LIBERTÀ MORALE (REATI CONTRO LA –ARTT. 610-613)
CP Art. 610
Non integra il reato di violenza privata l’installazione di telecamere su strada pubblica
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - SENTENZA 13 maggio 2019, n.20527MASSIMA
Nel delitto di violenza privata è tutelata la libertà psichica dell'individuo pregiudicata da qualsiasi mezzo idoneo a comprimere la libertà di autodeterminazione e di azione della persona offesa. Ne consegue che non è integrato il reato de quo in caso di installazione di sistemi di videosorveglianza con riprese del pubblico transito che implichino condizionamenti minimi tali da non potersi considerare espressivi di una significativa costrizione della libertà di autodeterminazione.
CASUS DECISUS
Il Tribunale di Chieti dichiarava due soggetti colpevoli del reato di violenza privata consistita nell'installare sul muro perimetrale delle rispettive abitazioni telecamere a snodo telecomandabile per ripresa visiva e sonora, orientate su zone e aree aperte al pubblico transito, costringendo gli abitanti della zona, e in particolare le costituite parti civili, a tollerare di essere costantemente osservati e controllati nell'espletamento delle loro attività lavorative e nei loro movimenti. La penale responsabilità veniva confermata dalla Corte di Appello di L'Aquila; pertanto gli imputati ricorrevano in Cassazione, denunciando, tra gli altri motivi, violazione di legge in merito alla configurabilità del reato di violenza privata.
PRECEDENTI
Conforme Difforme
Cass., Sez. U, n. 2437 del 18/12/2008 - dep. 21/01/2009, Giulini, in motivazione) ( Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016 c.c., Rv. 268405
ANNOTAZIONE
Nella sentenza in epigrafe viene sottoposta all’attenzione della Suprema Corte una vicenda relativa all’installazione di videocamere e conseguente ripresa su strada pubblica di attività quotidiane di determinati soggetti passanti su quella strada. In particolare, viene chiesto ai giudici di legittimità se tale installazione possa integrare il reato di violenza privata a carico degli installatori per aver costretto gli abitanti della zona a tollerare di essere costantemente osservati e controllati nell'espletamento delle loro attività lavorative e nei loro movimenti. Ritiene il Collegio di dare risposta negativa al predetto quesito sulla base più ordini di considerazioni. La Corte evidenzia che nel delitto di violenza privata è tutelata la libertà psichica dell'individuo e la fattispecie criminosa ha carattere generico e sussidiario rispetto ad altre figure in cui la violenza alle persone è elemento costitutivo del reato, sicché, esso reprime genericamente fatti di coercizione non espressamente considerati da altre norme di legge, e, per consolidato orientamento di legittimità, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a comprimere la libertà di autodeterminazione e di azione della persona offesa. Ciò posto, proseguono i giudici, l'installazione di sistemi di videosorveglianza con riprese del pubblico transito non costituisce in sé un'attività illecita, né lo sono le concrete modalità di attuazione della condotta descritta in imputazione, e neppure è ravvisabile, nel prospettato cambiamento di abitudini che si sarebbe registrato da parte di alcuni abitanti - con l'individuare percorsi alternativi per rientrate in casa, o altre aree di sosta dei veicoli, per sottrarsi alle riprese delle telecamere in questione - l'offesa al bene giuridico protetto dalla norma di cui all'art. 610 cod.pen., trattandosi di condizionamenti minimi indotti dalle condotte de quibus, tali da non potersi considerare espressivi di una significativa costrizione della libertà di autodeterminazione. Il Collegio osserva altresì, che la risposta negativa al predetto quesito è indotta anche dalla dell'accreditata ermeneusi di questa Corte secondo cui non può ritenersi integrato il reato di cui all'art. 610 cod.pen. laddove non sia ravvisabile, per le caratteristiche dell'azione, una costrizione a tollerare alcunché di ulteriore e diverso dalla condotta che già sia integrativa di altre fattispecie di reato. Come hanno puntualizzato le Sezioni Unite, l'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 610 cod. pen., è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l'effetto