martedì 30 settembre 2014

Tassa sui telefonini: per i Comuni una certezza oggettiva e soggettiva

Da un lato, gli enti locali non sono equiparati alle Amministrazioni dello Stato; dall’altro, l’esonero è pari a un’agevolazione e, in quanto tale, vuole una norma ad hoc
 
La Corte suprema, con la sentenza 19464 del 15 settembre, dopo il pronunciamento delle Sezioni unite (sentenza 9560/2014), è tornata sul tema delle concessioni governative per l’impiego di apparecchiature radiomobili, ribadendo la legittimità della tassa per ricorrenza del presupposto impositivo e il relativo obbligo di corresponsione da parte dei Comuni.
Difatti, nella ricordata sentenza si legge testualmente che “Alla stregua dell'interpretazione offerta dalle Sezioni Unite all'art. 318 del Codice postale (ora D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 160)……… si deve concludere per l'applicabilità agli abbonamenti per il servizio di telefonia cellulare della tassa di concessione governativa come disciplinata dall'art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del 1972; nonchè per l'applicabilità di tale tassa ai comuni”.

Sulla questione, peraltro, è intervenuto lo stesso Governo che, con il Dl 4/2014, ha inserito una norma retroattiva (articolo 2, comma 4), con la quale viene stabilito espressamente che “per stazioni radioelettriche si intendono anche le apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre di comunicazione”, ammettendo anche per i cellulari il pagamento della relativa tassa.

Il fatto
Un Comune presentava all’ufficio territorialmente competente istanza di rimborso di quanto versato in materia di tasse sulle concessioni governative.
Al silenzio-rifiuto dell’Amministrazione, seguiva giudizio in Ctp, dove la parte ricorrente eccepiva la non debenza della tassa per intervenuta abrogazione della normativa e per carenza del presupposto soggettivo.
I giudici di merito accoglievano il ricorso; stesso verdetto in appello.
In particolare, la Ctr Lombardia chiariva che “a seguito della liberalizzazione della fornitura di servizi di comunicazione elettronica recata dal D.Lgs. n. 259 del 2003 e della conseguente abolizione del relativo regime di concessione governativa, sarebbe venuto meno lo stesso presupposto impositivo della tassa in questione”.

L’ufficio ricorreva in Cassazione, lamentando la violazione dell’articolo 21 della tariffa allegata al Dpr 641/1972, considerato che il contratto di abbonamento rilasciato dal gestore telefonico sostituisce, a tutti gli effetti, la “licenza di stazione radio”, e i Comuni non sono esentati dal pagamento della relativa tassa.

La decisione
Smentita l’interpretazione della Ctr, secondo cui lo stesso presupposto impositivo del tributo sarebbe venuto meno dopo la liberalizzazione dei servizi di comunicazione introdotta dal decreto legislativo 259/2003, è ovvio il richiamo alla sentenza 9565/2014 delle Sezioni unite, con cui si è preso atto della norma di interpretazione autentica dettata dall’articolo 2, comma 4, Dl 4/2014 (“Per gli effetti della Tariffa annessa al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, art. 21, le disposizioni dell’art. 160 del Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al D.Lgs. 10 agosto 2003, n. 259, richiamate dal predetto art. 21, si interpretano nel senso che per stazioni radioelettriche si intendono anche le apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre di comunicazione”).
Tale disposizione, si legge nella pronuncia in rassegna, è una norma di interpretazione autentica e, dunque, ha natura retroattiva, posto che la “normativa è intervenuta a fare chiarezza in un contrasto interpretativo che ha diviso la giurisprudenza in sede sia di merito sia di legittimità, tanto da arrivare al collegio esteso”.
Funzione, quest’ultima, riconosciuta come legittima dalla giurisprudenza costituzionale “anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore” (cfr Corte costituzionale, decisione 209/2010).

La Corte suprema, inoltre, ricorda che l’abrogazione dell’articolo 318 del Dpr 156/1973, operata dall’articolo 218 del Dlgs 259/2003, recante il nuovo “Codice delle comunicazioni”, non ha comportato l’implicita soppressione dell’articolo 21 della tariffa allegata al Dpr 641/1972, ossia il venir meno del presupposto giuridico per l’applicazione della tassa sulle concessioni governative sui contratti di abbonamento di telefonia mobile.
Infatti, l’articolo 21 assoggetta alla tassa sulle concessioni governative, la “licenza o documento sostitutivo per l'impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione (articolo 318 del decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156, e articolo 3 del decreto-legge 13 maggio 991, n. 151, convertito con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 202)”.
In materia di telefonia mobile, il presupposto oggettivo del tributo è rappresentato dal “documento sostitutivo” della licenza, ossia il contratto di abbonamento con gli operatori telefonici autorizzati (ex articolo 3, comma 2, del Dm 33/1990), per effetto del quale l’utente è legittimato all’utilizzo dell’apparecchiatura.

Il decisum delle Sezioni unite (sentenza 9565/2014), evidenziano i giudici, ha altresì escluso per gli enti locali l’esenzione dalle tasse di concessione governativa.
Le norme che prevedono trattamenti agevolati in materia tributaria costituiscono una deroga alla regola generale e sono perciò di stretta interpretazione.
L’esonero dei Comuni dal pagamento della tassa non è previsto né dall’articolo 13-bis del Dpr 641/1972, che individua espressamente le esenzioni a carattere generale dal pagamento del tributo in questione, né dalla nota posta in calce all’articolo 21 della tariffa, che individua i casi specifici in cui la tassa sulle concessioni governative per l’impiego degli apparecchi di telefonia mobile non è dovuta.
Né, sottolinea la Corte, come già rilevato dalle Sezioni unite, è possibile ammettere la predetta esenzione in conseguenza di una equiparazione, ai fini tributari, dei Comuni allo Stato, in forza della generale esenzione dall’Ires di tutte le amministrazioni pubbliche disposta dall’articolo 74, comma 1, del Tuir. Lo stesso articolo 1, comma 2, del Dlgs 165/2001, non a caso, tiene ben distinti, “i Comuni dalle Amministrazioni dello Stato, pur attribuendo agli uni alle altre la natura di amministrazioni pubbliche (…)”.

Secondo i giudici, inoltre, anche la giurisprudenza della Corte di Lussemburgo appare solidamente orientata nel senso di escludere che la disciplina europea dei servizi di comunicazione elettronica contenga prescrizioni incompatibili con una norma interna che imponga un tributo a carico degli utenti dei servizi di telefonia cellulare. Una riprova di tale affermazione sarebbe rinvenibile nella sentenza 27 giugno 2013, in causa C-71/12, Vodafone Malta, nella quale si precisa che un tributo imposto agli operatori che forniscono servizi di telefonia mobile, corrispondente a una percentuale dei pagamenti che essi ricevono dagli utenti di detti servizi, non osta alla disciplina dettata dalla direttiva 2002/20/Ce “a condizione che il suo fatto generatore non sia collegato alla procedura di autorizzazione generale che consente di accedere al mercato dei servizi di comunicazioni elettroniche, ma sia collegato all’uso dei servizi di telefonia mobile forniti dagli operatori e che esso ricada in definitiva sull’utente di tali servizi, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”.
Secondo la Corte, la tassa di concessione governativa di cui si discute è collegata all’uso dei servizi di telefonia mobile forniti dagli operatori e grava sugli utenti di tali servizi.

In definitiva, il titolo di abbonamento, che tiene luogo della licenza, richiamato anche dall’articolo 160 del Dlgs 259/2003, è, allo stato attuale, il presupposto della tassa di concessione governativa, mentre l’articolo 21 della tariffa, allegata al Dpr 641/1972, conserva perfettamente le proprie caratteristiche di fonte normativa della tassa sulle concessioni governative sul servizio di telefonia mobile.

Sotto il profilo soggettivo, invece, è da escludere l’esenzione per i Comuni, visto che le agevolazioni in materia fiscale necessitano di una norma ad hoc, che nel caso di specie manca proprio con riferimento agli enti locali.
Carmen Miglino
pubblicato Lunedì 29 Settembre 2014
http://www.fiscooggi.it/

Polizia: sì alle telecamere sulla divisa, ma solo in caso di effettiva necessità


La polizia potrà fare uso di piccole telecamere indossabili nel corso di manifestazioni pubbliche, ma solo in caso di effettiva necessità. Lo ha stabilito il Garante privacy che ha fornito il suo parere sul nuovo sistema di ripresa avviato in via sperimentale dal Dipartimento di pubblica sicurezza in quattro città, Torino, Milano, Roma e Napoli. Il sistema prevede l'assegnazione agli agenti di polizia di telecamere indossabili di ridotte dimensioni, da attivare nei casi in cui si verifichino situazioni di criticità in occasione di manifestazioni pubbliche.

Il sistema prospettato al Garante dal Dipartimento di pubblica sicurezza prevede che le telecamere individuali vengano applicate al gilet tattico e attivate in base alle indicazioni del funzionario che dirige il reparto di polizia. Le videocamere e le schede di memoria sono dotate di un numero seriale che viene annotato in un apposito registro con l'indicazione di giorno, orario, servizio svolto, qualifica e nominativo dell'agente che firma la presa di incarico e la restituzione. La scheda di memoria, al momento della consegna agli agenti, non dovrà contenere nessuna immagine registrata in precedenza. Spetta al funzionario che impiega il reparto impartire l'ordine di attivazione dei dispositivi così come quello di cessazione delle riprese. Al termine del servizio gli agenti, previa compilazione di un foglio di consegna, affideranno tutta la documentazione video realizzata al funzionario che la consegnerà alla locale Polizia scientifica.

