venerdì 31 luglio 2015

Regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio, ai sensi dell'art. 47 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33

AUTORITA' NAZIONALE ANTICORRUZIONE

Regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio, ai sensi dell'art. 47 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. (15A05902) (GU n.176 del 31-7-2015 )

Il TAR da ragione al comune che non istituisce nella dotazione organica il posto di “specialista di vigilanza”

N. 10414/2015 REG.PROV.COLL.
N. 04881/2015 REG.RIC.




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4881 del 2015, proposto da:
Valentina Di Bartolomeo, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Pio Torcicollo, con domicilio eletto presso Giuseppe Pio Torcicollo in Roma, via Carlo Mirabello n. 11;


contro

Comune di Rieti, in persona del Sindaco p.t., n.c.;


per l'annullamento

del silenzio rifiuto serbato dal Comune di Rieti sulla istanza – diffida inviata dalla ricorrente in data 26 marzo 2014, diretta alla istituzione nella dotazione organica di 1 posto di “specialista di vigilanza” (ora funzionario di polizia locale, categoria D, posizione economica D1) e il conseguente avvio della selezione prevista dall’art. 29, comma 1, lett. c, del CCNL Enti Locali del 14 settembre 2000, con contestuale accertamento della fondatezza della pretesa avanzata;

in via subordinata, per il risarcimento dei danni, “da attuarsi in forma specifica mediante l’attribuzione” alla ricorrente della categoria D e “condanna al pagamento delle differenze retributive conseguenti”;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2015 il Consigliere Antonella Mangia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


Considerato che:

- con l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 1 aprile 2015 e depositato il successivo 15 aprile 2015, la ricorrente – già dipendente del Comune di Roma con profilo di “vigile urbano” in qualità di “istruttore di vigilanza urbana, VI qualifica funzionale” (“su posto istituito successivamente al D.P.R. 268 del 1987”) a decorrere dall’1 dicembre 1997, transitata nei ruoli del Comune di Rieti, “per effetto di mobilità volontaria, ex art. 30 del D.Lgs. n. 165/2001”, in data 1 dicembre 2002 - lamenta l’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione intimata sull’istanza - diffida, dalla predetta inoltrata in data 26 marzo 2014 per chiedere l’istituzione nella dotazione organica di 1 posto di “specialista di vigilanza” (ora Funzionario di Polizia Locale, cat. D), da riservare agli “agenti in possesso….. della ex VI qualifica funzionale con compiti di coordinamento e controllo”, e il conseguente avvio di una “selezione” utile per la progressione verticale” dalla categoria C alla categoria D, in conformità al disposto dell’art. 29, comma 1, lett. c), del CCNL Enti Locali del 14 settembre 2000, nonché l’erogazione “nei limiti della prescrizione quinquennale” degli “arretrati dovuti per l’indennità di specifica responsabilità, oltre interessi legali dalle singole scadenze (da marzo 2009) fino all’effettivo soddisfo”;

- con il medesimo atto, la ricorrente chiede – in via subordinata – la condanna della citata Amministrazione “al risarcimento del danno per lesione dell’interesse legittimo all’inquadramento in categoria D” da attuarsi in forma specifica “mediante attribuzione della suddetta categoria e condanna al pagamento delle differenze retributive conseguenti ovvero per equivalente”, ex art. 31 c.pr.amm.;

- il Comune di Rieti non si è costituito;

- alla camera di consiglio del 7 luglio 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione;

Ritenuto – previo, tra l’altro, positivo riscontro della giurisdizione del giudice amministrativo in materia anche sulla base di pronunce della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (cfr., da ultimo, 31 marzo 2015, n. 6567) – che il ricorso sia infondato, atteso che:

- con il contratto collettivo nazionale “relativo alla revisione del sistema di classificazione del personale del comparto delle Regioni – Autonomie locali” del 31 marzo 1999, la classificazione in questione è cambiata nel senso che è stata articolata in quattro categorie, “denominate rispettivamente A, B, C e D”, “individuate mediante” declaratorie riportate in un apposito allegato (l’all. A), descriventi “l’insieme dei requisiti professionali necessari per lo svolgimento delle mansioni pertinenti a ciascuna di esse” (art. 3), ossia è stato introdotto un “nuovo sistema di classificazione”, con la connessa esigenza per le amministrazioni di procedere ad una “riclassificazione del personale” anche mediante l’espletamento di apposite procedure selettive per la progressione verticale “prescindendo”, tra l’altro, “dai titoli di studio ordinariamente previsti per l’accesso dall’esterno, fatti salvi quelli prescritti dalle norme vigenti” (art. 4) e, comunque, con l’adozione – per quanto di rilevanza in questa sede - di “tutte le misure atte a dare adeguata valorizzazione alle posizioni di coordinamento e controllo collocate nella ex 6° qualifica funzionale” dell’area vigilanza “a seguito di procedure concorsuali” (art. 7, comma 5);

- lo stesso contratto – all’art. 24, comma 2, e, dunque, nell’ambito del Titolo V, riguardante le “Norme finali e transitorie” – ha previsto poi l’impegno delle parti “a negoziare, a partire dal mese successivo dalla data di stipulazione del presente CCNL ed entro il 30 aprile 1999, la regolamentazione dei seguenti istituti:

……..

e) le problematiche del personale dell’area di vigilanza addetto a compiti di responsabilità di servizio e di coordinamento e controllo collocato nella ex VI qualifica funzionale anteriormente alla vigenza del D.P.R. n. 268 del 1987 ovvero anche successivamente, a seguito di procedure concorsuali per il conferimento delle specifiche funzioni gerarchiche, fermo restando quanto previsto dall’art. 7, comma 5, del CCNL del 31 marzo 1999”;

- con l’art. 29 del CCNL del 14 settembre 2000, espressamente invocato dalla ricorrente, sono state, pertanto, introdotte “Disposizioni speciali per il personale dell’area di vigilanza con particolari responsabilità”, prevedendo che, “in attuazione” del citato art. 24, comma 2, lett. e, “in sede di prima applicazione dell’art. 4 del CCNL del 31 marzo 1999, le parti convengono di assumere le iniziative necessarie per realizzare il passaggio alla categoria D, posizione economica D1, del personale di vigilanza dell’ex 6^ q.f., nelle seguenti ipotesi:

…….

c) personale addetto all’esercizio di effettivi compiti di coordinamento e controllo di altri operatori di pari qualifica o di quella inferiore, già collocato nella ex sesta qualifica funzionale, a seguito di procedure concorsuali, su posti, istituiti, successivamente al DPR. n. 268/87 che prevedessero formalmente l’esercizio delle predette funzioni, non in applicazione dell’art.21, comma 6, DPR.n.268/1987 stesso, i cui titolari sono esclusi dall’applicazione delle disposizioni del presente articolo”;

- lo stesso art. 29 – dopo aver espressamente previsto un termine per il passaggio alla categoria D del personale individuato ai sensi delle lettere a e b (“previa”, comunque, “verifica selettiva dei requisiti richiesti”), pari a due mesi “dalla data di sottoscrizione del presente CCNL” – per il passaggio alla categoria D del personale individuato ai sensi del riportato comma 1, lett. c), imponeva di procedere a “selezioni mediante valutazioni di titoli culturali, professionali e di servizio”, previa individuazione di appositi criteri mediante l’attivazione di “procedure di concertazione previste dall’art. 8 del CCNL dell’1.4.1999” (comma 6), precisando – in ultimo – il carattere di specialità e di eccezionalità della disciplina in esso riportata (comma 9);

- tutto ciò detto, risulta evidente che la disciplina in esame era inequivocabilmente diretta a fronteggiare esigenze di carattere eccezionale e transitorio, direttamente riconnesse alle innovazioni introdotte in materia di “classificazione” del personale;

- più specificamente, sussistono le condizioni per affermare che la disciplina de qua imponeva – di per sé, ossia prescindendo da qualsiasi sollecitazione ad opera dei soggetti interessati – un inequivoco “obbligo di provvedere” in un lasso di tempo che - seppure non previamente fissato, come per i casi di cui alle lett. a e b) – doveva ritenersi “ristretto” a carico, tra l’altro, dei Comuni, specificamente inerente il “riordino” del personale mediante l’assunzione delle iniziative necessarie a realizzare il passaggio di categoria, nonché l’istituzione dei posti nella dotazione organica dei corrispondenti posti della categoria superiore (cfr., tra le altre, Cass. Civ., SS.UU., già citata);

- orbene, la documentazione prodotta agli atti dimostra che il Comune di Rieti ha ottemperato a tale obbligo;

- come si dà atto nell’atto introduttivo del presente giudizio e risulta, ancora, dagli allegati a quest’ultimo (in particolare, all. n. 5), in data 27 dicembre 2000 il citato Comune ha, infatti, adottato la deliberazione n. 427 “mediante la quale” – per espressa ammissione della ricorrente – “dava attuazione all’articolo 29 del succitato CCNL del 14 settembre 2000”;

- più specificamente, la deliberazione di cui sopra rivela che il citato Comune ha proceduto ad una ricognizione complessiva – ossia, ricomprendente anche l’accertamento e, quindi, l’individuazione dell’eventuale presenza di soggetti nella posizione contemplata alla lett. c) – del personale in servizio, rilevando 21 unità addette “al coordinamento di Unità operative semplici con responsabilità diretta dei risultati e controllo di operatori di pari qualifica o di quella inferiore, che hanno ricoperto il posto attraverso regolare procedura selettiva interna”, e accertando, altresì, che “tali posti risultano istituiti prima dell’entrata in vigore del D.P.R. 268/87”, e, quindi, ha proceduto all’inquadramento delle stesse unità nella cat. D1 e, in stretta correlazione con tale inquadramento, ha modificato la “dotazione organica del 6° Settore – Polizia Municipale” con l’istituzione di n. 21 posti di “Specialista della vigilanza” – “categoria D, posizione economica D1” (dando, in ultimo, anche correttamente atto che “in conseguenza del carattere di specialità ed eccezionalità della disciplina dettata dall’art. 29 … la procedura adottata può essere applicata solo una tantum…”);

- ciò detto, si ravvisano valide condizioni per affermare che il Comune di Rieti ha provveduto, attivando e, in seguito, concludendo il procedimento imposto dall’art. 29 del CCNL del 14 settembre 2000 mediante l’adozione della deliberazione n. 427 del 27 dicembre 2000, con conseguente impossibilità di riscontrare il silenzio inadempimento denunciato;

- per mera completezza, preme precisare che la sussistenza o meno dell’obbligo di provvedere o, meglio, di concludere il procedimento amministrativo ex art. 2 della legge n. 241 del 1990 non può genericamente riconnettersi all’inoltro di istanze da parte del privato, bensì deve essere valutato in relazione alle peculiarità che connotano la vicenda prospettata e, quindi, deve essere ragionevolmente escluso ove risulti – come nel caso in esame – che l’Amministrazione, tenuta a procedere d’ufficio, ha adottato la decisione finale, pena - in caso contrario – l’ammissibilità dell’azione di cui all’art. 117 c.pr.amm. in relazione anche ad ipotesi in cui sia – in verità - configurabile una mera richiesta di “riesame” in ragione, tra l’altro, del lungo tempo trascorso dall’introduzione della previsione dell’art. 29, invocata dalla ricorrente, il quale ben si presta a configurare “situazioni definite” o, ancora, “esaurite e consolidate”, ostative – di per sé – alla individuazione di un effettivo “inadempimento” (cfr., tra le altre, C.d.S., 27 marzo 2000, n. 1765; TAR Puglia, Lecce, n. 3374 del 2001);

Ritenuto, ancora, che quanto in precedenza riportato rivesta carattere inibitorio di valutazioni inerenti la fondatezza o meno della pretesa avanzata e, nel contempo, non consenta di configurare i presupposti prescritti per il c.d. risarcimento del danno da ritardo, ai sensi dell’art. 30, comma 4, c.pr.amm.;

Ritenuto, in ultimo, che la domanda di risarcimento del danno “in forma specifica” – formulata dalla ricorrente “in via subordinata” – debba essere dichiarata inammissibile, attesa la palese impossibilità di ricondurre la stessa nell’ambito di operatività del menzionato art. 30, comma 4, e, conseguentemente, dell’art. 117, comma 6, c.pr.amm. (cfr., tra le altre, C.d.S., Sez. VI, 31 maggio 2008, n. 2622), fatta – comunque – salva la possibilità per la ricorrente di attivare ulteriori e differenti iniziative, nel rispetto sempre dei criteri di riparto tra le giurisdizioni;

Ritenuto – in conclusione – che il ricorso in parte vada respinto e in parte vada dichiarato inammissibile;

Ritenuto, peraltro, che nulla debba essere disposto in ordine alle spese di giudizio, posto che l’Amministrazione intimata si è astenuta dal costituirsi in giudizio;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 4881/2015, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile e in parte lo respinge.

