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Una società ha presentato istanza di
apertura per una media struttura di vendita non alimentare. Il Comune,
dopo l’avvio del procedimento e la convocazione di una conferenza di
servizi, ha lasciato trascorrere i novanta giorni previsti per la
conclusione dell’iter e il rilascio del titolo senza formalizzare alcun
atto. Solo alcuni mesi dopo è intervenuta una comunicazione di preavviso
di rigetto ai sensi dell’art. 10-bis l. n. 241/90, a seguito della
quale però, non è stato adottato il definitivo diniego. Successivamente,
il ramo d’azienda costituito dalla media struttura veniva ceduto ad
altra società, che presentava comunicazione all’apertura per subingresso
nell’autorizzazione tacitamente accordata. Il Comune lasciava
trascorrere i sessanta giorni previsti dall’art. 19 l. n. 241/90 per i
controlli senza emettere alcun divieto di prosecuzione dell’attività,
mentre il provvedimento di diniego sull’iniziale domanda di
autorizzazione veniva adottato a distanza di un anno dalla
presentazione. A fondamento, il Comune ha sostenuto che la destinazione
commerciale non sarebbe urbanisticamente compatibile con le previsioni
delle N.T.A. del P.R.G. per l’area interessata.
Il T.A.R. Lombardia, nella sentenza n.
521/2015, ha rilevato come in realtà sulla domanda si sia formato il
silenzio-assenso previsto dall’art. 8 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114.
Non è apparsa condivisibile la tesi del Comune, secondo cui per la
corretta formazione del silenzio-assenso non basta l’infruttuoso decorso
dei termini, ma occorre anche la presenza di tutti gli elementi
richiesti dalla legge per il rilascio del titolo abilitativo. Se così
fosse, risulterebbe vanificata l’utilità dell’istituto del
silenzio-assenso, per il perfezionamento del quale è sufficiente il
decorso del termine di legge. Per il Collegio milanese, il
silenzio-assenso “risponde ad una valutazione legale tipica in forza della quale l’inerzia “equivale” a provvedimento di accoglimento”.
Gli effetti della fattispecie sono sottoposti al medesimo regime
dell’atto amministrativo, per cui ove sussistono i requisiti di
formazione del silenzio-assenso, il titolo abilitativo può perfezionarsi
anche con riguardo ad una domanda non conforme a legge.
Inoltre, ritenere invece che il
silenzio-assenso sia produttivo di effetti solo nel caso in cui
sussistano tutti gli elementi della fattispecie sostanziale, significa
convertire gli elementi essenziali al perfezionamento del silenzio in
requisiti di validità.
Nella vicenda della media struttura,
elementi essenziali sono la presentazione della relativa istanza nei
termini e secondo le indicazioni di legge. Sul fronte dei requisiti di
validità si colloca invece la conformità alle prescrizioni urbanistiche,
edilizie e di viarie.
Anche a seguito del silenzio-assenso e
alla formazione del conseguente provvedimento tacito, l’Amministrazione
potrà sempre intervenire in autotutela per disporne l’annullamento.
Secondo il T.A.R., “il diniego
esplicito, sopravvenuto alla formazione del silenzio-assenso, non può
considerarsi atto inesistente, ma atto che si sostituisce all’assenso
tacito, quale ulteriore rinnovata espressione del potere di cui
l'amministrazione era e rimane titolare” quanto meno in via di autotutela, per l’appunto.
Ma perché possa legittimamente
esercitarsi il potere di autotutela, anche se solo contro una
fattispecie formatasi per semplice decorso del termine, occorre che si
presentino tutti i presupposti richiesti dalla legge, tanto sul piano
del necessario scambio partecipativo, quanto in riferimento alla
sussistenza di un interesse pubblico prevalente.
L’emissione di un mero diniego tardivo,
sprovvisto di ogni valutazione motivazionale, non si configura come
legittima manifestazione del potere di autotutela.
E’ stato dunque annullato il diniego
tardivo espresso dal Comune in quanto fondato su ragioni di
incompatibilità urbanistica emerse tardivamente, dopo che il
silenzio-assenso si era già formato.
I restanti motivi sono stati ritenuti
assorbiti, stante la valenza satisfattiva delle considerazioni espresse
più sopra. Per completezza, il T.A.R. non manca di richiamare
l’evoluzione della propria giurisprudenza sui vincoli non proporzionati o
non giustificati (sentenza n. 2271/2013) in applicazione della recente
normativa sulle liberalizzazioni (d. lgs. n. 59/2010; d.l. n. 201/2011
art. 31) e della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 38/2013). (Michele Deodati)
Distribuzione carburanti: impianti “ghost” senza limiti
La sentenza
del Consiglio di Stato n. 931 del 25 febbraio 2015, si occupa di
impianti di distribuzione carburanti “ghost”, cioè dotati di sistema di
erogazione a self-service senza presenza del gestore. Quello degli
impianti non presidiati è un tema che si inserisce nel più ampio
dibattito in ordine alla liberalizzazione dei punti vendita dei
carburanti, da sempre terreno di scontro tra ordinamento comunitario,
nazionale e regionale. Basti pensare che i primi interventi di
regolazione del settore (l. n. 1034/70, D.P.R. n. 1269/71),
consideravano quest’attività un vero e proprio “servizio pubblico”,
oggetto di provvedimento concessorio dello Stato nei confronti dei
privati.
