rivolto soprattutto ad operatori di Polizia che vogliono tenersi costantemente aggiornati
mercoledì 26 giugno 2019
“bollino blu” alle discoteche sicure
Pronta una bozza di protocollo messa a punto insieme alle associazioni di categoria
«Il divertimento gestito e controllato è più sicuro», ha detto il ministro dell’Interno Matteo Salvini che ha incontrato questa mattina i rappresentanti delle maggiori associazioni del settore dei locali di divertimento. Con loro, ha discusso una bozza di protocollo per migliorare la sicurezza nelle sale da ballo e in occasione di altre iniziative di intrattenimento, che sarà firmata a breve.
Nel protocollo, ha spiegato il ministro, «chiediamo un maggiore sforzo in termini di prevenzione e controllo ai gestori dei locali, e garantiamo maggiori interventi per prevenire l’abusivismo e minor burocrazia». Saranno coinvolti in questa iniziativa anche la Siae e i comuni.
Presenti in conferenza stampa il capo della Polizia Franco Gabrielli e i rappresentanti delle associazioni di categoria: Maurizio Pasca (Silb Fipe), Luciano Zanch (Asso Intrattenimento) e Mauro Maggi (Fiepet Confesercenti).
lunedì 24 giugno 2019
mercoledì 19 giugno 2019
Esercizio di attività o mestieri rumorosi: quando il disturbo alle persone è reato
I principi espressi dalla Suprema Corte nella sentenza del 13 giugno 2019.
La Corte di Cassazione Penale con sentenza
del 13 giugno 2019 ha ribadito che in tema di disturbo delle
occupazioni e del riposo delle persone, che l'esercizio di una attività o
di un mestiere rumoroso, integra:
a) l'illecito amministrativo di cui
all'art. 10, comma secondo, della legge 26 ottobre 1995, n. 447,
qualora si verifichi esclusivamente il mero superamento dei limiti di
emissione del rumore fissati dalle disposizioni normative in materia;
b) il reato di cui al comma primo dell'art. 659,
cod. pen., qualora il mestiere o l'attività vengano svolti eccedendo
dalle normali modalità di esercizio, ponendo così in essere una condotta
idonea a turbare la pubblica quiete;
c) il reato di cui al comma secondo dell'art. 659
cod. pen., qualora siano violate specifiche disposizioni di legge o
prescrizioni della Autorità che regolano l'esercizio del mestiere o
della attività, diverse da quelle relativa ai valori limite di emissione
sonore stabiliti in applicazione dei criteri di cui alla legge n. 447
del 1995.
Sulla base di tale chiarimento, la Suprema Corte ha escluso che
nella vicenda attenzionata - nella quale gli imputati erano stati
condannati penalmente per il reato previsto e punito dall’art. 659 del
codice penale perché quali utilizzatori di un locale da ballo
arrecavano molestie e disturbo alle occupazioni ed al riposo delle
persone residenti nelle immediate adiacenze dei predetto locali
diffondendo ad ora tarda musica ad alto volume, chiaramente udibile
anche all'esterno - si fosse in presenza di un mero superamento dei
limiti di legge fissati per le emissioni sonore, dovendosi così
escludere la possibile applicazione della I. n. 447 del 1995, art. 10.
In particolare, la ritenuta esclusione dell’illecito
amministrativo e, per contro, la ricorrenza della fattispecie penale è
risultata fondata sulla base delle dichiarazioni di tutti i vicini
residenti - che lamentavano l'impossibilità di riposare a causa di forti
rumori tutto l'arco della giornata fino alle 23 nonché di poter tenere
le finestre aperte, le quali - precisa la Corte - coniugate
all'accertamento tecnico espletato integrano il reato contestato.
Enrico Michetti
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lunedì 17 giugno 2019
Verbale guida in stato di ebbrezza senza tasso alcolemico
Se manca l’etilometro, come può la polizia stabilire se il conducente è ubriaco o ha bevuto oltre la soglia?
Immagina di essere uscito da una festa nel corso della quale hai bevuto più del dovuto. Non avendo trovato nessuno che ti accompagnasse a casa, hai deciso di metterti ugualmente al volante della tua auto. Il caso ha voluto però che, a pochi metri, ti abbia fermato una pattuglia della polizia, insospettita dalla traiettoria un po’ irregolare della tua guida. A quel punto, gli agenti ti hanno chiesto di scendere, ti hanno fatto camminare lungo la linea bianca al margine della strada e di alitare forte. Da questi sintomi hanno dedotto che tu fossi ubriaco, perciò, ti hanno multato. Non ti hanno contestato una semplice sanzione amministrativa, ma il reato di guida in stato di ebbrezza. Non avendo tuttavia eseguito la rilevazione con un etilometro, ti viene consegnato un verbale per guida in stato di ebbrezza senza tasso alcolemico. L’omessa indicazione di un dato così rilevante, a tuo avviso, costituisce motivo per ricorrere al giudice. È davvero così? Come fa la polizia a capire che sei ubriaco se non ti fa il test dell’alcol e non ha con sé il famoso “palloncino”? Insomma, è possibile accertare lo stato di ebbrezza senza strumenti elettronici, ma solo sulla base delle impressioni personali degli agenti e dei sintomi manifestati dal conducente? La questione è stata oggetto di una recente sentenza della Cassazione [1].
Immagina di essere uscito da una festa nel corso della quale hai bevuto più del dovuto. Non avendo trovato nessuno che ti accompagnasse a casa, hai deciso di metterti ugualmente al volante della tua auto. Il caso ha voluto però che, a pochi metri, ti abbia fermato una pattuglia della polizia, insospettita dalla traiettoria un po’ irregolare della tua guida. A quel punto, gli agenti ti hanno chiesto di scendere, ti hanno fatto camminare lungo la linea bianca al margine della strada e di alitare forte. Da questi sintomi hanno dedotto che tu fossi ubriaco, perciò, ti hanno multato. Non ti hanno contestato una semplice sanzione amministrativa, ma il reato di guida in stato di ebbrezza. Non avendo tuttavia eseguito la rilevazione con un etilometro, ti viene consegnato un verbale per guida in stato di ebbrezza senza tasso alcolemico. L’omessa indicazione di un dato così rilevante, a tuo avviso, costituisce motivo per ricorrere al giudice. È davvero così? Come fa la polizia a capire che sei ubriaco se non ti fa il test dell’alcol e non ha con sé il famoso “palloncino”? Insomma, è possibile accertare lo stato di ebbrezza senza strumenti elettronici, ma solo sulla base delle impressioni personali degli agenti e dei sintomi manifestati dal conducente? La questione è stata oggetto di una recente sentenza della Cassazione [1].
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La guida in stato di ebbrezza: le sanzioni
A seconda della quantità di alcol trovata nel sangue al conducente esistono tre diverse sanzioni per la guida in stato di ebbrezza. Le ricordiamo qui di seguito dalla meno grave alla più grave.
Guida in stato di ebbrezza: sanzione amministrativa
Se il tasso alcolemico oscilla tra 0,5 e 0,8g/l, si configura
solo un illecito amministrativo: il trasgressore è punito con una
sanzione pecuniaria che va da 532 a 2.127 euro; a ciò si aggiunge la sospensione della patente di guida
da tre a sei mesi. Non c’è quindi alcun processo penale né viene
“macchiata” la fedina penale. Le conseguenze sono le stesse, sul piano
amministrativo, di un divieto di sosta o di un autovelox.
Guida in stato di ebbrezza: sanzioni penali
Se, invece, il tasso alcolemico supera gli 0,8 g/l scatta il penale. Infatti, se il tasso rilevato si assesta tra 0,8 g/l e 1,5 g/l le sanzioni sono:
- ammenda da 800 a 3.200 euro (l’ammenda è aumentata da un terzo alla metà quando il reato è commesso dopo le ore ventidue e prima delle sette del mattino);
- arresto fino a sei mesi;
- sospensione della patente di guida da sei mesi a un anno.
Qualora il tasso alcolemico risulti addirittura superiore a 1,5 g/l, scatta:
- ammenda da 1.500 a 6.000 euro (anche in questo caso, aumentata da un terzo alla metà se il reato è commesso tra le ventidue e le sette del mattino);
- arresto da sei mesi a un anno;
- sospensione della patente di guida da uno a due anni (il periodo di sospensione va da due a quattro anni se il veicolo appartiene a persona estranea al reato).