Nel suo parere il Garante ha sottolineato come il sistema, per quanto finalizzato alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, alla prevenzione, all'accertamento o alla repressione dei reati, è pur sempre soggetto al rispetto dei principi del Codice privacy sul trattamento dei dati personali. Le immagini riprese dovranno essere pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolte. Il sistema, quindi, dovrà essere attivato solo ove vi sia effettiva necessità, ossia nel caso di insorgenza di concrete e reali situazioni di pericolo di turbamento dell'ordine e della sicurezza pubblica.

Le riprese dovranno essere conservate per un periodo di tempo limitato e poi cancellate. Infine, ha specificato il Garante, nel caso si siano effettuate riprese in occasione di situazioni di presunto pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica poi non concretizzatosi, deve essere disposta la tempestiva cancellazione delle immagini.

Autorità Garante NEWSLETTER N. 393 del 30 settembre 2014



lunedì 29 settembre 2014

Rigettata la richiesta indennità di pubblica sicurezza

Cassazione civile sez. lav. 04/09/2014 ( ud. 26/02/2014 , dep.04/09/2014 ) Numero: 18669


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIDIRI Guido - Presidente -
Dott. MAISANO Giulio - rel. Consigliere -
Dott. BERRINO Umberto - Consigliere -
Dott. DORONZO Adriana - Consigliere -
Dott. ARIENZO Rosa - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 11257-2008 proposto da:
L.P.N. C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA,
PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato TERAMO ALFONSO, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
COMUNE DI MESSINA C.F. (OMISSIS), in persona del Commissario Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 55, presso lo studio dell'avvocato DI PIERRO NICOLA, rappresentato e difeso dall'avvocato CUCINOTTA ROSARIO, giusta delega  in atti;
- controricorrente -
e contro
I.N.P.D.A.P. - ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA PER I DIPENDENTI DELLA AMMINISTRAZIONE PUBBLICA C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso L'AVVOCATURA CENTRALE DELL'ISTITUTO, rappresentato e difeso dall'Avvocato MARINUZZI DARIO, giusta procura speciale notarile in atti;
- resistente con procura -
avverso la sentenza n. 1274/2007 della CORTE D'APPELLO di MESSINA,
depositata il 28/01/2008 R.G.N. 215/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
26/02/2014 dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO;
udito l'Avvocato MARINUZZI DARIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto.


Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 28 gennaio 2008 la Corte d'appello di Messina ha confermato la sentenza del tribunale di Messina del 15 febbraio 2005 che, per quanto rileva in questa sede, ha rigettato la domanda proposta da L.P.N., Ispettore del Corpo di Polizia Municipale di (OMISSIS), nei confronti del Comune di Messina e dell'INPDAP diretta al riconoscimento del diritto alla corresponsione dell'indennità di pubblica sicurezza di cui alla L. n. 1054 del 1970. La Corte territoriale ha motivato tale decisione considerando che l'indennità in questione è attribuita agli appartenenti alle forze di polizia che esercitano in modo continuativo attività di Pubblica Sicurezza, mentre l'agente di Polizia Municipale ha invece solo funzioni ausiliarie in materia collaborando con le forze della polizia di stato nell'ambito delle proprie attribuzioni, ed ha richiamato, al riguardo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 229 del 1983.

Il L.P. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato ad un unico motivo.

Resiste il Comune di Messina con controricorso. L'INPDAP ha rilasciato procura notarile.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l'unico motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 2099 cod. civ., del D.P.R. n. 347 del 1983 e successive modifiche e integrazioni in relazione alla L. n. 1054 del 1970, art. 1 nonchè degli artt. 3 e 36 Cost., ex art. 360 c.p.c., n. 3. In particolare si deduce che la stessa circostanza per la quale gli agenti della polizia municipale sono tenuti ad essere armati proverebbe la loro funzione di agenti di pubblica sicurezza, per cuoi sarebbe iniquo il disconoscimento dell'indennità in questione.

D'altra parte la Legge Quadro n. 65 del 1986, l'art. 5, punto 2, e l'art. 6 del regolamento del Corpo di Polizia Municipale di (OMISSIS) attribuiscono ai vigili urbani in possesso di determinasti requisiti, compiti del tutto analoghi a quelli attribuiti agli appartenenti alle altre Forze dell'Ordine. Il ricorrente lamenta comunque l'incostituzionalità della L. n. 1054 del 1970, art. 1 interpretato nel senso dell'esclusione dell'attribuzione dell'indennità da essa prevista, agli agenti della Polizia Municipale un possesso della qualifica di agenti di P.S. Il ricorso è infondato.

La pronuncia della Corte Costituzionale n. 229 del 1983 che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, fra l'altro, della L. 23 dicembre 1970, n. 1054, art. 1 riguardante il riordinamento della indennità mensile per servizi di istituto dovuta alle forze di polizia e al personale civile dell'amministrazione penitenziaria, contrariamente a quanto affermato in modo peraltro assai generico da parte ricorrente, mantiene pienamente la sua validità, e non vi sono concreti elementi per sottoporre la questione di costituzionalità della norma ad un nuovo esame della Corte Costituzionale. Come detto, il ricorrente neppure ha indicato il motivo concreto di tale nuovo rinvio della stessa norma alla Corte Costituzionale, e, in particolare, gli elementi di novità intervenuti rispetto all'epoca dell'esame della stessa Corte.

In linea con quanto affermato dalla suddetta pronuncia, la posizione dei vigili urbani investiti della qualifica di agenti di pubblica sicurezza ai sensi del T.U. 31 agosto 1907, n. 690, art. 18 non è dunque, comparabile con quella degli appartenenti all'Arma dei Carabinieri, del Corpo delle Guardie di pubblica sicurezza, al Corpo della Guardia di Finanza, al Corpo degli agenti di custodia nelle carceri ed al Corpo Forestale dello Stato, i quali hanno il compito precipuo ed essenziale della difesa delle istituzioni democratiche e della tutela dell'ordine pubblico.

Questi organismi infatti (taluni dei quali integrati nelle Forze armate e comunque costituiti in corpi armati) sono organizzati ed attrezzati in ragione dei compiti da svolgere e sono conseguentemente sottoposti ad una regolamentazione legislativa la quale tocca tutti gli aspetti essenziali della loro collocazione: organizzazione, reclutamento, addestramento, armamento, stato giuridico con particolare riguardo agli aspetti disciplinare e penale.

La posizione, invece, dei vigili urbani, seppure investiti della qualifica di agenti di pubblica sicurezza, difetta rispetto agli appartenenti ai corpi predetti, di una situazione di omogeneità che sta alla base del principio di uguaglianza, in quanto l'attribuzione della qualifica di agente di pubblica sicurezza viene conferita singulatim, ed è sempre revocabile allorquando mutino le condizioni locali in relazione alle quali l'attribuzione viene effettuata e, in ogni caso, tale attribuzione non comporta, per i vigili, la somma dei doveri e degli oneri propri degli appartenenti ai corpi suddetti.

Corollario di quanto sinora detto è, in conclusione, il rigetto del ricorso perchè l'esclusione dei vigili urbani agenti di pubblica sicurezza dalla rivendicata indennità non viola nè il principio di razionalità nè quello di uguaglianza.

Le spese di giudizio relative al Comune di Messina, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza, mentre quelle relative all'INPDAP vanno compensate in ragione delle parti in causa e della natura e dell'oggetto della controversia tra le stesse.
P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso;

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio relative al Comune di Messina liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 2.600,00 per compensi professionali oltre accessori di legge;

Compensa le spese relative all'INPDAP. Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2014.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2014

domenica 28 settembre 2014

Firenze. Ingresso e uscita scuola IL FAR WEST

Da: ANCC [mailto:info@coordinamentocamperisti.it]
Inviato: domenica 28 settembre 2014 12.07
Oggetto: Firenze. Ingresso e uscita scuola IL FAR WEST
 







Grazie per il messaggio.
Si spendono soldi e tempo per fare educazione stradale dentro le classi
poi sulla porta della scuola, all’entrata e all’uscita, ricevono gli insegnamenti contrari:
è di scena il far west e lo sceriffo non c’è.
La Polizia Municipale è sempre presente nel contravvenzionare chi lascia l’auto o la moto e non ha pagato la gabella del parcheggio a pagamento e/o non è residente, ma non intralcia il traffico ma manca davanti a ogni scuola.
In allegato una recente relazione che serve per comprendere come molti parcheggi a pagamento nascono da provvedimenti illegittimi ai quali il semplice cittadino non ha le risorse per opporsi. Documento in allegato con pagina davanti bianca utile per la visualizzazione a due pagine.
Cordiali saluti e a leggervi, Pier Luigi Ciolli


-----Messaggio originale-----
Da: ADUC - Associazione Diritti Utenti e Consumatori [mailto:comunicati@aduc.it]
Inviato: mercoledì 24 settembre 2014 11.21
A: info@coordinamentocamperisti.it
Oggetto: Aduc - Osservatorio Firenze. Ingresso e uscita scuola Via della Chiesa. Tra marciapiedi inagibili o inesistenti, ogni giorno i bambini rischiano di essere investiti

Qui il comunicato online:
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Aduc - Osservatorio Firenze. Ingresso e uscita scuola Via della Chiesa. Tra marciapiedi inagibili o inesistenti, ogni giorno i bambini rischiano di essere investiti