Nulla per le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2015 con l'intervento dei Magistrati:



Domenico Lundini, Presidente

Solveig Cogliani, Consigliere

Antonella Mangia, Consigliere, Estensore






L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE

















DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 29/07/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)



Legittima l'ordinanza di cessazione dell’attività di bar per sala giochi abusiva

N. 03704/2015REG.PROV.COLL.
N. 02214/2006 REG.RIC.




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 2214 del 2006, proposto da:
Comune di Napoli, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Anna Pulcini, Giuseppe Tarallo, Fabio Maria Ferrari e Barbara Accattatis Chalons D'Oranges, con domicilio eletto presso l’avvocato Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II n. 18;


contro

Palumbo Ciro, rappresentato e difeso dagli avvocati Corrado Diaco e Stefano Vinti, con domicilio eletto presso l’avvocato Stefano Vinti in Roma, via Emilia n. 88;


per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo della Campania, sede di Napoli, Sezione III, n. 00591/2005, resa tra le parti, concernente mancata autorizzazione attività di somministrazione bibite.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 luglio 2015 il consigliere Manfredo Atzeni e udito l’avvocato Gabriele Pafundi su delega dell'avvocato Barbara D'Oranges;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso al Tribunale amministrativo della Campania, sede di Napoli, rubricato al n. 13776/2004, il signor Ciro Palumbo, titolare di un esercizio commerciale per l’attività di sala giochi, impugnava l’ordinanza n. 3067 in data 21 settembre 2004 con la quale il Sindaco di Napoli aveva ordinato la cessazione dell’attività di bar all’interno della medesima in quanto esercitata senza la prescritta autorizzazione, nonché la presupposta nota del Servizio di Polizia Municipale n. 807/EP in data 18 agosto 2004, lamentando mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, difetto di motivazione e contraddittorietà manifesta, e chiedendo l’annullamento dei provvedimenti impugnati.

Con la sentenza in epigrafe, n. 591 in data 1 febbraio 2005, resa in forma semplificata all’esito della discussione dell’istanza cautelare, il Tribunale amministrativo della Campania, sede di Napoli, Sezione III, accoglieva il ricorso, per l’effetto annullando gli atti impugnati.

2. Avverso la predetta sentenza il Comune di Napoli propone il ricorso in appello in epigrafe, contestando gli argomenti che ne costituiscono il presupposto e chiedendo la sua riforma e il rigetto del ricorso di primo grado.

Si è costituito in giudizio il signor Ciro Palumbo, depositando solo il relativo atto formale.

La causa è stata assunta in decisione alla pubblica udienza del 9 luglio 2015.

3. L’appello è fondato.

Invero, deve convenirsi con il Comune appellante nell’osservare il carattere vincolato del provvedimento impugnato.

E’ pacifico, infatti, che l’odierno appellato ha svolto attività di bar senza alcuna autorizzazione.

Di conseguenza, l’Amministrazione doveva necessariamente applicare l’art. 17 ter, terzo comma, r.d. 18 giugno 1931, n. 773, che rende obbligatoria l’emanazione dell’ordine di cessazione dell’attività esercitata abusivamente.
In ulteriore conseguenza, deve essere osservato che, qualora l’Amministrazione abbia l’obbligo di adottare un determinato provvedimento, il contraddittorio non svolge alcuna funzione, in quanto il destinatario dell’atto non può apportare alcun contributo migliorativo.
E’ pertanto fondata la censura con la quale il Comune appellante lamenta violazione dell’art. 21 octies della legge 7 agosto 1990, n. 241.

4. L’appello deve, in conclusione, essere accolto e, in riforma della sentenza gravata, respinto il ricorso di primo grado.

Le spese del doppio grado del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza, fatto salvo il diritto dell’appellante al recupero del contributo unificato, a carico dell’appellato, ivi compreso quanto eventualmente corrisposto a quest’ultimo all’esito del giudizio di primo grado.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello n. 2214/2006, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza gravata, respinge il ricorso di primo grado.

Condanna l’appellato al pagamento, in favore del Comune appellante, di spese ed onorari del doppio grado del giudizio, che liquida in complessivi € 3.000,00 (tremila/00) oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2015 con l'intervento dei magistrati:



Carmine Volpe, Presidente

Francesco Caringella, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere, Estensore

Doris Durante, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere






L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE

















DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 28/07/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)



La notifica effettuata ex art. 140 cod. proc. civ. richiede che l'ufficiale notificatore indichi specificamente le ragioni di difficoltà

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 15 gennaio – 28 luglio 2015, n. 15849
Presidente Salmè – Relatore Chiarini

Svolgimento del processo

M.A. con atto del 20 luglio 2010 propose opposizione dinanzi al giudice di Pace di Torino al precetto notificatogli il 29 giugno 2010 per il pagamento di Euro 1.476,73 per compensi professionali, sulla base di un decreto ingiuntivo, emesso dal giudice di Pace Torino in data 27 ottobre 2008, dichiarato esecutivo per mancata opposizione in data 12 maggio 2009, oltre interessi legali e spese, anche "Decorrende", emesso dal giudice di Pace Torino in data 27 ottobre 2008. Il giudice di Pace respinse l’opposizione ed il Tribunale di Torino, con sentenza 11 - 16 aprile 2012, ha respinto l’appello sulle seguenti considerazioni: 1) la notifica del titolo esecutivo in data 7 marzo 2009, ai sensi dell'art. 140 c.p.c, non era né inesistente né nulla perché, pur non essendo il M. residente in (omissis), tuttavia ivi era da ritenere l’effettiva residenza o almeno la dimora o il domicilio in quanto il precetto, colà indirizzato, era stato ritirato in data 7 marzo 2009; 2) pur essendo detta notifica avvenuta oltre i termini di cui all'art. 644 c.p.c., non essendo stata dichiarata l’inefficacia del decreto ai sensi dell'art. 188 c.p.c. - peraltro ammissibile soltanto in caso di omessa notifica o notifica giuridicamente inesistente - detto provvedimento doveva esser opposto nei termini di cui all'art. 645 c.p.c., decorrenti dalla notifica, pur se tardiva, ed anche se nulla o irregolare, mentre, decorso detto termine, gli eventuali vizi non potevano esser rilevati in alcun modo, neppure con l’opposizione ai sensi dell'art. 615 c.p.c.; 2) le censure secondo le quali non era dovuto il rimborso delle spese generali ai sensi dell'art. 14 T.P. su Euro 273,00 sugli onorari ingiunzionali e mancava un titolo esecutivo per il credito di interessi legali di Euro 55,61, privi della decorrenza, erano precluse, perché attinenti al decreto ingiuntivo non opposto; 3) anche la censura per l’autoliquidazione nel precetto di voci previste per il processo di cognizione era preclusa dal giudicato poiché il decreto ingiuntivo condannava l’ingiunto al pagamento delle spese successive "occorrende", e comunque erano dovute; 4) la voce "ritiro notifica" coincideva con la voce ""accesso all'ufficio" e non con la "disamina relata", essendo un corrispettivo per l’accesso agli uffici per ritirare un atto.
Ricorre per cassazione M.A. . L'intimata non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1.- Il ricorrente con il primo motivo lamenta: "Violazione di legge e falsa applicazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. con riferimento agli artt. 64 4 c.p.c. e 188 c.p.c. nonché agli artt. 139, 645, 647 e 650 c.p.c." per avere i giudici di merito erroneamente ritenuto l’esistenza di un titolo esecutivo benché non notificato nei termini di cui all'art. 644 c.p.c.. Comunque l’art. 188 disp. att. c.p.c. prevede che la declaratoria di inefficacia del decreto possa esser chiesta nei modi ordinari, e cioè anche nelle forme di opposizione all'esecuzione, che ha natura di giudizio di cognizione. Peraltro, poiché l’opposizione è avvenuta nei quaranta giorni dalla notifica del precetto, poteva esser convertita in opposizione tardiva all'ingiunzione di cui all'art. 650 c.p.c. in quanto il decreto ingiuntivo non gli era stato notificato e la residenza anagrafica del debitore era diversa da quella in cui ha avuto conoscenza del precetto, primo atto che gli ha consentito di conoscere l’ingiunzione.
Il motivo è fondato.
I principi di diritto da applicare nella fattispecie sono i seguenti.
A) La notifica effettuata ex art. 140 cod. proc. civ. richiede che l'ufficiale notificatore indichi specificamente le ragioni di difficoltà materiale per cui non ha potuto procedere secondo le forme previste dall'art. 139 cod. proc. civ., descrivendo, in particolare, le infruttuose ricerche del destinatario nel luogo di residenza, dimora o di domicilio, con conseguente illegittimità della notifica ai sensi dell'art. 140 cod. proc. civ. nel caso in cui il soggetto che promuove la notificazione non abbia usato l'ordinaria diligenza per individuare il luogo di residenza e manchi la prova che l’atto sia pervenuto al destinatario (Cass. 20098 del 2009); B) nel caso di legittimo ricorso del procedimento di cui all'art. 140 cod. proc. civ., a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 3 del 2010 il termine in cui si realizza l'effetto della conoscibilità dell'atto, ai fini della verifica del rispetto del termine di decadenza per l'impugnazione, non è quello del semplice invio a cura dell'agente postale della raccomandata che da avviso dell'infruttuoso accesso e degli eseguiti adempimenti, stabiliti da tale norma a pena di nullità (deposito della copia dell'atto nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi; affissione dell'avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell'abitazione del destinatario; notizia del deposito al destinatario mediante raccomandata con avviso di ricevimento), ma decorsi dieci giorni dall'inoltro della raccomandata con avviso di ricevimento (Cass. 7809 del 2010), che deve essere allegata O all'originale dell'atto e la cui mancanza, rendendo impossibile il controllo in ordine alla circostanza che l'avviso sia pervenuto nella sfera di conoscibilità del destinatario, determina la nullità della notificazione (Cass. 24544 del 2008); C) di fronte alla minaccia dell'esecuzione forzata in base ad un decreto d'ingiunzione dichiarato esecutivo per mancata opposizione, l'ingiunto, che deduca un vizio della notificazione che ne determina la nullità, può esperire l'opposizione tardiva ai sensi dell'art. 650 cod. proc. civ. "se prova di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione" (S.U. 9938 del 2005), prova che l’ingiunto può fornire a mezzo di presunzioni ed in particolare, trattandosi di fatto negativo, attraverso la dimostrazione del fatto positivo costituito dal modo e dal quando la conoscenza sia avvenuta, mentre ricade sulla parte opposta che intenda contestare la tempestività dell'opposizione tardiva di cui all'art. 650 cod. proc. civ., in relazione alla irregolarità della notificazione così come ricostruita dall'opponente, l'onere di provare il fatto relativo all'eventuale conoscenza anteriore del decreto da parte dell'ingiunto, sì da rendere l'opposizione tardiva intempestiva e, quindi, inammissibile (Cass. 10386 del 2012); D) il termine per l’opposizione ai sensi dell'art. 650 terzo comma cod. proc. civ. è di dieci giorni dal primo atto d'esecuzione (ex multis Cass. 5884 del 1999, 15892 del 2009), che non è il precetto, atto propedeutico all'esecuzione e di regola non direttamente incidente sulla condizione giuridica della cosa (Cass. 12155 del 1995), ed inidoneo a sanare la nullità della notifica del decreto ingiuntivo (Cass. 23894/2012); E) l'opposizione a precetto può contenere anche l’opposizione a decreto ingiuntivo (Cass. 8011 del 2009, 25713 del 2014) se solo attraverso il precetto l'intimato abbia avuto conoscenza del provvedimento monitorio (Cass. 24398 del 2010) e le due opposizioni possono cumularsi in un unico procedimento allorché un medesimo giudice sia competente per entrambe, secondo gli artt. 27 e 645 cod. proc. civ.; F) se colui che eccepisce l’invalidità della notifica del decreto ingiuntivo contesta altresì l’efficacia e il merito del provvedimento monitorio (Cass. 1993 n. 5231, 2009 n. 18791, 25713 del 2014), il giudice adito deve vagliare la fondatezza di dette eccezioni - e le relative implicazioni in ordine alle spese della fase monitoria - e, se fondate, esaminare la domanda giudiziale contenuta nel ricorso, secondo le regole del processo di cognizione (Cass. 21050 del 2006, 14910 del 2013).
Nessuno di detti principi è stato osservato nella fattispecie in cui il giudice di appello: 1) nulla ha argomentato sulla validità della notifica ai sensi dell'art. 140 cod. proc. civ. anziché 139 cod. proc. civ. né sugli adempimenti da detta norma prescritti, né sulla presunzione, nel caso di vizio del procedimento notificatorio, di non conoscenza dell'atto ai fini della ritenuta immodificabilità di esso, ed ha invece tautologicamente ritenuto che la notifica dell'atto di precetto, indirizzata in luogo diverso dalla residenza dell'intimato, da questi ricevuto, ma altresì addotto come primo atto da cui ha avuto modo di conoscere l’ingiunzione, oltre a sanare ai sensi dell'art. 156 cod. proc. civ. il vizio di notifica di esso, costituisse idonea presunzione del perfezionamento della notifica dell'ingiunzione in data 7 marzo 2009 (senza neppure specificare a quale adempimento notificatorio tra quelli stabiliti dall'art. 140 cod. proc. civ. detta data era riferibile); 2) senza esaminare se il giudice competente sull'opposizione all'esecuzione fosse anche funzionalmente competente sull'opposizione al provvedimento monitorio, ovvero disporre per la pregiudiziale decisione della questione sulla validità del titolo esecutivo, ha erroneamente affermato che l’opposizione all'esecuzione non può contenere anche un'opposizione tardiva ed ha pertanto ritenuto precluse sia le eccezioni di rito che di merito.
Conseguentemente il motivo va accolto, ed è assorbito il secondo motivo con cui il ricorrente deduce: "Violazione di legge e falsa applicazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. con riferimento all'art. 480 c.p.c. nonché all'art. 1 D.M. 8 aprile 2004, n. 127, in relazione alla tabella B, parte prima, e alle voci tariffarie n. 16 (esame testo integrale sentenza), n. 20 (consultazioni con il cliente), n. 21 (corrispondenza informativa con il cliente), nn. 23 e 24 (notificazione atto esame relata), n. 32 (ritiro fascicolo cancelleria)" e contesta la mancanza di titolo esecutivo per dette voci, indicate nel precetto.
Pertanto la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata al Tribunale di Torino, altra composizione, per nuovo esame della causa alla luce dei principi innanzi richiamati.
Il giudice di rinvio provvederà altresì sulle spese, anche del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Torino, altra composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Per far ricorso al GDP non è necessario attendere la comunicazione della variazione di punteggio da parte dell'Anagrafe nazionale degli abilitati alla guida