Se il soggetto commette più violazioni nell’arco di due anni, la patente è revocata.
Accertamento guida in stato di ebbrezza in via sintomatica
La giurisprudenza ammette la possibilità di accertare la guida in stato di ebbrezza
anche senza l’etilometro. Del resto era ciò che avveniva quando non
esistevano ancora strumenti elettronici. In tale ipotesi, la verifica
avviene in via sintomatica, ossia sulla base dei sintomi
manifestati dal conducente. Quali sono questi indizi? È innanzitutto la
guida irregolare o una manovra imprudente a generare il primo sospetto;
sospetto che poi deve essere confermato da ulteriori elementi come alito vinoso, gli occhi rossi, il modo di parlare disconnesso, l’incapacità a stare in piedi o a camminare diritto,
la perdita del senso di orientamento. Tutti questi elementi possono,
quindi, portare la polizia – che non è munita di alcoltest – ad
accertare ugualmente la guida in stato di ebbrezza.
Diversamente, gli agenti potrebbero chiedere gli accertamenti
accompagnando il conducente presso la questura o la stazione dei
carabinieri, a condizione che non sia troppo distante, ove effettuare le
prove con gli strumenti elettronici.
In ultima analisi – il che succede in occasione degli incidenti
stradali, quando l’automobilista viene trasportato in ospedale – si
possono disporre le analisi del sangue da parte dei medici.
Quale sanzione se nel verbale guida in stato di ebbrezza non c’è il tasso alcolemico?
A questo punto, è stato posto un dubbio più che legittimo: se è vero che gli agenti possono accertare la guida in stato di ebbrezza
sulla base solo dei sintomi, in assenza di strumenti di precisione,
come faranno a comprendere in quale dei tre scaglioni si colloca il
responsabile? In buona sostanza, come fa la polizia a capire quanto
alcol c’è nel sangue e ad applicare la relativa sanzione?
Un principio del nostro diritto impone che, in assenza di prova
certa, non si può contestare un reato a nessuno. Così, per prudenza,
alcuni giudici ritengono che, in presenza di elementi sintomatici che
evidenzino lo stato di alterazione alcolica, gli agenti possono
contestare solo la prima delle tre violazioni: quella cioè con un volume
di alcol non superiore a 08 g/l. Siamo, quindi, nell’ambito della
semplice sanzione amministrativa e non nel penale.
Invece, nella sentenza in commento, la Cassazione ritiene che, se ben
motivata, la contestazione può anche arrivare a contestare la soglia
del reato, non importa se ciò avviene sulla base solo dei sintomi evidenziati dal conducente.
«Nell’ambito dell’accertamento del reato di guida in stato di
ebbrezza» si legge nella pronuncia in commento, la polizia e quindi
anche il «giudice, può ritenere sussistente lo stato di ebbrezza in
assenza di accertamento tecnico sulla base di altri elementi
sintomatici, previa congrua ed adeguata motivazione in tal senso».
«Non vi è motivo di ritenere che il nuovo sistema sanzionatorio
precluda in modo assoluto oggi al giudice di poter dimostrare
l’esistenza dello stato di ebbrezza sulla base di circostanze diverse
dall’esito degli accertamenti strumentali». L’esame strumentale non
costituisce, infatti, una prova legale; per cui il giudice può accertare
le varie ipotesi di reato della guida in stato di ebbrezza sulla base
di altri elementi sintomatici, ovviamente fornendo adeguata motivazione.
Tale situazione era pacificamente riscontrabile nel caso di specie dove
il personale medico dell’ospedale ha segnalato l’alterazione del senso di orientamento del ricorrente inducendo a ritenere che il grado di ebbrezza alcolica dell’uomo fosse superiore a quello consentito.
.laleggepertutti.it
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 5 marzo – 12 giugno 2019, n. 25385
Presidente Di Salvo – Relatore bruno
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza emessa in data 27/4/2018, la Corte di appello di
Bologna ha confermato la pronuncia del Tribunale di Piacenza con cui
P.A. , ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma
2, lett. b); comma 2-bis, era stato condannato alla pena di mesi tre di
arresto ed Euro 3000,00 di ammenda con sospensione della patente di
guida per anni uno, e fermo amministrativo del veicolo per giorni 180.
L’imputato, a cui era stata originariamente contestata la fattispecie di
cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), era fuoriuscito dalla sede
stradale con la propria auto andando ad impattare contro una vettura in
sosta e, successivamente, contro il guard-rail. Condotto in ospedale era
sottoposto ad esame ematico che accertava una concentrazione alcolica
nel sangue pari a 2,72 g/l. Il risultato di tali esami era tuttavia
dichiarato inutilizzabile dal Tribunale in quanto il ricorrente non era
stato avvertito della facoltà di farsi assistere da un difensore prima
di procedere all’accertamento del tasso alcolemico.
I Giudici di merito, anche in assenza di un accertamento strumentale,
ritenevano comunque di potere addebitare all’imputato la violazione
dell’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. b). Ciò in base alla dinamica
dell’incidente stradale occorso, alla sintomatologia rilevata dagli
agenti operanti giunti sul posto, ed alla diagnosi effettuata dai
sanitari dell’ospedale che, visitato l’imputato in pronto soccorso,
avevano constatato un sospetto stato di intossicazione acuta da alcol,
certificando le seguenti condizioni: “Orientamento spazio temporale
alterato, alitosi alcolica: presente, Altri segni o sintomi sospetti per
stato di intossicazione acuta da alcool o sostanze stupefacenti:
presenti; Presenta al momento della mia valutazione clinica, segni o
sintomi sospetti per uno stato di intossicazione acuta da alcool “.
2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per Cassazione
il P. , a mezzo del difensore, articolando tre motivi di doglianza.
Con il primo, ha dedotto violazione dell’art. 526 c.p.p. e vizio di
motivazione. Secondo la difesa la Corte di appello avrebbe restituito
valore all’accertamento del tasso alcolemico dichiarato inutilizzabile
dal primo Giudice, disinteressandosi dei motivi di appello ed insistendo
nel ritenere provata la ricorrenza della ipotesi di cui all’art. 186
C.d.S., lett. b).
Con il secondo motivo si duole della motivazione assunta dalla Corte
d’appello con riferimento alla valutazione della sintomatologia
osservata nel ricorrente.
In sede di impugnazione la difesa aveva richiamato il contenuto della
Tabella ministeriale descrittiva dei principali sintomi correlati ai
diversi livelli di concentrazione alcolemica (D.L. 3 agosto 2007, n.
117, art. 6 convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 2 ottobre
2007, n. 160, art. 1), rappresentando che le condizioni del P. ,
contrariamente a quanto si afferma in sentenza, erano inquadrabili nella
fascia che si colloca tra il penalmente irrilevante ed il mero illecito
amministrativo. Su tali argomentazioni la Corte di merito non si era
pronunciata, incorrendo in una omessa motivazione.
Con il terzo motivo, si duole del trattamento sanzionatorio irrogato e
della mancata concessione delle attenuanti generiche, rappresentando
che la Corte di appello – che non aveva fornito risposta alle
argomentazioni difensive – aveva incentrato la motivazione su una prova
dichiarata inutilizzabile dal primo giudice, facendo riferimento
all’elevatissimo tasso alcolemico.
Considerato in diritto
1. I motivi di doglianza risultano infondati, pertanto il ricorso deve essere rigettato.
2. I giudici di merito nelle due sentenze conformi, in mancanza di un
accertamento strumentale attestante il grado del tasso alcolemico e in
presenza di una sintomatologia apprezzata da personale medico del pronto
soccorso che ha constatato una sospetta condizione di intossicazione
alcolica, hanno ritenuto di affermare la responsabilità del ricorrente
in ordine al reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 1 e comma 2, lett.
b) e comma 2-bis.
L’orientamento più rigoroso della Corte di legittimità è nel senso di
escludere la possibilità di configurare le ipotesi di cui all’art. 186,
comma 2, lett. b) e c) in mancanza di uno specifico accertamento volto a
determinare il tasso alcolemico.
