giovedì 23 ottobre 2014

Il potere di autotutela della Pubblica amministrazione, finalizzato a rimuovere determinazioni amministrative che si rivelino non idonee a perseguire il pubblico interesse, costituisce principio generale operante anche in assenza di specifica previsione normativa o contrattuale

N. 04919/2014REG.PROV.COLL.
N. 05132/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5132 del 2013, proposto da:
Ugo Ricci, Raffaele Pilato, Maria Capasso, Anna Costagliola, Massimo Garofano, Francesco Saverio Iaccarino, Sabato Rescigno, Angelo Schiavelli, Michele Martino, Maria Martino, Michele Martino, Regina Martino, Michele Cilento, Eugenio Pecorella, Gioacchino Piedimonte, Rita Schirosi, Laura Mastrantuoni, Paolo Mattiello, Anna Antoniello, Valentina De Rosa, Rosa Gentile, Gennaro Pollice, Cristofaro Formisano, Giuseppe Errichiello, Fernando De Majo, Maria Immacolata Cassese, Clara Aiello, Vittorio Di Marino e Rocco Cannatelli, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Arcangelo D'Avino e Paolo D'Avino, con domicilio eletto presso Alberto D'Auria in Roma, via Calcutta, 45;
contro
Commissione Straordinaria di Liquidazione del Dissesto dell'Amministrazione Provinciale di Napoli;
Provincia di Napoli, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Aldo Di Falco e Luciano Scetta, con domicilio eletto presso la Segreteria della V Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE V, n. 1479/2013, resa tra le parti, concernente revoca dell’ammissione alla massa passiva del credito maturato a titolo di rivalutazione ed interessi.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 giugno 2014 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e udito per le parti l’avvocato Saverio Profeta, su delega dell'avvocato Arcangelo D'Avino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Campania gli odierni appellanti invocavano l’annullamento della delibera della Commissione straordinaria di liquidazione della Provincia di Napoli n. 37 del 5 giugno 2002, avente ad oggetto revoca ammissione alla massa passiva.
2. Il primo giudice, ribadito il principio secondo il quale la rivalutazione monetaria non va ricalcolata con riferimento alle somme già dovute a titolo di rivalutazione, come pure rispetto a somme dovute a titolo di interessi, respingeva la suddetta richiesta.
Il TAR nel suo argomentare poneva l’accento sulla legittimità dell’esercizio del potere di revoca, concludendo per l’infondatezza dei denunciati motivi di illegittimità: a) eccesso di potere per erroneità dei presupposti e contraddittorietà, b) eccesso di potere per sviamento e violazione del giudicato, nonché dell’art.1194 c.c.; c) eccesso di potere per carenza di istruttoria e motivazione.
3. Gli odierni appellanti con il gravame in esame si dolgono dell’erroneità della sentenza di prime cure, evidenziandone le seguenti erroneità: a) nel ricorso di primo grado sarebbe stata prospettata la violazione della sentenza del TAR Campania, n. 181/1988, divenuta giudicato a seguito della conferma da parte della sentenza del Cons. St., n. 758/1991. La prima, infatti, avrebbe condannato l’amministrazione provinciale a corrispondere ai ricorrenti la rivalutazione e gli interessi legali sulle competenze di lavoro corrisposte in ritardo come risultanti dalla delibera di Giunta 17 ottobre 1979, n. 4063: “con decorrenza dalla maturazione dei singoli ratei e sul loro ammontare rivalutato secondo gli indici ISTAT”; b) violazione dell’art. 21-quinquies, l. n. 241/1990, e del principio di certezza del diritto, perché, pur ammettendo che un cambio di giurisprudenza possa legittimare la revoca di provvedimenti amministrativi, l’atto impugnato violerebbe il principio di certezza dei rapporti giuridici. Inoltre, oggetto di revoca potrebbero essere solo quei provvedimenti ad efficacia durevole, ma non quelli che abbiano esaurito i loro effetti. Ancora la revoca avrebbe solo effetti exnunc e non ex tunc. Gli atti in questione, invece, sarebbero ad efficacia istantanea, essendo già stati liquidati gli importi a favore degli appellanti nel 1998, mentre la revoca sarebbe del 2002. Gli importi liquidati nel 1998 sarebbero stati determinati secondo la giurisprudenza prevalente e non potrebbe valere il