di costringere taluno a fare, tollerare, od omettere una determinata cosa; la condotta violenta o minacciosa «deve atteggiarsi alla stregua di mezzo destinato a realizzare un evento ulteriore: vale a dire la costrizione della vittima a fare, tollerare od omettere qualche cosa; deve dunque trattarsi di "qualcosa" di diverso dal "fatto" in cui si esprime la violenza», sicché «la coincidenza tra violenza» - e, può aggiungersi, minaccia - «ed evento di "costrizione a tollerare" rende tecnicamente impossibile la configurabilità del delitto di cui all'art. 610 cod. pen.». Non è configurabile, cioè, il delitto di violenza privata allorquando gli atti di violenza non siano diretti a costringere la vittima ad un "pati", ma siano essi stessi produttivi dell'effetto lesivo, senza alcuna fase intermedia di coartazione della libertà di determinazione della persona offesa. E, allora, anche a volere ritenere integrata, nell'istallazione delle telecamere e nella connessa videoripresa, una violenza "cd. impropria", è di tutta evidenza che l'azione (installazione delle telecamere) ha conseguito immediatamente il suo effetto (ripresa delle attività svolte nella pubblica via dagli abitanti della zona) senza che vi sia stata alcuna fase intermedia e distinta di coartazione della libertà di determinazione delle persone offese, introdotta qui solo attraverso una evidente forzatura dialettica, volta a scindere l'atto di asserita violenza (installazione delle telecamere) dal suo effetto (ripresa video), per cogliere nel secondo l'atto coartato della vittima.
TESTO DELLA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - SENTENZA 13 maggio 2019, n.20527 - Pres. Zaza – est. Belmonte
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Chieti dichiarava MA. PA. e SE. ME. colpevoli del reato di violenza privata consistita nell'installare sul muro perimetrale delle rispettive abitazioni telecamere a snodo telecomandabile per ripresa visiva e sonora, orientate su zone e aree aperte al pubblico transito, costringendo gli abitanti della zona , e in particolare le costituite parti civili, a tollerare di essere costantemente osservati e controllati nell'espletamento delle loro attività lavorative e nei loro movimenti; controlli che venivano poi puntualmente riferiti e utilizzati strumentalmente per rimarcare la commissione di presunti illeciti che sarebbero stati perseguiti mediante esposti e denunce effettivamente poi inoltrati alle competenti autorità di P.S.. Il giudice di primo grado condannava, quindi, i due imputati, alla pena di anni uno di reclusione, ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali, e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili (Ma. Ie., Ma. Di Bo., An. De Be., Ro. Di Pe., Ga. Ma.), liquidato equitativamente in Euro 1000 cadauno, e alla refusione, in loro favore, delle spese processuali, con la confisca e la distruzione dei reperti.
2. La Corte di Appello di L'Aquila, sull'impugnazione degli imputati, riformava solo per il trattamento sanzionatorio, rideterminando la pena in mesi sei di reclusione ciascuno, la sentenza del Tribunale, confermandola per il resto, con l'ulteriore condanna alla refusione delle spese del grado in favore delle parti civili.
3. Avverso la sentenza della Corte di Appello hanno proposto ricorso I entrambi gli imputati con il ministero dei rispettivi difensori.
4. Il difensore di Se. Me. articola cinque motivi.
4.1. Con i primi tre motivi, sulla premessa che i giudici di merito avevano pronunciato condanna senza considerare la diversità di posizione dei due imputati - non concorrenti nel medesimo reato, ma chiamati a rispondere di autonome fattispecie monosoggettive - il difensore deduce, in sintesi, violazione o erronea applicazione della legge, e correlato vizio della motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, con riferimento a tutti gli elementi strutturali del reato di violenza privata.
4.1.1. Quanto all'elemento oggettivo, le telecamere installate sul muro perimetrale della sua abitazione non erano funzionanti, poiché nel periodo in contestazione l'abitazione era disabitata per lavori di ristrutturazione, che riguardarono anche l'impianto elettrico, e, comunque, esse erano prive di microfono, in tal senso richiamando plurime deposizioni testimoniali.
