) n. 2006/2004, relativo ai diritti dei passeggeri nel trasporto effettuato con autobus, del 21 gennaio 2015. (15A00492) (GU Serie Generale n.21 del 27-1-2015)
In esecuzione del decreto legislativo 4 novembre 2014, n. 169,
recante «Disciplina sanzionatoria per le violazioni delle
disposizioni del Regolamento (UE) n. 181/2011, che modifica il
Regolamento (CE) n. 2006/2004, relativo ai diritti dei passeggeri nel
trasporto effettuato con autobus», articoli 3, comma 1, e 4, comma 1,
l'Autorita' di regolazione dei trasporti ha adottato, in data 21
gennaio 2015, il «Regolamento» per l'accertamento e l'irrogazione
delle sanzioni e le relative «Modalita' operative». I testi sono
pubblicati in forma integrale sul sito dell'Autorita' di regolazione
dei trasporti, all'indirizzo internet: www.autorita-trasporti.it
Illegittimo il divieto di fumare sigarette elettroniche imposto dal sindaco
Il Sindaco non può vietare l'utilizzo di sigarette elettroniche in tutti i locali pubblici attraverso un'ordinanza contingibile ed urgente perché un simile divieto posto con tale strumento non rientra tra le sue competenze. Lo ha affermato il Tar Lombardia con la sentenza 3039 del 15 dicembre 2014
N. 03039/2014 REG.PROV.COLL.
N. 02170/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2170 del 2013,
proposto da: Giovanni Rizzi, rappresentato e difeso dagli avv. Giorgio
Fraccastoro, Filippo Fioretti, Alessandro Moriconi, con domicilio eletto
presso Giorgio Fraccastoro in Milano, corso Vittorio Emanuele II, 1;
contro
Comune di Cantu' in Persona del Sindaco P.T.;
nei confronti di
Anna Dell'Orco;
per l'annullamento
dell'ordinanza del 30 aprile 2013, n. 4584, pubblicata
sull'Albo Pretorio, con cui il Sindaco di Cantù ha disposto il divieto
generalizzato di utilizzo di sigarette elettroniche "in tutti i locali,
uffici, immobili pubblici o aperti al pubblico o finalizzati a servizi
pubblici o di pubblica utilità, comunque accessibili all'utenza ed
ubicati nel territorio del Comune di Cantù”, nonchè di tutti gli atti
connessi.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 ottobre
2014 il dott. Alberto Di Mario e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente, operatore del settore merceologico
della vendita di sigarette elettroniche, ha impugnato l'ordinanza del 30
aprile 2013, n. 4584, pubblicata sull'Albo pretorio, con cui il Sindaco
di Cantù ha disposto il divieto generalizzato di utilizzo di sigarette
elettroniche "in tutti i locali, uffici, immobili pubblici o aperti al
pubblico o finalizzati a servizi pubblici o di pubblica utilità,
comunque accessibili all'utenza ed ubicati nel territorio del Comune di
Cantù", confermando il divieto di fare uso delle stesse anche per "tutte
le tipologie di locali, aree già previste dalla Legge n. 584175; Legge
n. 4481200/ art. 52, comma 20, come modificato dalla Legge del 16
gennaio 2003; n. 3, art. 51 Accordo Stato Regioni - del 16 dicembre 2004
in materia di divieto di fumo", statuendo, in caso di violazione,
l'applicazione della sanzione amministrativa "da un minimo di € 25, 00,
ad e 500, 00".
Contro il suddetto atto il ricorrente ha proposto i seguenti motivi di ricorso.
I) In via principale: motivi di illegittimità derivata
dall'incostituzionalità dell'Ordinanza n. 9 del2013 per violazione
degli articoli 32 e 117, comma 6, della Costituzione.
II) Eccesso di potere per difetto dei presupposti,
errore e travisamento dei fatti, errore e/o difetto e/o carenza assoluta
di istruttoria, manifesta irragionevolezza, sviamento di potere.
Prima dell’udienza il difensore del ricorrente ha depositato dichiarazione di rinuncia al mandato.