Firenze, 24 settembre 2014. Via Della Chiesa ospita la scuola d'infanzia e elementare Torrigiani-Ferrucci. E' un vicolo molto stretto, ma piuttosto trafficato, con i marciapiedi per buona parte inesistenti o inagibili. I bambini sono quindi costretti, insieme ai genitori, ad attendere l'apertura o la chiusura della scuola in mezzo di strada, strada che poi sono costretti a percorrere facendosi largo tra le auto in transito.
In verità all'ingresso di via Della Chiesa (venendo da Via de' Serragli) è vietato l'accesso durante gli orari di entrata ed uscita da scuola (intorno alle 8.30 e alle 16.30). Ma il cartello che dovrebbe comunicarlo agli automobilisti è del tutto invisibile in quanto posizionato di profilo al traffico in arrivo! Ogni tanto sono presenti due vigili urbani che impediscono l'accesso, e solo in queste infrequenti occasioni, i bambini possono entrare ed uscire da scuola senza patemi.
La situazione è molto pericolosa: auto, motorini, camioncini che si fanno largo in mezzo a centinaia di bambini dai 3 ai 10 anni, assiepati in un vicolo stretto stretto. I genitori che strillano ai bambini di farsi da parte e al contempo litigano con gli automobilisti. Una scena di ordinaria inciviltà a causa della malagestione della segnaletica e del traffico da parte del Comune. Come si vede dalle fotografie che abbiamo fatto, .
Cosa fare? Un cartello, anche se fosse installato correttamente, non sarebbe sufficiente a risolvere il problema. Le strade sono troppo strette per poter apporre segnaletica sufficientemente dissuasiva. Né ci pare una soluzione sostenibile ed efficiente inviare due vigili urbani due volte al giorno per far rispettare un divieto di accesso temporaneo.
Per questo chiediamo con urgenza al Comune di trovare quanto prima una soluzione alternativa che permetta ai bambini e genitori di vivere senza pericoli l'entrata e l'uscita da scuola. Di soluzioni ce ne sarebbero diverse: installare un semaforo simile a quelli presenti agli ingressi della Ztl, installare una sbarra elettrica che si abbassa negli orari giusti, oppure delegare qualche addetto alla scuola o i genitori a bloccare il traffico all'ingresso in via Della Chiesa.
Quello che non è più ammissibile è che i bambini rischino quotidianamente di essere investiti mentre vanno o tornano da scuola.

Per le foto, andare sul web all'indirizzo di sopra.

Pietro Yates Moretti, vicepresidente Aduc

COMUNICATO STAMPA DELL'ADUC
Associazione per i diritti degli utenti e consumatori
Ufficio stampa: Tel.055290606 - Email: ufficiostampa@aduc.it


PARCHEGGIO A PAGAMENTO Pagamento parziale del parcheggio: aspetti giuridici, procedurali e sanzionatori

Le Giornate della Polizia Locale Riccione, Palazzo dei Congressi 18/20 settembre 2014 XXXII edizione


Relazione del Dott. Fabio Dimita Direttore amministrativo Ministero delle Infrastrutture e dei  Trasporti

L'art. 19 della L. 241/90 aggiornato a sett/14

ART. 19. - (Segnalazione certificata di inizio attivita' - Scia) (1)
1. Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attivita' imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli stessi, e' sostituito da una segnalazione dell'interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonche' di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria. La segnalazione e' corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorieta' per quanto riguarda tutti gli stati, le qualita' personali e i fatti previsti negli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, nonche' [, ove espressamente previsto dalla normativa vigente,] dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformita' da parte dell'Agenzia delle imprese di cui all'articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell'amministrazione. [Nei casi in cui la legge prevede l'acquisizione di pareri di organi o enti appositi, ovvero l'esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di cui al presente comma, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti.] (4) La segnalazione, corredata delle dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni nonche' dei relativi elaborati tecnici, puo' essere presentata a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, ad eccezione dei procedimenti per cui è previsto l’utilizzo esclusivo della modalità telematica; in tal caso la segnalazione si considera presentata al momento della ricezione da parte dell'amministrazione.
2. L'attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all'amministrazione competente.
3. L'amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. E' fatto comunque salvo il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci, l'amministrazione, ferma restando l'applicazione delle sanzioni penali di cui al comma 6, nonche' di quelle di cui al capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, puo' sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo.
4. Decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3 [ovvero di cui al comma 6-bis], [ovvero nel caso di segnalazione corredata della dichiarazione di conformità di cui all'articolo 2, comma 3, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 159] (5) all'amministrazione e' consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilita' di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente.
5. Il presente articolo non si applica alle attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, e dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Ogni controversia relativa all'applicazione del presente articolo e' devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il relativo ricorso giurisdizionale, esperibile da qualunque interessato nei termini di legge, puo' riguardare anche gli atti di assenso formati in virtu' delle norme sul silenzio assenso previste dall'articolo 20.
6. Ove il fatto non costituisca piu' grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l'esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 e' punito con la reclusione da uno a tre anni.

6-bis. Nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del comma 3 e' ridotto a trenta giorni. Fatta salva l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano altresi' ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.380, e dalle leggi regionali.
6-ter. La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. (2) (3)
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(1) Articolo così sostituito, da ultimo, dall’art. 2 del D.L. 9 febbraio 2012, n. 5 – In vigore dal 10 febbraio 2012. Convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35 (G.U. n. 82 del 6 aprile 2012 – Suppl. Ord. n. 69) – In vigore dal 7 aprile 2012. Le modifiche apportate sono evidenziate con il colore azzurro.
(2) Si riporta il testo dei commi 4-ter, 4-quater e 4-quinquies dell’art. 49 della legge 30 luglio 2010, n. 122, di conversione del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 – In vigore dal 31 luglio 2010:
“4-ter. Il comma 4-bis attiene alla tutela della concorrenza ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera m) del medesimo comma. Le espressioni «segnalazione certificata di inizio attività» e «Scia» sostituiscono, rispettivamente, quelle di «dichiarazione di inizio attività» e «Dia», ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione piu' ampia, e la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale.
4-quater. Al fine di promuovere lo sviluppo del sistema produttivo e la competitività delle imprese, anche sulla base delle attività di misurazione degli oneri amministrativi di cui all'articolo 25 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, il Governo e' autorizzato ad adottare uno o piu' regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione, per la semplificazione normativa e dello sviluppo economico, sentiti i Ministri interessati e le associazioni imprenditoriali, volti a semplificare e ridurre gli adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese, in base ai seguenti principi e criteri direttivi, nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 20, 20-bis e 20-ter della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni:
a) proporzionalità degli adempimenti amministrativi in relazione alla dimensione dell'impresa e al settore di attività, nonchè alle esigenza di tutela degli interessi pubblici coinvolti;
b) eliminazione di autorizzazioni, licenze, permessi, ovvero di dichiarazioni, attestazioni, certificazioni, comunque denominati, nonchè degli adempimenti amministrativi e delle procedure non necessarie rispetto alla tutela degli interessi pubblici in relazione alla dimensione dell'impresa ovvero alle attività esercitate;
c) estensione dell'utilizzo dell'autocertificazione, delle attestazioni e delle asseverazioni dei tecnici abilitati nonchè delle dichiarazioni di conformità da parte dell'Agenzia delle imprese di cui all'articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
d) informatizzazione degli adempimenti e delle procedure amministrative, secondo la disciplina del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante codice dell'amministrazione digitale;
e) soppressione delle autorizzazioni e dei controlli per le imprese in possesso di certificazione ISO o equivalente, per le attività oggetto di tale certificazione;
f) coordinamento delle attività di controllo al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni, assicurando la proporzionalità degli stessi in relazione alla tutela degli interessi pubblici coinvolti.
4-quinquies. I regolamenti di cui al comma 4-quater sono emanati entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla data della loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Con effetto dalla data di entrata in vigore dei predetti regolamenti sono abrogate le norme, anche di legge, regolatrici dei relativi procedimenti. Tali interventi confluiscono nel processo di riassetto di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59.”.
(3) Si riporta, inoltre, quanto disposto dall’art. 5, comma 2, lettera c), del D.L. n. 70/2011, convertito nella L. n. 106/2011:
[c) Le disposizioni di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano nel senso che le stesse si applicano alle denunce di inizio attivita' in materia edilizia disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire. Le disposizioni di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano altresi' nel senso che non sostituiscono la disciplina prevista dalle leggi regionali che, in attuazione dell'articolo 22, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, abbiano ampliato l'ambito applicativo delle disposizioni di cui all'articolo 22, comma 3, del medesimo decreto e nel senso che, nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, la Scia non sostituisce gli atti di autorizzazione o nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni preposte alla tutela dell'ambiente e del patrimonio culturale.]

(4) Periodo così sostituito dall’art. 13, comma 1, della L. 7 agosto 2012, n. 134 (G.U. n. 187 del 11 agosto 2012 – Suppl. Ord. n. 171), di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83. (5) Le parole riportate tra parentesi sono state aggiunte dall’art. 19-bis, comma 3 della L. 11 agosto 2014, n. 116, di conversione del D.L. 24 giugno 2014, n. 91 – In vigore dal 21 agosto 2014 conversione del D.L. 24 giugno 2014, n. 91 – In vigore dal 21 agosto 2014-