4.1.2. Con riferimento all'elemento soggettivo, le deposizioni testimoniali delle stesse persone offese consentono di escludere l'intento del Me. di osservare e controllare gli abitanti della zona, essendo le telecamere finalizzate solo alla tutela della propria sicurezza, peraltro, essendo del tutto inconferente l'episodio, valorizzato dalla Corte territoriale, che vide coinvolta la moglie del Me., non quest'ultimo, e, comunque, risalente a due anni prima dei fatti, così come antecedente era l'esposto presentato dall'imputato per denunciare esalazioni provenienti da laboratori artigianali della zona e dalle deiezioni dei cani lasciate dinanzi alla sua abitazione ( esposto del 30.4.2011, mentre le telecamere furono istallate a maggio). Richiama giurisprudenza di questa Corte in ordine alla liceità delle videoriprese che attingono luoghi di pubblico transito, peraltro, nel caso di specie, corredate di visibili presidi informativi, e segnala la contraddittorietà tra le due pronunce di merito in ordine alla rilevanza, ai fini della integrazione della fattispecie, della circostanza del mancato funzionamento delle telecamere.
4.1.3. Con riferimento al nesso di causalità, deduce l'insostenibilità della tesi delle pp.oo. circa il cambiamento delle abitudini di vita che avrebbe fatto seguito all'istallazione delle telecamere, alla luce della capillare diffusione di analoghi strumenti di sorveglianza presenti nei centri abitati e normalmente tollerati dalla cittadinanza.
4.2. Con il quarto e il quinto motivo, che attingono la parte relativa al trattamento sanzionatorio, denuncia violazione di legge e vizio della motivazione sia in ordine alla liquidazione del danno in favore delle persone offese - dolendosi che la liquidazione equitativa è stata operata senza tenere conto della concreta e reale entità dei fatti ascritti, e segnalando che alcune persone offese non hanno avanzato alcuna pretesa nei confronti del Me. (così Di Pe.) , e ciononostante era stata inflitta condanna sia al risarcimento dei danni che alla refusione delle spese del giudizio per entrambi i gradi - sia per la entità delle pena, troppo elevata, sia per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in considerazione della tenuità e del minimo disvalore sociale del fatto.
5. Il difensore di Ma. Pasquino affida il ricorso a due motivi.
5.1. Deduce, in primis, violazione dell'art. 610 cod.pen., nella parte in cui la corte territoriale ha affermato che la istallazione delle telecamere avesse prodotto un cambiamento delle abitudini di vita degli abitanti della zona, senza considerare che , secondo l'affermato orientamento di legittimità, l'indiscriminata esposizione alla vista altrui di un'area destinata alla pubblica via, non deputata alle manifestazioni di vita privata esclusiva, è incompatibile con una tutela della riservatezza, sicché neppure è rinvenibile, in capo all'imputato, il dolo generico di determinare una costrizione o indurre una tolleranza negli abitanti del quartiere, in capo ai quali non è riconoscibile il diritto alla riservatezza.
5.2. Con il secondo motivo lamenta vizio della motivazione, mancante e manifestamente illogica, avendo la Corte territoriale fondato la propria decisione sull'asserito cambiamento di abitudini di vita prospettato, tuttavia, solo dagli abitanti della zona, costituitisi parti civili e, dunque, portatori di diretto interesse contrario; in ogni caso, alla luce delle stesse testimonianze, si tratterebbe di modifiche, insignificanti e trascurabili.
6. Con memoria inoltrata a mezzo fax il 15/2/2019, e depositata il 21/2/2019, la parte civile Ie. Ma. ha replicato alle doglianze degli imputati rifacendosi alle decisioni dei giudici di merito e agli esiti dell'istruttoria dibattimentale, richiamando, in particolare, un esposto datato 8.5.2014, a firma del Me. e della moglie del Pa. corredato di fotogrammi di riprese dall'alto effettuati dalle telecamere , in cui sono riprese fasi dell'attività lavorativa dello Ie.. Ricorda che, secondo le testimonianze, le telecamere erano occultate dalle fronde degli alberi, e direzionate, non verso le abitazioni degli imputati, ma esclusivamente verso spazi pubblici e tutte con cablaggi ben visibili. Richiama la natura della fattispecie di violenza privata, nella sua accezione ampia, delineata da dottrina e giurisprudenza, nonché le regole fissate in materia di videosorveglianza e i principi ispiratori, per concludere nel senso della illiceità dell'attività posta in essere dagli imputati, anche segnalando, per smentire la deduzione circa il mancato funzionamento della telecamera da questi installata, che l'imputato Me. è proprietario di altri appartamenti situati nel medesimo stabile, dove viveva durante la ristrutturazione riguardante solo quello al piano inferiore.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato non essendo ravvisabile, nella condotta contestata, il reato di violenza privata.