Si veda in proposito, ex multis, Sez. 4, sentenza n. 15705 del
20/02/2015 Rv. 263145 – 01, così massimata: “In tema di guida in stato
di ebbrezza, pur potendo lo stato di alterazione alcolica essere
accertato anche sulla base di elementi sintomatici, in mancanza di
alcoltest può ritenersi integrata esclusivamente la fattispecie meno
grave prevista dalla lett. a) dell’art. 186 C.d.S., comma 2, imponendosi
per le ipotesi aventi rilievo penale, di cui alle successive lett. b) e
c), la verifica tecnica dell’effettivo livello di alcool” (Massime
precedenti conformi: n. 22239 del 2014 Rv. 259214 – 01; n. 22241 del
2014 Rv. 259222 – 01; n. 36889 del 2014 Rv. 260298 – 01).
Nella motivazione della richiamata sentenza si legge: “Vale ricordare
che le ipotesi di guida in stato di ebbrezza previste rispettivamente
dall’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. a), b) e c), integrano fattispecie
autonome: si tratta di disposizioni in ordine crescente di gravità,
modellate sul tasso alcolemico accertato, che sono caratterizzate, tra
loro, da un rapporto di reciproca alternatività e, quindi, di
incompatibilità (cfr., tra le altre, Sezione 4, 11 febbraio 2010, Pmc.
gen. App. Bologna in proc. Nene). Ora, dopo il novum normativo
introdotto con la L. 29 luglio 2010, n. 120, art. 33, comma 4, non si
tratta più di diversi ipotesi di reato, perché l’ipotesi meno grave di
cui alla lett. a) tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8
grammi per litro è stata depenalizzata.
La dimostrazione circa la sussistenza dell’una o dell’altra ipotesi
presuppone il riscontro rappresentato dal tasso alcolemico. In un
sistema che non prevede l’utilizzazione di prove legali è certo ben
possibile ricavare l’esistenza dello stato di ebbrezza anche da elementi
sintomatici quali l’alito vinoso, l’eloquio sconnesso, l’andatura
barcollante, le modalità di guida o altre circostanze che possano far
fondatamente presumere l’esistenza dello stato indicato.
Ma, in mancanza dell’accertamento sul tasso alcolemico, se appunto il
giudice può formare il suo libero convincimento anche in base alle sole
circostanze sintomatiche riferite dagli agenti accerta tori, tale
possibilità deve circoscriversi alla sola fattispecie meno grave
prevista dall’art. 186, comma 2, lett. a), imponendosi, invece, per le
ipotesi più gravi (lett. b) e c) del citato comma 2) l’accertamento
tecnico del livello effettivo di alcool (tra le tante, Sezione 4, 5
febbraio 2009, PG in proc. Quintini)”.
Occorre tuttavia dare atto del diverso orientamento interpretativo, a
cui in questo caso si deve dare seguito, in considerazione della
peculiarità della concreta fattispecie, secondo il quale non vi è motivo
di ritenere che il nuovo sistema sanzionatorio precluda in modo
assoluto oggi al Giudice di poter dimostrare l’esistenza dello stato di
ebbrezza sulla base di circostanze diverse dall’esito degli accertamenti
strumentali (Sez. 4, n. 26562 del 26/05/2015, Bertoldo, Rv. 263876;
Sez. 4, n. 22241 del 26/02/2014, Addabbo, Rv. 259222; Sez. 4, n. 22239
del 29/01/2014, Politanò, Rv. 259214; Sez. 4, n. 43017 del 12/10/2011,
Rizzo, Rv. 251004).
La ratio di tale diverso orientamento trae spunto dalla
considerazione che l’esame strumentale non rappresenta una prova legale
e, pertanto, il giudice può, dagli elementi sintomatici, ritenere
accertate le ipotesi di reato di cui all’art. 186 C.d.S. (“Nel reato di
guida in stato di ebbrezza, poiché l’esame strumentale non costituisce
una prova legale, l’accertamento della concentrazione alcolica può
avvenire in base ad elementi sintomatici per tutte le ipotesi di reato
previste dall’art. 186 C.d.S.” (così Sez. 4, n. 26562 del 26/05/2015,
Rv. 263876 – 01).
Naturalmente in tali casi deve esperirsi una valutazione particolarmente attenta e prudente dei sintomi dell’agente.
Ebbene, come ha correttamente sostenuto la Corte territoriale, i
sintomi accertati sulla persona del ricorrente da personale medico, tra i
quali viene segnalata l’alterazione del senso di orientamento, inducono
a ritenere in maniera logica che il grado di ebbrezza alcolica
raggiunto dal P. fosse superiore a quello previsto nella lettera a)
dell’art. 186 C.d.S..
L’argomentazione in base alla quale la condizione del ricorrente
troverebbe corrispondenza nei sintomi rappresentati nella Tabella
ministeriale di cui al D.L. n. 117 del 2008, art. 6, nella fascia che si
colloca tra il penalmente irrilevante ed il mero illecito
amministrativo, non è conferente. Essa contraddice il contenuto della
certificazione sanitaria in cui, come si è detto prima, si certifica la
sospetta intossicazione acuta da alcol e si attesta una condizione di
disorientamento spazio-temporale.
3. Gli ulteriori motivi di ricorso risultano parimenti infondati.
In ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti
generiche, la Corte di merito ha affermato di condividere la scelta del
primo Giudice di negare l’invocato beneficio, in considerazione dei
precedenti annoverati dal P. , della circostanza dell’avere cagionato un
sinistro stradale e dell’elevatissimo tasso alcolemico rilevato sulla
sua persona. Orbene, pure volendo epurare tali valutazioni dal richiamo
all’elevatissimo tasso alcolemico (essendo stato il certificato di
analisi dichiarato inutilizzabile), risulta sufficientemente argomentata
la decisione di negare le circostanze attenuanti generiche. La
motivazione risulta conforme ai principi delineati da questa Corte di
legittimità secondo i quali “Nel motivare il diniego della concessione
delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in
considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle
parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia
riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo
tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione” (così, ex
multis, Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
In ordine alla lamentata eccessività del trattamento sanzionatorio,
deve rilevarsi che il Giudice ha adempiuto adeguatamente all’obbligo
motivazionale, evidenziando gli elementi ritenuti rilevanti ai fini
dell’individuazione della pena irrogata, secondo i parametri indicati
dall’art. 133 c.p., riconducibili alla gravità del fatto ed alla
negativa personalità dei suo autore.
La dosimetria della pena è questione rimessa al prudente
apprezzamento del Giudice di merito. In base al principio normativamente
codificato all’art. 132 c.p., il quantum della pena da infliggersi, nei
limiti della legge, è compito affidato esclusivamente alla valutazione
discrezionale del Giudice, che deve compiere tale scelta in base ai
parametri di cui all’art. 133 c.p., indicando i motivi che la
giustificano.
Trattandosi di una potestà interamente affidata alla discrezionalità
del Giudice, il controllo sulla corretta applicazione della legge può
essere esercitato soltanto sulla motivazione che sorregge la decisione,
la quale deve risultare immune da vizi logici. Ne discende che è
inammissibile la censura che, nel giudizio di Cassazione, miri ad una
nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non
sia frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico (Sez. 5, n.
5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142).
4. Al rigetto del ricorso consegue a condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
domenica 16 giugno 2019
Detenzione di materiale pornografico
PERSONALITÀ INDIVIDUALE (REATI CONTRO LA –ARTT. 600-604)
CP Art. 600 quater
Detenzione di materiale pornografico
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - SENTENZA 10 giugno 2019, n.25558MASSIMA
A seguito delle modifiche legislative di cui alla L. n. 38 del 2006, il reato di cui all’art. 600-quater c.p. può configurarsi con due condotte: il procurarsi ed il detenere. Detiene il materiale pedopornografico colui che in precedenza se l’è procurato. Non v’è dubbio che le due forme con cui può manifestarsi detenere ed il procurarsi, anche se sembrano tra loro alternative, hanno tuttavia un elemento comune che è costituito dalla detenzione sia pure momentanea del materiale pedopornografico in capo a colui che se lo procura. Non si tratta di due reati diversi, ma di due diverse modalità di perpetrazione del medesimo reato e quindi le due condotte non possono concorrere tra di loro.