Agenzie per le imprese sempre più simili ai SUAP



Con le modifiche introdotte dall’art. 19-bis, comma 1, lett. a) del d.l. n. 91/2014, convertito dalla l. n. 116/2014, sono attribuite alle Agenzie per le imprese ulteriori competenze in tema di controlli e certificazioni nelle istruttorie per l’avvio di nuove attività imprenditoriali. Il MISE ha poi diramato la Circolare n. 151516 del 03/09/2014 per informare delle novità gli enti locali.
In attuazione dell’art. 38, commi 3 e 4, del decreto legge n. 112/2008, nel 2010 sono stati emanati due decreti, il n. 160, che ha realizzato il SUAP telematico, e il n. 159, dedicato alle Agenzie per le imprese, una sorta di alter-ego dei SUAP, concentrate per lo più sugli aspetti istruttori e i relativi automatismi.
Ad oltre dieci anni di distanza dall’esordio, avvenuto nel 1998, è solo grazie alla svolta telematica del 2010 che i SUAP diventano concretamente in grado di funzionare come punti di snodo del flusso documentale, al fine di rendere le procedure più efficienti e fornire all’imprenditoria privata una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le amministrazioni coinvolte nel procedimento. Ma il “debito” dei SUAP nei confronti della telematica si evidenzia anche dal punto di vista organizzativo-gestionale, offrendo alle amministrazioni la possibilità di ottenere risparmi di personale ed economie di scala del tutto impensabili in ambiente cartaceo.
Essendo il SUAP incardinato tra le competenze comunali (oppure in delega o in convenzione con le CCIAA), e poiché molte Regioni hanno legiferato in materia, la situazione a livello nazionale, seppure in continua e costante evoluzione, si presenta inevitabilmente a macchia di leopardo. Fatti salvi i requisiti minimi previsti per l’accreditamento, non tutti i SUAP sono infatti allo stesso livello di informatizzazione, e c’è ancora chi si è limitato a sostituire la targhetta “Ufficio commercio” con “Ufficio SUAP”, senza che null’altro sia cambiato.
Per tentare di colmare possibili lacune territoriali, sono entrate in scena le Agenzie per le imprese, l’ennesima invenzione di un legislatore che non riuscendo a risolvere il vero problema della complicazione normativa e procedimentale, sa solo aggiunge ulteriori soggetti nel già sufficientemente affollato panorama istituzionale.
Ai sensi dell’art. 38, comma 3, lett. c), le Agenzie possono attestare la sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa per la realizzazione, la trasformazione, il trasferimento e la cessazione dell'esercizio dell'attività di impresa. Se l’istruttoria si conclude con esito positivo, rilasciano una dichiarazione di conformità che costituisce titolo autorizzatorio per l'esercizio dell'attività. Qualora si tratti di procedimenti che comportino attività discrezionale da parte dell'Amministrazione, le Agenzie svolgono unicamente attività istruttorie in luogo e a supporto dello Sportello Unico.
Per ora, a distanza di quattro anni dalla nascita, le Agenzie accreditate dal MISE si contano sulle dita di una mano e operano in Lombardia, Veneto, Piemonte, Lazio e Marche, regioni in cui le CCIAA hanno saputo attrarre maggiormente le competenze dei SUAP mediante convenzione o delega.
Il punto debole di tali strutture, l’obbligo di operare a livello regionale, dotandosi di apparati di una certa rilevanza, con conseguenze facilmente intuibili sul versante del costi per l’utenza, che se si rivolge ai SUAP può trovare un servizio capillare e anche chi non applica diritti istruttori.
L’art. 19-bis, comma 1, lett. a) del d.l. n. 91/2014, convertito dalla l. n. 116/2014, prevede, con una formulazione piuttosto infelice, che “i controlli, le dichiarazioni, e le attività istruttorie delle Agenzie per le imprese sostituiscono a tutti gli effetti i controlli e le attività delle amministrazioni pubbliche competenti, sia nei procedimenti automatizzati che in quelli ordinari, salvo per le determinazioni in via di autotutela e per l’esercizio della discrezionalità”. Ciò significa che di fronte ad una dichiarazione di conformità dell’Agenzia, il SUAP potrà mettere in moto i meccanismi inibitori previsti dall’art. 19 della l. n. 241/1990 solo in caso di pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, ecc., e non prima di aver tentato inutilmente la via della conformazione. Dunque, una volta ricevuti gli atti da parte delle Agenzie, i SUAP si trovano davanti ad un’istruttoria già compiuta. (Michele Deodati)
 Tratto da http://www.infocommercio.it/

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AGENZIA PER LE IMPRESE: Nuove funzioni - Nota del Ministero indirizzata ai SUAP

”I controlli, le dichiarazioni e le attività istruttorie delle Agenzie per le imprese sostituiscono a tutti gli effetti i controlli e le attività delle amministrazioni pubbliche competenti, sia nei procedimenti automatizzati che in quelli ordinari, salvo per le determinazioni in via di autotutela e per l'esercizio della discrezionalità”.
E’ questo quanto disposto dall’art. 19-bis, comma 1, lett. a), della L. n. 116 del 11 agosto 2014, di conversione del D.L. n. 91 del 24 giugno 2014.

Il Ministero dello Sviluppo Economico, con la Nota del 3 settembre 2014, Prot. n. 151561, inviata agli Sportelli unici per le attività produttive (SUAP), ha fornito chiarimenti sulle modalità di trasmissione delle "dichiarazioni di conformità" da parte delle Agenzie per le imprese e sulle funzioni svolte dalle stesse Agenzie anche alla luce di quanto disposto dalla citata nuova normativa.
In presenza della dichiarazione di conformità rilasciata da una Agenzia per le imprese, attestante la sussistenza dei requisiti e dei presupposti per l’avvio di un’attività d’impresa, non è più ammissibile una eventuale attività “inibitoria o riparatoria” da parte dell’amministrazione competente su una eventuale carenza dei requisiti e dei presupposti già verificati da parte dell’Agenzia per le imprese.
Sia i Comuni appartenenti alle Regioni nei cui ambiti territoriali operano le Agenzie accreditate che i SUAP dovranno, di conseguenza, adattare i propri portali ed il proprio sistema telematico e dotarsi dei necessari strumenti informatici per consentire sia alle imprese di servirsi direttamente dell’Agenzia operante nel proprio territorio, che alle Agenzie stesse di trasmettere telematicamente tali dichiarazioni in maniera corretta direttamente ai SUAP.

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Il Consiglio di Stato torna a parlare delle differenze tra manutenzione straordinaria e ristrutturazione edilizia

Con la sentenza n. 4523 del 5 settembre 2014, il Consiglio di Stato torna a parlare delle differenze tra manutenzione straordinaria e ristrutturazione edilizia in un caso relativo ad un capannone riconvertito in attività di ristorazione.
Una società immobiliare ottiene nel ’93 il rilascio di due concessioni edilizie a titolo oneroso, di cui una in variante, per la trasformazione in ristorante-bar di un locale adibito a magazzino. Oltre ad interventi di rifacimento e sostituzione, le opere assentite riguardavano la realizzazione di un muro interno e varie operazioni di apertura e chiusura di porte e finestre sulle facciate esterne.
La società presentò ricorso al Tar Lombardia, contestando la decisione del Comune di assoggettare gli interventi a concessione edilizia onerosa e non ad autorizzazione gratuita, in quanto, a parere della ricorrente, si trattava di opere di manutenzione straordinaria e non di ristrutturazione edilizia.
Dopo alcuni passaggi interlocutori, il Tar ha concluso per il rigetto del ricorso, in quanto l’intervento edilizio si era concretizzato in “…un complessivo riordino delle facciate dell’edificio mediante una articolata serie di interventi di modifica delle aperture, di guisa che la precedente scansione architettonica ne è uscita del tutto modificata”. Dunque, secondo il Tar, non di manutenzione straordinaria si doveva parlare, ma di ristrutturazione edilizia, con conseguente assoggettamento ad oneri concessori. Stabilito questo, verificare la sussistenza di un mutamento di destinazione d’uso rilevante è parso superfluo.
In sede d’appello, la società ha criticato la sentenza del Giudice di primo grado ritenendola non sufficientemente motivata, ma il Supremo Collegio, nella sentenza n. 4523 del 5/09/2014, ha ugualmente respinto il ricorso. A sostegno, è stata richiamata la giurisprudenza consolidata in materia, in ragione della quale, “gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l’inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi non si configurano come manutenzione straordinaria, ma rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia (Cons. St., sez. V, 17 dicembre 1996, n. 1551)”. Le stesse conclusioni valgono inoltre per il restauro e il risanamento conservativo.
Per ristrutturazione edilizia, infatti, sempre secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, si intende una “modificazione della distribuzione della superficie interna e dei volumi e dell’ordine in cui sono disposte le diverse porzioni dell’edificio anche per il solo fine di rendere più agevole la destinazione d’uso esistente: infatti anche in questi casi si configura il rinnovo di elementi costitutivi dell’edificio ed un’alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dell’immobile”.
Al contrario, manutenzione straordinaria e risanamento conservativo  richiedono invece la “realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio e la distribuzione interna della sua superficie (Cons. St., sez. V, 17 marzo 2014, n. 1326; 18 ottobre 2002, n. 5775; 23 maggio 2000, n. 2988)”.
In ulteriori interventi sull’argomento, la giurisprudenza ha rilevato che “costituisce intervento di ristrutturazione e non di manutenzione edilizia (…) quello concretatosi in un insieme sistematico di opere con la conseguente realizzazione di un nuovo organismo del tutto diverso dal precedente (Cons. St., sez. V, 25 novembre 1999, n. 1971)”.
Altro orientamento ha invece ascritto alla manutenzione straordinaria (e non alla ristrutturazione edilizia), l’ampliamento di un’attività commerciale esistente, mediante il semplice spostamento interno di tramezzi, idoneo a realizzare una differente ripartizione interna dei locali (Cons. St., sez. V, 19 luglio 2005, n. 3827).
Secondo Cons. St., sez. V, 2 dicembre 1998, n. 1176, appartengono alla ristrutturazione edilizia gli interventi “non destinati esclusivamente ad assicurare la funzionalità dell’organismo edilizio esistente, ma diretti a realizzare un quid novi nel rapporto tra le parti dell’edificio”.
Dopo questa panoramica sulla casistica in materia, il Collegio ha concluso ritenendo di escludere la manutenzione straordinaria, poiché nella vicenda in esame non si tratta di una mera sostituzione o rinnovazione degli elementi costitutivi, né tantomeno è mantenuta intatta la consistenza fisica dell’edificio. (Michele Deodati)
Tratto da: http://www.infocommercio.it/

Chi altera la targa per sfuggirre all'Autovelox commette falso in certificazione amministrativa e non in atto pubblico