2. Come correttamente precisato alla Corte di Appello di L'Aquila nella sentenza impugnata, la condotta contestata concerne, non l’ acquisizione di immagini relative alla condotta tenuta da cittadini sulla pubblica via, ma il condizionamento esercitato su alcune persone - e segnatamente sulle costituite parti civili - dagli imputati, mediante la istallazione e l'utilizzo di immagini tratte dai filmati registrati dalle telecamere.
2.1. Come si legge nel capo di imputazione, gli imputati, con violenza o comunque con minaccia consistite nell'installare sul muro perimetrale delle rispettive abitazioni, telecamere a snodo telecomandabile per ripresa visiva e sonora su zone e aree comunque aperte al pubblico transito, costringevano gli abitanti della zona, tra cui le partii civili, a tollerare di essere costantemente osservati e controllati nell'espletamento delle loro attività lavorative e nei loro movimenti. Detti controlli erano poi riferiti agli abitanti così ripresi, e utilizzati strumentalmente per rimarcare la commissione di presunti illeciti (schiamazzi, parcheggio delle auto fuori dalle aree di sosta consentite; deiezioni animali abbandonante dinanzi al cancello delle abitazioni, e così via), che sarebbero stati perseguiti medianti esposti e denunce poi effettivamente inoltrati alle autorità competenti.
3. Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, nel delitto di violenza privata è tutelata la libertà psichica dell'individuo, e la fattispecie criminosa ha carattere generico e sussidiario rispetto ad altre figure in cui la violenza alle persone è elemento costitutivo del reato, sicché, esso reprime genericamente fatti di coercizione non espressamente considerati da altre norme di legge, e, per consolidato orientamento di legittimità, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a comprimere la libertà di autodeterminazione e di azione della persona offesa ( tra le tante, Sez. 2 n. 11522 del 3.3.2009 rv. 244199 che ha definito la libertà morale come libertà di determinarsi spontaneamente secondo motivi propri, sicché alla libertà morale va ricondotta sia la facoltà di formare liberamente la propria volontà sia quella di orientare i propri comportamenti in conformità delle deliberazioni liberamente prese - Sez. 5, n. 40291 del 06/06/2017 c.c. (dep. 05/09/2017 ) Rv. 271212). In altri termini, come osservato anche dalla dottrina, è troppo restrittiva, ai fini che ci occupano, la definizione di libertà morale come libertà di autodeterminazione, perché essa identifica solo un aspetto della libertà morale e non consente di includervi gli altri aspetti tutelati sotto tale oggettività giuridica, dalla libertà di autodeterminazione secondo motivi propri, fino alla tranquillità psichica (nel senso della necessaria inclusione della libertà psichica nella oggettività della norma in esame, v. rv 200681).
