martedì 17 marzo 2015

Silenzio-assenso e diniego tardivo -Distribuzione carburanti: impianti “ghost” senza limiti .Da www.infocommercio.it







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Una società ha presentato istanza di apertura per una media struttura di vendita non alimentare. Il Comune, dopo l’avvio del procedimento e la convocazione di una conferenza di servizi, ha lasciato trascorrere i novanta giorni previsti per la conclusione dell’iter e il rilascio del titolo senza formalizzare alcun atto. Solo alcuni mesi dopo è intervenuta una comunicazione di preavviso di rigetto ai sensi dell’art. 10-bis l. n. 241/90, a seguito della quale però, non è stato adottato il definitivo diniego. Successivamente, il ramo d’azienda costituito dalla media struttura veniva ceduto ad altra società, che presentava comunicazione all’apertura per subingresso nell’autorizzazione tacitamente accordata. Il Comune lasciava trascorrere i sessanta giorni previsti dall’art. 19 l. n. 241/90 per i controlli senza emettere alcun divieto di prosecuzione dell’attività, mentre il provvedimento di diniego sull’iniziale domanda di autorizzazione veniva adottato a distanza di un anno dalla presentazione. A fondamento, il Comune ha sostenuto che la destinazione commerciale non sarebbe urbanisticamente compatibile con le previsioni delle N.T.A. del P.R.G. per l’area interessata.
Il T.A.R. Lombardia, nella sentenza n. 521/2015, ha rilevato come in realtà sulla domanda si sia formato il silenzio-assenso previsto dall’art. 8 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114. Non è apparsa condivisibile la tesi del Comune, secondo cui per la corretta formazione del silenzio-assenso non basta l’infruttuoso decorso dei termini, ma occorre anche la presenza di tutti gli elementi richiesti dalla legge per il rilascio del titolo abilitativo. Se così fosse, risulterebbe vanificata l’utilità dell’istituto del silenzio-assenso, per il perfezionamento del quale è sufficiente il decorso del termine di legge. Per il Collegio milanese, il silenzio-assenso “risponde ad una valutazione legale tipica in forza della quale l’inerzia “equivale” a provvedimento di accoglimento”. Gli effetti della fattispecie sono sottoposti al medesimo regime dell’atto amministrativo, per cui ove sussistono i requisiti di formazione del silenzio-assenso, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche con riguardo ad una domanda non conforme a legge.
Inoltre, ritenere invece che il silenzio-assenso sia produttivo di effetti solo nel caso in cui sussistano tutti gli elementi della fattispecie sostanziale, significa convertire gli elementi essenziali al perfezionamento del silenzio in requisiti di validità.
Nella vicenda della media struttura, elementi essenziali sono la presentazione della relativa istanza nei termini e secondo le indicazioni di legge. Sul fronte dei requisiti di validità si colloca invece la conformità alle prescrizioni urbanistiche, edilizie e di viarie.
Anche a seguito del silenzio-assenso e alla formazione del conseguente  provvedimento tacito, l’Amministrazione potrà sempre intervenire in autotutela per disporne l’annullamento.
Secondo il T.A.R., “il diniego esplicito, sopravvenuto alla formazione del silenzio-assenso, non può considerarsi atto inesistente, ma atto che si sostituisce all’assenso tacito, quale ulteriore rinnovata espressione del potere di cui l'amministrazione era e rimane titolare” quanto meno in via di autotutela, per l’appunto.
Ma perché possa legittimamente esercitarsi il potere di autotutela, anche se solo contro una fattispecie formatasi per semplice decorso del termine, occorre che si presentino tutti i presupposti richiesti dalla legge, tanto sul piano del necessario scambio partecipativo, quanto in riferimento alla sussistenza di un interesse pubblico prevalente.
L’emissione di un mero diniego tardivo, sprovvisto di ogni valutazione motivazionale, non si configura come legittima manifestazione del potere di autotutela.
E’ stato dunque annullato il diniego tardivo espresso dal Comune in quanto fondato su ragioni di incompatibilità urbanistica emerse tardivamente, dopo che il silenzio-assenso si era già formato.
I restanti motivi sono stati ritenuti assorbiti, stante la valenza satisfattiva delle considerazioni espresse più sopra. Per completezza, il T.A.R. non manca di richiamare l’evoluzione della propria giurisprudenza sui vincoli non proporzionati o non giustificati (sentenza n. 2271/2013) in applicazione della recente normativa sulle liberalizzazioni (d. lgs. n. 59/2010; d.l. n. 201/2011 art. 31) e della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 38/2013). (Michele Deodati)






Distribuzione carburanti: impianti “ghost” senza limiti

La sentenza del Consiglio di Stato n. 931 del 25 febbraio 2015, si occupa di impianti di distribuzione carburanti “ghost”, cioè dotati di sistema di erogazione a self-service senza presenza del gestore. Quello degli impianti non presidiati è un tema che si inserisce nel più ampio dibattito in ordine alla liberalizzazione dei punti vendita dei carburanti, da sempre terreno di scontro tra ordinamento comunitario, nazionale e regionale. Basti pensare che i primi interventi di regolazione del settore (l. n. 1034/70, D.P.R. n. 1269/71), consideravano quest’attività un vero e proprio “servizio pubblico”, oggetto di provvedimento concessorio dello Stato nei confronti dei privati.
Con il successivo decreto n. 32/98, anche se il regime concessiorio ha ceduto il passo all’autorizzazione, veniva ribadito l’impianto programmatorio fortemente vincolistico. Si è inoltre cercato di ridurre il numero dei punti vendita per consolidare la solidità finanziaria media di ciascuno, a scapito delle realtà marginali. Questo comportamento ha provocato la reazione della Commissione europea, che ha avviato una procedura di infrazione ai danni dello Stato italiano (2004/4365). Anche l’Autorità Antitrust, con la Segnalazione n. 453/2008, era intervenuta per auspicare una liberalizzazione del settore che eliminasse limiti di distanza fra esercizi, contingenti numerici, divieti per le attività non-oil. La liberalizzazione è poi arrivata con la l. n. 133/2008, ma anche dopo questo intervento sono rimaste alcune sacche di resistenza ancora presenti nella normativa regionale.
La sentenza n. 931/2015 del Consiglio di Stato, si occupa proprio di un caso in cui vincoli e restrizioni presenti nella regolamentazione locale sono stati alla base di una serie di provvedimenti interdittivi preordinati ad imporre il requisito della presenza del gestore in un impianto di distribuzione carburanti attrezzato con sistema di pre-pagamento. In sede d’appello, il Collegio romano ha disatteso le conclusioni a cui era giunto il Giudice di primo grado, ritenendo che né i (…) regolamenti regionali, ne le leggi regionali che li hanno autorizzati, né il d.lgs. n. 32 del 1998 hanno introdotto, nell’ordinamento nazionale ed in quello regionale di riferimento, un divieto esplicito di gestione automatica degli impianti di distribuzione carburante senza personale”. A questa considerazione, il Collegio perviene facendo leva innanzitutto sull’obbligo di interpretazione conforme o adeguatrice che grava sul giudice nazionale, che si sostanzia nel dovere di quest’ultimo di utilizzare, fra le chiavi di interpretazione del diritto nazionale, quella che consenta di attribuirgli un significato conforme o almeno compatibile con il diritto europeo. Per altro verso, il Consiglio di Stato ha attinto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, che con la sentenza 11 marzo 2010, n. 384/08, (Attanasio Group), ha avuto modo di valutare severamente la disciplina interna sulla distribuzione dei carburanti, assumendo, in particolare, che non sono applicabili motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare la permanenza di restrizioni alla concorrenza. I limiti rinvenibili nella normativa italiana a tutela della salute, dell’ambiente e della sicurezza stradale non sono stati ritenuti adeguati e proporzionati, posto che si applicano solo ai nuovi impianti di distribuzione e non a quelli preesistenti. I controlli per la tutela dei su indicati interessi pubblici possono essere efficacemente demandati al concreto riscontro dell’autorità competente, senza inadeguate limitazioni generali basate sul calcolo delle distanze. La tutela dei consumatori, identificata nella “razionalizzazione del servizio reso agli utenti della rete distributiva”, costituisce un motivo economico e non un motivo imperativo di interesse generale e si rivela, sul piano pratico, un espediente per favorire gli operatori già presenti sul territorio. Su questa ultima conclusione si è assestata anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. V, 27 aprile 2012, n. 2456; Sez. V, 23 maggio 2011, n. 3084).
La successiva evoluzione normativa in materia di impianti non presidiati estende sempre di più i margini di insediabilità per gli impianti “ghost”. L’art. 28, comma 7, d.l. n. 98/2011, convertito in l. n. 111/2011, ha stabilito una sostanziale liberalizzazione di tali impianti, indicando che Nel rispetto delle norme di circolazione stradale, presso gli impianti stradali di distribuzione carburanti, ovunque siano ubicati, non possono essere posti vincoli o limitazioni all'utilizzo continuativo, anche senza assistenza, delle apparecchiature per la modalità di rifornimento senza servizio con pagamento anticipato”. L’inciso “ovunque siano ubicati” è stato introdotto dall’ancor più recente l. n. 161/2014 (Legge europea 2013-bis), mentre in precedenza era necessario verificare la collocazione al di fuori dei centri abitati. (Michele Deodati)