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 5 giugno – 23 settembre 2014, n. 38742

Ritenuto di fatto

Con sentenza in data 12.2.13 la Corte di Appello di Firenze pronunziava la riforma della sentenza del Giudice monocratico di Empolì, in data 17.11.2009, dichiarando non doversi procedere a carico di C.F: per la contravvenzione di cui all'art.102 comma VII C.d.S. -così derubricata l'originaria imputazione di cui all'art.482 CP -dichiarando estinto il reato per prescrizione.
All'imputato era stata addebitata l'alterazione delle targhe automobilistiche,che risultavano essere parzialmente coperte da vernice nella sigla (allo scopo di impedire l'identificazione del veicolo dal dispositivo autovelox.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il PG della Corte di Appello di Fìrenze, deducendo:
1-difetto di motivazione ed erronea applicazione della legge penale.
Rilevava al riguardo che la Corte di Appello non aveva indicato gli elementi dai quali aveva dedotto che l'alterazione delle targhe non avesse carattere permanente,e dunque la carenza della motivazione sui presupposti di applicazione della diversa ipotesi di reato. Censurava altresì l'erronea applicazione dell'art.482 CP,evidenziando che la targa risultava alterata e tale fatto non rientrava nel quadro normativo dell'art.102 C.d.S. Per tali motivi chiedeva l'annullamento­
La difesa ha depositato memoria con la quale rileva la sussistenza dei presupposti che integrano la contravvenzione ascritta dal giudice di appello,evidenziando la decorrenza del termine di prescrizione.

Rileva in diritto

Il ricorso risulta dotato di fondamento.
Invero secondo il principio sancito da questa Corte il falso avente ad oggetto la targa automobilistica integra il delitto dì falsità in certificazione amministrativa e non in atto pubblico v. Cass.Sez.(v.in tal senso n.46326 del 2007-RV238891 -e precedenti conformi:n.9869 del 1984-RV166594,n.9337 del 1988-RV179205) -In tal senso deve ritenersi configurabile l'ipotesi normativa dell'art.482 CP.
Orbene,tale fattispecie risulta erroneamente disapplicata dal giudice di merito,atteso che, dal testo del provvedimento impugnato si evince che l'imputato aveva alterato la targa originaria del veicolo,rendendo parzialmente visibili i dati identificatívi,con uso di vernice . Non si desume peraltro,dalla motivazione al di là del formale richiamo alla giurisprudenza di legittimità,in base a quali elementi il giudice di appello avesse ritenuto che la modifica della targa fosse stata realizzata in modo del tutto provvisorio,onde deve ritenersi erroneamente applicata l'ipotesi contravvenzionale enunciata dall'art.102 C.D.S.,data l'accertata alterazione della targa originale.
Pertanto va pronunziato l'annullamento dell'impugnata sentenza, disponendo il rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze,per nuovo giudizio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze per nuovo esame.

Il Comandante di P.M. non si tocca.Condannato Sindaco

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 26 marzo – 24 settembre 2014, n. 39075

Ritenuto in fatto

M.M.C. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la sentenza 6 dicembre 2012 della Corte di appello di Caltanissetta, che ha confermato la sentenza 3 marzo 2010 del Tribunale di Enna, da lui appellata e dal Procuratore generale, di condanna per il reato contestatogli al capo b), - drviolazione dell'art. 388 capoverso. c.p., per avere, nella qualità di Sindaco del Comune di Catenanuova (EN), omesso di dare esecuzione al provvedimento d'urgenza, emesso dal Tribunale di Enna in data 23 novembre 2004 - e confermato in sede di reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. - nell'ambito della controversia di lavoro che opponeva I.G. al Comune di Catenanuova, e con il quale si imponeva allo stesso Ente territoriale di reintegrare il lavoratore nelle funzioni e nella qualifica di Comandante della Polizia municipale. In (omissis) .
L'intera vicenda, in relazione agli atti nella disponibilità della Corte, va così riassunta:
1. Il M. , nella qualità di Sindaco del Comune di Catenanuova, nel marzo del 2004 aveva provveduto alla ristrutturazione della pianta organica del Comune, sopprimendo alcune delle 7 unità operative in cui era suddiviso il comune, accorpandole in tre aree, amministrativa, tecnica e finanziaria.
2. Con la deliberazione di G.M. n. 22 dell'08/03/2004, il Corpo della Polizia Municipale, una delle sette unità (in allora attribuita alla responsabilità di I.G. ), fu collocato nell'Area Amministrativa, mentre con la deliberazione n. 26 del 22/03 il detto Corpo venne suddiviso in cinque servizi: Polizia Commerciale e protezione civile, Polizia stradale, urbana, amministrativa giudiziaria, Polizia mortuaria, Polizia edilizia e ambientale.
3. In virtù del mutato assetto organizzativo con determinazioni sindacali, n. 23, 24 e 28 del 2004, il Vice sindaco, revocò a vari dipendenti l'incarico di responsabile di unità operativa, e tra questi al Comandante della Polizia Municipale, I.G. , che divenne responsabile di uno dei cinque servizi in cui era suddivisa la Polizia municipale e cioè dell'area amministrativa della "polizia commerciale, protezione civile e vigilanza strutture commerciali". Coordinatore della polizia municipale, e quindi anche del servizio affidato all'I. , fu invece nominato L.C. .
4. L'Indelicato ricorse al Tribunale di Enna in funzione del giudice del lavoro, e chiese di essere reintegrato nelle funzioni di "Comandante del Corpo di P.M." e di "coordinatore del corpo di P.M.", funzione apicale quest'ultima scorrettamente attribuita al L. .
4.1. Su ricorso, promosso dall'I. ex art. 700 c.p.c., il Giudice, con ordinanza del 20 settembre 2004, ha accolto la richiesta del ricorrente, ordinando l'immediata sua reintegra con la relativa posizione stipendiale.
4.2. Avverso tale provvedimento il Comune di Catenanuova, ha proposto reclamo, rigettato dal Tribunale di Enna, il 20 aprile 2005, con provvedimento ex art. 669 terdecies c.p.c..
4.3. Nelle more dell'instaurazione del secondo giudizio, con atto di diffida, del 23 novembre 2004. notificato al Comune di Catenanuova, l'I. invitò il Sindaco, a dare tempestiva esecuzione all'ordinanza pronunciata dal Giudice del Lavoro di Enna.
4.4. Il Sindaco ed in particolare l'allora Segretario Comunale, la sig.ra P.M.L. , trasmise la lettera di diffida all'Avvocato Talio, che aveva patrocinato il comune nel procedimento avanti al giudice del lavoro, chiedendo "il da farsi" in considerazione del fatto che l'unità operativa polizia municipale non esisteva più e l'incarico di coordinatore, che aveva il L. non prevedeva l'indennità di posizione che, invece, aveva prima l'I. quando era comandante e responsabile di unità operativa.
4.5. Con delibera di giunta n. 27 del 29 marzo 2005 l'amministrazione comunale, previa revoca della decisione di ristrutturazione, attribuiva nuovamente la qualità di “unità operativa autonoma” alla polizia municipale; ricollocava l'I. nel precedente ruolo apicale di Comandante, coordinatore dei servizi di polizia municipale, a far data dal marzo del 2004, e revocava l'attribuzione di coordinatore che era stata illegittimamente operata (con determina n.28 del 5 aprile 2004) in favore del L. , persona già inquadrata nella categoria "d".
5. Iniziata l'azione penale nei confronti dell'odierno ricorrente, per i reati di cui agli artt. 323 cod. pen. (CAPO A) e 388 comma 2 cod.pen. (CAPO B), il Tribunale di Enna, assolto il M. dalla prima imputazione, lo ha condannato per l'omessa esecuzione della stabilita reintegra, e la corte distrettuale di Caltanissetta ha confermato la decisione del primo giudice.
6. Il Tribunale, peraltro, nell'assolvere il M. , ex art. 530 capoverso cod. proc. pen., dal delitto ex art. 323 cod. pen., contestatogli al capo A (proscioglimento contestato dal Procuratore generale appellante e confermato dalla corte distrettuale), per difetto di dolo, ha diffusamente chiarito come sul piano oggettivo fosse provata la condotta antigiuridica posta in essere dall'imputato e consistente nel l'aver adottato due delibere di Giunta municipale (delibera di G.M. n. 22 dell'8.3.2004 e n. 26 del 22.3.2004), aventi ad oggetto la modifica della struttura organizzativa del comune di Catenanuova e i conseguenti provvedimenti sindacali [determine sindacali n. 23 del 22.32004, n. 24 del 24.3.2004, n. 28 del 5.4.2004, aventi od oggetto le statuizioni indicate nel capo di imputazione, condotte pacificamente integranti gli estremi della "violazione di norme di legge", rilevante nel delitto di abuso d'ufficio, considerato:
a) che le delibere di GM. n. 22 dell'8.3.2004 e n. 26 del 22.3.2004 risultano in evidente contrasto con il dettato dell'art. 7 della L.R.S. n. 17/1990 che riserva al Consiglio comunale, le determinazioni sull'ordinamento e l'organizzazione del Corpo di polizia municipale (così come, tra l'altro, statuito nella sentenza T.A.R. Sicilia, n. 589/2006 versata in atti);
b) che le determinazioni n. 23, 24, 28 del 2004 sono del pari illegittime poiché in contrasto sia con l'art. 9 della L. 65/89, sia con l'art. 7, rubricato “Comandante del Corpo di polizia municipale", laddove si stabilisce che “Il comandante del Corpo di polizia municipale è responsabile verso il sindaco dell'addestramento, della disciplina e dell'impiego tecnico-operativo degli appartenenti al Corpo”... “2. gli addetti alle attività di polizia municipale sono tenuti ad eseguire le direttive impartite dai superiori gerarchici e dalle autorità competenti per i singoli settori operativi nei limiti decloro stato giuridico e delle leggi";
c) che tale normativa è vigente nel territorio siciliano (stante la competenza esclusiva relativamente al "regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative" fissata dall'art. 14 dello Statuto della Regione Siciliana) per l'espresso richiamo contenuto nell'art. 1 della l.r. 17/90, nonché nell'art. 6 di detta legge secondo cui: “2. Il comandante del corpo di polizia municipale è alle dirette dipendenze funzionali ed amministrative del sindaco o dell'assessore all'uopo delegato verso il quale è responsabile della disciplina e dell'impiego tecnico-operativo degli appartenenti al corpo o al servizio”... “3.Il comandante del corpo di polizia municipale, in relazione all'art. 9 della legge 65/89, è collocato al livello apicale dell'ente di appartenenza”;
d) che nella fattispecie le delibere sindacali in questione, revocando al l'I. l'incarico "apicale" di comandante della polizia Municipale, attribuendogli l'incarico della sola area amministrativa della "polizia commerciale, protezione civile e vigilanza strutture commerciali" e conferendo il sovraordinato incarico di coordinamento dei servizi di Polizia Municipale a L.C. , “senza alcuna indicazione delle ragioni” poste a fondamento dell'attribuzione, non solo contrastava la disciplina in materia, ma violava direttamente la previsione contenuta nell'art. 9 della legge regionale che riserva al regolamento comunale la determinazione dell'organico, delle qualifiche e dei profili professionali degli addetti del corpo di polizia municipale.
7. la Corte di appello di Caltanissetta, con la decisione oggi impugnata, e con riferimento alla residua imputazione ex art. 388 cod. pen., contestata al capo B), ha ritenuto che non fosse elemento sufficiente ad escludere l'intenzionalità della condotta del M. la circostanza che si "sarebbe aspettato l'esito del reclamo", spiegando:
a) che l'essenza stessa dei provvedimenti cautelari impone che gli stessi debbano essere immediatamente eseguiti, al di là del fatto che abbiano o meno carattere definitivamente decisorio (si richiama in proposito cfr. Cass. pen. Sez. 6, 25 ottobre 2004, 65/2005; Cass. pen. 30 novembre 2004, 2603);
b) che nel caso in esame, ai sensi dell'art. 388 comma 2 c.p. si verte in ipotesi di provvedimento del giudice del lavoro posto "a difesa del credito";
c) che dagli atti non vi era prova che fosse stato restituito all'I. il trattamento economico corrispondente e ricostituita la sua posizione stipendiale, con particolare riferimento alle indennità economiche non corrisposte.
8. Da ciò la conclusione di sussistenza del reato contestato, citandosi, in proposito e a contrariis, proprio in ipotesi di mancata reintegrazione e insussistenza della tutela del diritto di credito, la sentenza 33907/2012 di questa VI sezione (Rv. 253266 imputato Petroli), dal momento che risulterebbe esclusa dalla tutela ex art. 388 comma 2 cod. pen. la sola lesione dei diritti della personalità.