3.1. Tale principio trova rispondenza in altre pronunce della Corte secondo cui la nozione di violenza è riferibile a qualsiasi atto o fatto posto in essere dall'agente che si risolva comunque nella coartazione della libertà fisica o psichica del soggetto passivo che viene così indotto, contro la sua volontà, a fare, tollerare o omettere qualche cosa, indipendentemente dall'esercizio su di lui di un vero e proprio costringimento fisico (Cass. 39941/2002 rv. 222847; Cass.1176/2013 rv. 254126). E' consolidata, infatti, l'opzione ermeneutica secondo cui l'elemento della violenza, nel reato di cui all'art. 610 cod. pen., si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione, potendo consistere anche in una violenza «impropria», che si attua attraverso l'uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione (Sez. 5, n. 4284 del 29/09/2015 - dep. 2016, Rv. 266020, in fattispecie di chiusura a chiave di una serratura di una stanza; Sez. 5, n. 11907 del 22/01/2010, Rv. 246551, in fattispecie relativa a sostituzione della serratura della porta di accesso di un vano-caldaia; Sez. 5, n. 1195 del 27/02/1998, Rv. 211230, in fattispecie di apposizione di una catena con lucchetto ad un cancello; conf. Sez. 5, n. 10133 del 05/02/2018 ; Rv. 272672; Sez. 5, n. 10498 del 16/01/2018, Rv. 272666; Sez. 5, n. 1913 del 16/10/2017 Ud. (dep. 17/01/2018) Rv. 272322 ; Sez. 5, n. 29261 del 24/02/2017 , Rv. 270869; Sez. 5, n. 28174 del 14/05/2015 , Rv. 265310; Sez. 5, n. 603 del 18/11/2011 Ud. (dep. 12/01/2012) Rv. 252668) Così, la configurabilità del reato è stata pacificamente ammessa dall'elaborazione giurisprudenziale, senza che il responsabile risultasse aver compiuto atti di violenza o minaccia strictu sensu, in presenza di atti costrittivi o comunque impeditivi, idonei a incidere sulla libertà di autodeterminazione: come nella condotta di chi - intenzionalmente, e rifiutandosi poi di liberare l'accesso, pur senza intemperanze verbali - parcheggi un'auto in modo tale da impedire a un'altra vettura di spostarsi (Cass., Sez. V, n. 16571 del 20/04/2006, Badalamenti), o ostruisca così il passaggio verso un fabbricato (Cass., Sez. V, n. 8425/2014 del 20/11/2013, Iovino), ovvero occupi l'area di sosta riservata ad una specifica persona invalida (Cass., Sez. V, n. 17794 del 23/02/2017, Milano), giacché, ai fini del delitto di violenza privata, non è richiesta una minaccia verbale o esplicita, essendo sufficiente un qualsiasi comportamento o atteggiamento, sia verso il soggetto passivo, sia verso altri, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, finalizzato ad ottenere che, mediante tale intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa, (principio affermato già da sez. 2 n. 11641 del 6.3.1989 rv. 182005 ; Conf. Sez. 5, n. 48369 del 13/04/2017 c.c. Rv. 271267; Massime precedenti Conformi: N. 603 del 2012 Rv. 252668 -, INI. 8425 del 2014 Rv. 259052 , N. 46786 del 2014 Rv. 261051 , N. 33253 del 2015 Rv. 264549 , N. 4284 del 2016 Rv. 266020 , N. 29261 del 2017 Rv. 270869).
4. Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, si tratta , dunque, di valutare se, nel caso peculiare qui in scrutinio, la condotta dei ricorrenti sia configurabile come violenza privata, ovvero se - sotto il profilo oggettivo e causale - essa possa essere considerata idonea a indurre la descritta coartazione negli abitanti della zona, e, specificamente, nelle parti civili, che, secondo l'editto accusatorio, sarebbero stati così costretti a tollerare di essere costantemente osservati e controllati nell'espletamento delle loro attività lavorative e nei loro movimenti.
5. Ritiene, il Collegio di dare risposta negativa al predetto quesito sulla base più ordini di considerazioni.
5.1. In primis, perché l'installazione di sistemi di videosorveglianza con riprese del pubblico transito non costituisce in sé un'attività illecita, né lo sono le concrete modalità di attuazione della condotta descritta in imputazione, e neppure è ravvisabile, nel prospettato cambiamento di abitudini che si sarebbe registrato da parte di alcuni abitanti - con l'individuare percorsi alternativi per rientrate in casa, o altre aree di sosta dei veicoli, per sottrarsi alle riprese delle telecamere in questione - l'offesa al bene giuridico protetto dalla norma di cui all'art. 610 cod.pen., trattandosi di condizionamenti minimi indotti dalle condotte de quibus, tali da non potersi considerare espressivi di una significativa costrizione della libertà di autodeterminazione. Si vuole dire che nel fatto tipico della norma incriminatrice in commento non possono farsi rientrare tutti i comportamenti pure astrattamente condizionati da una condotta altrui, ma solo quelli che siano concretamente offensivi del bene giuridico protetto che, come visto, è la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo, e tanto nel rispetto del principio di offensività, quale criterio interpretativo idoneo a escludere la tipicità dei fatti che risultino in concreto inoffensivi ( in tal senso anche Corte Cost. 18 luglio 1997 n. 247; Corte Cost. 26 marzo 1986 n. 62). In realtà, quando il legislatore definisce determinati tipi di condotta come punibili, non può non riferirsi a comportamenti aventi un determinato significato sociale, non può, cioè, evitare di recepire quelle regole naturali o sociali che, definendone il significato, valgono a individuare le condotte da tipizzare. Sicché, l'offensività propria di ciascuna fattispecie legislativa non dipende solo dalla struttura linguistica della descrizione normativa, ma anche dal significato sociale che essa assume in relazione a un determinato contesto di convenzioni comunicative.
5.2. Nel caso di specie, non può non farsi riferimento - al fine di stabilire se vi fu una concreta lesione della libertà di autodeterminazione dei vicini di casa degli imputati - al necessario contemperamento tra beni e valori ugualmente garantiti; ciò che rileva qui è il bilanciamento tra il valore fondamentale della libertà individuale, e altri, come quello della sicurezza, parimenti presidiati.
5.3. Ora, in materia di riprese tramite strumenti di videosorveglianza, il sistema positivo prevede che chiunque installi un sistema di videosorveglianza deve provvedere a segnalarne la presenza, facendo in modo che qualunque soggetto si avvicini all'area interessata dalle riprese sia avvisato della presenza di telecamere già prima di entrare nel loro raggio di azione. La segnalazione deve essere effettuata tramite appositi cartelli, collocati a ridosso dell'area interessata, ed in modo tale che risultino chiaramente visibili. ('Codice in Materia dei Dati Personali'). Precauzioni e avvertimenti che risultano rispettati nel caso di specie, secondo quanto emerge dalla ricostruzione dei giudici di merito. L'avvertimento in parola è, evidentemente, finalizzato a rendere edotto 'quispue de populo' della presenza di strumentazione atta alla captazione di comportamenti che lo riguardano. In tale contesto, se, per un verso, l'avvertimento, rectius, la consapevolezza della presenza del sistema di videosorveglianza può costituire un condizionamento della libertà di movimento del cittadino, d'altro canto, consente a quest'ultimo di determinarsi cognita causa, selezionando i comportamenti consequenziali da tenere. Si tratta, dunque, di un delicato equilibrio di compromesso tra libertà individuali ed esigenze di sicurezza sociale. In tal senso, una recente pronuncia della Corte Edu (C. Giust. UE causa C-212/13 dell'11.12.2014.) ha precisato che, pur non considerandosi la videosorveglianza che si estende allo spazio pubblico, quella cioè installata dal privato e diretta al di fuori della sua sfera privata, un'attività esclusivamente personale o domestica, tuttavia, ciò, che in astratto è illegittimo, può essere considerato lecito se, secondo il giudice nazionale, nel caso concreto, vi sia un legittimo interesse del responsabile del trattamento alla protezione dei propri beni come la salute, la vita propria o della sua famiglia, la proprietà privata. In tali casi, il trattamento di dati personali può essere effettuato senza il consenso dell'interessato, se ciò è strettamente necessario alla realizzazione dell'interesse del responsabile del trattamento. La Corte ha precisato che, ricorrendo tali condizioni, è sufficiente la informazione alle persone della presenza del predetto sistema. Alla luce di quanto emerge dalla ricostruzione fattuale consegnata dalla sentenza impugnata, non può ragionevolmente escludersi che il sistema di videoripresa attuato dagli imputati fosse finalizzato proprio alla protezione degli indicati beni primari della sicurezza, della vita e della proprietà privata, essendo stata, peraltro, rispettata la prescrizione della preventiva informativa al pubblico.
6. Il Collegio osserva altresì, che la risposta negativa al predetto quesito è indotta anche dalla dell'accreditata ermeneusi di questa Corte secondo cui non può ritenersi integrato il reato di cui all'art. 610 cod.pen. laddove non sia ravvisabile, per le caratteristiche dell'azione, una costrizione a tollerare alcunché di ulteriore e diverso dalla condotta che già sia integrativa di altre fattispecie di reato. Come hanno puntualizzato le Sezioni Unite di questa Corte, l'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 610 cod. pen., è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l'effetto di costringere taluno a fare, tollerare, od omettere una determinata cosa; la condotta violenta o minacciosa «deve atteggiarsi alla stregua di mezzo destinato a realizzare un evento ulteriore: vale a dire la costrizione della vittima a fare, tollerare od omettere qualche cosa; deve dunque trattarsi di 'qualcosa' di diverso dal 'fatto' in cui si esprime la violenza», sicché «la coincidenza tra violenza» - e, può aggiungersi, minaccia - «ed evento di 'costrizione a tollerare' rende tecnicamente impossibile la configurabilità del delitto di cui all'art. 610 cod. pen.» (Sez. U, n. 2437 del 18/12/2008 - dep. 21/01/2009, Giulini, in motivazione). Non è configurabile, cioè, il delitto di violenza privata allorquando gli atti di violenza non siano diretti a costringere la vittima ad un 'pati', ma siano essi stessi produttivi dell'effetto lesivo, senza alcuna fase intermedia di coartazione della libertà di determinazione della persona offesa ( Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016 c.c., Rv. 268405 -
6.1. E, allora, anche a volere ritenere integrata, nell'istallazione delle telecamere e nella connessa videoripresa, una violenza 'cd. impropria' come ricostruito dall'editto accusatorio, è di tutta evidenza che l'azione ( installazione delle telecamere) ha conseguito immediatamente il suo effetto (ripresa delle attività svolte nella pubblica via dagli abitanti della zona) senza che vi sia stata alcuna fase intermedia e distinta di coartazione della libertà di determinazione delle persone offese, introdotta qui solo attraverso una evidente forzatura dialettica, volta a scindere l'atto di asserita violenza (installazione delle telecamere) dal suo effetto (ripresa video), per cogliere nel secondo l'atto coartato della vittima. (Sez. 5, n. 10132 del 05/02/2018 Ud. (dep. 06/03/2018), Va, cioè, rimarcata la necessità che, ai fini dell'integrazione della fattispecie di violenza privata, vi sia distinzione tra condotta - violenta o minacciosa - ed evento/'costrizione' a cui tale condotta sia finalizzata. ( Sez. 5, n. 1215 del 06/11/2014 - dep. 13/01/2015, Rv. 261743, che ha
sottolineato la necessità, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 610 cod. pen, di un aliquid diverso dal fatto concretante la violenza). La risposta negativa al quesito se, nel caso di specie, così come ricostruito dalla sentenza impugnata, sia ravvisabile la costrizione a tollerare «'qualcosa' di diverso» dai fatti di violenza o minaccia contestati, fa leva sulle connotazioni dell'azione e sul connesso difetto della necessaria alterità rispetto all'evento tipico previsto dalla norma incriminatrice di cui all'art. 610 cod. pen..
7. Quanto, poi, alle successive condotte, di cui pure vi è traccia nell'imputazione, con le quali i ricorrenti avrebbero rappresentato, in plurime occasioni, l'intenzione - peraltro attuata - di sporgere denuncia per i fatti illeciti emergenti dalle videoriprese, trattasi di condotte in ordine alle quali possono al più ritenersi integrati i singoli reati di minaccia, di molestia, di ingiuria, ma non quello di violenza privata. Trattasi, infatti, di un uso strumentale o molesto delle immagini catturate dalle telecamere di videosorveglianza, attuato successivamente a tale azione e, dunque, estraneo allo schema legale della fattispecie di violenza privata. Si è già detto che la definizione di libertà morale comprende sia la libertà di autodeterminazione, che altri aspetti tutelati sotto tale oggettività giuridica, fino a ricomprendervi la tranquillità psichica. Perché ricorra la lesione della libertà psichica occorre, però, che il soggetto passivo percepisca, anche solo in parte, l'azione costrittiva dell'agente, mentre essa viene attuata, dovendosi ritenere che, quando l'azione sia percepita dopo che essa è stata interamente compiuta, il reato configurabile può essere quello di molestie ex art. 660 c.p. (Cass. 6 marzo 1953, Brosio, riv. Pen. 1953, 11, 1032)
8. L'epilogo del presente giudizio di legittimità è l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste, a cui consegue la revoca delle statuizioni rese nei gradi di merito in favore delle costituite parti civili.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste e revoca le statuizioni civili.
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