successivo mutamento giurisprudenziale; c) con l’emissione delle delibere sarebbe sorto in capo agli appellanti un diritto soggettivo rimovibile solo attraverso un’azione giudiziaria; d) la delibera n. 127 dell’1 agosto 1998, sulla scorta della quale sono state adottate le delibere revocate, sarebbe ancora efficace. Pertanto sarebbe illegittimo il comportamento dell’amministrazione; e) ulteriore profilo di illegittimità riguarderebbe il difetto dei presupposti sulla scorta dei quali sarebbe stata adottata la revoca, che richiama le sentenze nn. 259/99, 260/99 e 263/99, con le quali il TAR investito delle impugnazioni delle delibere dei commissari ad acta escludeva che la rivalutazione potesse a sua volta essere oggetto di rivalutazione. Ma l’importo ammesso al passivo dalla Commissione straordinaria non sarebbe stato determinato sui calcoli effettuati dai Commissari ad acta, bensì su quelli operati dal SED, rimanendo le delibere dei Commissari totalmente estranee al provvedimento con il quale si sarebbe riconosciuto ed ammesso al passivo il credito dei ricorrenti; f) erronea sarebbe la sentenza in relazione all’imputazione di pagamento, le somme liquidate sarebbero il frutto del calcolo del SED e non dei commissari ad acta; g) la delibera che ha ammesso al passivo i ricorrenti avrebbe omesso di indicare i criteri di calcolo utilizzati per liquidare gli importi. Pertanto vi sarebbe stata violazione del diritto di difesa; h) vi sarebbe stata disparità di trattamento, perché per 119 dipendenti non sarebbe stato utilizzato il criterio deteriore utilizzato per gli appellanti; i) la delibera n. 121/98 non riguarderebbe il credito dell’appellante Aiello.
In via istruttoria, gli appellanti chiedono che le amministrazioni resistenti depositino i calcoli analitici, nonché la indicazione dei criteri seguiti nella determinazione degli importi.
4. Nelle proprie difese l’amministrazione provinciale invoca la conferma della sentenza gravata, evidenziando che: a) non vi sarebbe violazione di giudicato perché con le sentenze del 1999, in particolare la n. 260/99, il TAR Campania si sarebbe pronunciato solo sugli aspetti sui quali non si era formato il giudicato stabilendo che la rivalutazione monetaria, già maturata, non potesse a sua volta dare luogo ad ulteriore rivalutazione; b) non vi sarebbe violazione dell’art. 21 quinquies, l. n. 241/1990, sussistendo tutti i presupposti per l’esercizio del potere di revoca; c) la delibera n. 127/98 riguarderebbe tutti i dipendenti non aderenti al protocollo d’intesa, mentre le singole delibere riguarderebbero quei dipendenti per i quali vi sarebbe integrazione da parte del giudice amministrativo (g.a.) a seguito di reclamo della Provincia al g.a., quindi la delibera n. 127/98 non avrebbe potuto essere revocata; d) la Corte d’Appello di Napoli con sentenza 11 febbraio 2011 avrebbe disatteso la richiesta di disapplicare la delibera n. 37/2002, affermando la piena legittimità della stessa; e) se pure la delibera n. 127/98 non riguardava Aiello Clara avente causa di Aiello Filippo, la delibera n. 37/2002 la riguarderebbe espressamente. Infatti, la delibera n. 37/2002 avrebbe disposto la revoca anche della delibera n. 186/1997 che, appunto, riguardava Aiello Clara. Inoltre, la C.S.L., con delibera n. 47 del 9 luglio 2003, avrebbe provveduto alla correzione, in rettifica, di errori materiali contenuti nella delibera n. 34/2002. Infatti nella delibera n. 47/2003 si sarebbe deliberato di «provvedere a rettificare le proprie deliberazioni n. 36 e 37 correggendo l’indicazione degli atti di ammissione revocati, relativi ai nominativi di seguito indicati: deliberazione n.34 del 5/06/2002 – nominativo Aiello Filippo Si conferma le revoca della deliberazione n.186/97 e si revoca la deliberazione n.359 del 29/07/1998 anziché la n.121/98 erroneamente indicata».
5. In sede di incidente cautelare questa Sezione, con ordinanza n. 3232/2013, ha respinto la richiesta degli appellanti con la seguente motivazione: “Ritenuta, allo stato, indimostrata l’esistenza del danno grave ed irreparabile, anche alla luce del fatto che non sono state avviate azioni di recupero delle somme in contestazione;
Ritenuto, di conseguenza, di dover respingere l’istanza”.