Considerato in diritto

1. Il ricorso, con un unico motivo di impugnazione, prospetta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo, sostenendo – preliminarmente - che le decisioni del giudice civile di reintegra nel posto di lavoro non possono essere considerate rientranti nella categoria della difesa del credito, vertendosi invece nella specie in una realtà di lesione di un diritto della personalità, di diversa natura rispetto alla nozione dogmatica di credito; inoltre, l'inottemperanza di tale comando assume rilevanza penale se viene esplicitamente indicato altresì il diritto alla retribuzione dovuta.
1.1. In particolare la difesa rileva:
a) che la posizione rivestita dall'I. , a seguito della revoca dall'incarico, non aveva in effetti inciso negativamente sulla sua posizione economica, dato che costui beneficiava oltre che della retribuzione, di emolumenti a titolo di straordinario ed altro, in precedenza non dovuti, in ossequio alla onnicomprensività dell'indennità di posizione, e che dunque garantivano un trattamento economico quasi equivalente a quello precedente: pertanto, a fronte di una situazione retributiva non sperequante e disagiata, sarebbe da escludere la sussistenza dell'ipotesi di reato di cui all'art. 388 cpv. c.p.;
b) che il reintegro nella precedente posizione lavorativa costituisce oggetto di un diritto della personalità, della propria immagine e reputazione professionale, quando il datore di lavoro ne abbia comunque riconosciuto un trattamento retributivo equivalente a quello precedente (si richiama sul punto: Corte di Cassazione Sez. Sesta Pen. 33907/2012);
d) che la condotta di rilievo penale può semmai ravvisarsi in una condotta commissiva diretta ad ostacolare l'esecuzione della pronuncia, e non in un atteggiamento passivo;
e) che, comunque, la condotta elusiva può ritenersi tale, se vengono posti in essere atti ostativi alla esecuzione del provvedimento, realtà questa non verificatasi nel caso de quo, dato che il Sindaco, si attivò immediatamente chiedendo all'Avvocato la scelta da intraprendere.
2. In tale quadro di censure ed osservazioni, il ricorso si duole in particolare che, nell'esposizione della motivazione della sentenza, non vi sia traccia dei risvolti extrapenali della vicenda, così dimenticando che l'elusione presuppone una forma di scaltrezza e raggiro, che si manifesta con un comportamento positivo, e non può consistere nell'inerzia che, comunque, nella vicenda, sarebbe mancata, tenuto conto:
a) che nel caso di un obbligo di fare, assume rilevanza penale il comportamento volto ad impedire il risultato concreto a cui tende il comando giudiziale, non essendo nella specie ravvisabile un comportamento scaltro od espressione di raggiro per disattendere il dettato giudiziale;
b) che non può considerarsi sussistente il dolo dell'imputato, per il semplice fatto che egli ha dichiarato di attendere l'esito del reclamo;
c) che il M. si è attivato immediatamente, e se da un lato vi è un provvedimento cautelare che è per sua natura destinato a produrre effetti in tempi rapidi, dall'altro non va omessa la circostanza che in seno all'area del pubblico impiego e soprattutto all'interno di un comparto amministrativo del tutto modificato, trattandosi altresì di ordine di reintegro, occorreva quantomeno indicare le modalità di attuazione del provvedimento cosa che il giudice del lavoro non ha fatto.
3. Ritiene la Corte che il ricorso non possa essere accolto.
3.1. In tema di applicazione dei disposti dell'art. 388 comma 2 cod. pen., i provvedimenti che prescrivono misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito, sono stati dalla dottrina e dalla giurisprudenza individuati (tra gli altri) in quelli relativi: all'esercizio di azioni possessorie ex art. 1168 c.c. o di denuncia di nuova opera o danno temuto ex artt. 1171 e 1172 c.c., al sequestro giudiziario e conservativo ex art. 670 ss. c.p.c., a quelli di urgenza ex art. 700 c.p.c. se attinenti alle materie indicate.
3.2. Discusso invece è il caso della sentenza provvisoriamente esecutiva oppure del decreto ex art. 700 c.p.c. che abbia ordinato la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore licenziato (art. 18 Statuto dei lavoratori), risultando controverso se tale misura possa inquadrarsi dogmaticamente nell'area concernente il possesso o il credito:
a) la tesi negativa sostiene che il provvedimento di reintegra non avrebbe natura di misura a difesa del credito, poiché non è in questione il diritto alla retribuzione (in quanto, ove fosse negata anche questa, la risposta dovrebbe essere affermativa: cfr. Cass. VI 17 marzo 1982, Violati, in G. PEN. 1982, 11, 322), e neppure di misura a difesa del possesso, considerato che il posto di lavoro non è compreso fra i diritti reali;
b) la conclusione affermativa si fonda invece sull'assorbente argomentazione che tra le obbligazioni del datore di lavoro ve ne sono altre, diverse da quella del pagamento della retribuzione, che possono fondare un vero e proprio diritto di credito.
3.3. Nella specie, la cotte distrettuale, nell'aderire in punto di diritto alla tesi dell'applicabilità dello schema legale dell'art. 388 cod. pen., ha proprio evidenziato e (correttamente) fatto leva sulla decisiva e determinante circostanza che, dagli atti, non risulta che sia stato restituito all'I. il trattamento economico corrispondente e ricostituita la sua posizione stipendiale, con particolare riferimento alle indennità economiche non corrisposte: realtà questa ammessa dallo stesso ricorrente che parla espressamente di "trattamento economico quasi equivalente".
3.4. Tanto premesso ritiene questa Corte, pur ammesso che la norma in questione tuteli i diritti di credito "strictu sensu", e cioè quelli che abbiano un contenuto direttamente patrimoniale, e non ogni situazione in cui un soggetto possa pretendere un certo comportamento da un altro soggetto, anche se da tale condotta possono poi derivare conseguenze patrimoniali (cfr in termini Cass. pen. sez. 6, 3390 del 19 giugno 2012, in ricorso Petroli), che tale rigoroso canone interpretativo debba essere correlato e confrontato con la situazione concreta, che, nella vicenda, è rappresentata da una serie funzionale di violazioni di norme di legge e di regolamento, posta in essere dal sindaco, e finalizzata a privare di precisi diritti patrimoniali l'I. (con vantaggio di altri) ed in particolare della consistente "indennità di posizione", riconosciuta invece al titolare dei poteri di coordinamento, giusta quanto dianzi argomentato dal giudice di merito, nella narrativa in fatto, in particolare al p. sub 6, lettera "d" cui va fatto integrale riferimento.
3.5. Una situazione in pratica dove appare dominante e risolutivo il consistente diritto di credito, correlato alla posizione "a pica le", rispetto alla tutela della personalità del lavoratore, anche se l'esito di reintegra comportava “ipso facto et jure" anche la tutela della dignità e della immagine professionale dell'I. nella sua veste di comandante la polizia municipale.
4. Quanto ai profili della "elusione", pacifica la conclusione (cfr. Sez. U. 36692/2007 Rv. 236937) che l'interesse tutelato dall'art. 388 cod. pen. non è l'autorità in sé delle decisioni giurisdizionali, bensì l'esigenza costituzionale di effettività della giurisdizione, con la conseguenza che il mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti giudiziali previsti dall'articolo 388, comma secondo, cod. pen. non costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante, va rilevato che - nella vicenda - l'obbligo richiedeva, per la sua efficace attuazione, la necessaria collaborazione dell'obbligato M. , nella sua qualità di Sindaco del Comune, in quanto “la reintegra dell'I. nella qualifica (apicale) e nelle funzioni di Comandante del Corpo di polizia municipale del Comune di Catenanuova, con la relativa posizione stipendiale” presupponeva necessariamente la revoca dei provvedimenti di ristrutturazione che erano stati illegittimamente adottati, con "riattribuzione" alla polizia municipale, come poi tardivamente avvenuto, della qualità di “unità operativa autonoma”.
4.1. Come più volte precisato da risalente giurisprudenza di questa Corte, la nozione di elusione ha valenza diversa a seconda della natura dell'obbligo imposto: se questo è di non fare, il semplice agire in contrasto realizza l'elusione dell'obbligo; se invece si tratta di obbligo di fare, l'elusione si può realizzare solo con un comportamento volto a impedire il risultato concreto cui tende il comando giudiziale; con l'ulteriore corollario che, se il conseguimento di tale risultato - come nella specie - presuppone la necessaria collaborazione del soggetto obbligato, anche l'inerzia di quest'ultimo concreta l'elusione (cfr. ex plurimis Cass. pen. sez. 6, u.p. u.p. 14 febbraio 2002, Deani e Maccarone; u.p. 17 aprile, 2001 Nespeca 12 novembre 1998, Salini; u.p. 19 ottobre 2000, Roberti).
4.2. In conclusione, nella specie, hanno sostanziato l'elusione richiesta dalla norma solo quei risultati negativi, ricollegabili, in forza dei provvedimenti assunti, alla condotta contra legem dell'obbligato, i cui profili soggettivi risultano efficacemente argomentati dai giudici di merito, con valutazione indenne da censure od invalidità apprezzabili in questa sede.
4.3. Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonché apprezzata la tenuta logica e coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata.
Il ricorrente va infine condannato al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile Indelicato Gaetano, spese che liquida in Euro 2.600,00 oltre i.v.a. e c.p.a..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile Indelicato Gaetano, spese che liquida in Euro 2.600,00 oltre i.v.a. e c.p.a..