Con il
successivo decreto n. 32/98, anche se il regime concessiorio ha ceduto
il passo all’autorizzazione, veniva ribadito l’impianto programmatorio
fortemente vincolistico. Si è inoltre cercato di ridurre il numero dei
punti vendita per consolidare la solidità finanziaria media di ciascuno,
a scapito delle realtà marginali. Questo comportamento ha provocato la
reazione della Commissione europea, che ha avviato una procedura di
infrazione ai danni dello Stato italiano (2004/4365). Anche l’Autorità
Antitrust, con la Segnalazione n. 453/2008, era intervenuta per
auspicare una liberalizzazione del settore che eliminasse limiti di
distanza fra esercizi, contingenti numerici, divieti per le attività non-oil.
La liberalizzazione è poi arrivata con la l. n. 133/2008, ma anche dopo
questo intervento sono rimaste alcune sacche di resistenza ancora
presenti nella normativa regionale.
La sentenza n.
931/2015 del Consiglio di Stato, si occupa proprio di un caso in cui
vincoli e restrizioni presenti nella regolamentazione locale sono stati
alla base di una serie di provvedimenti interdittivi preordinati ad
imporre il requisito della presenza del gestore in un impianto di
distribuzione carburanti attrezzato con sistema di pre-pagamento. In
sede d’appello, il Collegio romano ha disatteso le conclusioni a cui era
giunto il Giudice di primo grado, ritenendo che “né i (…)
regolamenti regionali, ne le leggi regionali che li hanno autorizzati,
né il d.lgs. n. 32 del 1998 hanno introdotto, nell’ordinamento nazionale
ed in quello regionale di riferimento, un divieto esplicito di gestione
automatica degli impianti di distribuzione carburante senza personale”.
A questa considerazione, il Collegio perviene facendo leva
innanzitutto sull’obbligo di interpretazione conforme o adeguatrice che
grava sul giudice nazionale, che si sostanzia nel dovere di quest’ultimo
di utilizzare, fra le chiavi di interpretazione del diritto nazionale,
quella che consenta di attribuirgli un significato conforme o almeno
compatibile con il diritto europeo. Per altro verso, il Consiglio di
Stato ha attinto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia
dell’Unione europea, che con la sentenza 11 marzo 2010, n. 384/08,
(Attanasio Group), ha avuto modo di valutare severamente la disciplina
interna sulla distribuzione dei carburanti, assumendo, in particolare,
che non sono applicabili motivi imperativi di interesse generale idonei a
giustificare la permanenza di restrizioni alla concorrenza. I limiti
rinvenibili nella normativa italiana a tutela della salute,
dell’ambiente e della sicurezza stradale non sono stati ritenuti
adeguati e proporzionati, posto che si applicano solo ai nuovi impianti
di distribuzione e non a quelli preesistenti. I controlli per la tutela
dei su indicati interessi pubblici possono essere efficacemente
demandati al concreto riscontro dell’autorità competente, senza
inadeguate limitazioni generali basate sul calcolo delle distanze. La
tutela dei consumatori, identificata nella “razionalizzazione del
servizio reso agli utenti della rete distributiva”, costituisce un
motivo economico e non un motivo imperativo di interesse generale e si
rivela, sul piano pratico, un espediente per favorire gli operatori già
presenti sul territorio. Su questa ultima conclusione si è assestata
anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. V, 27 aprile 2012,
n. 2456; Sez. V, 23 maggio 2011, n. 3084).
La successiva
evoluzione normativa in materia di impianti non presidiati estende
sempre di più i margini di insediabilità per gli impianti “ghost”.
L’art. 28, comma 7, d.l. n. 98/2011, convertito in l. n. 111/2011, ha
stabilito una sostanziale liberalizzazione di tali impianti, indicando
che “Nel rispetto delle norme di circolazione stradale,
presso gli impianti stradali di distribuzione carburanti, ovunque siano
ubicati, non possono essere posti vincoli o limitazioni all'utilizzo
continuativo, anche senza assistenza, delle apparecchiature per la
modalità di rifornimento senza servizio con pagamento anticipato”. L’inciso
“ovunque siano ubicati” è stato introdotto dall’ancor più recente l. n.
161/2014 (Legge europea 2013-bis), mentre in precedenza era necessario
verificare la collocazione al di fuori dei centri abitati. (Michele Deodati)