CASUS DECISUS
Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Bergamo, previa dichiarazione di non doversi procedere in relazione al reato di cui all’art. 600 ter c.p. e del reato di cui all’art. 600 quater c.p. i limitatamente alla detenzione del materiale rinvenuto sull’hard disk, esclusa la circostanza aggravante dell’ingente quantità, ha ridotto la pena inflitta a L.W., nella misura di mesi tre e giorni 10 di reclusione ed Euro 800,00 di multa, in relazione al reato di cui all’art. 600-quater comma 1 c.p., per la detenzione di materiale pedopornografico contenuta su 3 CD e un file video contenuto in altro CD. Avverso la sentenza il difensore dell’imputato ha depositato due distinti ricorsi per cassazione.
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - SENTENZA 10 giugno 2019, n.25558 - Pres. Liberati – est. Gai
Ritenuto in fatto
1. Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Bergamo, previa dichiarazione di non doversi procedere in relazione al reato di cui all’art. 600 ter c.p. (capo 1) e del reato di cui all’art. 600 quater c.p. i limitatamente alla detenzione del materiale rinvenuto sull’hard disk, esclusa la circostanza aggravante dell’ingente quantità, ha ridotto la pena inflitta a L.W. , nella misura di mesi tre e giorni 10 di reclusione ed Euro 800,00 di multa, in relazione al reato di cui all’art. 600-quater comma 1 c.p., per la detenzione di materiale pedopornografico contenuta su 3 CD e un file video contenuto in altro CD. Fatto accertato il (omissis) .
2. Avverso la sentenza il difensore dell’imputato ha depositato due distinti ricorsi per cassazione (dep. il 21/09/2015 e 31/08/2018), aventi motivi del tutto sovrapponibili, e ne ha chiesto l’annullaments deducendo i motivi qui enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione come dispone l’art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla prescrizione dei reati. Secondo il ricorrente, per tutte le imputazioni elevate all’imputato sarebbe già maturata la prescrizione del reato di detenzione di materiale pedopornografico, prima della pronuncia della sentenza in grado di appello. Anche per la residua imputazione di detenzione del materiale pedopornografico, di cui all’art. 600 quater c.p., comma 1, relativa al contenuto dei tre CD e del video contenuto in altro CD, in assenza di conoscenza della creazione dei supporti informatici, trattandosi sicuramente di realizzazione in data antecedente a quella di accertamento, per il principio del favor rei sarebbe maturata la prescrizione del reato.
2.2. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla prova della minore età dei soggetti raffigurati nei supporti informatici e coinvolti in attività sessuali. Rigetto della richiesta di perizia per stabilire l’età delle persone coinvolte. Rileva il ricorrente di avere chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato subordinato all’espletamento di una perizia, volta a stabilire l’età dei soggetti raffigurati nelle immagini, istanza rigettata dal giudice del merito con violazione dell’art. 438 c.p.p. e art. 111 Cost.. La motivazione della sentenza in punto prova della minore età sarebbe illogica, fondata sulla mera apparenza di 'evidenza' della minore età.
Non sarebbe provato l’elemento materiale del reato, in quanto il mero scaricamento dalla rete delle immagini non integrerebbe il reato, mancherebbe la prova della finalità di divulgazione e distribuzione, anche carente sarebbe l’elemento soggettivo del dolo, non ricavabile dalla mera detenzione del materiale pedopornografico.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, in violazione degli artt. 132 e 133 c.p..
3. Il Procuratore generale ha chiesto l’annullamento senza rinvio per prescrizione.
Considerato in diritto
4. - I ricorsi, aventi motivi del tutto identici, sono inammissibili perché contengono censure manifestamente infondate e/o generiche.
5.- Va, anzitutto, rilevo che la censura devoluta nel primo motivo di entrambi i ricorsi, con cui si sostiene la prescrizione del reato di detenzione di materiale pedopornografico di cui all’art. 609 quater c.p., in relazione al contenuto dei tre CD e del video contenuto in altro CD, è manifestamente infondata.
Osserva, il Collegio, che, all’indomani delle modifiche legislative di cui alla L. n. 38 del 2006, il reato di cui all’art. 600-quater c.p. può configurarsi con due condotte: il procurarsi ed il detenere.
Prima della riforma, la norma puniva le condotte, tra loro alternative, del procurarsi, che implica qualsiasi modalità di procacciamento compresa la via telematica, e del disporre, che implica un concetto più ampio della detenzione, allo scopo di rendere la norma sicuramente applicabile anche al possesso di immagini pedopornografiche ottenute mediante l’accesso a siti internet opportunamente protetti. Tutte le attività, telematiche o non, idonee a fare ottenere il materiale pedopornografico al detentore integravano la nozione del procurarsi.
Ora la fattispecie prevede due modalità della condotta e segnatamente il procurarsi e il detenere. Detiene il materiale pedopornografico colui che in precedenza se l’è procurato. Non v’è dubbio che le due forme con cui può manifestarsi detenere ed il procurarsi, anche se sembrano tra loro alternative, hanno tuttavia un elemento comune che è costituito dalla detenzione sia pure momentanea del materiale pedopornografico in capo a colui che se lo procura.
Dai principi dianzi esposti, emerge che non si tratta di due reati diversi, ma di due diverse modalità di perpetrazione del medesimo reato e quindi le due condotte non possono concorrere tra di loro. Esse hanno un elemento comune, che è costituito dalla disponibilità ossia dalla detenzione del materiale pedopornografico. La condotta di procurarsi si consuma al momento dell’accesso sulla rete mentre quelle di detenzione ha carattere permanente e si consuma nel momento in cui perde la disponibilità - di norma - con il sequestro. Invero, il comportamento di colui il quale, dopo essersi procurato materiale pedopornografico, lo detiene, configura un reato commissivo permanente la cui consumazione inizia con il procacciamento del materiale e si perpetua per tutto il tempo in cui permane in capo all’agente la disponibilità del materiale e, quindi, l’illiceità della condotta (Sez. 3, n. 38221 del 25/05/2017, F., Rv. 270994 - 01; Sez. 3, n. 15719 del 23/02/2016, Belloni, Rv. 266581).
Nel caso in esame, il reato si è consumato al momento dell’accertamento e del sequestro avvenuto il 10/04/2008, momento nel quale è cessata la permanenza, a nulla rileva stabilire, come ritiene il ricorrente, il momento nel quale i file sarebbe stati scaricati, momento che rileverebbe nel caso di contestazione, ma non rileva nel caso de quo, di procacciamento. Tenuto conto del termine di cui agli artt. 157 - 161 c.p.p., la prescrizione del reato è maturata al 10/10/2015, in epoca successiva alla pronuncia della sentenza in grado di appello.
Ora, rammenta il Collegio che, in presenza di un ricorso inammissibile, è preclusa la dichiarazione di prescrizione del reato maturato dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello (Sez. 5, n. 15599 del 19/11/2014, Zagarella, Rv. 263119). Un ricorso per cassazione inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione, 'non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p.' (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv 217266; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricomi).
6. Tale è il ricorso con riguardo agli altri motivi che sono inammissibili per manifesta infondatezza/genericità.
Di carattere prettamente fattuale, è il secondo motivo di ricorso con cui si censura la condanna dell’imputato per la detenzione del materiale pedopornografico. Ed invero, oltre a riprodurre le medesime argomentazioni già esposte dinanzi ai giudici di merito, e da quei giudici vagliate e correttamente disattese, la censura in punto affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 600 quater c.p., più che volta a denunciare vizi riconducibili al disposto di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), mira a sollecitare nuovamente una valutazione alternativa delle risultanze processuali non praticabile in questa sede (S.U. n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv 226074).
La motivazione della sentenza di appello, a sostegno della affermazione della responsabilità, non presta il fianco a censure di illogicità e/o contraddittorietà.