venerdì 26 settembre 2014

Parere AGCOM su DISCIPLINA DEGLI ORARI DI APERTURA DEGLI ESERCIZI COMMERCIALI.

Bollettino n.37/2014 del 24/09/2014

Decisioni del 09/09/2014 icon 37-14

A pag. 52:
AS1147 - DISCIPLINA DEGLI ORARI DI APERTURA DEGLI ESERCIZI COMMERCIALI.
a seguire:
AS1148 - TESTO UNICO DEL COMMERCIO: SETTORE DELLA DISTRIBUZIONE STRADALE ED AUTOSTRADALE DI CARBURANTI
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE

CONCORSI PUBBLICI:SCORRIMENTO DI GRADUATORIA

tratto da:http://www.logospa.it
Il Consiglio di Stato con sentenza n. 4438 del 29 agosto 2014 si è espresso sul meccanismo dello scorrimento di graduatoria nei concorsi pubblici. La sentenza evidenzia un tema un tema fondamentale in materia di pubblico impiego, ovvero la legittimità dell'indizione di nuove procedure concorsuali, per l'assunzione di lavoratori a tempo indeterminato, in presenza di una graduatoria valida ed efficace relativa a un precedente concorso per la medesima qualifica.

SCIA - ILLEGITTIMO L’INTERVENTO INIBITORIO DOPO IL TERMINE (30 GIORNI)

Tratto da: http://www.logospa.it/
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 4780 del 22 settembre 2014, si è espresso in tema di SCIA chiarendo in particolare l'illegittimo intervento inibitorio dopo il termine previsto di 30 giorni. Nel caso in cui un'amministrazione comunale abbia lasciato che la d.i.a. si consolidasse, omettendo di esercitare, nel termine perentorio previsto dall'art. 23, comma 6, d.P.R. n. 380 del 2001, il potere inibitorio-repressivo ad essa spettante in caso di carenza dei presupposti per la d.i.a., e abbia anche omesso l'esercizio dei c.d. poteri di autotutela decisoria, espressamente richiamati dal secondo periodo del comma 3 dell'art. 19 della legge n. 241 del 1990 non procedendo quindi all'annullamento d'ufficio, ai sensi dell'art. 21-nonies legge n. 241 del 1990, della d.i.a. ritenuta illegittima, ha provveduto direttamente, senza alcuna motivazione ulteriore rispetto alla ritenuta illegittimità delle opere eseguite, ad ordinare la sospensione dei lavori e la rimozione degli interventi realizzati. In tal modo appare chiara la violazione delle garanzie previste dall'art. 19 legge n. 241 del 1990 che, in presenza di una d.i.a. illegittima, consente certamente all'Amministrazione di intervenire anche oltre il termine perentorio di cui all'art. 23, comma 6, d.P.r. n. 380 del 2001, ma solo alle condizioni (e seguendo il procedimento) cui la legge subordina il potere di annullamento d'ufficio dei provvedimenti amministrativi e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di illegittimità dei lavori assentiti per effetto della d.i.a. ormai perfezionatasi, dell'affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto del decorso del tempo, e, comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo. Il modus procedendi seguito dall'Amministrazione comunale – tradottosi nella diretta adozione di un provvedimento repressivo-inibitorio, oltre il termine perentorio di sessanta giorni dalla presentazione della d.i.a. e senza le garanzie e i presupposti previsti dall'ordinamento per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio – si appalesa, pertanto, senz'altro illegittimo. La d.i.a, infatti, una volta perfezionatasi, costituisce un titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo equiparabile quoad effectum al rilascio del provvedimento espresso), che può essere rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso l'esercizio del potere di autotutela decisoria. Ne consegue l'illegittimità del provvedimento repressivo-inibitorio avente ad oggetto lavori che risultano oggetto di una d.i.a. già perfezionatasi (per effetto del decorso del tempo) e non previamente rimossa in autotutela.
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 4780, 22 SETTEMBRE 2014.

giovedì 25 settembre 2014

div.5_20366_22092014_D.L. 90/2014_art. 25_mutiliazioni e minorazioni fisiche stabilizzate documenti da scaricare

Circolare Prot. 20366 del 22/09/2014
emessa da: Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti
Titolo/Oggetto
div.5_20366_22092014_D.L. 90/2014_art. 25_mutiliazioni e minorazioni fisiche stabilizzate
documenti da scaricare

esami di teoria per il conseguimento delle patenti di guida delle categorie C1, C1E, C, CE, D1; D1E, D, DE -

Circolare Prot. 20367 del 22/09/2014
emessa da: Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti
Titolo/Oggetto
circolare prot 20367 del 22.09.2014: esami di teoria per il conseguimento delle patenti di guida delle categorie C1, C1E, C, CE, D1, D1E, D, DE
testo 20367
Circolare prot. 20367 del 22.09.2014: esami di teoria per il conseguimento delle patenti di guida delle categorie C1, C1E, C, CE, D1; D1E, D, DE -
Modalità di svolgimento dal 2 marzo 2015
documenti da scaricare

lunedì 22 settembre 2014

L'accesso al CED delle Polizie Municipali


L'art. 24-quinquies del LEGGE 11 agosto 2014, n. 114 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari), sembrerebbe  la chiave di volta per l'accesso gratuito, da parte delle Polizie locali, al Centro Elaborazione Dati del Ministero dell'Interno, come previsto dal cosiddetto "pacchetto sicurezza" varato nel 2008.

L'agenzia per l'Italia digitale dovrebbe (condizionale d'obbligo), entro 90 gg.,  dare l'ok, sentito il Garante, che peraltro già nel 2013 aveva già espresso un parere favorevole in materia, su richiesta del Ministero dell'Interno.
BELLE PAROLE.....MA A PARERE DELLO SCRIVENTE RIMARRANNO SOLO LETTERA MORTA  O PER MEGLIO DIRE SOLO UNO "SPECCHIETTO PER LE ALLODOLE".
La motivazione?
PERCHE' NESSUNO CI CONSIDERA "FORZA DI POLIZIA !!!!!!  (e la legge 121/81 ne è la prova tangibile), e poi perchè difficilmente lo STATO vorrà rinunciare a questi emolumenti elargiti dai comuni italiani.

Spero di sbagliarmi.