6. La sentenza gravata è immune dalle denunciate censure, pertanto, l’appello in esame non può essere accolto.
7. Va preliminarmente chiarito che la sentenza del TAR per la Campania, n. 181/1988, aveva condannato l’amministrazione provinciale di Napoli al pagamento di interessi e rivalutazione monetaria a favore degli odierni appellanti con decorrenza dall’1/12/1972 sui crediti riconosciuti loro dalla deliberazione della Giunta provinciale n. 4063 del 17 ottobre 1979 a titolo di equa proporzione ex art. 228 del T.U.L.C.P.. La sentenza in questione, confermata in seconde cure, aveva precisato che gli interessi riconosciuti dovessero essere computati con decorrenza dalla maturazione dei singoli ratei e sul loro ammontare rivalutato secondo gli indici ISTAT.
Gli originari ricorrenti per l’esecuzione del giudicato ottenevano la nomina di commissario ad acta, i cui atti venivano reclamati dall’amministrazione provinciale con ricorsi che venivano parzialmente accolti dal TAR per la Campania, che, con alcune decisioni del 1999, quali la n. 260/1999, chiariva come: “In definitiva, quindi, non vi sono ostacoli all’accoglimento del reclamo in esame per la parte in cui è rivolto ad escludere che la rivalutazione monetaria già maturata potesse a sua volta dar vita ad ulteriore rivalutazione (non esistendo, su questo specifico punto, un vincolo da precedenti statuizioni giudiziali)”. Questa specificazione operata dal giudice campano, a sua volta divenuta irrevocabile, fa definitivamente chiarezza sull’assenza di qualsivoglia violazione del giudicato da parte del provvedimento oggetto di impugnazione con l’originario ricorso di primo grado.
8. Del pari, non può essere condivisa la prospettazione degli appellanti circa la violazione della disciplina contenuta nell’art. 21-quinquies, l. n. 241/1990. Sul punto è bene notare che la norma in questione non risulta applicabile direttamente alla fattispecie, perché risulta introdotta solo nel 2005, mentre il provvedimento impugnato in primo grado è del 5 giugno 2002, sicché i parametri di riferimento vanno individuati nei principi generali in materia di autotutela come cristallizzati nel diritto vivente. Del resto, non si è mai dubitato in giurisprudenza che il potere di autotutela della Pubblica amministrazione, finalizzato a rimuovere determinazioni amministrative che si rivelino non idonee a perseguire il pubblico interesse, costituisce principio generale operante anche in assenza di specifica previsione normativa o contrattuale (Cons. St., Sez. VI, 25 marzo 2004, n. 1613).
Fatta questa precisazione, è bene notare che sussistono nel caso in esame tutti i presupposti per l’esercizio del potere di revoca. Ed, infatti, la giurisprudenza amministrativa (cfr. ex multis, Cons. St., Sez. V, 24 settembre 2003, n. 5444) ha sempre ritenuto che l'esercizio dello jus poenitendi da parte della Pubblica amministrazione incontra un limite nell'esigenza di salvaguardare le situazioni dei soggetti privati che, confidando nella legittimità dell'atto rimosso, hanno acquisito il consolidamento delle posizioni di vantaggio loro attribuite; pertanto, il travolgimento di tali posizioni è legittimo solo se è giustificato dalla necessità d'assicurare il soddisfacimento di un interesse di carattere generale, prevalente come tale sulle posizioni individuali, dandone idonea contezza nella motivazione del provvedimento di rimozione, affinché ne sia consentito il controllo di legittimità in sede giurisdizionale. Tipico esempio di prevalenza dell’interesse generale su quello del singolo è stato individuato nell’illegittimo esborso di denaro pubblico, elemento valutato dalla giurisprudenza di questo Consiglio in grado di rappresentare adeguatamente l’interesse pubblico, senza particolare ulteriore motivazione (Cons. St., Sez. V, 21 novembre 2003, n. 7524; Id., 16 giugno 2003, n. 3356; Id., Sez. VI, 9 settembre 2002, n. 4570).
Allo stesso tempo appare legittimo l’esercizio dello jus poenitendi sulla scorta di una nuova valutazione dell’interesse pubblico anche sulla scorta dei citati dicta giurisdizionali resi dal TAR campano in sede di ottemperanza.