All’udienza del 21 ottobre 2014 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
2. In primo luogo va evidenziato che non produce alcun
effetto sulla decisione della controversia la rinuncia al mandato da
parte dei difensori del ricorrente, giacché la rinuncia al mandato, non
seguita dalla contestuale nomina di un nuovo difensore, non ha effetto
interruttivo nel processo amministrativo (art. 79 cod. proc. amm.;
Consiglio di Stato, VI, 23 febbraio 2009, 1033; T.A.R. Lombardia,
Milano, IV, 5 ottobre 2011, n. 2349).
3. Venendo al merito il ricorso è fondato nel secondo motivo.
3.1 La materia dell’uso delle sigarette elettroniche è
disciplinata con l’ordinanza del Ministro della salute 26 giugno 2013,
concernente il divieto di vendita ai minori di anni diciotto di
sigarette elettroniche con presenza di nicotina e il divieto di utilizzo
delle medesime sigarette elettroniche nei locali chiusi delle
istituzioni scolastiche statali e paritarie e dei centri di formazione
professionale, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana n. 176 del 29 luglio 2013, il cui termine di validità è scaduto
il 28 luglio 2014. Successivamente l’articolo 4, comma 2, del
decreto-legge 12 settembre 2013, n.104, recante "Misure urgenti in
materia di istruzione, università e
ricerca", convertito, con modificazioni, dalla legge 8
novembre 2013, n. 128, ha disposto il divieto dell’utilizzo delle
sigarette elettroniche nei locali chiusi e nelle aree all’aperto di
pertinenza delle istituzioni del sistema educativo di istruzione e di
formazione, comprese le sezioni di scuole operanti presso le comunità di
recupero e gli istituti penali per i minorenni, nonché
presso i centri per l’impiego e i centri di formazione professionale
Con la successiva ordinanza del 26 giugno 2013 il
Ministero della Salute ha confermato il divieto di vendita ai minori di
anni diciotto di sigarette elettroniche con presenza di nicotina,
prevedendo le sanzioni indicate all’articolo 25 del regio decreto 24
dicembre 1934, n. 2316, come modificato dall’articolo 7 del
decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modificazioni
dalla legge 8 novembre 2012, n. 189.
A sua volta l’art. 51 della legge 16 gennaio 2003 n.
3, nel disciplinare il divieto di fumo, prevede limiti alla pubblicità
delle sigarette elettroniche contenenti nicotina.
3.2 Venendo al caso in questione occorre precisare che
la materia del divieto di fumo, nel quale rientra anche l’uso delle
sigarette elettroniche, attiene alla tutela della salute e quindi
rientra nella competenza concorrente dello Stato e della Regione ai
sensi dell’art. 117 della Costituzione.
A sua volta i poteri di emanare ordinanze contingibili
ed urgenti rientrano nelle competenze dello Stato in quanto l’articolo
32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, recante «Istituzione del
servizio sanitario nazionale», attribuisce al Ministro della sanità (ora
della salute) il potere di emanare
ordinanze di carattere contingibile e urgente, in
materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con
efficacia estesa all’intero territorio nazionale o a parte di esso
comprendente più
regioni.
La competenza del Comune ad emanare ordinanze
contingibili ed urgenti in materia di salute è limitata dall’art. 50 del
D. Lgs. 267/2000 ai casi di emergenze sanitarie o di igiene
pubblica a carattere esclusivamente locale.
Nel caso in questione ha disciplinato comportamenti
che vanno ben al di là dei limiti territoriali comunali e non riguardano
la salute pubblica bensì quella privata.
In definitiva quindi il ricorso va accolto con annullamento degli atti impugnati.
3. Sussistono giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in
epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla gli atti
impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Adriano Leo, Presidente
Alberto Di Mario, Primo Referendario, Estensore
Valentina Santina Mameli, Referendario
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/12/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Mediazione obbligatoria Organismi di mediazione a rischio chiusura per effetto della sentenza del TAR Lazio sulle spese di avvio
di Fabio Valerini - http://www.dirittoegiustizia.it
Il TAR Lazio, con la sentenza del 23 gennaio 2015 n. 1351, segna una nuova pagina nel lungo e complesso contenzioso avviato a seguito dell’introduzione nel nostro ordinamento della mediazione obbligatoria.
Il TAR Lazio, con la sentenza del 23 gennaio 2015 n. 1351, segna una nuova pagina nel lungo e complesso contenzioso avviato a seguito dell’introduzione nel nostro ordinamento della mediazione obbligatoria.
INCARICO LEGALE: IL PROVVEDIMENTO VA ADOTTATO PREVIA ASSUNZIONE DEL RELATIVO IMPEGNO DI SPESA CONTABILE ED ATTESTAZIONE DELLA COPERTURA FINANZIARIA
"Tutti i provvedimenti che comportano spesa vanno adottati previa
assunzione del relativo , ex art. 191 TUEL, ivi compresi i provvedimenti
con i quali il Comune conferisce apposito incarico legale ad un
avvocato per la tutela delle ragioni del Comune stesso". A cio' va
aggiunto che "Qualora vengano in essere obbligazioni giuridiche al di
fuori della descritta procedura ordinaria, l'ordinamento giuscontabile
prevede, comunque, la possibilità di ricondurle nella contabilità
ordinaria dell'ente, purché si tratti di obbligazioni rientranti nelle
fattispecie dettagliatamente elencate nell'art. 191 TUEL e purché venga
adottato un atto di riconoscimento del debito da parte dell'organo
consiliare...
"Nel caso, dunque, di mancanza dell'impegno contabile relativo al
conferimento degli incarichi legali de quibus, si verte in una
fattispecie di acquisizione di servizi in violazione del citato art. 191
del d.lgs. n° 267 del 2000, con possibilità di riconduzione, a
sanatoria, nel sistema di contabilità dell'Ente, solo mediante
attivazione del procedimento per l'eventuale riconoscimento di debito
fuori bilancio di cui all'art. 194 del d.lgs. n° 267 del 2000 cit., con
tutte le condizioni e le limitazioni previste al riguardo, anche con
riferimento –per quanto concerne la specifica fattispecie qui in esame-
alla necessità della sussistenza dei requisiti oggettivi indicati al
comma 1, lett. e) del menzionato art. 194 relativamente a beni e servizi
acquisiti in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3
dell'articolo 191 ("nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed
arricchimento per l'ente, nell'ambito dell'espletamento di pubbliche
funzioni e servizi di competenza", ex art. 194 cit.)".
E' questo, in estrema sintesi, il contenuto del parere 261 del 29
dicembre 2014 fornito dalla Corte dei Conti, Sez. controllo Campania, ad
una richiesta di chiarimenti posta dal un ente in merito ad alcuni
incarichi di patrocinio legale dell'Ente affidati a diversi legali.
INTERPRETAZIONE ART. 9, COMMA 2 BIS, DEL D.L. 31 MAGGIO 2010, N. 78
La Corte dei Conti per la Lombardia con Deliberazione 2 dell'8 gennaio 2015 risponde ad una richiesta di chiarimenti in merito all'interpretazione dell'art. 9, comma 2 bis, del d.l. n. 78/2010, convertito, con modificazioni nella legge n. 122/2010. In particolare si chiede se esso "è da riferirsi all'impianto complessivo del salario accessorio, inteso in senso lato, cioè comprendente non solo il fondo delle risorse decentrate ed il fondo per il salario straordinario ma anche le somme relative alla remunerazione delle indennità di posizione e di risultato delle posizioni organizzative, e che per gli enti senza dirigenza come il comune di Brandico, sono a carico del bilancio".