Mario Serio
Riproduzione Riservata
Sotto:
-Per saperne di più ( tratto dal Ministero dell'Interno)
-  Nota ANCI dell' 1 settembre 2014 ,con la quale viene resa nota la recente richiesta del Sindaco di Verona al Ministero;
-L'art. 24-quinquies della LEGGE 11 agosto 2014, n. 114


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Per saperne di più

RELATIVAMENTE AL FUNZIONAMENTOI DELLA BANCA DATI

- Quali sono le finalità della raccolta dei dati e delle informazioni
- Quale norma ha istituito la banca dati delle forze di polizia
- A cosa si riferiscono le informazioni ed i dati raccolti
- Quali sono le procedure previste per la raccolta
- Chi può accedere alle informazioni raccolte nel Ced
- Quali sono le informazioni e i dati che non possono essere raccolti
- Chi controlla il Ced

RELATIVAMENTE AI DIRITTI DEGLI INTERESSATI

- Chi può inoltrare la richiesta di accesso alle informazioni del Ced
- Come viene fornito riscontro alla richiesta
- Ricorso all’Autorità Giudiziaria
- Ricorso all’Autorità Garante per la protezione dei dati personali

PRINCIPALI RIFERIMENTI NORMATIVI

- Legge 01 aprile 1981, n. 121
- D.P.R. 03 maggio 1982, n. 378
- D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 

RELATIVAMENTE AL FUNZIONAMENTO DELLA BANCA DATI



- Quali sono le finalità della raccolta dei dati e delle informazioni

Il Ced provvede alla raccolta delle informazioni e dei dati che consentono al Dipartimento della Pubblica Sicurezza di attuare le direttive impartite dal Ministro dell’Interno e di espletare i compiti affidatigli dalla legge in materia di tutela dell’ordine, della sicurezza pubblica e di prevenzione e repressione della criminalità.

- Quale norma ha istituito la banca dati delle forze di polizia

La Banca Dati delle Forze di Polizia è prevista dall’art. 8 della legge n. 121/1981 che ha istituito presso il Ministero dell’Interno apposito Centro Elaborazione Dati (Ced).

Allo stato, il Ced è allocato nell’ambito del Servizio per il Sistema Informativo Interforze (S.S.I.I.) della Direzione centrale della Polizia criminale (D.C.P.C.).

- A cosa si riferiscono le informazioni ed i dati raccolti

Le informazioni ed i dati raccolti si riferiscono a notizie risultanti da documenti conservati dalla pubblica amministrazione o da enti pubblici ovvero risultanti da sentenze o provvedimenti dell’A. G. o da atti concernenti l’istruzione penale o da indagini di polizia.

Possono essere raccolte anche informazioni e dati in possesso delle polizie degli Stati appartenenti alla Unione europea e di ogni altro Stato con il quale siano raggiunte specifiche intese.

- Quali sono le procedure previste per la raccolta

Le procedure per la raccolta dei dati e delle informazioni, per l’accesso e la comunicazione dei dati stessi nonché per la correzione o cancellazione dei dati erronei e la integrazione di quelli incompleti sono stabilite mediante regolamento.

- Chi può accedere alle informazioni raccolte nel Ced

Possono accedere alle informazioni e dati raccolti i soggetti autorizzati dall’art. 9 della legge n. 121/1981 (ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti alle forze di polizia, ufficiali di pubblica sicurezza e funzionari dei servizi di sicurezza, agenti di polizia giudiziaria delle forze di polizia nonché, con i limiti previsti dalla legge, l’Autorità Giudiziaria), appositamente, abilitati in relazione ai diversi livelli di accesso. Può, altresì, eccedere al Ced (secondo le modalità, da ultimo, previste dagli art. 8 e 8 bis del DL 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125) la polizia municipale e la Capitaneria di porto. E’ vietata ogni utilizzazione delle informazioni e dei dati raccolti nel Ced per finalità diverse da quelle previste dalla legge nonché, al di fuori dei casi previsti, ogni circolazione delle informazioni all’interno della pubblica amministrazione.

- Quali sono le informazioni e i dati che non possono essere raccolti

E’ vietato raccogliere informazioni e dati sui cittadini per il solo fatto della loro razza, fede religiosa od opinione politica o della loro adesione ai principi di movimenti sindacali, cooperativi, assistenziali, culturali, nonché per la legittima attività che svolgono come appartenenti ad organizzazioni legalmente operanti nei suddetti settori (art. 7, 2^ comma, legge n. 121/1981).

- Chi controlla il Ced

Il controllo sul Ced è esercitato, nei modi previsti dalla legge e dai regolamenti, dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali (www.garanteprivacy.it). Sull’osservanza dei criteri e delle norme previste per l’espletamento delle operazioni svolte dal Ced è, altresì, esperito un controllo da apposita Commissione Tecnica (art. 8, 3^ comma, della legge n. 121/1981).

RELATIVAMENTE AI DIRITTI DEGLI INTERESSATI



- Chi può inoltrare la richiesta di accesso alle informazioni del Ced

La richiesta deve essere effettuata dalla persona alla quale si riferiscono i dati, ovvero, se minore, dai genitori titolari della potestà genitoriale o dal tutore nominato dal Tribunale. Al di fuori dei suddetti casi, chi presenta istanza deve essere stato a ciò, appositamente, delegato dall’interessato.

L’atto di delega deve recare sottoscrizione autenticata della persona alla quale si riferiscono i dati. La richiesta è inammissibile se proviene da un soggetto non legittimato.

- Come viene fornito riscontro alla richiesta

Le determinazioni assunte sono, di norma, comunicate tramite posta, entro trenta giorni dalla (ricezione della) istanza. Se necessario, sarà fatta riserva di successiva comunicazione definitiva.

- Ricorso all’Autorità Giudiziaria

Chiunque viene a conoscenza dell’esistenza di dati personali che lo riguardano, trattati in violazione di disposizioni di legge o di regolamento, può chiedere al Tribunale del luogo ove risiede il titolare del trattamento dei dati (identificabile, per i casi di interesse, nel Tribunale di Roma) di compiere gli accertamenti necessari e di ordinare la rettifica, l’integrazione, la cancellazione o la trasformazione in forma anonima dei dati medesimi.

- Ricorso all’Autorità Garante per la protezione dei dati personali

La persona interessata può rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali (per proporre eventuali reclami, segnalazioni o ricorsi ex art. 141, D. Lgs. n. 196/2003) se ritiene sussistenti violazioni della disciplina rilevante in materia di trattamento di dati personali o se intenda sollecitare un controllo dell’Autorità Garante sulla disciplina medesima.

PRINCIPALI RIFERIMENTI NORMATIVI



» Legge 01 aprile 1981, n. 121
recante il “Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza”, con particolare riferimento agli articoli 5 (“Organizzazione del Dipartimento della Pubblica Sicurezza”), 6 (“Coordinamento e direzione unitaria delle Forze di Polizia”), 7 (“Natura e entità dei dati e delle informazioni raccolti”), 8 (“Istituzione del Centro Elaborazione Dati”), 9 (“Accesso ai dati ed informazioni e loro uso”), 10 (“Controlli”) e 11 (“Procedure”)

» D.P.R. 03 maggio 1982, n. 378
recante l’ “Approvazione del regolamento concernente le procedure di raccolta, accesso, comunicazione, correzione, cancellazione ed integrazione dei dati e delle informazioni, registrati negli archivi magnetici del centro elaborazione dati di cui all’art. 8 della legge 1° aprile 1981, n. 121”

» D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196
recante il “Codice in materia di protezione dei dati personali”, con particolare riferimento agli articoli 11 (“Modalità del trattamento e requisiti dei dati”), 53 (“Ambito applicativo e titolari dei trattamenti”), 54 (“Modalità di trattamento e flusso di dati”), 56 (“Tutela dell’interessato”), 57 (“Disposizioni di attuazione”) e 175 (“Forze di Polizia”).
 




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Sicurezza - Sindaco Tosi ad Alfano: “Far accedere vigili a banca dati del Viminale”
[01-09-2014]


Il sindaco di Verona, Flavio Tosi, chiede al Viminale di 'sbloccare' la questione dell'accesso da parte delle Polizie locali al Centro Elaborazione Dati del Ministero dell'Interno, come previsto dal cosiddetto 'pacchetto sicurezza' varato nel 2008 da Roberto Maroni. Tosi lo ha fattocon una lettera inviata al ministro Angelino Alfano, rilanciata dall’agenzia Ansa.

"A distanza di sei anni - scrive Tosi - il decreto legge n.92/2008, ormai definito in tutti gli aspetti tecnici, non e' stato ancora firmato e pubblicato, nonostante tutti i passaggi amministrativi effettuati con Anci, con il Garante per la Protezione dei Dati Personali e con Ancitel, propedeutici anche ad un progetto che prevedeva l'accesso immediato per una serie di Comuni, tra cui Verona, gia' pronti ai collegamenti con il Centro ElaborazioneDati del Ministero dell'Interno".

"Il progetto quindi non è stato completato - spiega Tosi - privando le Polizie locali di un utile strumento per le finalita' di sicurezza pubblica ed urbana. La possibilita' di accedere al Ced del Ministero è importante per l'attivita' della Polizia municipale, in particolare per quel che riguarda la consultazione dello schedario dei veicoli rubati, dello schedario dei documenti d'identità rubati o smarriti, dello schedario dei permessi di soggiorno rilasciati e rinnovati". (gp) -
Tratto da Anci.it

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LEGGE 11 agosto 2014, n. 114
Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90

Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari
(G.U. n. 190 del 18 agosto 2014)
TITOLO I - MISURE URGENTI PER L'EFFICIENZA DELLA P.A. E PER IL SOSTEGNO DELL'OCCUPAZIONE

Art. 24-quinquies. (Comunicazioni tra le pubbliche amministrazioni)
1. Il comma 2 dell’articolo 58 del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente: "2. Le pubbliche amministrazioni comunicano tra loro attraverso la messa a disposizione a titolo gratuito degli accessi alle proprie basi di dati alle altre amministrazioni mediante la cooperazione applicativa di cui all’articolo 72, comma 1, lettera e). L’Agenzia per l’Italia digitale, sentiti il Garante per la protezione dei dati personali e le amministrazioni interessate alla comunicazione telematica, definisce entro novanta giorni gli standard di comunicazione e le regole tecniche a cui le pubbliche amministrazioni devono conformarsi".
2. Il comma 3 dell’articolo 58 del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
"3. L’Agenzia per l’Italia digitale provvede al monitoraggio dell’attuazione del presente articolo, riferendo annualmente con apposita relazione al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro delegato".
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