Del pari non si ravvisa alcuna illegittimità nell’esercizio del potere di revoca in ragione della natura del provvedimento che ne è stato oggetto. Infatti, posto che il richiamo alla disciplina di cui all’art. 21 quinquies, l. n. 241/1990, per le ragioni già esposte non risulta conferente, va chiarito che il provvedimento di ammissione alla massa passiva non ha effetto istantaneo, ma, al contrario, nella misura in cui riconosce ai creditori per un certo ammontare il loro credito rappresenta un provvedimento ad efficacia durevole. Pertanto, non solo ne è legittima la revoca, ma non è corretto rilevare che la stessa non possa operare, perché non può che valere ex nunc. Ed, infatti, come precisato, il travolgimento del riconoscimento del credito nella misura prevista dal provvedimento revocato si limita ad operare conformemente ai limiti sempre riconosciuti al potere di revoca solo ex nunc.
9. Con altro motivo gli appellanti lamentano l’impossibilità da parte dell’amministrazione di utilizzare il potere di autotutela, ritenendo ineludibile che le ragioni dell’appellata dovessero transitare per il ricorso al giudice civile. Una simile doglianza non appare, però, convincente in quanto il potere di revoca è stato esercitato su di un atto amministrativo, ossia nei limiti fisiologici in cui lo stesso poteva essere esercitato, senza che assuma efficacia ostativa la circostanza che lo stesso incida su diritti soggettivi degli odierni appellanti.
10. Va disattesa anche la prospettazione degli appellanti che lamentano come l’amministrazione provinciale avrebbe dovuto rimuovere il provvedimento presupposto rappresentato dalla delibera n. 127/98. Quest’ultima, infatti, rappresenta il presupposto per l’ammissione alla massa passiva di tutti i crediti dei dipendenti non aderenti al protocollo di intesa del 23 settembre 1996, ossia l’intero novero di soggetti che avevano deciso di non accettare la transazione. Pertanto, correttamente l’amministrazione provinciale ha provveduto con la delibera n. 37/2002 alla rideterminazione degli importi per quei dipendenti nei confronti dei quali il TAR aveva accolto in sede di ottemperanza i reclami proposti dall’amministrazione provinciale nei limiti sopra rammentati.
10.1. Quest’ultimo rilievo esclude anche l’esistenza della denunciata disparità di trattamento, giacché l’amministrazione provinciale ha correttamente preso in esame la posizione di quei dipendenti destinatari delle citate sentenze del TAR per la Campania.
11. Non si ravvisa, inoltre, alcuna violazione del dettato dell’art. 1194 c.c., che prevede il criterio legale di imputazione del pagamento agli interessi anziché al capitale, il quale opera sempre che l’imputazione stessa non sia stata oggetto di sindacato giurisdizionale, circostanza quest’ultima che esclude il potere di accettazione del creditore, avendo trovato la fattispecie la regola del caso concreto proprio in sede giurisdizionale.
12. Infine, non possono essere condivise le critiche in ordine al presunto errore di fatto, inerente la circostanza che l’importo ammesso al passivo dalla Commissione straordinaria non sarebbe stato determinato sui calcoli effettuati dai Commissari ad acta, bensì su quelli operati dal SED, rimanendo le delibere dei Commissari totalmente estranee al provvedimento con il quale si sarebbe riconosciuto e ammesso al passivo il credito dei ricorrenti. Un simile rilievo, infatti, risulta pienamente coperto dalle statuizioni giurisdizionali, rese dal TAR per la Campania in sede di reclamo avverso i provvedimenti adottati dal Commissario ad acta, sicché in questa sede non può trovare accoglimento, essendo rilievo che avrebbe dovuto essere portato avverso quella statuizione giurisdizionale e non invece avverso la delibera n. 37/2002, che ha dato esecuzione alla regula juris ivi statuita.
13. Infine, non coglie nel segno la presunta violazione del diritto di difesa per mancata indicazione dei criteri di calcolo sulla scorta dei quali sono stati diversamente ammessi al passivo gli odierni appellanti, risultando adeguato e sufficiente il richiamo ai citati provvedimenti giurisdizionali.
14. Quanto, invece, alla posizione dell’appellante Aiello, va rilevato che, come correttamente evidenziato dalla difesa dell’amministrazione provinciale, sebbene la delibera n. 121/98 non riguardasse il credito di Aiello Clara (dante causa di Aiello Filippo), è vero che la delibera n. 37/2002 disponeva la revoca anche della delibera n. 186/1997, che la riguardava. