Presidente Brusco – Relatore Piccialli
Ritenuto in fatto
Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello
di Venezia ricorre avverso la sentenza con la quale il Tribunale di
Treviso, in sede di opposizione a decreto penale di condanna emesso nei
confronti di B.M. per la contravvenzione di cui all'articolo 186, comma 2
del codice della strada (fatto accertato in data (omissis) ),
pronunciava sentenza di assoluzione dell'imputato con la formula perché
il fatto non sussiste.
Il giudicante - accogliendo l'eccezione difensiva svolta nella
memoria depositata il 30 novembre 2011 (considerata quale primo atto
difensivo concretamente esperibile contestuale all'atto di nomina a
difensore fiduciario) - ha fondato tale decisione sulla ritenuta
ricorrenza di una ipotesi di nullità a regime intermedio per essere
stato omesso, da parte della polizia operante, previamente
all'esecuzione dell'alcoltest, l'avviso all'indagato della facoltà di
farsi assistere da un difensore. Stante l'inutilizzabilità dell'atto, il
giudice ha ritenuto mancante la prova della condotta tipica, ricorrendo
alla formula assolutoria sopra richiamata.
Con l'impugnazione il ricorrente deduce violazione di legge, perché,
il giudicante, pur avendo correttamente qualificate come intermedia la
nullità derivante dall'omesso avviso all'indagato della facoltà di farsi
assistere da un difensore, ha ritenuto l'inutilizzabilità dell'atto,
pur essendo la stessa sanata ai sensi dell'art. 182 cod. proc. pen.. Nel
caso di specie non risultava infatti che l'eccezione fosse stata
formulata nei termini indicati da un consolidato orientamento di questa
Corte, secondo il quale la citata nullità, avente natura
incontestabilmente intermedia, deve ritenersi sanata se non dedotta
prima ovvero immediatamente dopo il compimento dell'atto da parte
dell'interessato, non ricorrendo facoltà processuali comportanti
cognizioni tecniche professionali proprie del difensore (v. da ultimo
Sezione IV, 4 giugno 2013, Proc. gen. App. Bologna in proc. Martelli,
rv. 255989).
Considerato in diritto
Come è noto, in tema di guida in stato di ebbrezza, il cosiddetto
alcool test, eseguito dall'agente accertatore, costituisce la prova
"regina" a fondamento della responsabilità del conducente, anche perché
solo attraverso l'esame alcolimetrico è possibile verificare quale delle
tre ipotesi previste rispettivamente dalle lettere a), b) e c) del
comma 2 dell'articolo 186 del codice della strada risulti integrata: la
prima delle quali è di rilievo solo amministrativo.
Il tema da affrontare è quello delle facoltà difensive attribuite
all'interessato in occasione della sottoposizione all'esame tecnico, con
particolare riferimento all'eventuale mancato avvertimento della
facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, in violazione
dell'articolo 114 delle disposizioni di attuazione cod. proc. pen..
Deve, invero, innanzitutto rilevarsi, sotto un profilo di ordine
generale che l'atto in questione (il rilievo del tasso alcol emico
mediante il c.d. alcol-test) è sussumibile nella previsione dell'art.
354 cod. proc. pen., concernente l'accertamento urgente e la
conservazione delle tracce del reato, e che, ai sensi dell'art. 356 cod.
proc. pen., il difensore dell'indagato "ha facoltà di assistere, senza
diritto di essere preventivamente avvisato", ai sensi, poi, dell'art.
114 disp. att. cod. proc. pen., la polizia giudiziaria, nel compimento
degli atti di cui all'art. 356 cod. proc. pen. avverte la persona
sottoposta alle indagini, se presente, che ha facoltà di farsi assistere
dal difensore di fiducia; in mancanza di questo, non è prevista per il
compimento di tali atti la nomina di un difensore di ufficio come
disposto per altri atti (tra gli altri, v. artt. 340,364 cod. proc.
pen.).
Ciò posto, per l'orientamento giurisprudenziale prevalente (v. da
ultimo, Sezione IV, 4 giugno 2013, n.36009, P.G ed altro e, da ultimo,
11 marzo 2014, Pittiani, non massimata), il mancato avvertimento della
facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, in violazione
dell'articolo 114 delle disposizioni di attuazione cod.proc. pen., da
luogo ad un nullità a regime intermedio, soggetta pertanto alla
disciplina dettata dagli articoli 178, lettera c), 180 e 182 cod. proc.
pen. Tale nullità deve, pertanto, ritenersi sanata se non è dedotta
prima del compimento dell'atto, oppure, se ciò non è possibile,
immediatamente dopo il compimento dell'atto al quale la parte ha
partecipato, ai sensi dell'articolo 182, comma 2, cod. proc. pen., anche
mediante lo strumento delle memorie o richieste, senza quindi attendere
il compimento di un successivo atto del procedimento.
Come emerge anche dall'ultima relazione sul tema dell'Ufficio del
Ruolo e del Massimario n. 12 del 6 febbraio 2014, la giurisprudenza di
legittimità è ormai consolidata nell'inquadramento della nullità
predetta tra quelle generali a regime intermedio, dovendosi ritenere
superate le diverse opzioni interpretative, secondo le quali tale
nullità doveva essere qualificata come relativa (v. in tal senso, tra le
altre, Sezione IV, 16 settembre 2003, n. 42020, P.M. in proc Della
Luna, rv. 227294) e quelle decisioni che, invece, affermavano, sia pure
con riferimento a fattispecie diverse da quella in esame, che il
ritardato deposito del verbale contenente l'accertamento strumentale
dell'alcoltest comportasse una mera irregolarità (v. Sezione IV, 5 marzo
2008, n. 15272, Ardolino, rv. 239538; 18 dicembre 2009, n. 1855/10,
Testani, n.n.), ulteriormente precisando, in taluni casi, che il verbale
contenente gli esiti del c.d. alcoltest non è soggetto al deposito ex
articolo 366 c.p.p. e conseguentemente ritenevano non configurabile la
nullità dell'accertamento urgente derivante dall'omesso deposito (v.
Sezione IV, 7 febbraio 2006, n. 26738, Belogi, rv. 234512 e per altri
riferimenti, anche la relazione del Massimario preliminare alla
trattazione del procedimento Zedda rimesso alle Sezioni unite
all'udienza del 25 marzo 2010 per la stessa questione, in caso identico a
quello in esame, che non venne affrontata, in ragione dell'abnormità
della sentenza impugnata).
Inquadrata, alla luce della consolidata giurisprudenza sopra
richiamata, la predetta nullità tra quelle a regime intermedio, va,
invece, rilevata una diversità di interpretazioni nell'ambito della
giurisprudenza di legittimità quanto al limite temporale entro il quale è
utilmente proponibile l'eccezione di nullità.
Sulla questione sono ravvisabili due distinti orientamenti.
Il primo, più restrittivo, che parte da una interpretazione rigorosa
della lettera dell'art. 182, comma 2, cod. proc. pen., ritiene che
l'assistenza della parte (nel caso di specie, l'imputato, presente
all'atto dell'accertamento del tasso alcol emico) comporti la necessità
di procedere immediatamente a sollevare l'eccezione (ossia, prima del
compimento dell'atto) oppure, nel caso di impossibilità (da intendersi,
soggettiva, in quanto impedito dalla mancata conoscenza della facoltà di
farsi assistere dal suo difensore, proprio perché non preventivamente
avvisato dalla polizia giudiziaria in base all'art. 114 disp. att. cod.
proc. pen.) di doverla sollevare "immediatamente dopo", nel senso di non
poter attendere il primo atto del procedimento ma di dovervi provvedere
attraverso il meccanismo delle memorie ex art. 121 cod. proc. pen..
In conseguenza, proprio con riferimento all'esecuzione di alcoltest,
è stata considerata tardivamente proposta l'eccezione di nullità per
l'omesso avviso previsto dall'art. 114 disp att. cod. proc.pen.,
allorché la parte, invece di sollevare l'eccezione immediatamente dopo
il compimento dell'atto, abbia atteso il compimento di un successivo
atto del procedimento (v. Sezione IV, 11 ottobre 2012, n. 44840, PG in
proc. Tedeschi, rv. 254959; 19 settembre 2012, n. 38003, Avventuroso,
rv. 254374; 08/05/2007, n. 27736, Nania, rv. 236934).
Nello stesso senso, è stato ulteriormente precisato (v. Sezione II, 9
febbraio 2012, n. 14873, Rispo rv. 252397; Sezione IV, 14 marzo 2008,
n. 15739, Alberti, rv. 299737), sempre con riferimento alla violazione
da parte della polizia giudiziaria all'obbligo di cui all'art. 114 disp.
att. cod. proc. pen., avvenuta però nel corso di una perquisizione, che
l’espressione "immediatamente dopo" va intesa nel senso che la nullità
deve essere eccepita dal difensore subito dopo la sua nomina, ovvero
entro il termine di cinque giorni che l'art. 366 cod. proc. pen. concede
a quest'ultimo per l'esame degli atti.
A questa tesi se ne affianca una meno rigorosa che muovendo da una
lettura costituzionalmente orientata del combinato disposto degli
articoli 354, 356, 366 cod. proc. pen. e 114 disp. att. cod. proc. pen.
giunge all'opposta conclusione di considerare come tempestiva
l'eccezione di nullità sollevata con il primo atto procedimentale utile
(che, nel caso di specie sarebbe costituito dall'opposizione al decreto
penale di condanna), non essendo pertinente il richiamo all'art. 121
cod.proc.pen., né potendosi considerare intempestiva un'eccezione di
nullità sollevata in sede di opposizione, tenuto conto della brevità dei
termini previsti dalla legge processuale per impugnare il provvedimento
emesso inaudita altera parte (v. in tal senso, Sezione V, 9 febbraio
2012, n. 7654, Masella, rv. 252172; Sezione III, 14 maggio 2009, n.
26588, Di Sturco, rv. 244370; Sezione III, 12 luglio 2005, n. 33517,
Rubino, rv. 233164, secondo le quali la nullità derivante dall'omesso
avviso all'indagato - da parte della polizia giudiziaria che proceda al
sequestro del corpo di reato - della facoltà di farsi assistere dal
difensore può essere fatta valere anche in sede di richiesta di
riesame).
Si segnala, in particolare, per l'argomentata motivazione la
sentenza Rubino concentrata su una lettura costituzionalmente orientata
dell'art. 182, comma 2, cod. proc. pen., al fine di individuare la
soluzione ermeneutica più conforme al dettato legislativo ed allo stesso
tempo più adeguatrice rispetto al fondamentale ed inviolabile principio
del diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost..
In particolare, partendo dall'interpretazione letterale dell'art.
182 cod. proc. pen. si evidenzia come il presupposto per potersi
applicare il primo periodo del secondo comma dell'art. 182 cod. proc.
pen. (ovvero che la nullità di un atto deve essere eccepita, quando la
parte vi assista, prima del suo compimento ovvero, se ciò non sia
possibile, immediatamente dopo) è la circostanza che la parte assista al
compimento dell'atto nullo. Nell'interpretare la disposizione in esame
nella parte in cui impone all'indagato di sollevare l'eccezione "prima
del suo compimento" dell'atto, la Corte evidenzia che la stessa
presuppone anche che la parte che vi assiste sia in grado di eccepire la
nullità prima del compimento dell'atto, ossia che possa presumersi che
essa sia a conoscenza o sia comunque in grado di essere a conoscenza
dell'atto che si sta per compiere, così come presuppone che la parte
stessa non decada dal diritto di eccepire la nullità dell'atto dopo il
suo compimento fino a quando non possa ritenersi provato che essa abbia
avuto conoscenza o almeno la possibilità di avere conoscenza della
nullità dell'atto e sia quindi in grado di eccepirne immediatamente la
nullità. E difatti, in tanto il legislatore impone l'obbligo alla
polizia giudiziaria di avvisare l'indagato che ha facoltà di farsi
assistere da un difensore di fiducia proprio in quanto presuppone che
normalmente l'indagato non sia e non debba essere a conoscenza di questa
facoltà e quindi impone alla polizia giudiziaria di avvisarlo appunto
perché egli possa esercitare il suo diritto di difesa e per evitare una
violazione dell'art. 24 Cost..
Nell'affrontare la questione dell'applicabilità della medesima
disposizione nella parte in cui impone all'indagato di eccepire la
nullità immediatamente dopo il compimento dell'atto nullo e nello
stabilire quando l'eccezione debba considerarsi tardiva, la Corte,
sottolinea che l'ignoranza della parte non viene meno solo perché l'atto
è stato compiuto e quindi deve logicamente presumersi che la parte
continui ad ignorare la sussistenza della nullità e non possa quindi
eccepirla almeno sino a quando non sia provato o possa presumersi che
essa ne sia venuta a conoscenza o almeno sia stata in grado di venirne a
conoscenza, il che generalmente avviene solo nel momento in cui si ha
la prova che l'indagato abbia contattato un difensore e possa perciò
ritenersi che questi lo abbia messo a conoscenza della nullità ed in
condizione di eccepirla. La sentenza indicata, nel sottoporre a critica
l'opposto orientamento, sottolinea l'esigenza di ancorare la presunzione
di conoscenza o della nullità che inficiava l'atto ad un momento ben
preciso ed alla presenza di un atto che possa dare una qualche sicurezza
sul punto, derivandone altrimenti la più assoluta incertezza, diversità
ed arbitrarietà di opinioni e di soluzioni.
È tematica peraltro meritevole di ulteriore approfondimento,
nell'ottica di una effettiva soddisfazione delle esigenze difensive, ove
si consideri che, in assenza dell'assistenza del difensore, è fin
troppo ovvio che si determini la sanatoria della nullità per il formarsi
delle condizioni di cui sopra.
Ciò a fronte di quell'orientamento secondo cui l'eccezione può e
deve essere formalizzata dallo stesso interessato, non essendo
necessario l'intervento del difensore, in quanto non ricorrono facoltà
processuali che comportino la cognizione di elementi tecnici rientranti
nelle specifiche competenze professionali del difensore (Sezione IV, 4
giugno 2013, Proc. gen. App. Bologna in proc. Martelli).
È necessario allora un intervento chiarificatore, ove si consideri
che il richiamato orientamento che accredita la capacità diretta
dell'interessato presenta profili di dubbia corrispondenza con i
principi del diritto di difesa, trascurando di considerare a tacer
d'altro proprio le condizioni pregiudicate in cui si trova, nel contesto
dell'accertamento, il trasgressore e, in ogni caso, trascura di
considerare il ruolo della difesa tecnica di cui svaluta la portata e il
significato.
In questa prospettiva, il tema centrale della questione ruota
intorno alla tutela del diritto alla difesa e, ad avviso del Collegio,
ai fini della soluzione del quesito non può prescindersi dalla
instaurazione del rapporto tra l'indagato/imputato ed il difensore.
Appare utile richiamare in proposito alcune decisione del Giudice
delle Leggi in materia. Chiamata a verificare la legittimità
costituzionale, in rapporto all'art. 24 Cost., comma 2, dell'art. 401
codice di rito 1930 nella parte in cui faceva decorrere il termine di
cinque giorni per la deduzione delle nullità relative intercorse
nell'istruzione sommaria dalla notifica all'imputato del decreto di
citazione a giudizio, anziché dalla notificazione al difensore
dell'avviso della data fissata per il dibattimento, la Corte
costituzionale, ha puntualizzato che "il diritto di difesa deve essere
garantito in modo adeguato alle circostanze, con modalità che a queste
si adattino, esplicandosi anche come effettiva potestà di assistenza
tecnica e professionale". Pertanto il principio costituzionale invocato è
stato ritenuto violato dalla previsione di un breve termine decorrente
dalla conoscibilità del decreto di citazione a giudizio da parte del
diretto interessato piuttosto che del suo difensore, benché la
cognizione di elementi tecnici rientranti nella specifica competenza
professionale del difensore fosse indispensabile per rendersi conto
delle nullità e far rilevare i vizi invalidanti (C. cost. sent. n. 162
del 17/06/1975, n. 162).
Il principio è stato ribadito in successive pronunce, tra le quali
merita di essere ricordata in questa sede la sentenza n. 120 del 2002,
con la quale il giudice delle leggi ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale dell'art. 458 c.p.p., comma 1, nella parte in cui prevede
che il termine entro cui l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato
decorre dalla notificazione del decreto di giudizio immediato, anziché
dall'ultima notificazione, all'imputato o al difensore, rispettivamente
del decreto ovvero dell'avviso della data fissata per il giudizio
immediato. In tale occasione la Corte ha evidenziato come il nucleo
centrale della questione di legittimità costituzionale attenesse alla
violazione del diritto alla difesa tecnica, in quanto la disciplina
censurata era congegnata in maniera tale che il termine stabilito a pena
di decadenza per presentare richiesta di giudizio abbreviato poteva
scadere senza che il difensore avesse potuto illustrare al proprio
assistito le opzioni difensive rispettivamente collegate al giudizio
abbreviato e alla celebrazione del dibattimento. Tanto rilevato i
giudici della Consulta hanno ribadito che il diritto di difesa, inteso
come effettiva possibilità di ricorrere all'assistenza tecnica del
difensore, risulta violato in ogni caso in cui, "ai fini dell'esercizio
di facoltà processuali che comportano la cognizione di elementi tecnici
rientranti nelle specifiche competenze professionali del difensore",
venga posto a pena di decadenza un termine decorrente dalla
notificazione all'imputato, anziché al difensore, dell'atto da cui tali
facoltà conseguono (C. cost. 26/02/2002, n. 120).
Alla luce delle puntualizzazioni operate dalla Consulta va,
pertanto, esaminato se la verifica del rispetto del diritto di difesa
vada condotta tenuto conto della semplicità/complessità delle cognizioni
richieste dalla proposizione dell'eccezione (v. da ultimo, in tal
senso, la già richiamata sentenza n. 36009/2013, che, proprio con
riferimento all'ipotesi dei test previsti dall'art. 186 C.d.S., commi 3 e
4, ha ritenuto che la deduzione dell'omesso avviso della facoltà di
farsi assistere da un difensore non richiede necessariamente
l'intervento del difensore medesimo. Ciò perché l'avviso intende
garantire la semplice conoscenza da parte del difensore del compimento
dell'atto, che non deve essere ritardato in attesa che egli giunga, ove
abbia deciso di assistervi. Ed inoltre perché l'accertamento non è
invasivo e non scaturisce da attività pregresse la cui conoscenza è
essenziale per l'esercizio della difesa) sicché il termine decadenziale
per la formulazione di una eccezione di nullità intermedia prescinde
dalla instaurazione del rapporto tra l'indagato/imputato ed il difensore
oppure, secondo la soluzione più garantista, che, secondo questo
Collegio, appare meglio tutelare le esigenze difensive, tale termine
abbia corso solo dopo la nomina di un difensore o, comunque, dal
compimento di un atto difensivo (per es. l'opposizione a decreto
penale).
In conclusione, per tutte le ragioni che si son sinora esposte, la
possibilità di soluzioni interpretative in radicale contrasto, afferente
il regolamento di un diritto di rilievo costituzionale, quale il
diritto alla difesa, sembra imporre l'intervento regolatore delle
Sezioni unite di questa Corte, sulla seguente questione: "se in tema di
accertamento della contravvenzione di guida sotto l'influenza dell'alcol
(art. 186 c.d.s.), nel caso di mancato avvertimento alla persona da
sottoporre al controllo alcoli metrico della facoltà di farsi assistere
da un difensore di fiducia in violazione dell'art. 114 disp.att. cod.
proc. pen., tale nullità- da ritenere a regime intermedio - possa
ritenersi sanata se non eccepita dall'interessato prima del compimento
dell'atto ovvero immediatamente dopo ai sensi dell'art. 182, comma 2,
cod. proc. pen; nel caso in cui si ritenga verificata la decadenza entro
quale termine e con quali mezzi la nullità possa essere eccepita".
P.Q.M.
Dispone trasmettersi gli atti alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.