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, ordinanza 21 – 27 luglio 2015, n. 15689
Presidente Cicala - Relatore Petitti

Ritenuto in fatto

Con ordinanza del 26 aprile 2014, il Giudice di pace di Torino declinava la propria giurisdizione in favore dei giudice amministrativo in merito al ricorso con il quale S.D. aveva impugnato, per mancata preventiva comunicazione in ordine all'esaurimento dei punti e alle singole decurtazioni di volta in volta operate, il provvedimento n. 1491 del 18 marzo 2014, con il quale l'Ufficio provinciale della Motorizzazione civile di Torino aveva disposto, ai sensi dell'art. 126-bis, comma 6, del d.lgs. n. 285 del 1992, la revisione della sua patente di guida, mediante nuovo esame di idoneità tecnica, per avvenuto esaurimento dei punteggio originariamente attribuito (20 punti).
Con ricorso iscritto al R.G. n. 868 del 2014, S.D. riassumeva la causa dinnanzi al TAR Piemonte, il quale, ritenendosi a sua volta privo di giurisdizione in ordine ala domanda di annullamento del provvedimento impugnato, con ordinanza del 31 luglio 2014, n. 1387/2014, disponeva la trasmissione degli atti a questa Corte per la risoluzione del conflitto negativo di giurisdizione.
Il Procuratore Generale, con atto del 13 gennaio 2015, ha chiesto che venga dichiarata la giurisdizione dei Giudice ordinario.
Nessuna delle parti ha svolto difese in questa sede.

Considerato in diritto

1. - La giurisdizione in ordine alla controversia in questione appartiene al giudice ordinario.
Queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di affermare che "in tema di sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada, l'opposizione giurisdizionale, nelle forme previste dagli artt. 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ha natura di rimedio generale esperibile, salvo espressa previsione contraria, contro tutti i provvedimenti sanzionatori, ivi compresi quelli di sospensione della validità della patente di guida e quelli prodromici a tale sospensione, quali la decurtazione progressiva dei punti" (Cass., S.U., n. 20544 dei 2008), sicché essi, ai sensi degli artt. 204-bis, 205 e 216, comma 5, dei codice della strada rientrano nella competenza del giudice di pace (Cass., S.U., n. 9691 dei 2010).
2. - A tale generale devoluzione della giurisdizione al giudice ordinario non si sottraggono neanche i provvedimenti adottati dall'amministrazione per effetto della perdita dei punti della patente di guida.
Il comma 6 dell'art. 126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992 statuisce che «alla perdita totale del punteggio, il titolare della patente deve sottoporsi all'esame di idoneità tecnica di cui all'articolo 128. AI medesimo esame deve sottoporsi il titolare della patente che, dopo la notifica della prima violazione che comporti una perdita di almeno cinque punti, commetta altre due violazioni non contestuali, nell'arco di dodici mesi dalla data della prima violazione, che comportino ciascuna la decurtazione di ameno cinque punti. Nelle ipotesi di cui ai periodi precedenti, l'ufficio del Dipartimento per i trasporti terrestri competente per territorio, su comunicazione dell'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida, dispone la revisione della patente di guida. Qualora il titolare della patente non si sottoponga ai predetti accertamenti entro trenta giorni dalla notifica del provvedimento di revisione, la patente di guida è sospesa a tempo indeterminato con atto definitivo, dal competente ufficio del Dipartimento per i trasporti terrestri, la navigazione ed i sistemi informativi e statistici. Il provvedimento di sospensione è notificato al titolare della patente a cura degli organi di polizia stradale di cui all'articolo 12, che provvedono al ritiro ed alla conservazione del documento».
Nel caso di specie, per effetto dell'azzeramento dei punti, l'Ufficio provinciale della Motorizzazione civile di Torino ha disposto la sottoposizione dei D. a revisione della patente di guida, mediante nuovo esame di idoneità tecnica.
Il provvedimento in questione si configura come atto dovuto e partecipa della medesima natura propria delle sanzioni previste dal codice della strada con riguardo alla cd. "patente a punti", costituendo la conseguenza della definitiva perdita della dotazione di punti a disposizione del titolare della patente di abilitazione alla guida. Da qui la affermazione della giurisdizione del giudice ordinario.
3. - Non osta a tale soluzione la sentenza n. 15966 del 2009 di queste Sezioni Unite, nella quale si è affermato che «l'impugnazione del provvedimento di revisione della patente di guida emesso dal direttore dell'Ufficio provinciale della Motorizzazione Civile ai sensi dell'art. 128, 1° comma, del codice della strada rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di provvedimento la cui adozione, sganciata dall'accertamento di una qualsiasi violazione delle norme sulla circolazione stradale, è rimessa alla discrezionalità della P.A. che, nell'espletamento delle sue funzioni istituzionali di tutela del pubblico interesse, deve aver cura di evitare che la conduzione degli autoveicoli possa essere consentita a soggetti incapaci".
L'art. 128, comma 1, del codice della strada, invero, dispone che «gli uffici competenti del Dipartimento per i trasporti terrestri, nonché il prefetto nei casi previsti dagli articoli 186 e 187, possono disporre che siano sottoposti a visita medica presso la commissione medica locale di cui all'art. 119, comma 4, o ad esame di idoneità i titolari di patente di guida qualora sorgano dubbi sulla persistenza nei medesimi dei requisiti fisici e psichici prescritti o dell'idoneità tecnica. L'esito della visita medica o dell'esame di idoneità sono comunicati ai competenti uffici dei Dipartimento per i trasporti terrestri per gli eventuali provvedimenti di sospensione o revoca della patente».
Orbene, è sufficiente il confronto tra la formulazione letterale dell'art. 128, comma 1, e quella dell'art. 126-bis, comma 6, del codice della strada, e in particolare tra le forme verbali adoperate nell'uno e nell'altro caso ("possono" nell'ipotesi di cui all'art. 128; "deve" nel caso di cui al comma 6 dell'art. 126-bis), per rivelare la diversità della natura dei provvedimenti emessi, che si configurano come atti discrezionali nel primo caso e come atti vincolati nel secondo.
A differenza dell'art. 128 C.d.S., dunque, il citato comma 6 dell'art. 126-bis non attribuisce alla Motorizzazione Civile la facoltà di disporre, ove lo ritenga opportuno, l'esame di idoneità tecnica; piuttosto, pur richiamandone la procedura, configura l'ordine di sottoposizione a tale esame in termini di atto vincolato che la Motorizzazione civile deve adottare per il sol fatto che si sia verificato il fatto costituito dalla perdita totale dei punti della patente, senza che alcun apprezzamento in merito alla opportunità di tale provvedimento possa essere compiuto dall'Ufficio chiamato ad adottarlo.
Si conferma, quindi, che il provvedimento con il quale viene ordinato al titolare della patente di abilitazione alla guida di sottoporsi all'esame di idoneità tecnica nel caso di azzeramento dei punti partecipa della medesima natura di sanzione accessoria propria della perdita dei punti, applicata in conseguenza delle singole violazioni alle norme di comportamento nella circolazione stradale; sanzione in relazione alla quale non è dubitabile la giurisdizione del giudice ordinario, essendo avverso la stessa proponibile opposizione davanti al medesimo giudice competente per l'opposizione ai verbali di contestazione, secondo quanto previsto dall'art. 7, comma 4, del d.igs. n. 150 del 2011 (vedi Cass., S.U., n. 3936 del 2013: «in tema di sanzioni amministrative conseguenti a violazioni dei codice della strada che, ai sensi dell'art. 126-bis, comportino la previsione dell'applicazione della sanzione accessoria della decurtazione dei punti dalla patente di guida, il destinatario del preannuncio di detta decurtazione - di cui deve essere necessariamente fatta menzione nel verbale di accertamento - ha interesse e può quindi proporre opposizione dinanzi al giudice di pace, ai sensi dell'art. 204-bis dello stesso codice, onde far valere anche vizi afferenti alla detta sanzione amministrativa accessoria, senza necessità di attendere la comunicazione della variazione di punteggio da parte dell'Anagrafe nazionale degli abilitati alla guida»).
4. - In conclusione, deve dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario, dinnanzi al quale vanno rimesse le parti.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio, trattandosi di regolamento di giurisdizione d'ufficio e non avendo le parti del giudizio di merito svolto difese in questa sede.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando sul conflitto, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario; cassa l'ordinanza in data 26 aprile 2014 del Giudice di pace di Torino.

mercoledì 29 luglio 2015

Nel caso di un dipendente citato in giudizio in qualità di testimone per una causa attinente all’ente, lo stesso deve essere considerati in servizio oppure deve fruire di un permesso retribuito? Spetta il trattamento di trasferta effettuata con il mezzo proprio?

10/07/2015
Nel caso di un dipendente citato in giudizio in qualità di testimone per una causa attinente all’ente, lo stesso deve essere considerati in servizio oppure deve fruire di un permesso retribuito? Spetta il trattamento di trasferta effettuata con il mezzo proprio?

Su tale problematica, la scrivente Agenzia non può che richiamare, preliminarmente, le indicazioni giù fornite in materia con gli orientamenti applicativi RAL917 e RAL920 secondo le quali, se il dipendente chiede di assentarsi dal servizio per rendere una testimonianza giudiziale in un processo civile o penale ed essa non è svolta nell'interesse dell'amministrazione, lo stesso potrà imputare l’assenza secondo un suo autonomo giudizio a ferie, permesso a recupero o permesso per particolari motivi personali.

Se invece il dipendente rende la testimonianza (in un processo civile o penale) nell’interesse dell’ente egli deve essere considerato in servizio.

Sarà l’ente, pertanto, sulla base degli specifici elementi informativi di cui dispone in proposito nella sua veste di datore di lavoro, a valutare la riconducibilità della concreta situazione determinatasi all’una o all’altra fattispecie.

Pertanto, se sussiste la condizione della finalizzazione della testimonianza alla tutela dell’interesse dell’amministrazione, secondo i consueti principi di logica e ragionevolezza, non sembrano esservi ostacoli vi sono ostacoli all’equiparazione della assenza per testimonianza al servizio reso.

Solo in questa ultima ipotesi, proprio perché l’assenza equivale al servizio reso, al dipendente potrebbe essere riconosciuto anche il trattamento di trasferta, ovviamente, ove ricorrano le precise condizioni legittimanti previste dall’art.41 del CCNL del 14.9.2000.

Tuttavia, in materia, occorre ricordare che:

a) l’art. 1, comma 213, della legge n.266/2005 ha disposto la soppressione dell’indennità di trasferta prevista dalla disciplina contrattuale;

b) l’art. 6, comma 12, della legge n.122/2010 ha disposto, sia pure con alcune eccezioni, il venire meno delle disposizioni, anche contrattuali, che prevedevano il rimborso delle spese sostenute dal dipendente autorizzato a servirsi, per la trasferta, del mezzo proprio. Per la corretta applicazione del citato art.6, comma 12, della legge n.122/2010, si rinvia alla circolare n.36 del 22 ottobre 2010 ed alla nota prot.n.100169/2012 del Ministero dell’Economia e delle Finanze nonché alla delibera n. 8/CONTR/11 del 2011 delle Sezioni Riunite in sede di controllo della Corte dei Conti.

L'elevazione di contravvenzioni al codice della strada ed atti connessi non rientrano affatto nelle categorie tassativamente individuate dal modello normativo della fattispecie incriminatrice in esame (atti di ufficio dovuti a ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità.



Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 14 maggio – 24 luglio 2015, n. 32594
Presidente Ippolito – Relatore De Amicis
Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 1 aprile 2014 la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Modena in data 15 dicembre 2008, ha assolto N.V. , Carabiniere in servizio presso la Tenenza di X, dal reato ex art. 326 c.p. di cui al capo sub D) perché il fatto non sussiste, e, riqualificati i fatti di concussione di cui ai capi sub A) ed F) ai sensi dell’art. 319-quater c.p., ha ridotto la pena inflitta dal primo Giudice ad anni tre e mesi cinque di reclusione, dichiarando l’interdizione dai pubblici uffici per anni cinque e confermando nel resto la decisione impugnata, che lo condannava altresì per il reato di cui al capo sub C) [ex art. 328, comma 1, c.p.].
2. Avverso la su indicata decisione della Corte d’appello di Bologna ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che ha dedotto quattro motivi di doglianza, il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente illustrato.
2.1. Inosservanza di norme processuali (artt. 546, lett. e), 125, comma 3, c.p.p.) e vizi motivazionali – per contraddittorietà, manifesta illogicità e travisamento delle prove – in relazione alla pronuncia di condanna per il reato ex art. 319-quater c.p. di cui al capo sub A), avendo la Corte d’appello erroneamente accordato piena credibilità alle dichiarazioni rese dalla parte offesa S.B., che non solo ha preteso dal N. la riduzione delle sanzioni benché fosse a conoscenza della irregolarità della propria posizione, anche assicurativa, ma è stato altresì smentito dalle risultanze processuali sia riguardo alla pretesa falsità dei verbali di dissequestro del mezzo, sia riguardo al fatto di aver sostenuto che il N. lo aveva seguito presso l’officina dello Sc. (ove sarebbe avvenuta la dazione illecita) per mettergli pressione, laddove egli si trovava in loco per la revisione obbligatoria della propria autovettura. La Corte d’appello, inoltre, non ha motivato circa la necessaria connessione tra la richiesta di denaro e l’abuso delle qualità e/o dei poteri del pubblico ufficiale.
2.2. Violazioni di legge e vizi motivazionali in relazione alla pronuncia di condanna per il reato ex art. 319-quater c.p. di cui al capo sub F), per avere la Corte d’appello rinvenuto l’abuso richiesto dalla norma al di fuori della condotta relativa all’originaria consegna del titolo da parte del B. allo St. , ravvisandola esclusivamente in pressioni successive, secondo quanto contestato nel capo sub F).
Si lamenta, al riguardo, che la Corte distrettuale ha fatto riferimento a circostanze che, da un lato, non integrano gli estremi dell’abuso induttivo, dall’altro lato sono relative a vicende enucleate nei diversi capi d’imputazione sub D) ed E), per le quali v’è stata una definitiva assoluzione. È stata erroneamente valutata, inoltre, la testimonianza della G., mentre dagli atti non risulta che l’imputato, nel corso di ogni contatto avvenuto con il B., abbia riferito altro se non che a fronte della mancata contribuzione per l’affitto e le altre spese, lo St. si sarebbe riservato di non prestarsi più all’ospitalità concordata.
Si deduce, ancora, l’irrilevanza della circostanza secondo la quale il N. si sarebbe informato sull’esito della pratica, essendo comunque indimostrato il fatto che egli potesse concorrere a determinarne l’esito, ancorché tale assunto sia stato valorizzato nella decisione impugnata. Parimenti irrilevante, poi, deve ritenersi l’assunto secondo cui, in epoca successiva alla dazione del titolo allo St., il N. avesse speso o meno la propria qualifica in occasione di un colloquio con il datore di lavoro del B. , ossia con l’imprenditore Z. (le cui dichiarazioni, peraltro, diversamente da quanto affermato in sentenza, sono nel senso che il N. non ebbe a spendere verso di lui alcuna qualifica, e che la disponibilità mostrata per il dipendente non era comunque dipesa in alcun modo da quella, come pure l’eventuale permesso cui il dipendente aveva comunque diritto).
Né, infine, si è data risposta alla censura dalla difesa mossa circa il fatto che la contribuzione richiesta al B. per l’ospitalità e la dichiarazione corrispondente non fossero non dovute: in relazione a tale profilo, dunque, la Corte non ha spiegato il motivo per cui ha ritenuto integrato un non dovuto vantaggio economico.
2.3. Violazioni di legge e vizi motivazionali in relazione alla pronuncia di condanna per il reato di cui al capo sub C), deducendosi il mancato riconoscimento della questione relativa alla riconducibilità dell’ipotesi concreta nell’alveo delle categorie dell’atto omesso, che nel caso in esame appartiene al genus delle contravvenzioni amministrative stradali.
2.4. Violazioni di legge e vizi motivazionali in relazione al secondo motivo di gravame, concernente la determinazione del trattamento sanzionatorio e il diniego delle invocate attenuanti dell’art. 323-bis c.p. (avuto riguardo alla ridotta intensità del dolo ed alla non particolare gravità delle modalità induttive o di estrinsecazione dell’abuso, anche in considerazione della complessiva modestia economica del fatto, peraltro limitato a due soli episodi) e dell’art. 62, n. 4, c.p. (trattandosi di un titolo di importo comunque modesto, relativo ad un conto corrente estinto ben prima della sua dazione allo St., per una legittima causale di condivisione delle spese domestiche).
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato per le ragioni appresso indicate, mentre lo stesso deve accogliersi esclusivamente in relazione al terzo motivo di doglianza, nei limiti e per gli effetti qui di seguito esposti e precisati.
2. Per quel che attiene alle prime due censure, entrambe al limite dell’inammissibilità in quanto fortemente orientate verso una rivalutazione dei profili di merito della regiudicanda, come tale incompatibile con l’odierno scrutinio di legittimità, è necessario ribadire, sul piano generale ed al fine della verifica della consistenza dei rilievi mossi alla sentenza della Corte d’appello, che tale decisione non può essere isolatamente valutata, ma deve essere esaminata in stretta correlazione con la sentenza di primo grado, dal momento che l’iter motivazionale di entrambe sostanzialmente si dispiega secondo l’articolazione di sequenze logico-giuridiche pienamente convergenti (Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008, dep. 11/04/2008, Rv. 239735; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Rv. 223061). Siffatta integrazione tra le due motivazioni si verifica non solo allorché i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, ma anche, e a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (da ultimo, v. Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 12/04/2012, Rv. 252615).
Nel caso portato alla cognizione di questa Suprema Corte, in particolare, ci si trova di fronte a due pronunzie, di primo e di secondo grado, che concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle conformi rispettive decisioni, con una struttura motivazionale della sentenza di appello che viene a saldarsi perfettamente con quella precedente, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, in considerazione del fatto che entrambe le pronunzie hanno offerto una congrua e ragionevole giustificazione del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti del ricorrente.
Discende da tale evenienza, secondo una linea interpretativa in questa Sede da tempo tracciata, che l’esito del giudizio di responsabilità non può certo essere invalidato da prospettazioni alternative, risolventisi in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili, o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, dep. 23/06/2006, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, dep. 28/12/2006, Rv. 235507).
Nel caso di specie, l’adeguatezza delle ragioni giustificative illustrate nell’impugnata sentenza non è stata validamente censurata dal ricorrente, limitatosi a riproporre, per lo più, una serie di obiezioni già esaustivamente disattese dai Giudici di merito ed a formulare critiche e rilievi sulle valutazioni espresse in ordine alle risultanze offerte dal materiale probatorio sottoposto alla loro cognizione, prospettandone, tuttavia, una diversa ed alternativa lettura, in questa Sede, evidentemente, non assoggettabile ad alcun tipo di verifica, per quanto sopra evidenziato.
Il tessuto motivazionale della sentenza in esame, dunque, non presenta affatto quegli aspetti di carenza, contraddittorietà o macroscopica illogicità del ragionamento del giudice di merito che, alla stregua del consolidato insegnamento giurisprudenziale da questa Suprema Corte elaborato, potrebbero indurre a ritenere sussistente il vizio di cui alla lett. e) del comma primo dell’art. 606 c.p.p. (anche nella sua nuova formulazione), nel quale sostanzialmente si risolvono le censure dal ricorrente articolate.
3. Invero, sulla base delle inequivoche risultanze offerte dal materiale probatorio compiutamente illustrato in motivazione, i Giudici di merito hanno puntualmente ricostruito l’intera vicenda storico-fattuale oggetto della regiudicanda e hanno individuato per ciascuno dei fatti contestati nei capi sub A) ed F) i correlativi elementi di riscontro, evidenziando segnatamente: a) per quel che attiene al reato di cui al capo sub A), il fatto che l’imputato, militare in servizio presso la tenenza dei Carabinieri di Vignola, presentatosi presso l’officina Sc., ove si trovava il cittadino indiano S.B. titolare di un’azienda agricola cui aveva già contestato nella prima mattinata del 14 luglio 2006 la violazione di norme sulla circolazione stradale con sequestro amministrativo di un mezzo da rimorchio, temporaneamente custodito presso la su indicata officina – lo indusse a consegnargli la somma di Euro 200,00, prospettandogli l’opportunità di evitare in tal modo futuri controlli da parte delle forze dell’ordine qualora fosse transitato nel territorio di Vignola ed intimandogli, altresì, di non rivelare ad alcuno quanto accaduto; b) che tale richiesta era stata già esplicitata, a gesti, negli uffici della Tenenza al momento della compilazione dei verbali relativi alle contestazioni delle infrazioni stradali; c) che le dichiarazioni rese dalla persona offesa – congruamente ritenute, sotto ogni profilo, attendibili per le ragioni esaustivamente illustrate dall’impugnata decisione a confutazione delle relative obiezioni difensive (v. pagg. 9-11) – sono state altresì specificamente confermate ab externo, in relazione alle diverse fasi in cui si è dispiegata l’intera vicenda, dalle deposizioni testimoniali rese, in particolare, dal carabiniere E.A., da Sc.Al. e dal Maresciallo G., comandante della Stazione dei Carabinieri di X, cui il S. , visibilmente impaurito, si era rivolto, pur senza formalizzare inizialmente la denuncia per timore di non essere creduto e di subire possibili ritorsioni; d) che la persona offesa in effetti decise di interrompere unilateralmente la fornitura di legname in favore di una società che gli garantiva consistenti e ben remunerati ordinativi di merce; e) per quel che attiene al reato di cui al capo sub F), il fatto che l’imputato, in concorso con St.Gi., indusse il cittadino extracomunitario B.M., regolarmente soggiornante nel territorio nazionale e in attesa di un rinnovo del permesso di soggiorno di cui era già titolare, a pagare una somma di denaro al primo in cambio del rilascio di una dichiarazione di ospitalità, solo formale, idonea a legittimarne la presenza in territorio italiano sino all’eventuale espresso diniego da parte della P.A., prospettandogli, in caso contrario, la revoca di quella dichiarazione, con la comunicazione alla Questura e la conseguente attivazione della procedura di espulsione (prospettazione alla quale effettivamente era stato dato corso, una volta emerso che l’assegno di Euro 700,00 con cui il B. aveva pagato lo St. era scoperto); f) che fu lo stesso N. a rivolgersi allo St. per chiedergli di rendere la dichiarazione di ospitalità al fine di guadagnare la su indicata somma di denaro; g) che il contenuto delle intercettazioni telefoniche in atti menzionate, gli sms inviati dall’utenza cellulare del N. ai vari soggetti coinvolti nella vicenda, la testimonianza del datore di lavoro del B., Z.F., e la documentazione sequestrata (pratiche relative al rilascio ed al rinnovo di permessi di soggiorno ed alla regolarizzazione della posizione di cittadini extracomunitari sul territorio nazionale) all’esito della perquisizione effettuata presso un’agenzia di pratiche amministrative – di fatto gestita dall’imputato – di cui era titolare la convivente del N., Bi.Gi., hanno offerto ampia conferma del fatto enucleato nel relativo tema d’accusa, smentendo radicalmente le giustificazioni dall’imputato addotte a suo discarico.
4. Muovendo dal complesso di tali risultanze istruttorie, la Corte distrettuale ha ampiamente esaminato e puntualmente disatteso le censure difensive mosse in ordine alle modalità di ricostruzione dei fatti ed ai rapporti intercorsi tra le parti, coerentemente sussumendo le condotte delittuose in esame nel nuovo schema normativo della fattispecie incriminatrice tipizzata dall’art. 319-quater c.p..
In tal senso, infatti, la Corte ha valorizzato il contesto ed il tenore delle affermazioni con cui la richiesta venne avanzata dal N., escludendo nel suo comportamento ogni ipotesi di costrizione sul rilievo che l’accettazione della pretesa da parte del S. avvenne soppesando razionalmente il tipo di decisione che per lui poteva rivelarsi più conveniente sotto il profilo economico, valutando cioè il vantaggio che implicitamente poteva derivargli dalla futura omissione di controlli stradali particolarmente zelanti e ripetuti, che senz’altro gli avrebbero creato problemi nelle attività di consegna in favore di uno dei suoi migliori clienti.
Analoghe considerazioni sono state espresse riguardo al reato di cui al capo sub F), avendo la Corte di merito osservato come proprio sulla spendita della qualifica di Carabiniere e sulla credibilità derivante dalla appartenenza del N. alle Forze dell’Ordine si fondasse il comportamento da lui tenuto con effetto condizionante sul versamento della somma richiesta al B. (da lui contattato per ottenere il pagamento del titolo insoluto, con l’avvertenza che, diversamente, la dichiarazione di ospitalità sarebbe stata revocata con le intuibili conseguenze negative ai fini della sua permanenza in Italia) e sull’atteggiamento tenuto dal datore di lavoro del B. (pronto a concedere un permesso di lavoro al suo dipendente per potersi recare in Prefettura, dopo che il N. aveva chiesto di parlargli ventilando l’esistenza di problematiche inerenti la regolarità dei relativi documenti di soggiorno), oltre che nelle forme e modalità di coinvolgimento dello stesso St. , che proprio per la capacità del N. di garantire il buon esito della pratica ritenne di poter concludere l’affare in tal modo prospettatogli, guadagnando la su indicata somma di denaro.
Del tutto correttamente, peraltro, è stata dalla Corte distrettuale ritenuta irrilevante la circostanza che il titolo di credito fosse rimasto insoluto, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini del perfezionamento del reato, la promessa della dazione di una somma di denaro o di altra utilità per effetto dell’attività induttiva del pubblico funzionario (Sez. 6, n. 2142 del 26/09/2007, dep. 15/01/2008, Rv. 238836; Sez. 6, n. 31689 del 05/06/2007, dep. 02/08/2007, Rv. 236828), a nulla rilevando l’effettiva intenzione di adempierla da parte del soggetto privato o le sue eventuali riserve mentali.
Le condotte poste in essere dall’imputato, dunque, si sono estrinsecate, come puntualmente rilevato nella motivazione dell’impugnata decisione, attraverso ripetute richieste, che pur non integrando un abuso costrittivo (il S., infatti, avrebbe potuto raggiungere il suo cliente seguendo un altro percorso stradale, mentre il B. ben avrebbe potuto chiedere ospitalità ad altre persone), hanno avuto piena efficacia causale nella determinazione del privato ad eseguire o promettere la dazione di una somma di danaro.
Al riguardo, pertanto, deve rilevarsi come l’impugnata sentenza abbia fatto buon governo dei principii stabiliti da questa Suprema Corte (Sez. Un., n. 12228 del 24/10/2013, dep. 14/03/2014, Rv. 258470; v., inoltre, Sez. 6, n. 47014 del 15/07/2014, dep. 13/11/2014, Rv. 261008; Sez. 6, n. 39089 del 21/05/2014, dep. 24/09/2014, Rv. 260794), secondo cui il delitto di concussione ex art. 317 cod. pen., nel testo modificato dalla l. n. 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno “contra ius” da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319-quater cod. pen., introdotto dalla medesima l. n. 190, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico.
5. Manifestamente infondata deve ritenersi, inoltre, la quarta doglianza, ove si consideri che la Corte ha congruamente spiegato le ragioni dell’esclusione dell’invocata attenuante di cui all’art. 323-ò/s c.p. sul rilievo della gravità delle note modali della condotta delittuosa, che peraltro ha coinvolto in un caso anche un terzo, con forme ritenute gravemente lesive dell’interesse pretto dalla norma incriminatrice.
In tal guisa, pertanto, la Corte distrettuale si è pienamente uniformata all’insegnamento dettato da questa Suprema Corte (da ultimo, Sez. 6, n. 14825 del 26/02/2014, dep. 31/03/2014, Rv. 259501), secondo cui la circostanza attenuante speciale prevista per i fatti di particolare tenuità ricorre solo quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare non soltanto l’entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell’atteggiamento soggettivo dell’agente e dell’evento da questi determinato.
Analoghe considerazioni devono svolgersi in ordine all’ulteriore, su indicato, profilo di doglianza (v., supra, il par. 2.4.), avendo la Corte di merito motivatamente escluso la sussistenza dei presupposti per la configurabilità dell’”invocata attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., sul rilievo dell’oggettiva entità, niente affatto esigua, delle somme di denaro oggetto dell’indebita richiesta, laddove la concessione del beneficio presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrilevante (Sez. 5, n. 24003 del 14/01/2014, dep. 09/06/2014, Rv. 260201), tenuto altresì conto degli ulteriori effetti pregiudizievoli cagionati alla persona offesa per effetto della condotta delittuosa complessivamente valutata (Sez. 5, n. 7738 del 04/02/2015, dep. 19/02/2015, Rv. 263434).
6. Fondato, di contro, deve ritenersi il terzo motivo di ricorso, che investe la configurabilità del reato di cui al capo sub C), al ricorrente ascritto per avere omesso di compiere un atto del suo ufficio che per ragioni di giustizia doveva essere compiuto senza ritardo, ossia di elevare una contravvenzione relativa all’omessa revisione di un’autovettura coinvolta in un sinistro stradale e di ritirare il documento di circolazione, così violando il disposto di cui all’art. 80 c.d.s..
Al riguardo, invero, deve ribadirsi la costante linea interpretativa tracciata da questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 16567 del 26/02/2013, dep. 12/04/2013, Rv. 254860; v., inoltre, Sez. 6, 27 settembre 2012, dep. 31 ottobre 2012, n. 42501), secondo cui, in tema di omissione di atti di ufficio, per atto di ufficio che per ragione di giustizia deve essere compiuto senza ritardo si intende solo un ordine o un provvedimento autorizzato da una norma giuridica per la pronta attuazione del diritto obiettivo e diretto a rendere possibile, o più agevole, l’attività del giudice, del pubblico ministero o degli ufficiali di polizia giudiziaria.
La ragione di giustizia, pertanto, si esaurisce solo con l’emanazione del provvedimento di uno degli organi citati, non estendendosi, ovviamente, neanche agli atti che altri soggetti sono tenuti eventualmente ad adottare in esecuzione del provvedimento dato per ragione di giustizia (Sez. 6, n. 14599 del 25/01/2010, dep. 15/04/2010, Rv. 246655).
Nel caso di specie gli atti rifiutati (l’elevazione di contravvenzioni al codice della strada ed atti connessi) non rientrano affatto nelle categorie tassativamente individuate dal modello normativo della fattispecie incriminatrice in esame (atti di ufficio dovuti a ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità.
Limitatamente al reato di cui all’art. 328 c.p. (capo sub C) s’impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste, dovendosi per l’effetto eliminare la relativa pena di un mese di reclusione [dalla Corte d’appello individuata a titolo di aumento per la continuazione con i su indicati reati sub A) ed F)], con la conseguente determinazione della pena complessiva, ai sensi degli artt. 620, comma 1, lett. l) e 621 c.p.p., in tre anni e quattro mesi di reclusione per i residui reati.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste limitatamente al reato di cui all’art. 328 c.p. (capo C) e, per l’effetto, elimina la relativa pena di un mese di reclusione, così determinando la pena complessiva in tre anni e quattro mesi di reclusione per i residui reati. Rigetta nel resto il ricorso.