La Corte d’appello ha, infatti, espressamente richiamato la sentenza di primo grado che, sul punto affermazione della responsabilità, aveva accertato la detenzione del suddetto materiale, rinvenuto in casa dell’imputato su supporti informatici (CD), dallo stesso scaricato dalla rete e masterizzato su detti supporti. In tale ambito, i giudici del merito hanno chiarito, in modo congruo, che, attraverso indagini di natura tecnica (cfr. pag. 2 sentenza Tribunale), la p.g. operante aveva dapprima accertato la condivisione di alcuni files pedopornografici del CD da parte di utenti connessi attraverso un server italiano, utenti tra cui compariva l’indirizzo IP 87.4.88.198, che risultava intestato al ricorrente, accertamento che si completava con il sequestro, presso la di lui abitazione, del materiale scambiato e detenuto sui supporti informatici di cui si è detto. Quanto al contenuto, alcun dubbio sulla natura pedopornografica delle immagini che ritraevano minori in pose che mettevano in evidenza le parti intime ed erano intenti ad intrattenere rapporti sessuali con adulti (consulenza tecnica G. ).
Il percorso logico attraverso il quale i Giudici del merito sono pervenuti all’affermazione della responsabilità è pertanto immune da vizio logico ed è conforme a diritto. A fronte di ciò il ricorrente sollecita una diversa ricostruzione dei fatti, non consentita in questa sede, e, per altro verso, non si confronta direttamente e specificatamente con il ragionamento dei giudici del merito che hanno ritenuto provata la detenzione sul rilievo del rinvenimento del materiale contenuti nei CD, materiale che proveniva da file di condivisione attraverso internet, e, in punto accertamento della minore età dei soggetti ritratti, argomentata sulla scorta di quanto emerso dalla consulenza, giudizio di fatto che non appare manifestamente infondato.
Manifestamente infondato è l’ulteriore profilo di censura con riguardo al rigetto della richiesta di perizia, avanzata dall’imputato in sede di richiesta di giudizio abbreviato condizionato, respinto dal giudice, a cui aveva fatto seguito la richiesta di essere giudicato con il rito abbreviato 'secco', sicché non può ora dolersi, il ricorrente, a fronte della scelta di essere giudicato ex art. 438 c.p.p., comma 1, del mancato espletamento della perizia per accertare l’età dei soggetti ritratti.
Quanto al profilo del dolo del reato, esso è, parimenti manifestamente infondato, sul rilievo che, stante la natura di dolo generico, Sez. 3, n. 40437 del 17/01/2018, A, Rv. 274059 - 01), la prova del dolo del reato di detenzione di materiale pedopornografico, di cui all’art. 600-quater c.p., può desumersi dal solo fatto che quanto scaricato sia stato collocato in supporti informatici diversi (Sez. 3, n. 48175 del 15/09/2017, B., Rv. 271150 - 01), non essendo necessaria la finalità di divulgazione. L’imputato deteneva in materiale in contestazione su supporti informatici scaricati dalla rete internet mediante programmi di condivisione.
7. Di carattere generico è il motivo sul trattamento sanzionatorio, lamentandosi genericamente la violazione degli artt. 132 e 133 c.p. e il vizio di motivazione.
Deve rammentarsi che l’obbligo della motivazione in ordine alla entità della pena irrogata deve ritenersi sufficientemente osservato qualora il giudice dichiari di ritenere 'adeguata' o 'congrua' o 'equa' la misura della pena applicata o ritenuta applicabile nel caso concreto, la scelta di tali termini, infatti, è sufficiente a far ritenere che il giudice abbia tenuto conto, intuitivamente e globalmente, di tutti gli elementi previsti dall’art. 133 c.p., principio che deve essere riaffermato nel caso in cui, come quello in esame, la misura della pena irrogata è stata esplicitamente applicata in misura sotto la media edittale che consente di ritenere adeguata la motivazione mediante richiamo ad espressioni del tipo 'pena congrua', 'pena equa' o 'congruo aumento', come pure il richiamo alla gravita del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv 256197; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, Pasquali, Rv. 258356). La determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 c.p..
A tali principi si è attenuta la Corte d’appello che, tenuto conto dei limiti edittali (reclusione fino a tre anni), ha ritenuto congrua la pena base di mesi sette e giorni 15 di reclusione e Euro 1.800,00, pena certamente al di sotto della mediana, ridotta per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche a mesi cinque di reclusione e Euro 1.200 di multa e ridotta per effetto della diminuente del rito abbreviato, alla pena di mesi tre e giorni 10 di reclusione e Euro 800 di multa.
8.- Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza 'versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità', si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
CP Art. 600 quater
Detenzione di materiale pornografico
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - SENTENZA 10 giugno 2019, n.25558MASSIMA
A seguito delle modifiche legislative di cui alla L. n. 38 del 2006, il reato di cui all’art. 600-quater c.p. può configurarsi con due condotte: il procurarsi ed il detenere. Detiene il materiale pedopornografico colui che in precedenza se l’è procurato. Non v’è dubbio che le due forme con cui può manifestarsi detenere ed il procurarsi, anche se sembrano tra loro alternative, hanno tuttavia un elemento comune che è costituito dalla detenzione sia pure momentanea del materiale pedopornografico in capo a colui che se lo procura. Non si tratta di due reati diversi, ma di due diverse modalità di perpetrazione del medesimo reato e quindi le due condotte non possono concorrere tra di loro.
CASUS DECISUS
Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Bergamo, previa dichiarazione di non doversi procedere in relazione al reato di cui all’art. 600 ter c.p. e del reato di cui all’art. 600 quater c.p. i limitatamente alla detenzione del materiale rinvenuto sull’hard disk, esclusa la circostanza aggravante dell’ingente quantità, ha ridotto la pena inflitta a L.W., nella misura di mesi tre e giorni 10 di reclusione ed Euro 800,00 di multa, in relazione al reato di cui all’art. 600-quater comma 1 c.p., per la detenzione di materiale pedopornografico contenuta su 3 CD e un file video contenuto in altro CD. Avverso la sentenza il difensore dell’imputato ha depositato due distinti ricorsi per cassazione.
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - SENTENZA 10 giugno 2019, n.25558 - Pres. Liberati – est. Gai
Ritenuto in fatto
1. Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Bergamo, previa dichiarazione di non doversi procedere in relazione al reato di cui all’art. 600 ter c.p. (capo 1) e del reato di cui all’art. 600 quater c.p. i limitatamente alla detenzione del materiale rinvenuto sull’hard disk, esclusa la circostanza aggravante dell’ingente quantità, ha ridotto la pena inflitta a L.W. , nella misura di mesi tre e giorni 10 di reclusione ed Euro 800,00 di multa, in relazione al reato di cui all’art. 600-quater comma 1 c.p., per la detenzione di materiale pedopornografico contenuta su 3 CD e un file video contenuto in altro CD. Fatto accertato il (omissis) .
2. Avverso la sentenza il difensore dell’imputato ha depositato due distinti ricorsi per cassazione (dep. il 21/09/2015 e 31/08/2018), aventi motivi del tutto sovrapponibili, e ne ha chiesto l’annullaments deducendo i motivi qui enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione come dispone l’art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla prescrizione dei reati. Secondo il ricorrente, per tutte le imputazioni elevate all’imputato sarebbe già maturata la prescrizione del reato di detenzione di materiale pedopornografico, prima della pronuncia della sentenza in grado di appello. Anche per la residua imputazione di detenzione del materiale pedopornografico, di cui all’art. 600 quater c.p., comma 1, relativa al contenuto dei tre CD e del video contenuto in altro CD, in assenza di conoscenza della creazione dei supporti informatici, trattandosi sicuramente di realizzazione in data antecedente a quella di accertamento, per il principio del favor rei sarebbe maturata la prescrizione del reato.
2.2. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla prova della minore età dei soggetti raffigurati nei supporti informatici e coinvolti in attività sessuali. Rigetto della richiesta di perizia per stabilire l’età delle persone coinvolte. Rileva il ricorrente di avere chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato subordinato all’espletamento di una perizia, volta a stabilire l’età dei soggetti raffigurati nelle immagini, istanza rigettata dal giudice del merito con violazione dell’art. 438 c.p.p. e art. 111 Cost.. La motivazione della sentenza in punto prova della minore età sarebbe illogica, fondata sulla mera apparenza di 'evidenza' della minore età.
Non sarebbe provato l’elemento materiale del reato, in quanto il mero scaricamento dalla rete delle immagini non integrerebbe il reato, mancherebbe la prova della finalità di divulgazione e distribuzione, anche carente sarebbe l’elemento soggettivo del dolo, non ricavabile dalla mera detenzione del materiale pedopornografico.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, in violazione degli artt. 132 e 133 c.p..
3. Il Procuratore generale ha chiesto l’annullamento senza rinvio per prescrizione.
Considerato in diritto
4. - I ricorsi, aventi motivi del tutto identici, sono inammissibili perché contengono censure manifestamente infondate e/o generiche.
5.- Va, anzitutto, rilevo che la censura devoluta nel primo motivo di entrambi i ricorsi, con cui si sostiene la prescrizione del reato di detenzione di materiale pedopornografico di cui all’art. 609 quater c.p., in relazione al contenuto dei tre CD e del video contenuto in altro CD, è manifestamente infondata.
Osserva, il Collegio, che, all’indomani delle modifiche legislative di cui alla L. n. 38 del 2006, il reato di cui all’art. 600-quater c.p. può configurarsi con due condotte: il procurarsi ed il detenere.
Prima della riforma, la norma puniva le condotte, tra loro alternative, del procurarsi, che implica qualsiasi modalità di procacciamento compresa la via telematica, e del disporre, che implica un concetto più ampio della detenzione, allo scopo di rendere la norma sicuramente applicabile anche al possesso di immagini pedopornografiche ottenute mediante l’accesso a siti internet opportunamente protetti. Tutte le attività, telematiche o non, idonee a fare ottenere il materiale pedopornografico al detentore integravano la nozione del procurarsi.
Ora la fattispecie prevede due modalità della condotta e segnatamente il procurarsi e il detenere. Detiene il materiale pedopornografico colui che in precedenza se l’è procurato. Non v’è dubbio che le due forme con cui può manifestarsi detenere ed il procurarsi, anche se sembrano tra loro alternative, hanno tuttavia un elemento comune che è costituito dalla detenzione sia pure momentanea del materiale pedopornografico in capo a colui che se lo procura.
Dai principi dianzi esposti, emerge che non si tratta di due reati diversi, ma di due diverse modalità di perpetrazione del medesimo reato e quindi le due condotte non possono concorrere tra di loro. Esse hanno un elemento comune, che è costituito dalla disponibilità ossia dalla detenzione del materiale pedopornografico. La condotta di procurarsi si consuma al momento dell’accesso sulla rete mentre quelle di detenzione ha carattere permanente e si consuma nel momento in cui perde la disponibilità - di norma - con il sequestro. Invero, il comportamento di colui il quale, dopo essersi procurato materiale pedopornografico, lo detiene, configura un reato commissivo permanente la cui consumazione inizia con il procacciamento del materiale e si perpetua per tutto il tempo in cui permane in capo all’agente la disponibilità del materiale e, quindi, l’illiceità della condotta (Sez. 3, n. 38221 del 25/05/2017, F., Rv. 270994 - 01; Sez. 3, n. 15719 del 23/02/2016, Belloni, Rv. 266581).
Nel caso in esame, il reato si è consumato al momento dell’accertamento e del sequestro avvenuto il 10/04/2008, momento nel quale è cessata la permanenza, a nulla rileva stabilire, come ritiene il ricorrente, il momento nel quale i file sarebbe stati scaricati, momento che rileverebbe nel caso di contestazione, ma non rileva nel caso de quo, di procacciamento. Tenuto conto del termine di cui agli artt. 157 - 161 c.p.p., la prescrizione del reato è maturata al 10/10/2015, in epoca successiva alla pronuncia della sentenza in grado di appello.
Ora, rammenta il Collegio che, in presenza di un ricorso inammissibile, è preclusa la dichiarazione di prescrizione del reato maturato dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello (Sez. 5, n. 15599 del 19/11/2014, Zagarella, Rv. 263119). Un ricorso per cassazione inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione, 'non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p.' (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv 217266; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricomi).
6. Tale è il ricorso con riguardo agli altri motivi che sono inammissibili per manifesta infondatezza/genericità.
Di carattere prettamente fattuale, è il secondo motivo di ricorso con cui si censura la condanna dell’imputato per la detenzione del materiale pedopornografico. Ed invero, oltre a riprodurre le medesime argomentazioni già esposte dinanzi ai giudici di merito, e da quei giudici vagliate e correttamente disattese, la censura in punto affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 600 quater c.p., più che volta a denunciare vizi riconducibili al disposto di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), mira a sollecitare nuovamente una valutazione alternativa delle risultanze processuali non praticabile in questa sede (S.U. n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv 226074).
La motivazione della sentenza di appello, a sostegno della affermazione della responsabilità, non presta il fianco a censure di illogicità e/o contraddittorietà.
La Corte d’appello ha, infatti, espressamente richiamato la sentenza di primo grado che, sul punto affermazione della responsabilità, aveva accertato la detenzione del suddetto materiale, rinvenuto in casa dell’imputato su supporti informatici (CD), dallo stesso scaricato dalla rete e masterizzato su detti supporti. In tale ambito, i giudici del merito hanno chiarito, in modo congruo, che, attraverso indagini di natura tecnica (cfr. pag. 2 sentenza Tribunale), la p.g. operante aveva dapprima accertato la condivisione di alcuni files pedopornografici del CD da parte di utenti connessi attraverso un server italiano, utenti tra cui compariva l’indirizzo IP 87.4.88.198, che risultava intestato al ricorrente, accertamento che si completava con il sequestro, presso la di lui abitazione, del materiale scambiato e detenuto sui supporti informatici di cui si è detto. Quanto al contenuto, alcun dubbio sulla natura pedopornografica delle immagini che ritraevano minori in pose che mettevano in evidenza le parti intime ed erano intenti ad intrattenere rapporti sessuali con adulti (consulenza tecnica G. ).
Il percorso logico attraverso il quale i Giudici del merito sono pervenuti all’affermazione della responsabilità è pertanto immune da vizio logico ed è conforme a diritto. A fronte di ciò il ricorrente sollecita una diversa ricostruzione dei fatti, non consentita in questa sede, e, per altro verso, non si confronta direttamente e specificatamente con il ragionamento dei giudici del merito che hanno ritenuto provata la detenzione sul rilievo del rinvenimento del materiale contenuti nei CD, materiale che proveniva da file di condivisione attraverso internet, e, in punto accertamento della minore età dei soggetti ritratti, argomentata sulla scorta di quanto emerso dalla consulenza, giudizio di fatto che non appare manifestamente infondato.
Manifestamente infondato è l’ulteriore profilo di censura con riguardo al rigetto della richiesta di perizia, avanzata dall’imputato in sede di richiesta di giudizio abbreviato condizionato, respinto dal giudice, a cui aveva fatto seguito la richiesta di essere giudicato con il rito abbreviato 'secco', sicché non può ora dolersi, il ricorrente, a fronte della scelta di essere giudicato ex art. 438 c.p.p., comma 1, del mancato espletamento della perizia per accertare l’età dei soggetti ritratti.
Quanto al profilo del dolo del reato, esso è, parimenti manifestamente infondato, sul rilievo che, stante la natura di dolo generico, Sez. 3, n. 40437 del 17/01/2018, A, Rv. 274059 - 01), la prova del dolo del reato di detenzione di materiale pedopornografico, di cui all’art. 600-quater c.p., può desumersi dal solo fatto che quanto scaricato sia stato collocato in supporti informatici diversi (Sez. 3, n. 48175 del 15/09/2017, B., Rv. 271150 - 01), non essendo necessaria la finalità di divulgazione. L’imputato deteneva in materiale in contestazione su supporti informatici scaricati dalla rete internet mediante programmi di condivisione.
7. Di carattere generico è il motivo sul trattamento sanzionatorio, lamentandosi genericamente la violazione degli artt. 132 e 133 c.p. e il vizio di motivazione.
Deve rammentarsi che l’obbligo della motivazione in ordine alla entità della pena irrogata deve ritenersi sufficientemente osservato qualora il giudice dichiari di ritenere 'adeguata' o 'congrua' o 'equa' la misura della pena applicata o ritenuta applicabile nel caso concreto, la scelta di tali termini, infatti, è sufficiente a far ritenere che il giudice abbia tenuto conto, intuitivamente e globalmente, di tutti gli elementi previsti dall’art. 133 c.p., principio che deve essere riaffermato nel caso in cui, come quello in esame, la misura della pena irrogata è stata esplicitamente applicata in misura sotto la media edittale che consente di ritenere adeguata la motivazione mediante richiamo ad espressioni del tipo 'pena congrua', 'pena equa' o 'congruo aumento', come pure il richiamo alla gravita del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv 256197; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, Pasquali, Rv. 258356). La determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 c.p..
A tali principi si è attenuta la Corte d’appello che, tenuto conto dei limiti edittali (reclusione fino a tre anni), ha ritenuto congrua la pena base di mesi sette e giorni 15 di reclusione e Euro 1.800,00, pena certamente al di sotto della mediana, ridotta per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche a mesi cinque di reclusione e Euro 1.200 di multa e ridotta per effetto della diminuente del rito abbreviato, alla pena di mesi tre e giorni 10 di reclusione e Euro 800 di multa.
8.- Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza 'versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità', si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
neldiritto.it
La falsa firma su un verbale dei Carabinieri non integra un falso innocuo
FEDE PUBBLICA (REATI CONTRO LA -ARTT. 453- 498 C.P.)
CP Art. 476
CP Art. 476
Lombardia, del. n. 153 – Polizia municipale: cessazione dal servizio per mobilità
Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla possibilità di procedere con l’assunzione mediante procedura concorsuale di un agente di Polizia Locale, in sostituzione di altro presente in dotazione organica ed in uscita per mobilità nel corso del 2019.
I magistrati contabili della Lombardia con la deliberazione 153/2019, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 6 maggio, hanno evidenziato che l’articolo 35 bis del d.l. 113/2018 ha ampliato, esclusivamente per il personale appartenente alla Polizia municipale, il limite di spesa per il 2019, introducendo il parametro della stessa spesa sostenuta per il medesimo personale nel 2016, sul presupposto che tale riferimento temporale possa essere considerato maggiormente favorevole.
Nulla, invece, è stato disposto, in relazione alla normativa (articolo 14, comma 7, del d.l. 95/2012) relativa al turn over conseguente al reclutamento di personale derivante da mobilità volontaria, il quale, com’è noto, risulta essere irrilevante e “neutro” non costituendo, ai fini del calcolo della capacità assunzionale, né nuova assunzione per l’ente ricevente, né cessazione per l’ente cedente: quest’ultimo, infatti, potrà sostituire tale unità soltanto ricorrendo, a sua volta, ad un’analoga procedura di mobilità in entrata.
Leggi la deliberazione
CC Sez. Controllo Lombardia del. n. 153 – 19
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I magistrati contabili della Lombardia con la deliberazione 153/2019, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 6 maggio, hanno evidenziato che l’articolo 35 bis del d.l. 113/2018 ha ampliato, esclusivamente per il personale appartenente alla Polizia municipale, il limite di spesa per il 2019, introducendo il parametro della stessa spesa sostenuta per il medesimo personale nel 2016, sul presupposto che tale riferimento temporale possa essere considerato maggiormente favorevole.
Nulla, invece, è stato disposto, in relazione alla normativa (articolo 14, comma 7, del d.l. 95/2012) relativa al turn over conseguente al reclutamento di personale derivante da mobilità volontaria, il quale, com’è noto, risulta essere irrilevante e “neutro” non costituendo, ai fini del calcolo della capacità assunzionale, né nuova assunzione per l’ente ricevente, né cessazione per l’ente cedente: quest’ultimo, infatti, potrà sostituire tale unità soltanto ricorrendo, a sua volta, ad un’analoga procedura di mobilità in entrata.
Leggi la deliberazione
CC Sez. Controllo Lombardia del. n. 153 – 19
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Veneto, del. n. 118 – Personale impiegato nel controllo delle violazioni dei limiti di velocità
Un sindaco ha chiesto se, con riguardo alle prescrizioni di cui al comma 12-bis della citata normativa, ai fini della corretta quantificazione della quota del 50% dei proventi derivanti dall’accertamento delle violazioni dei limiti massimi di velocità rilevati con apparecchi elettronici sia corretto detrarre da tale quota, oltre alle spese connesse al rilevamento, all’accertamento e alla notifica della violazione, ed a quelle successive relative alla riscossione della sanzione, anche quelle relative alle spese del personale impiegato nella specifica attività di controllo e di accertamento delle violazioni, comprese le attività svolte dal personale amministrativo interno.
I magistrati contabili del Veneto con la deliberazione 118/2019, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 3 giugno, hanno richiamato il principio espresso dalla sezione Autonomie con la deliberazione n. 1/2019 secondo cui “Ai fini della corretta quantificazione della quota del 50% dei proventi derivanti dall’accertamento delle violazioni dei limiti massimi di velocità, di cui all’art. 142, comma 12-bis del d.lgs. n. 285/1992, attribuita all’ente da cui dipende l’organo accertatore, non devono essere detratte le spese per il personale impiegato nella specifica attività di controllo e di accertamento delle violazioni, le spese connesse al rilevamento, all’accertamento e alla notifica delle stesse e quelle successive relative alla riscossione della sanzione”.
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CC Sez. Controllo Veneto del. n. 118 – 19
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I magistrati contabili del Veneto con la deliberazione 118/2019, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo il 3 giugno, hanno richiamato il principio espresso dalla sezione Autonomie con la deliberazione n. 1/2019 secondo cui “Ai fini della corretta quantificazione della quota del 50% dei proventi derivanti dall’accertamento delle violazioni dei limiti massimi di velocità, di cui all’art. 142, comma 12-bis del d.lgs. n. 285/1992, attribuita all’ente da cui dipende l’organo accertatore, non devono essere detratte le spese per il personale impiegato nella specifica attività di controllo e di accertamento delle violazioni, le spese connesse al rilevamento, all’accertamento e alla notifica delle stesse e quelle successive relative alla riscossione della sanzione”.
Leggi la deliberazione
CC Sez. Controllo Veneto del. n. 118 – 19
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Piemonte, del. n. 50 – Assunzioni di polizia municipale nell’anno 2019
Un sindaco ha chiesto un parere in merito alla corretta interpretazione dell’articolo 35 bis del d.l. 113/2018, disciplinante le facoltà assunzionali per il personale di polizia municipale.
I magistrati contabili del Piemonte con la deliberazione 50/2019, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo l’11 giugno, hanno ricordato che tale disposizione ha ampliato, esclusivamente per il personale appartenente alla Polizia municipale, il limite di spesa per il 2019, introducendo il parametro della stessa spesa sostenuta per il medesimo personale nel 2016 (sez. Lombardia, del n. 153/2019).
Il fatto che tale budget sia espresso in termini di valore assoluto di spesa (2016) e non di percentuale di turn over (nella fattispecie di fatto sarebbe il 100% rispetto al 2016) non implica che vengano a modificarsi i criteri di definizione del turn over stesso e in definitiva il significato ormai consolidato di cessazioni dal servizio quale risparmio utile per definire la disponibilità finanziaria da destinare alle assunzioni (sez. Lombardia, del. n. 52/2019 e n. 83/2019).
Leggi la deliberazione
CC Sez. Controllo Piemonte del. n. 50 – 19
I magistrati contabili del Piemonte con la deliberazione 50/2019, pubblicata sul sito della sezione regionale di controllo l’11 giugno, hanno ricordato che tale disposizione ha ampliato, esclusivamente per il personale appartenente alla Polizia municipale, il limite di spesa per il 2019, introducendo il parametro della stessa spesa sostenuta per il medesimo personale nel 2016 (sez. Lombardia, del n. 153/2019).
Il fatto che tale budget sia espresso in termini di valore assoluto di spesa (2016) e non di percentuale di turn over (nella fattispecie di fatto sarebbe il 100% rispetto al 2016) non implica che vengano a modificarsi i criteri di definizione del turn over stesso e in definitiva il significato ormai consolidato di cessazioni dal servizio quale risparmio utile per definire la disponibilità finanziaria da destinare alle assunzioni (sez. Lombardia, del. n. 52/2019 e n. 83/2019).