Queste le conclusioni della Corte: "Si richiama la deliberazione della Sezione Autonomie, la n. 26/SEZAUT/2014/QMIG – che costituisce pronuncia di orientamento ai sensi dell'art. 6, comma 4, del d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito in legge 7 dicembre 2012, n. 213 -, con la quale è stato affermato che "le risorse del bilancio, che i comuni di minore dimensione demografica destinano, ai sensi dell'art. 11 del CCNL 31 marzo 1999, al finanziamento del trattamento accessorio degli incaricati di posizioni organizzative in strutture prive di qualifiche dirigenziali, rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 9, comma 2 bis, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in l. 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni". Nel computo del tetto di spesa rientrano tutte le risorse stanziate in bilancio con vincolo di destinazione al trattamento accessorio del personale, indipendentemente da eventuali risorse derivanti da maggiori entrate". "Tale norma è da considerare di stretta interpretazione e non sono consentite limitazioni del suo nucleo precettivo in contrasto con il valore semantico dell'espressione normativa utilizzata". Fra le risorse ulteriori, da computare ai fini dell'applicazione dell'art. 9, comma 2 bis, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in l. 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, sono ricomprese, pertanto, le risorse del bilancio che i comuni di minore dimensione demografica destinano al finanziamento del trattamento accessorio degli incaricati di posizioni organizzative in strutture prive di qualifiche dirigenziali".
CORTE DEI CONTI LOMBARDIA, DELIBERAZIONE 2, 2 GENNAIO 2015.
Queste le conclusioni della Corte: "Si richiama la deliberazione della Sezione Autonomie, la n. 26/SEZAUT/2014/QMIG – che costituisce pronuncia di orientamento ai sensi dell'art. 6, comma 4, del d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito in legge 7 dicembre 2012, n. 213 -, con la quale è stato affermato che "le risorse del bilancio, che i comuni di minore dimensione demografica destinano, ai sensi dell'art. 11 del CCNL 31 marzo 1999, al finanziamento del trattamento accessorio degli incaricati di posizioni organizzative in strutture prive di qualifiche dirigenziali, rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 9, comma 2 bis, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in l. 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni". Nel computo del tetto di spesa rientrano tutte le risorse stanziate in bilancio con vincolo di destinazione al trattamento accessorio del personale, indipendentemente da eventuali risorse derivanti da maggiori entrate". "Tale norma è da considerare di stretta interpretazione e non sono consentite limitazioni del suo nucleo precettivo in contrasto con il valore semantico dell'espressione normativa utilizzata". Fra le risorse ulteriori, da computare ai fini dell'applicazione dell'art. 9, comma 2 bis, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in l. 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, sono ricomprese, pertanto, le risorse del bilancio che i comuni di minore dimensione demografica destinano al finanziamento del trattamento accessorio degli incaricati di posizioni organizzative in strutture prive di qualifiche dirigenziali".
CORTE DEI CONTI LOMBARDIA, DELIBERAZIONE 2, 2 GENNAIO 2015.
http://www.logospa.it
NUOVI MODULI EDILIZIA: ENTRO IL 16 FEBBRAIO.Presentata interrogazione parlamentare
Il Dipartimento della Funzione Pubblica, il 14 gennaio 2015, ha
comunicato alle Regioni e agli Enti Locali di provvedere ad adeguare la
modulistica in uso inerente i nuovi moduli unificati e semplificati per
la comunicazione di inizio lavori (CIL) e per la comunicazione di inizio
lavori asseverata (CILA) per gli interventi di edilizia libera. Si
ricorda che i suddetti moduli derivano da un Accordo sancito il 18
dicembre, in sede di Conferenza Unificata tra Governo, Regioni, Comuni,
Città metropolitane e Province, per tanto i moduli sono stati adeguati
alle novità introdotte dal decreto c.d. "Sblocca Italia" in maniera tale
da rendere più semplici gli adempimenti in materia per i cittadini e
gli operatori economici. E' il 16 febbraio il termine ultimo entro il
quale i Comuni dovranno aggiornare e sostituire la modulistica in uso
con i nuovi moduli, e comunicare detto aggiornamento alla casella di
posta indicata dal Dipartimento.
Scarica il testo dell'Accordo in Conferenza Unificata sulla modulistica CIL e CILA.
Tratto da http://www.logospa.it
----------------------
Camera dei Deputati -
Interrogazione a risposta scritta n. 4-07563 presentata dall’On. Paolo Nicolò
Romano (M5S) il 16 Gennaio 2015.
PAOLO
NICOLÒ ROMANO. — Al
Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per
sapere – premesso che:
l'emanazione
del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (in Gazzetta Ufficiale – serie generale – n. 212 del 12 settembre
2014), coordinato con la legge di conversione 11 novembre 2014, n. 164, recante
«Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere
pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica,
l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività
produttive» introduce al Capo V, articolo 17 comma 1, lettera c), punto 2 alcune modificazioni
all'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380
sugli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria soggetto ad attività
di edilizia libera in immobili che recitano testualmente: «Limitatamente agli
interventi di cui al comma 2, lettere a)
ed e-bis), l'interessato
trasmette all'amministrazione comunale l'elaborato progettuale e la
comunicazione di inizio dei lavori asseverata da un tecnico abilitato, il quale
attesta, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli
strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, nonché che
sono compatibili con la normativa in materia sismica e con quella sul
rendimento energetico nell'edilizia e che non vi è interessamento delle parti
strutturali dell'edificio; la comunicazione contiene, altresì, i dati
identificativi dell'impresa alla quale si intende affidare la realizzazione dei
lavori»;
la modifica
sopra riportata ribadisce come l'interessato (inteso come committente
proprietario, affittuario o altro avente titolo) debba trasmettere
all'amministrazione comunale l'elaborato progettuale (inteso come complesso di
documenti quali ad esempio progetto grafico, relazione tecnica, e altro) così
come accade per le richieste di permesso di costruire, le segnalazioni
certificate di inizio attività o le ormai superate dichiarazione di inizio
attività (DIA) e non compilare lo stesso;
tale
modifica ribadisce inoltre che l'elaborato progettuale debba essere asseverato
da un tecnico abilitato ovvero che quest'ultimo certifichi l'aderenza alle
norme vigenti e la relativa conformità;
è chiaro e
verosimile che un soggetto qualunque che non abbia una solida base
tecnico-legislativa o più generalmente che non svolga un lavoro che impone un
titolo abilitativo rilasciato dalla Repubblica italiana ed una iscrizione ad un
collegio o un ordine (ad esempio collegio dei geometri, ordine degli architetti
o degli ingegneri) non abbia le basi per redigere tale elaborato progettuale.
Nel caso contrario verosimilmente l'interessato coinciderebbe con una figura
professionale in grado di redigere ed asseverare il documento stesso;
si ritiene
quindi che quanto riportato sul portale istituzionale del Governo italiano –
Presidenza del Consiglio dei ministri nella sezione notizie, in cui si tratta
il «via all'attuazione dell'Agenda per la semplificazione 2015-2017 – I moduli
CIL e CILA»
(http://www.funzionepubblica.gov.it/comunicazione/notizie/2014/dicembre/i-moduli-cil-e-cila.aspx)
consistente nell'affermazione: «...è sufficiente una semplice comunicazione che
può essere compilata in pochi minuti dall'interessato e asseverata da un
professionista.», risulti altamente fuorviante;
in una
situazione di continua svalutazione delle professioni tecniche ad avviso
dell'interrogante anche a seguito delle iniziative del Governo attuale e di
quelli che l'hanno preceduto, a partire dal Governo Prodi II con il cosiddetto
«decreto Bersani-bis» (legge 2
aprile 2007 n. 40), una affermazione come quella riportata in un sito
istituzionale del Governo italiano, può indurre la popolazione e ritenere che
una Comunicazione di inizio lavori e una comunicazione di inizio lavori
asseverata, sia compilabile da tutti in alcuni minuti e che l'intervento del
tecnico abilitato serva solo a «mettere una firma», affermazione che è stata
riportata in diversi portali web
tecnici, generando non pochi fraintendimenti –:
se
corrisponda al vero che tali Comunicazioni di inizio lavori e Comunicazioni di
inizio lavori asseverate siano compilabili da chiunque in alcuni minuti, e
quindi non da tecnici specifici di professione;
se al
contrario l'affermazione sopra riportata non induca in errore il cittadino e
non porti ad un ulteriore svilimento dei professionisti. (4-07563)
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