martedì 28 luglio 2015

Disposizioni di prevenzione incendi per le attività ricettive turistico-alberghiere con numero di posti letto superiore a 25 e fino a 50

Legislazione - MINISTERO INTERNO - Decreto ministeriale 14 luglio 2015

Disposizioni di prevenzione incendi per le attività ricettive turistico-alberghiere con numero di posti letto superiore a 25 e fino a 50

Art. 1
Campo di applicazione
1. Le disposizioni contenute nel presente decreto si applicano per la progettazione, la realizzazione e l'esercizio delle attività ricettive turistico-alberghiere, così come definite dal decreto del Ministro dell'interno 9 aprile 1994 e successive modificazioni, con numero di posti letto superiore a 25 e fino a 50, esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto.
Art. 2
Obiettivi
1. Ai fini della prevenzione incendi, allo scopo di raggiungere i primari obiettivi di sicurezza relativi alla salvaguardia delle persone e alla tutela dei beni contro i rischi di incendio, le strutture turistico-ricettive di cui all'art. 1, sono realizzate e gestite in modo da:
a) minimizzare le cause di incendio;
b) garantire la stabilità delle strutture portanti al fine di assicurare il soccorso agli occupanti;
c) limitare la produzione e la propagazione di un incendio all'interno della struttura ricettiva;
d) limitare la propagazione di un incendio ad edifici od aree limitrofe;
e) assicurare la possibilità che gli occupanti lascino i locali e le aree indenni o che gli stessi siano soccorsi in altro modo;
f) garantire la possibilità per le squadre di soccorso di operare in condizioni di sicurezza.
Art. 3
Disposizioni tecniche
1. Ai fini del raggiungimento degli obiettivi di cui all'art. 2, è approvata la regola tecnica di prevenzione incendi di cui all'allegato 1, che costituisce parte integrante del presente decreto.
Art. 4
Applicazione delle disposizioni tecniche
1. Le disposizioni tecniche di cui all'art. 3 si applicano alle attività ricettive turistico-alberghiere indicate all'art. 1, anche nel caso di interventi di ristrutturazione o di ampliamento, limitatamente alle parti interessate dall'intervento e comportanti l'eventuale rifacimento dei solai in misura non superiore al 50%.
2. E' fatta salva la facoltà, per il responsabile delle attività di cui all'art. 1, di optare per l'applicazione delle pertinenti disposizioni di cui al decreto del Ministro dell'interno 9 aprile 1994 e successive modificazioni.
Art. 5
Commercializzazione CE
1. Possono essere impiegati nel campo di applicazione del presente decreto i prodotti regolamentati dalle disposizioni comunitarie applicabili ed a queste conformi.
2. Gli estintori portatili, gli estintori carrellati, i liquidi schiumogeni, i prodotti per i quali è richiesto il requisito di reazione al fuoco, diversi da quelli di cui al comma precedente, gli elementi di chiusura per i quali è richiesto il requisito di resistenza al fuoco, disciplinati in Italia da apposite disposizioni nazionali, già sottoposte con esito positivo alla procedura di informazione di cui alla direttiva 98/34/CE, come modificata dalla direttiva 98/48/CE, che prevedono apposita omologazione per la commercializzazione sul territorio italiano e, a tale fine, il mutuo riconoscimento, sono impiegabili nel campo di applicazione del presente decreto se conformi alle suddette disposizioni.
3. Le tipologie di prodotti non contemplati dai commi 1 e 2, purché legalmente fabbricati o commercializzati in uno degli Stati membri dell'Unione europea o in Turchia, in virtù di specifici accordi internazionali stipulati con l'Unione europea, ovvero legalmente fabbricati in uno degli Stati firmatari dell'Associazione europea di libero scambio (EFTA), parte contraente dell'accordo sullo spazio economico europeo (SEE), per l'impiego nelle stesse condizioni che permettono di garantire un livello di protezione, ai fini della sicurezza antincendio, equivalente a quello prescritto dal presente decreto, possono essere impiegati nel campo di applicazione del decreto stesso.
Art. 6
Disposizioni finali
1. Ai fini dell'applicazione del decreto del Ministro dell'interno 16 marzo 2012 e successive modificazioni, alle attività ricettive turistico-alberghiere con numero di posti letto superiore a 25 e fino a 50, esistenti alla data di entrata in vigore del decreto del Ministro 9 aprile 1994, si applicano le corrispondenti prescrizioni della regola tecnica di prevenzione incendi di cui all'art. 3 del presente decreto, con le modalità e i tempi fissati dal citato decreto del Ministro dell'interno 16 marzo 2012 e successive modificazioni.
2. Il presente decreto entra in vigore il trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana.
Allegato 1
REGOLA TECNICA DI PREVENZIONE INCENDI PER LE ATTIVITÀ RICETTIVE TURISTICO-ALBERGHIERE CON NUMERO DI POSTI LETTO SUPERIORE A 25 E FINO A 50, ESISTENTI ALLA DATA DI ENTRATA IN VIGORE DEL PRESENTE DECRETO
(articolo 3)
0. Termini, definizioni e tolleranze dimensionali
1. Per i termini, le definizioni e le tolleranze dimensionali si rimanda al decreto del Ministro dell'interno del 30 novembre 1983, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 339 del 12 dicembre 1983 Inoltre, ai fini della presente regola tecnica, si definisce:
- Spazio calmo: luogo sicuro statico, contiguo e comunicante con una via di esodo verticale od in essa inserito. Tale spazio non deve costituire intralcio alla fruibilità delle vie di esodo e deve avere caratteristiche tali da garantire la permanenza di persone con ridotte o impedite capacità motorie in attesa dei soccorsi.
- Corridoio cieco: corridoio o porzione di corridoio dal quale è possibile l'esodo in un'unica direzione. La lunghezza del corridoio cieco va calcolata dall'inizio dello stesso fino all'incrocio con un corridoio dal quale sia possibile l'esodo in almeno due direzioni, o fino al più prossimo luogo sicuro o via di esodo verticale.
- Colonna a secco: installazione di lotta contro l'incendio ad uso dei Vigili del fuoco, comprendente una tubazione rigida metallica che percorre verticalmente l'edificio, di norma all'interno di ciascuna via d'esodo verticale.
1. Ubicazione
1. Le attività ricettive possono essere ubicate:
a) in edifici costruiti per tale specifica destinazione, isolati o tra essi contigui;
b) in edifici costruiti per tale specifica destinazione, contigui e separati da altri aventi destinazioni diverse;
c) nel volume di edifici aventi destinazione mista, con le seguenti limitazioni:
- è ammessa la presenza di attività normalmente inserite in edifici a destinazione civile e/o ad esse funzionali, ancorché ricomprese nell'elenco di cui all'allegato I del decreto del Presidente della Repubblica n. 151/2011 (impianti termici, autorimesse, gruppi elettrogeni e di cogenerazione, attività commerciali e simili);
- non è ammessa la presenza di quelle attività, ricomprese nell'elenco I del decreto del Presidente della Repubblica n. 151/2011, in cui sono detenute o manipolate sostanze o miscele pericolose, o in cui si effettuano lavorazioni pericolose ai fini dell'incendio o dell'esplosione.
2. Separazioni - Comunicazioni
1. Le attività ricettive possono comunicare con le altre attività di seguito indicate:
a) attività ad esse pertinenti, nel rispetto delle specifiche norme tecniche di prevenzione incendi;
b) attività non ad esse pertinenti, tramite filtro a prova di fumo ed a condizione che le rispettive vie di esodo siano indipendenti, salvo quanto previsto per le destinazioni miste.
2. Gli elementi di separazione dalle attività indicate alle lettere a) e b), di cui al comma 1, devono avere caratteristiche di resistenza al fuoco almeno pari alla classe di resistenza al fuoco più elevata tra quella richiesta per l'attività ricettiva e quella richiesta per l'attività adiacente e comunque non inferiore a REI 30.
3. Caratteristiche costruttive
3.1. Resistenza al fuoco
1. Per le strutture portanti e gli elementi di compartimentazione, orizzontali e verticali, deve essere garantita una classe di resistenza al fuoco non inferiore a 30; se l'attività si estende oltre il quarto piano fuori terra, deve essere garantito il Livello III di prestazione di cui al decreto del Ministro dell'interno del 9 marzo 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 74 del 29 marzo 2007.
2. Alle aree a rischio specifico si applicano le rispettive norme tecniche di prevenzione incendi.
3. Nel caso di tetti di copertura non collaboranti alla statica complessiva del fabbricato è consentito che gli elementi strutturali della copertura stessa, indipendentemente dall'altezza dell'edificio, abbiano caratteristiche di resistenza al fuoco commisurate alla classe dei locali immediatamente sottostanti e comunque non inferiore a R 30; ciò è ammesso a condizione che la situazione al contorno escluda la possibilità di propagazione di un eventuale incendio ad ambienti o fabbricati circostanti.
3.2. Reazione al fuoco
1. I materiali devono avere adeguate caratteristiche di reazione al fuoco e rispondere alle prescrizioni e limitazioni di seguito indicate, in relazione al luogo di installazione.
2. Negli atri, nei corridoi, nei disimpegni, nelle scale, nelle rampe, nei passaggi in genere ed in tutti gli spazi adiacenti e non separati dalle vie di esodo, si devono utilizzare prodotti aventi una delle classi di reazione al fuoco indicate nella seguente tabella, distinte in funzione del tipo di impiego previsto:
Impiego
Classe dei prodotti
Classe italiana Classe europea
a pavimento 1 A2FL-s1
BFL-s1
C FL-S1
a parete 1 A2-s1,d0
A2-s2,d0
A2-s1,d1
B-s1,d0
B-s2,d0
B-s1,d1
a soffitto 1 A2-s1,d0
A2-s2,d0
B-s1,d0
B-s2,d0
E' ammessa anche l'installazione di prodotti isolanti con classi di reazione al fuoco indicate nella seguente tabella, in funzione del tipo di impiego previsto:
Impiego
Classe dei prodotti isolanti
Classe italiana Classe europea
a pavimento 1, 0-1, 1-0, 1-1 A2-s1,d0
A2-s2,d0
A2-s1,d1
B-s1,d0
B-s2,d0
B-s1,d1
a parete
a soffitto 1, 0-1, 1-0, 1-1 A2-s1,d0
A2-s2,d0
B-s1,d0
B-s2,d0
Qualora per il prodotto isolante sia prevista una protezione da realizzare in sito affinché lo stesso non sia direttamente esposto alle fiamme, sono ammesse le classi di reazione al fuoco indicate nella seguente tabella:
Impiego
Classe delle protezioni
Classe dei prodotti isolanti
Classe italiana Classe europea Classe italiana Classe europea
a pavimento 1 A2FL-s1 BFL-s1 1 A2-s1,d0 A2-s2,d0 A2-s1,d1 B-s1,d0 B-s2,d0 B-s1,d1
a parete 1 A2-s1,d0 A2-s2,d0 A2-s1,d1 B-s1,d0 B-s2,d0 B-s1,d1
a soffitto 1 A2-s1,d0 A2-s2,d0 B-s1,d0 B-s2,d0 1 A2-s1,d0 A2-s2,d0 B-s1,d0 B-s2,d0
qualsiasi prodotti e/o elementi da costruzione aventi classe di resistenza al fuoco non inferiore a EI 30 una delle classi di reazione al fuoco indicate dalla tabella 2 allegata al D.M. 15.03.2005 e successive modificazioni
3. Negli atri, nei corridoi, nei disimpegni, nelle scale, nelle rampe, nei passaggi in genere ed in tutti gli spazi adiacenti e non separati dalle vie di esodo, è consentito mantenere in opera materiali, ivi compresi arredi non classificati ai fini della reazione al fuoco, fino ad un massimo del 25% della superficie totale dell'ambiente in cui sono collocati. Nel computo dei materiali suddetti devono essere inclusi i rivestimenti lignei posti in opera anche non in aderenza a supporti incombustibili, mentre devono essere esclusi i mobili imbottiti. Ciò è ammesso alle seguenti condizioni:
a) Il carico di incendio specifico qf sia limitato a 175 MJ/m²;
b) sia istituito un servizio interno di emergenza permanentemente presente, composto da un congruo numero di addetti, che consenta di promuovere un tempestivo intervento di contenimento dell'incendio e di assistenza all'esodo. Gli addetti, che non possono essere in numero inferiore a due, devono avere conseguito l'attestato di idoneità tecnica di cui all'art. 3 della legge 28 novembre 1996, n. 609, a seguito del corso di tipo B di cui all'allegato IX del decreto del Ministro dell'interno del 10 marzo 1998, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 81 del 7 aprile 1998. I requisiti di idoneità tecnica di tali addetti - inclusa la capacità di impiego delle attrezzature di spegnimento - dovranno essere verificati ogni due anni da parte dei Comandi provinciali dei vigili del fuoco, mediante l'accertamento previsto dalla predetta legge 28 novembre 1996, n. 609.
In alternativa al servizio di emergenza di cui al punto b), si può adottare un sistema di controllo automatico di fumi e calore, dimensionato e realizzato in conformità alle vigenti norme tecniche di impianto e di prodotto, finalizzato a garantire, lungo le vie di esodo, un'altezza libera dal fumo pari almeno a 2,00 metri.
4. Nei restanti ambienti deve essere assicurata l'adozione di una delle due soluzioni alternative, di seguito descritte:
A) utilizzare materiali di classe di reazione al fuoco non superiore a 2, secondo quanto indicato dalle tabelle 1, 2 e 3 allegate al decreto del Ministro dell'interno del 15 marzo 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 73 del 30 marzo 2005, e successive modificazioni; installare prodotti isolanti con prestazioni di reazione al fuoco conformi all'art. 7 del decreto del Ministro dell'interno del 15 marzo 2005 e successive modificazioni;
B) mantenere materiali, ivi compresi quelli di arredamento, non classificati ai fini della reazione al fuoco (inclusi i rivestimenti lignei posti in opera anche non in aderenza a supporti incombustibili) a condizione che i detti ambienti garantiscano una classe di resistenza al fuoco non inferiore a 30.
5. In tutti gli ambienti, ferme restando le indicazioni di cui al punto 3, devono essere rispettate le seguenti condizioni:
- i materiali suscettibili di prendere fuoco su entrambe le facce (tendaggi, drappeggi e sipari) devono essere di classe di reazione al fuoco non superiore ad 1;
- i mobili imbottiti posizionati nelle vie d'esodo ed in tutti gli spazi adiacenti e non separati dalle vie di esodo, ed i materassi devono essere di classe 1 IM e di classe 2 IM nei restanti ambienti.
E' consentito mantenere materiali suscettibili di prendere fuoco su entrambe le facce (tendaggi, drappeggi e sipari) e i mobili imbottiti non classificati, in quantità tale che la loro superficie (considerando per i mobili imbottiti la superficie in proiezione a pavimento e a parete) non sia superiore al 20% della superficie totale dell'ambiente in cui sono collocati (pavimento + pareti + soffitto). Ciò è ammesso ad una delle seguenti condizioni:
a) siano posizionati in ambienti (atri, soggiorni) con presidio continuativo di un addetto antincendio (es. addetto alla reception);
b) siano posizionati in ambienti con carico di incendio specifico qf limitato a 175 MJ/m² e sia stato istituito il servizio interno di emergenza o, in alternativa a quest'ultimo, sia stato adottato il sistema di controllo automatico di fumi e calore, così come descritti al punto 3.
3.3 Compartimentazione
1. L'intera struttura ricettiva, ad eccezione delle aree a rischio specifico, può costituire unico compartimento.
2. Le aree a rischio specifico dovranno essere compartimentate con strutture e serramenti aventi caratteristiche di resistenza al fuoco non inferiori alla classe di resistenza al fuoco determinata ai sensi del decreto del Ministro dell'interno del 9 marzo 2007.
3.4 Piani interrati
1. Le aree comuni a servizio del pubblico possono essere ubicate non oltre il secondo piano interrato, fino alla quota di -10,00 m. Le predette aree, se ubicate a quota compresa tra -7,50 e -10,00 m, devono essere protette con impianto di spegnimento automatico.
3.5 Corridoi
1. I tramezzi che separano le camere per ospiti dai corridoi devono avere caratteristiche di resistenza al fuoco non inferiori a EI 30.
2. Le porte di tutti i locali (camere per ospiti, ripostigli, sale comuni, servizi, ecc.) in diretta comunicazione con le vie di esodo, o con spazi adiacenti e non separati dalle vie di esodo, devono essere dotate di dispositivo di auto chiusura.
3.6 Scale
1. Ogni vano scala deve avere, in sommità, una superficie netta di aerazione permanente non inferiore a 1 m², in cui è consentita l'installazione di sistemi di protezione dagli agenti atmosferici; se tale protezione è realizzata con infissi, questi devono essere apribili automaticamente a mezzo di dispositivo comandato da rivelatori automatici di incendio, o manualmente a distanza.
2. E' consentito non realizzare nel vano scala la superficie di aerazione di cui al comma 1, se sono rispettate tutte le seguenti condizioni:
a) il vano scala sia di tipo protetto in tutto il suo sviluppo;
b) i materiali in esso impiegati siano di classe 0 o A1 in misura pari almeno al 50% della superficie totale del vano scala (pavimento + pareti + soffitto + proiezioni orizzontali delle rampe) e, per la restante parte, siano conformi a quanto prescritto al punto 3.2, comma 2;
c) qualora presenti nel vano scala, i materiali suscettibili di prendere fuoco su entrambe le facce siano di classe di reazione al fuoco non superiore ad 1 e gli eventuali mobili imbottiti siano di classe 1 IM.
3. Qualora la protezione del vano scala non sia garantita a causa, unicamente, della mancanza della porta di compartimentazione in corrispondenza dello sbarco nell'atrio di ingresso, è consentito realizzare, in alternativa alla superficie di aerazione permanente in sommità, un sistema di evacuazione forzata di fumo e calore che garantisca tre ricambi/ora del volume del corpo scala.
4. Misure per l'evacuazione in caso d'incendio
4.1 Affollamento - Capacità di deflusso
1. Il massimo affollamento è fissato in:
- aree destinate alle camere: numero dei posti letto;
- aree comuni a servizio del pubblico:
a) per i locali adibiti a sala da pranzo e colazione: numero dei posti a sedere risultanti da apposita dichiarazione del titolare dell'attività;
b) per gli spazi per riunioni, trattenimenti e simili: numero dei posti a sedere risultanti da apposita dichiarazione del titolare dell'attività o quello che si ottiene considerando una densità di affollamento pari a 0,7 persone/m²;
c) per le altre aree comuni: numero di persone ottenuto considerando una densità di affollamento pari a 0,4 persone/m2;
- aree destinate ai servizi: numero delle persone effettivamente presenti incrementato del 20%.
2. Al fine del dimensionamento delle uscite, devono essere considerate capacità di deflusso non superiori ai seguenti valori:
- per il piano terra: 50 persone/modulo;
- per ogni piano diverso dal piano terra: 37,5 persone/modulo.
Per i piani diversi dal piano terra, il valore massimo della capacità di deflusso può essere elevato a 50, se sono rispettate tutte le seguenti condizioni:
a) le scale siano almeno di tipo protetto, con la possibilità di sbarco nell'atrio d'ingresso alle condizioni indicate al punto 4.5.3;
b) lungo i percorsi di esodo siano installati materiali di classe di reazione al fuoco 0 - A1 - (A2-s1,d0); eventuali corsie di camminamento centrale e tendaggi abbiano almeno la classe 1 di reazione al fuoco ed i mobili imbottiti la classe 1IM.
4.2 Sistema di vie di uscita
1. La larghezza utile delle vie di uscita deve essere misurata deducendo l'ingombro di eventuali elementi sporgenti, con esclusione dei maniglioni antipanico.
2. Tra gli elementi sporgenti non sono considerati quelli posti ad altezza superiore a 2 m ed eventuali corrimano lungo le pareti, con ingombro non superiore a 8 cm.
3. Nel sistema di vie di uscita è vietato collocare specchi che possano trarre in inganno sulla direzione da seguire nell'esodo.
4. Le porte di accesso alle scale e quelle che immettono all'esterno o in luogo sicuro, devono aprirsi nel verso dell'esodo, a semplice spinta.
5. Nelle strutture alberghiere site in immobili a destinazione mista ed in edifici storici vincolati o riconosciuti pregevoli in forza di vigenti disposizioni legislative nazionali o locali, le porte, che immettono all'esterno o in luogo sicuro, possono essere prive di maniglione antipanico e non aprirsi nel verso dell'esodo purché siano rispettate le seguenti condizioni:
- le porte siano dotate di cartellonistica che ne indichi le modalità di apertura, con traduzione in varie lingue;
- lungo le vie di esodo che conducono alle porte suddette, i materiali siano conformi a quanto previsto al punto 3.2 e sia presente idonea illuminazione di sicurezza, anche nel caso in cui le vie d'esodo non siano ad uso esclusivo dell'attività ricettiva.
Tali porte, inoltre, devono essere comunque apribili manualmente, anche in assenza di alimentazione elettrica, e devono essere dotate di un sistema di blocco meccanico in posizione di massima apertura.
Le modalità di gestione di tali porte devono essere esplicitate nel piano di emergenza.
4.3 Larghezza delle vie di uscita
1. E' consentito utilizzare, ai fini dell'esodo, scale e passaggi aventi larghezza minima di 0,90 m, da computarsi pari ad un modulo nel calcolo del deflusso.
2. Sono ammessi restringimenti puntuali, purché la larghezza minima netta, comprensiva delle tolleranze, sia non inferiore a 0,80 m ed a condizione che lungo le vie di uscita siano presenti soltanto materiali di classe di reazione al fuoco 0 - A1 - (A2-s1,d0).
4.4 Larghezza totale delle uscite
1. La larghezza totale delle uscite da ogni piano, espressa in numero di moduli, è determinata dal rapporto tra il massimo affollamento previsto e la capacità di deflusso del piano.
2. Per le strutture ricettive che occupano più di due piani fuori terra, la larghezza totale delle vie di uscita che immettono all'aperto viene calcolata sommando il massimo affollamento previsto in due piani consecutivi, con riferimento a quelli aventi maggiore affollamento.
3. Nel computo della larghezza delle uscite sono conteggiate anche le porte d'ingresso, quando queste sono apribili a semplice spinta verso l'esterno.
4. Le eventuali scale mobili non devono essere computate ai fini della larghezza delle uscite.
4.5 Vie di uscita ad uso esclusivo
4.5.1 Edificio servito da due o più scale
1. In corrispondenza delle comunicazioni dei piani interrati con i vani scala devono essere installate porte aventi caratteristiche di resistenza al fuoco non inferiori a EI 30, munite di congegno di autochiusura.
2. Il percorso di esodo, misurato a partire dalla porta di ogni camera e da ogni punto dei locali comuni, non può essere superiore a:
a) 40 m, per raggiungere un'uscita su luogo sicuro o su scala di sicurezza esterna;
b) 30 m, per raggiungere una scala protetta, che faccia parte del sistema di vie di uscita.
3. La lunghezza dei corridoi ciechi non può essere superiore a 15 m.
4. Le suddette lunghezze possono essere incrementate di 5 m qualora, in corrispondenza del percorso interessato, i materiali installati a parete e a soffitto siano di classe 0 - A1 - (A2-s1,d0) di reazione al fuoco e non sia presente materiale suscettibile di prendere fuoco su entrambe le facce.
5. Il percorso di esodo, misurato a partire dalla porta di ogni camera e da ogni punto dei locali comuni, può essere incrementato di ulteriori 5 m, mentre i corridoi ciechi possono essere incrementati di ulteriori 10 m, se sono rispettate le seguenti condizioni:
- tutti i materiali installati in tali percorsi siano di classe 0 - A1 - (A2-s1,d0) di reazione al fuoco;
- le porte delle camere aventi accesso su tali percorsi possiedano caratteristiche di resistenza al fuoco EI 30 e siano dotate di dispositivo di autochiusura.
4.5.2 Edificio servito da una sola scala
1. La comunicazione del vano scala con i piani interrati può avvenire esclusivamente tramite disimpegno, anche non aerato, avente porte di tipo EI 60 munite di congegno di autochiusura.
2. In edifici con più di due piani fuori terra è ammesso disporre di una sola scala, purché questa sia almeno di tipo protetto.
3. Per le attività ricettive ubicate in edifici aventi altezza antincendio maggiore di 24 m e non superiore a 32 m, è consentita la presenza di una sola scala, purché sia rispettata una delle seguenti condizioni:
a) la scala sia di tipo a prova di fumo od esterna;
b) la scala sia di tipo protetto e sia installato un impianto di spegnimento automatico esteso all'intera attività, conforme alle disposizioni di cui al decreto del Ministro dell'interno del 20 dicembre 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 3 del 4 gennaio 2013.
4. La lunghezza dei corridoi che adducono alla scala deve essere limitata a 15 m. Tale lunghezza può essere incrementata di 5 m qualora, in corrispondenza del percorso interessato, i materiali installati a parete e a soffitto siano di classe 0 - A1 - (A2-s1,d0) di reazione al fuoco e non sia presente materiale suscettibile di prendere fuoco su entrambe le facce.
5. Il percorso di esodo, misurato a partire dalla porta di ogni camera e da ogni punto dei locali comuni, può essere incrementato di ulteriori 10 m, se sono rispettate le seguenti condizioni:
- tutti i materiali installati in tali percorsi siano di classe di reazione al fuoco 0 - A1 - (A2-s1,d0), con la sola eccezione di eventuali corsie di camminamento centrale che sono ammesse di classe 1 di reazione al fuoco;
- le porte delle camere aventi accesso su tali percorsi, possiedano caratteristiche di resistenza al fuoco almeno EI 30 e siano dotate di dispositivo di autochiusura.
6. Limitatamente agli edifici a tre piani fuori terra, è consentito non realizzare le scale di tipo protetto alle seguenti condizioni:
- la lunghezza dei corridoi che adducono alle scale sia limitata a 20 m:
- i materiali installati a parete e a soffitto siano di classe di reazione al fuoco 0 - A1 - (A2-s1,d0);
- non sia presente materiale suscettibile di prendere fuoco su entrambe le facce.
7. Limitatamente agli edifici a quattro piani fuori terra, è consentito non realizzare le scale di tipo protetto con l'adozione di una delle due soluzioni alternative, A o B, di seguito descritte:
A) i materiali installati nelle scale e nei corridoi che adducono alle scale abbiano classe di reazione al fuoco 0 - A1 - (A2-s1,d0), con la sola eccezione di eventuali corsie di camminamento centrale, per le quali è ammessa la classe 1 di reazione al fuoco;
- le porte delle camere abbiano caratteristiche di resistenza al fuoco almeno EI 15;
- nelle camere siano presenti coperte e copriletto di classe 1 di reazione al fuoco e di guanciali, sedie imbottite, poltrone, poltrone letto, divani, divani letto e sommier di classe 1 IM;
B) i materiali installati nelle scale e nei corridoi che adducono alle scale abbiano classe di reazione al fuoco 0 - A1 - (A2-s1,d0), con la sola eccezione di eventuali corsie di camminamento centrale, per le quali è ammessa la classe 1 di reazione al fuoco;
- dalle scale e dai corridoi sia eliminato ogni altro materiale combustibile;
- le porte delle camere abbiano caratteristiche di resistenza al fuoco almeno EI 15.
8. Resta fermo, per gli edifici serviti da scale non protette, che la lunghezza totale del percorso che adduce su luogo sicuro sia limitata a 40 m; tale lunghezza può essere incrementata di 5 m alle seguenti condizioni:
- i materiali installati a parete e a soffitto siano di classe di reazione al fuoco 0 - A1 - (A2-s1,d0);
- non sia presente materiale suscettibile di prendere fuoco su entrambe le facce.
4.5.3 Atrio di ingresso
1. Nel caso in cui le scale immettano nell'atrio di ingresso, quest'ultimo costituisce parte del percorso di esodo; devono, pertanto, essere rispettate le seguenti disposizioni:
- i materiali installati nell'atrio e nei locali adiacenti e non separati da esso, devono essere conformi a quanto prescritto per le vie di esodo al punto 3.2;
- nell'atrio non devono essere installate apparecchiature a fiamma ed ogni altra apparecchiatura da cui possa derivare pericolo di incendio.
4.6 Vie di uscita ad uso promiscuo
1. Le attività ricettive ubicate in edifici a destinazione mista possono essere servite da scale ad uso promiscuo, se sono rispettate le seguenti condizioni:
- l'edificio abbia altezza antincendio non superiore a 32 m;
- l'attività ricettiva sia separata dalla scala e dal resto del fabbricato con elementi con caratteristiche di resistenza al fuoco almeno REI/EI 60;
- le comunicazioni dei vani scala, costituenti vie di esodo per gli occupanti dell'attività ricettiva, con i piani cantinati siano dotate di porte resistenti al fuoco almeno EI 60;
- le scale siano dotate di impianto di illuminazione di sicurezza.
2. In relazione al numero di scale a servizio di ogni piano dell'attività ricettiva, deve essere osservato, inoltre, quanto segue:
- presenza di due o più scale: la lunghezza massima dei percorsi dalla porta delle camere alle scale dell'edificio non può superare i 25 m e quella dei corridoi ciechi i 15 m; tali lunghezze massime possono essere incrementate di 5 m, a condizione che lungo i percorsi d'esodo, i materiali installati a parete, a pavimento o a soffitto siano di classe di reazione al fuoco 0 - A1 - (A2-s1,d0) e che le porte delle camere abbiano caratteristiche di resistenza al fuoco almeno EI 30;
- presenza di una sola scala: l'attività ricettiva deve essere distribuita in compartimenti aventi superficie non superiore a 250 m²; la lunghezza massima del percorso dalla porta di ogni camera alla scala non può superare i 15 m; è consentito che tale lunghezza massima sia incrementata di 5 m e che la superficie massima dei compartimenti suddetti raggiunga i 350 m², a condizione che lungo i percorsi d'esodo, i materiali installati a parete, a pavimento o a soffitto siano di classe di reazione al fuoco 0 - A1 - (A2-s1,d0) e che le porte delle camere abbiano caratteristiche di resistenza al fuoco almeno EI 30.
3. E' consentita la comunicazione tra gli ambienti di ricevimento dell'attività ricettiva e le parti comuni dell'edificio, se sono rispettate le seguenti condizioni:
- l'ambiente di ricevimento sia permanentemente presidiato;
- nell'ambiente di ricevimento non siano presenti sostanze infiammabili;
- la larghezza della scala e della via di esodo che conduce all'esterno dell'edificio sia commisurata al piano di massimo affollamento dell'attività ricettiva.
5. Altre disposizioni
5.1 Aree ed impianti a rischio specifico
1. Si considerano aree a rischio specifico:
a) locali di superficie superiore a 12 m² destinati a deposito di materiale combustibile;
b) locali destinati a deposito, di superficie qualsiasi, in diretta comunicazione con il sistema di vie di esodo;
c) lavanderie e stirerie.
2. Per le aree a rischio specifico devono essere previste le seguenti misure:
- le strutture e le porte di separazione devono possedere caratteristiche di resistenza al fuoco valutate in conformità al decreto del Ministro dell'interno 9 marzo 2007;
- deve essere prevista una ventilazione naturale non inferiore ad 1/40 della superficie in pianta.
E' consentito limitare la superficie di ventilazione ad 1/100 della superficie in pianta, ottenibile anche mediante camini o condotte, realizzati a regola d'arte, ed adottare strutture di compartimentazione congrue con il carico di incendio specifico, che non deve comunque superare 1052 MJ/m², a condizione che l'impianto di rivelazione (da installare in tutte le attività ricettive ai sensi del punto 6.3) sia integrato da un sistema di controllo automatico dei fumi e calore, progettato, realizzato e gestito secondo la regola dell'arte, in conformità alle disposizioni legislative e regolamentari applicabili.
3. In alternativa al sistema di controllo automatico di fumi e calore, può essere installato un impianto di spegnimento automatico a protezione del locale, oppure può essere costituito un servizio interno di emergenza permanentemente presente, composto da un congruo numero di addetti, che consenta di promuovere un tempestivo intervento di contenimento dell'incendio e di assistenza all'esodo.
Gli addetti, che non possono essere in numero inferiore a due, devono avere conseguito l'attestato di idoneità tecnica di cui all'art. 3 della Legge 28 novembre 1996, n. 609, a seguito del corso di tipo B di cui all'allegato IX del decreto del Ministro dell'interno 10 marzo 1998.
4. E' consentito prescindere dalle caratteristiche di resistenza al fuoco e di ventilazione in locali destinati a deposito aventi superficie non superiore a 5 m² e carico di incendio specifico non superiore a 350 MJ/m²; qualora il locale sia in diretta comunicazione con le vie di esodo, o con spazi adiacenti e non separati dalle vie di esodo, si deve comunque rispettare quanto previsto al punto 3.5.2.
5.2 Depositi di liquidi infiammabili
1. All'interno del volume dell'edificio è consentito detenere prodotti liquidi infiammabili strettamente necessari per le esigenze igienico-sanitarie, posti in armadi metallici dotati di bacino di contenimento. Tali armadi devono essere ubicati nei locali deposito, con esclusione dei locali aventi le caratteristiche descritte al punto 5.1.4.
5.3 Servizi tecnologici
1. Si considerano fra i servizi tecnologici le seguenti tipologie di impianto:
a) ascensori e montacarichi;
b) termici e/o preparazione cibi;
c) condizionamento e/o ventilazione;
d) elettrici;
e) produzione di energia (es. fotovoltaico, fuel cell, cogeneratori, ecc.);
f) trattamento delle acque;
g) frigoriferi;
h) protezione attiva.
Detti impianti devono essere progettati, realizzati e gestiti secondo la regola dell'arte, in conformità alle disposizioni legislative e regolamentari applicabili.
2. Qualora siano previsti attraversamenti di strutture aventi funzione di compartimentazione, dovrà essere garantita la continuità delle caratteristiche di resistenza al fuoco.
3. Per gli impianti elettrici, i seguenti sistemi di utenza devono disporre di impianti di sicurezza e avere autonomia minima stabilita come segue:
- rivelazione e allarme: 30 minuti;
- illuminazione di sicurezza: 1 ora;
- impianti idrici antincendio (ove previsti): 30 minuti.
L'impianto di illuminazione di sicurezza deve assicurare lungo le vie di uscita un livello di illuminamento non inferiore a 5 lux ad 1 m di altezza dal piano di calpestio.
4. Il quadro elettrico generale deve essere ubicato in posizione facilmente accessibile e segnalata. Deve essere altresì installato, in posizione facilmente accessibile, segnalata e in prossimità dell'accesso principale, un dispositivo di sgancio elettrico generale che intervenga sulla fornitura elettrica (contatore); nel caso in cui detta fornitura sia interna all'edificio, in corrispondenza del dispositivo di sgancio deve essere apposto un segnale che indichi tale evenienza e l'esatta ubicazione del punto fornitura.
5. E' consentita la presenza di caminetti e di stufe tradizionali esclusivamente nelle aree comuni.
6. I caminetti e le stufe tradizionali, sia del tipo a fiamma libera (caminetto a focolare aperto) sia del tipo protetto (caminetto a focolare chiuso), possono essere installati se sono rispettate le seguenti prescrizioni specifiche:
- devono essere progettati, realizzati e gestiti secondo la regola dell'arte, in conformità alle disposizioni legislative e regolamentari applicabili;
- i canali da fumo devono essere realizzati in modo da non costituire causa d'innesco e propagazione d'incendio;
- non devono essere posizionati in corrispondenza dei percorsi di esodo;
- devono essere installati in locali separati dal sistema di vie di esodo principale dell'attività ricettiva mediante strutture e serramenti di caratteristiche di resistenza al fuoco almeno EI 30;
- il personale dell'attività ricettiva che si occupa della gestione della sicurezza deve essere adeguatamente formato all'uso e alla sicurezza dell'apparecchiatura;
- sia posizionato almeno un estintore a polvere 34A-233B, in prossimità dell'installazione;
- attorno al caminetto deve essere presente esclusivamente materiale incombustibile; tale area di sicurezza deve svilupparsi, sia in altezza che in larghezza, per una distanza dal caminetto pari ad almeno 200 cm nel caso di focolare aperto e ad almeno 100 cm nel caso di focolare chiuso.
6. Mezzi ed impianti di estinzione degli incendi
6.1 Estintori d'incendio
1. Tutte le attività ricettive devono essere dotate di estintori d'incendio portatili, ubicati in posizione facilmente accessibile e visibile ed essere distribuiti in modo uniforme nell'area da proteggere, preferibilmente in prossimità delle uscite di piano; appositi cartelli segnalatori devono facilitarne l'individuazione, anche a distanza.
2. Gli estintori d'incendio portatili devono:
- avere adeguata capacità estinguente;
- essere posizionati a distanza reciproca non superiore a 30 m;
- essere previsti in ragione di 1 estintore ogni 200 m² di pavimento o frazione, con un minimo di un estintore per piano.
3. A protezione di aree ed impianti a rischio specifico devono essere previsti estintori d'incendio di tipo idoneo al luogo di installazione.
6.2 Impianti idrici antincendio
1. Le attività ricettive ubicate oltre il terzo piano fuori terra devono essere protette da una rete di idranti conforme alle disposizioni di cui al decreto del Ministro dell'interno del 20 dicembre 2012.
2. In caso di applicazione della norma UNI 10779, si deve prevedere la realizzazione della sola protezione interna, con livello di pericolosità 1 e alimentazione idrica di tipo singolo.
3. Negli edifici fino a tre piani fuori terra non sussiste l'obbligo di realizzare la rete di idranti, a condizione che siano installati estintori carrellati a polvere con carica nominale non inferiore a 30 Kg, in ragione di almeno uno per piano, e che sia assicurata la presenza di addetti antincendio addestrati al loro utilizzo.
4. Nelle attività ricettive ubicate oltre il terzo piano fuori terra, in alternativa alla rete di idranti di cui al punto 1, devono essere rispettate le seguenti prescrizioni:
a) devono essere installati estintori carrellati a polvere con carica nominale non inferiore a 30 Kg, in ragione di almeno uno per piano e deve essere assicurata la presenza di addetti antincendio addestrati al loro utilizzo;
b) deve essere installata una colonna a secco, realizzata secondo la regola dell'arte, ed avente le seguenti caratteristiche:
- deve essere presente un attacco di mandata per autopompa, alla base della colonna e all'esterno dell'edificio, in posizione facilmente e sicuramente accessibile ai Vigili del fuoco;
- deve essere presente almeno un attacco UNI 45 ad ogni piano, in prossimità della relativa uscita; in prossimità di ciascun attacco deve essere prevista una lancia erogatrice e una idonea dotazione di tubazioni flessibili, sufficienti a raggiungere ogni punto dell'attività;
- devono essere installati dei dispositivi di sfiato dell'aria, in numero, dimensione e posizione idonei, in relazione alla caratteristiche plano-altimetriche della tubazione;
- lo sviluppo plano-altimetrico dell'impianto deve essere tale da garantirne il completo drenaggio;
- la colonna deve essere dimensionata in modo tale che, considerando una pressione dell'alimentazione da autopompa dei Vigili del fuoco pari a 0,8 MPa, sia garantito l'impiego simultaneo di non meno di 3 attacchi DN 45 nella posizione idraulicamente più sfavorevole (o di tutti gli attacchi della rete, se in numero inferiore a 3), con una portata minima per ciascun attacco pari a 120 l/min ed una pressione residua alla valvola non minore di 0,2 Mpa.
6.3 Impianti di rivelazione e segnalazione allarme incendio
1. Tutte le attività ricettive devono essere dotate di impianto di rivelazione e segnalazione allarme incendio. L'impianto deve essere progettato, realizzato e gestito secondo la regola dell'arte, in conformità alle disposizioni del decreto del Ministro dell'interno del 20 dicembre 2012.
7. Segnaletica di sicurezza
1. Le aree dell'attività ricettiva devono essere provviste di segnaletica di sicurezza, espressamente finalizzata alla sicurezza antincendio, conforme al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni.
L'adozione della colonna a secco di cui al punto 6.2, comma 4, deve essere segnalata con cartellonistica riportante la dicitura "attività dotata di colonna a secco per VVF", posta in corrispondenza del relativo attacco di mandata per autopompa ed in prossimità dell'ingresso dell'attività.
8. Gestione della sicurezza
8.1 Generalità
1. Il responsabile dell'attività ricettiva deve rispettare gli obblighi connessi con l'esercizio dell'attività previsti dalla normativa vigente in materia.
2. In edifici a destinazione mista dovrà essere assicurato il coordinamento della gestione della sicurezza e delle operazioni di emergenza tra le attività presenti nell'edificio.
3. Tra le misure finalizzate al coordinamento della gestione dell'emergenza, si dovrà prevedere:
- l'installazione di almeno un pulsante manuale di allarme, posizionato nelle parti comuni dell'edificio misto, con cui si attivi una segnalazione d'allarme all'interno dell'attività alberghiera;
- la possibilità di estendere la segnalazione di allarme agli spazi dell'edificio non destinati ad attività alberghiera.
8.2 Piano d'emergenza
1. Il responsabile dell'attività ricettiva è tenuto a predisporre un piano di emergenza contenente le necessarie misure organizzative e gestionali da attuare in caso incendio. Tale piano di emergenza deve essere mantenuto costantemente aggiornato.
2. Devono essere pianificate - ed indicate nel piano di emergenza - le procedure per l'assistenza a persone con limitate capacità sensoriali e/o motorie, che possono incontrare difficoltà specifiche nelle varie fasi dell'emergenza.
3. La procedura di chiamata dei Vigili del fuoco, contenuta nel piano di emergenza, deve prevedere, tra le informazioni fondamentali da comunicare al 115, quella relativa all'eventuale presenza della colonna a secco, di cui al punto 6.2, comma 4.
8.3 Istruzioni di sicurezza
8.3.1 Istruzioni da esporre a ciascun piano
1. A ciascun piano, lungo le vie di esodo, devono essere esposte planimetrie d'orientamento. In tali planimetrie deve essere adeguatamente segnalata, tra l'altro, la posizione e la funzione di eventuali spazi calmi o di spazi compartimentati, destinati alla sosta in emergenza di eventuali persone con impedite o ridotte capacità sensoriali e/o motorie.
8.3.2 Istruzioni da esporre in ciascuna camera
1. In ciascuna camera, con apposita cartellonistica esposta bene in vista, devono essere fornite precise istruzioni sul comportamento da tenere in caso di incendio. Oltre che in italiano, il testo deve essere redatto in lingue diverse, di maggiore diffusione tra la clientela della struttura ricettiva. Le istruzioni debbono essere accompagnate da una planimetria, che indichi schematicamente la posizione della camera rispetto alle vie di evacuazione, alle scale ed alle uscite.
2. Le istruzioni esposte nelle camere debbono riportare il divieto di usare gli ascensori in caso di incendio e devono, inoltre, indicare i divieti di:
- impiegare fornelli di qualsiasi tipo per il riscaldamento di vivande, stufe ed apparecchi di riscaldamento o di illuminazione in genere a funzionamento elettrico con resistenza in vista o alimentati con combustibili solidi, liquidi o gassosi;
- tenere depositi, anche modesti, di sostanze infiammabili nei locali facenti parte del volume destinato all'attività.