Leggi la deliberazione
CC Sez. Controllo Piemonte del. n. 50 – 19
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sabato 15 giugno 2019
Limitazione all'afflusso e alla circolazione dei veicoli a motore per l'anno 2019 sull'isola di Ischia e sulle isole eolie
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
DECRETO 24 maggio 2019
Modifica del decreto 8 aprile 2019, concernente la limitazione all'afflusso e alla circolazione dei veicoli a motore per l'anno 2019 sull'isola di Ischia. (19A03898) (GU Serie Generale n.138 del 14-06-2019)
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
DECRETO 24 maggio 2019
Limitazione all'afflusso e alla circolazione dei veicoli a motore per l'anno 2019 sulle isole Eolie. (19A03899) (GU Serie Generale n.138 del 14-06-2019)
DECRETO 24 maggio 2019
Modifica del decreto 8 aprile 2019, concernente la limitazione all'afflusso e alla circolazione dei veicoli a motore per l'anno 2019 sull'isola di Ischia. (19A03898) (GU Serie Generale n.138 del 14-06-2019)
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
DECRETO 24 maggio 2019
Limitazione all'afflusso e alla circolazione dei veicoli a motore per l'anno 2019 sulle isole Eolie. (19A03899) (GU Serie Generale n.138 del 14-06-2019)
Certificati medici attestanti l'idoneita' psicofisica dei conducenti di veicoli a motore
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 28 marzo 2019, n. 54
Regolamento recante modifica dell'articolo 331 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, concernente i certificati medici attestanti l'idoneita' psicofisica dei conducenti di veicoli a motore. (19G00061) (GU Serie Generale n.138 del 14-06-2019)
note: Entrata in vigore del provvedimento: 01/06/2019
Regolamento recante modifica dell'articolo 331 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, concernente i certificati medici attestanti l'idoneita' psicofisica dei conducenti di veicoli a motore. (19G00061) (GU Serie Generale n.138 del 14-06-2019)
note: Entrata in vigore del provvedimento: 01/06/2019
IL PRESIDENTE DELLA
REPUBBLICA
Visto l'articolo 87, quinto comma, della
Costituzione;
Visto l'articolo 17, comma 1, della legge 23
agosto 1988, n. 400;
Vista la legge 13 giugno 1991, n. 190,
recante la delega al Governo
per la
revisione delle norme
concernenti la disciplina
della
circolazione
stradale e, in particolare, l'articolo 3;
Visto il decreto legislativo 30 aprile
1992, n.
285, recante il
nuovo codice della
strada, e, in particolare, gli articoli 119 e 121,
concernenti,
rispettivamente, i requisiti fisici e
psichici per il
conseguimento e la
conferma di validita' della patente di
guida e
l'esame di
idoneita' per il conseguimento della patente di guida;
Visto il decreto legislativo 30 giugno
2003, n.
196, recante il
codice in materia
di protezione dei dati personali,
come modificato
dal decreto
legislativo 10 agosto 2018, n. 101;
Visto il decreto legislativo 7 marzo 2005, n.
82, recante il codice
dell'amministrazione
digitale, e, in particolare, il Capo II, Sezione
I;
Vista la legge 29 luglio 2010, n.
120, recante Disposizioni
in materia di
sicurezza stradale e, in particolare,
l'articolo 21, in materia di rinnovo
di validita' della patente di guida;
Visto il
decreto legislativo 18
aprile 2011, n.
59, recante attuazione delle
direttive 2006/126/CE e 2009/113/CE
concernenti la patente di guida e,
in particolare, l'allegato
III concernente i requisiti minimi di
idoneita' fisica e mentale per la guida
di un veicolo a motore;
Visto il decreto del Presidente della
Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, recante il
regolamento di esecuzione e attuazione
del nuovo codice della
strada, e, in particolare, l'articolo 331 e
i relativi modelli di
certificazione sanitaria IV-4, IV-5
e IV-6 allegati
al Titolo IV, Parte
II, del regolamento medesimo;
Considerata
la necessita' di
dare seguito alle
disposizioni previste dal citato codice
dell'amministrazione
digitale, che prevedono la
progressiva digitalizzazione dei procedimenti, anche al
fine di
favorire il loro
processo di dematerializzazione, con conseguente
riduzione dei termini di conclusione dei
procedimenti e della
documentazione in formato cartaceo;
Considerata la necessita' di tutelare
la riservatezza dei
dati sanitari contenuti
nei documenti attestanti
l'idoneita' psicofisica alla guida dei
conducenti di veicoli a motore;
Considerato, altresi', necessario
informatizzare la procedura per il rilascio delle
patenti di guida in sede di
conseguimento della stessa ovvero in
caso di rilascio di duplicato nonche' di rinnovo di validita' e,
conseguentemente, prevedere un
unico modello di trasmissione del
giudizio di idoneita' psicofisica del conducente di veicolo a
motore, anziche' i
suindicati tre diversi
modelli di certificazione
sanitaria;
Ritenuto,
pertanto, di dover
uniformare l'applicazione del richiamato articolo
331 del decreto del Presidente
della Repubblica n. 495 del 1992
alle disposizioni del
codice dell'amministrazione digitale,
prediligendo la trasmissione in via
telematica dell'esito della visita medica
per il rilascio della
patente di guida
agli uffici del
Dipartimento per i trasporti, la navigazione,
gli affari generali ed il
personale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
Acquisito
il parere del
Garante per la
protezione dei dati personali, espresso
nella riunione del 15 febbraio 2018; Vista la preliminare deliberazione
del Consiglio dei
ministri, adottata nella
riunione del 25 ottobre 2018;
Udito il parere del Consiglio
di Stato espresso
dalla sezione consultiva per gli
atti normativi nell'adunanza del 20 dicembre 2018; Vista la deliberazione del Consiglio dei
ministri, adottata nella riunione del 20
marzo 2019;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio
dei ministri e del Ministro delle infrastrutture
e dei trasporti di
concerto con il Ministro della
salute;
Emana
il seguente
regolamento:
Art. 1
Modifiche all’articolo 331 del decreto
del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495
1. L'articolo
331 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, è
sostituito dal seguente:
«Art. 331 (Art. 119 cod. sta.)
(Attestazione dei requisiti di idoneità psicofisica alla guida di veicoli
a motore).
- 1.L'attestazione
del possesso dei requisiti di idoneità
psicofisica necessari per il rilascio della patente di guida è
comunicata per via telematica,
dal sanitario o dalla commissione
medica locale di cui all'articolo 119 del codice, al
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
secondo le modalità
stabilite con decreto
del Ministero delle
infrastrutture e dei
trasporti, adottato previo parere del Garante della protezione
dei dati personali, e deve essere conforme al modello informatizzato di
cui all'Allegato IV.4,
al Titolo IV - Parte II.
2. Se il
medico accertatore ritiene non sussistenti i requisiti di idoneità per il rilascio o la conferma di validità
della patente di guida o di una delle categorie cui essa si riferisce,
ovvero ritiene necessario imporre
al richiedente specifiche
prescrizioni o adattamenti,
ovvero ancora prevede una conferma
di validità del documento per un termine inferiore a
quello ordinariamente previsto dall'articolo 126
del codice, rilascia
all'interessato un'attestazione adeguatamente motivata avverso la quale è ammesso ricorso nei modi consentiti
dall'ordinamento.».
Art. 2
Modifiche dei modelli dei
certificati medici
1. Il modello di certificato medico
IV.4, allegato al Titolo IV, Parte II, del decreto del Presidente della Repubblica
16 dicembre 1992, n. 495, è sostituito da
quello allegato al presente regolamento.
2. I modelli di certificati medici
IV.5 e IV.6, allegati al Titolo IV, Parte II, del decreto del Presidente della
Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, sono abrogati.
Art. 3
Disposizioni
finali
1. Le disposizioni del presente regolamento
si applicano dal 1° giugno 2019.
Il presente decreto, munito del
sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi
della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di
farlo osservare.
Dato a Roma, addi' 28 marzo 2019
MATTARELLA
Conte, Presidente del Consiglio dei
ministri
Toninelli, Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti
Grillo,
Ministro della salute
Visto, il Guardasigilli: Bonafede
Registrato alla Corte dei conti il 7 maggio 2019
Ufficio controllo atti Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare, reg. n. 1, foglio n.973.
Modello IV. 4 Art. 331
RELAZIONE MEDICA PER IL RILASCIO E LA CONFERMA DI VALIDITA’ DELLA
PATENTE DI
GUIDA
Parte di provvedimento
in formato grafico
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