Richiesta restituzione trattenute. Ulteriori chiarimenti

Messaggio numero 10065 del 21-06-2013 
Direzione Centrale Entrate e Posizione Assicurativa Gestione Dipendenti Pubblici
Roma, 21-06-2013
Messaggio n. 10065
OGGETTO: Sentenza Corte Costituzionale n. 223/2012 – art. 1, comma 98 – 101, della legge n. 228 del 24/12/2012 di ricezione del decreto legge n. 185 del  29/10/2012 – Richiesta restituzione trattenute. Ulteriori chiarimenti.
   
Sono pervenute e continuano a pervenire (anche da parte di personale in regime di Tfr)  a questo Istituto numerosissime richieste e diffide intese ad ottenere l’interruzione e la restituzione della trattenuta previdenziale obbligatoria nella misura del 2.50% della retribuzione contributiva utile ai fini del TFS, a seguito della illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 10, del decreto Legge  31 maggio 2010, n. 78,  riconosciuta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 223 dell’ 8 -11 ottobre 2012.

Al riguardo, nel confermare quanto già comunicato con messaggio  n. 18296 del 9 novembre 2012, si ribadisce la posizione di questo Istituto secondo quanto di seguito indicato.

L’art. 1, commi 98 -101, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 - che ha recepito i contenuti del decreto legge n. 185/2012, decaduto senza conversione in legge e che contiene disposizioni per l’attuazione della Sentenza della Corte Costituzionale dell’8 -11 ottobre 2012, n. 223 -  ha stabilito l’abrogazione dell’art. 12, comma 10, del citato decreto legge n.78/2010 a decorrere dal 1° gennaio 2011 e, nel contempo, la riliquidazione d’ufficio entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto stesso (31ottobre 2012) di tutti i trattamenti di fine servizio liquidati in base all’art. 12, comma 10, del decreto legge n. 78/2010 (ora abrogato), per tutte le cessazioni dal servizio intervenute tra il 1° gennaio 2011 e il  30 ottobre 2012.

Il richiamato art.1 ha disposto, altresì, l’estinzione di diritto di tutti i processi pendenti nonché l’inefficacia di tutte le sentenze emesse (tranne quelle passate in giudicato) in materia di restituzione del contributo previdenziale obbligatorio nella misura del 2,50% della retribuzione contributiva utile prevista dall’art. 11 della legge 8 marzo 1968, n. 152 e dagli artt. 37 e 38 del d.P.R. 23 dicembre 1973, n. 1032.

L’abrogazione dell’art.12, comma 10, del decreto legge n. 78/2010 ha determinato, pertanto, il ripristino della normativa previgente in tema di calcolo dei trattamenti di fine servizio comunque denominati.

Pertanto, per i dipendenti in regime di TFS in servizio ovvero per quelli cessati, essendo state ripristinate le regole previgenti a quelle introdotte dall’art. 12, comma 10, del decreto Legge n.78/2010, il contributo previdenziale sulla retribuzione contributiva utile rimane comunque dovuto anche per il periodo successivo al 31 dicembre 2010.

Tutto ciò premesso, appare evidente che le norme citate in oggetto, lungi dal prevedere la restituzione della contribuzione, hanno confermato il permanere dell’obbligatorietà della stessa.

Si sottolinea inoltre che per i dipendenti pubblici  in regime di TFR non trovano applicazione né la sentenza della Corte Costituzionale n. 223/2012, né l’art. 1, commi 98-101, della legge 228/2012, in considerazione del fatto che costoro non  sono mai stati riguardati dalla norma dichiarata illegittima.  Al personale in parola si applica, invece,  la disciplina sulle modalità di estensione, finanziamento ed erogazione  del TFR contenuta nell’art. 26, comma 19, della legge n. 448/1998 e nel d.P.C.M. 20 dicembre 1999 e s. m. e i..
A questo proposito si rammenta, che l’Amministrazione datrice di lavoro è il soggetto che, in piena conformità alle norme di legge dianzi citate, opera una riduzione della retribuzione lorda del personale assoggettato a regime di TFR “in misura pari al contributo previdenziale soppresso”.

In altre parole, a carico del personale cui spetta il TFR non può più essere trattenuto il contributo previdenziale del 2,50% ma, per assicurare l’invarianza della retribuzione netta, il legislatore ha previsto la contestuale diminuzione della retribuzione lorda di tali dipendenti in misura pari a quella della quota di contributo a carico dell’iscritto cui spetti invece il trattamento di fine servizio (IPS o buonuscita).

Pertanto una eventuale interruzione di tale diminuzione della retribuzione lorda costituirebbe violazione di precisi obblighi di legge.

Per quanto concerne le diffide inoltrate all’Istituto, si fa presente che le stesse sono di competenza dei datori di lavoro, che, in qualità di sostituti d’imposta, sono preposti  ad effettuare le trattenute contributive in esame.


  Il Direttore Generale  
  Nori

Abusivismo edilizio: i Comuni non hanno i soldi per le demolizioni.

Abusivismo edilizio: i Comuni non hanno i soldi per le demolizioni.

Dipendenti PA: la pensione può attendere. Al lavoro anche gli over 65

Il Tar del Lazio tramite la sentenza 2446/2013 ha reso nulla parte della circolare n. 2/2012 del dipartimento della Funzione pubblica attinente le regole per il pensionamento del personale. La sentenza toglie alla pubblica amministrazione la facoltà di legittimare il collocamento a riposo d’ufficio nei confronti del dipendente che compie 65 anni (limite ordinamentale) contro il parere avverso dello stesso, a prescindere dal controllo del perfezionamento entro il 31 dicembre 2011 dei requisiti previgenti la riforma Fornero per poter accedere alla pensione di anzianità. Viene altresì riconosciuto il diritto del ricorrente a restare in servizio sino al compimento di 66 anni, e cioè il successivo limite anagrafico per poter usufruire del trattamento di vecchiaia previsto dall’articolo 24 del decreto legge 201/2011.

Il pronunciamento del Tar Lazio si pone in netto contrasto con i più recenti pareri della Funzione Pubblica (13264/2013 e 15888/2013) riguardanti l’obbligo previsto per le Amministrazioni di risolvere il rapporto lavorativo non oltre il compimento del limite ordinamentale di 65 anni d’età, fatta eccezione per l’eventuale biennio di trattenimento ai sensi del decreto legislativo 503/1992. Nel caso specifico attinente alla sentenza, il ministero della Giustizia aveva deciso di mettere a riposo un dipendente, in vista del raggiungimento di limiti anagrafici, che già dal 2011 aveva maturato oltre 40 anni di contributi, applicando alla lettera la circolare sovra citata.

Il ricorrente invece sosteneva di poter continuare a prestare servizio fino al conseguimento dei 66 anni (appunto il nuovo limite d’età previsto per accedere al pensionamento di vecchiaia). E i giudici amministrativi hanno dato ragione all’uomo, accettando l’interpretazione secondo cui, a richiesta, i subentrati requisiti anagrafici ai fini della pensione di vecchiaia vengono applicati a coloro che alla data del 31 dicembre 2011 avevano già maturato i requisiti per la pensione di anzianità, senza tuttavia maturare quelli per la pensione di vecchiaia. La sentenza del Tar laziale suggerisce di preferire l’interpretazione normativa che è a favore dell’estensione del rapporto di lavoro, a discapito di quella opposta avanzata dall’Amministrazione resistente che invece vuole l’anticipo della risoluzione.

Tuttavia, nel provvedimento non si fa alcuna menzione al comma 4 che stabilisce, nei confronti di chi è iscritto alle forme esclusive e sostitutive della medesima, l’”incentivazione” del proseguimento dell’attività impiegatizia, fermi restando i limiti ordinamentali che nel lavoro pubblico sono appunto fissati al raggiungimento del 65esimo anno d’età (ai sensi dell’art. 4 del Dpr 1092/1973). L’incertezza a livello normativo, oltre che incidere negativamente sulla programmazione del personale, inficia anche le previsioni di spesa determinate dal medesimo. Infatti, in applicazione del comma 2, a partire dall’anno 2012, in relazione alle anzianità contributive maturate una volta decorsa tale data, il calcolo della quota pensionistica corrispondente a queste stesse anzianità verrà realizzato seguendo il metodo di calcolo contributivo. Dal momento quindi che il ricorrente del caso specifico già nel 2011 aveva maturato 40 anni di contributi, la rispettiva anzianità contributiva, con riferimento al periodo compreso tra gennaio 2012 e marzo 2014 (scadenza per il raggiungimento delle nuove soglie anagrafiche), è destinata a crescere ulteriormente. 
Fonte: http://www.leggioggi.it

Aumento dell'imposta di bollo da 14,62 a 16 e da 1,81 a 2

La legge 24 giugno 2013 n.71 di conversione del decreto legge 26 aprile 2013 n.43 stabilisce, introducendo l'articolo 7 bis, l'aumento dell'imposta di bollo da 14,62 a 16 e da 1,81 a 2 (comma 3).
La norma entra in vigore dal 26 giugno 2013.

"3. A decorrere dalla data di entrata in vigore della  legge  di
conversione del presente decreto, le  misure  dell'imposta  fissa  di
bollo attualmente stabilite in euro 1,81 e  in  euro  14,62,  ovunque
ricorrano, sono rideterminate, rispettivamente, in  euro  2,00  e  in
euro 16,00". 

"L'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente di altri utenti purché rientri nel limite della prevedibilità".






Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 23 maggio – 21 giugno 2013, n. 27350
Presidente Sirena – Relatore Bianchi

Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza resa dal Tribunale con la quale F.R. è stato ritenuto responsabile di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale e condannato alla pena di giustizia e al risarcimento del danno in favore delle parti civili. Si è trattato di un incidente stradale avvenuto il (OMISSIS) , in piena notte, tra l'auto Fiat Punto condotta dal F. e la Daewoo Lanos guidata da E.A.C. , essendosi contestato all'imputato di aver attraversato un incrocio regolato da semaforo, con la luce rossa, a velocità eccessiva e in stato di ebbrezza alcolica, venendo in tal modo in collisione con l'auto della persona offesa. La Corte di appello, rispondendo alle censure formulate dall'imputato nei confronti della sentenza di primo grado, ha ritenuto che, come peraltro già aveva osservato la sentenza di primo grado, anche a voler dare per scontata la tesi più favorevole all'imputato e cioè che, non essendo possibile avere la prova sicura che l'imputato era passato col rosso, egli avesse effettuato l'attraversamento con la luce verde, la sua condotta di guida risultava comunque colpevole e causativa dell'evento sia per le sue condizioni personali di grave stato di ebbrezza sia per aver proceduto ad una velocità superiore al limite consentito e pericolosa in relazione all'ora notturna e alla presenza dell'incrocio. Né poteva scriminare la condotta  l'eventuale concorso di colpa della persona offesa (per aver attraversato l'incrocio con il semaforo rosso), avendo comunque il F. l'obbligo di rispettare le regole e adottare le prescritte cautele, ciò che non aveva fatto per la velocità e lo stato di ebbrezza che gli avevano impedito di rendersi conto tempestivamente del pericolo e di frenare in tempo.
2. Ha presentato ricorso per cassazione il difensore dell'imputato. Deduce violazione di legge e difetto di motivazione e sostiene che la sentenza ha ritenuto la responsabilità dell'imputato in maniera del tutto generica ed apodittica, in quanto pur avendo dovuto riconoscere che l'imputato aveva impegnato il semaforo con la luce verde a lui favorevole, ne aveva affermato comunque la responsabilità sulla base dello stato di ebbrezza e di una generica inosservanza delle norme di diligenza e prudenza che presiedono lo svolgimento della circolazione stradale; non vi è stato alcun accertamento sulla effettiva incidenza che tali circostanze hanno avuto nell'incidente e il nesso causale sembra essere stato semplicemente presunto.


Considerato in diritto

1. Il ricorso non merita accoglimento.
Il ricorrente in sostanza vorrebbe sottrarsi alle proprie responsabilità assumendo che l'incidente è avvenuto per colpa esclusiva dell'altra automobilista e che il proprio comportamento non ha avuto rilevanza causale ovvero che la stessa non è stata dimostrata. L'assunto è infondato. Le sentenze dei giudici di merito, in primo ed in secondo grado, hanno chiarito che il comportamento dell'attuale ricorrente era colpevole per l'eccessiva velocità, violativa dei limiti previsti in centro abitato e delle regole prudenziali che regolano la circolazione in ora notturna e nell'approssimarsi ad incroci con strade di grande scorrimento; egli era inoltre in stato di ebbrezza alcolica, comportamento che costituisce una specifica violazione delle regole di circolazione stradale; hanno ritenuto che in tali condizioni, pur avendo egli avuto la possibilità di rendersi conto della presenza dell'altra autovettura sia pure, in ipotesi, in posizione irregolare, la manovra posta in essere (dimostrata dalle tracce di frenata rinvenute sul manto stradale) non è stata sufficientemente tempestiva ed efficace ad impedire il verificarsi dello scontro o a diminuirne la violenza.
La motivazione è corretta. Secondo l'art. 140 C.d.S. gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione stradale ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale e secondo l’art. 141 vi è obbligo di adeguare la velocità alle concrete condizioni della circolazione e obbligo di conservare sempre il controllo del veicolo (*). Tali disposizioni dimostrano che la misura della diligenza che si pretende nel campo della circolazione dei veicoli è massima, richiedendosi a ciascun utente, al fine di controbilanciare la intrinseca pericolosità della specifica attività considerata, peraltro assolutamente indispensabile alla vita sociale e sempre più in espansione, una condotta di guida di assoluta prudenza della quale fa parte anche l'obbligo di preoccuparsi della possibili irregolarità di comportamento di terze persone. Il principio dell'affidamento dunque, nello specifico campo della circolazione stradale, trova un opportuno temperamento nell'opposto principio, secondo cui l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente di altri utenti purché rientri nel limite della prevedibilità. Nella specie, anche ammesso che il semaforo favorisse il F. , egli, se avesse prestato la normale e dovuta prudenza nella guida, avrebbe potuto rendersi conto della presenza dell'auto condotta dalla persona offesa ed evitare o contenere l'impatto con la medesima. Correttamente dunque è stata ritenuta la sua responsabilità a titolo concorsuale.
2. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

(*)
TITOLO V
Norme di Comportamento
Articolo 140
Principio informatore della circolazione
1. Gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale.
2. I singoli comportamenti, oltre quanto già previsto nei precedenti titoli, sono fissati dalle norme che seguono.
Articolo 141
Velocità
1. É obbligo del conducente regolare la velocità del veicolo in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione.
2. Il conducente deve sempre conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l'arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile.
3. In particolare, il conducente deve regolare la velocità nei tratti di strada a visibilità limitata, nelle curve, in prossimità delle intersezioni e delle scuole o di altri luoghi  frequentati da fanciulli indicati dagli appositi segnali, nelle forti discese, nei passaggi stretti o ingombrati, nelle ore notturne, nei casi di insufficiente visibilità per condizioni atmosferiche o per altre cause, nell'attraversamento degli abitati o comunque nei tratti di strada fiancheggiati da edifici.
4. Il conducente deve, altresì, ridurre la velocità e, occorrendo, anche fermarsi quando riesce malagevole l'incrocio con altri veicoli, in prossimità degli attraversamenti pedonali e, in ogni caso, quando i pedoni che si trovino sul percorso tardino a scansarsi o diano segni di incertezza e quando, al suo avvicinarsi, gli animali che si trovino sulla strada diano segni di spavento.
5. Il conducente non deve gareggiare in velocità.
6. Il conducente non deve circolare a velocità talmente ridotta da costituire intralcio o pericolo per il normale flusso della circolazione.
7. All'osservanza delle disposizioni del presente articolo è tenuto anche il conducente di animali da tiro, da soma e da sella.
8. Chiunque viola le disposizioni del comma 3 e soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 84,00 a € 335,00 . (decurtazione di 5 punti)
9. Salvo quanto previsto dagli articoli 9-bis e 9-ter, chiunque viola la disposizione del comma 5 è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 168,00 a € 674,00.
10. Se si tratta di violazioni commesse dal conducente di cui al comma 7 la sanzione amministrativa è del pagamento di una somma da € 25,00 a € 99,00.
11. Chiunque viola le altre disposizioni del presente articolo è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 41,00 a € 168,00.

Le sanzioni amministrative pecuniarie indicate nel presente articolo, in base alle nuove disposizioni dell’Art. 195 comma 2-bis, come modificato dalla Legge 15/07/2009 n.94, sono aumentate di un terzo quando la violazione e commessa dopo le ore 22 e prima delle ore 7. Tale incremento della sanzione, quando la violazione è accertata da uno dei soggetti di cui all’articolo 208, comma 1, primo periodo, e destinato ad alimentare il Fondo di cui all’articolo 6-bis decreto-legge 3 agosto 2007 n. 117, convertito con modificazioni dalla legge 02 ottobre 2007, nr. 160 (Fondo contro l’incidentalita notturna).

Sanzioni relative all’articolo 141 aumentate di un terzo

ARTICOLO E COMMA P.M.R. MAX
141 comma 1 e 11 € 54,67 € 224,00
141 comma 2 e 11 € 54,67 € 224,00
141 comma 3 e 8 € 112,00 € 446,67
141 comma 4 e 11 € 54,67 € 224,00
141 comma 5 e 9 € 224,00 € 898,67
141 comma 6 e 11 € 54,67 € 224,00
  141 comma 7 € 33,33 € 132,00

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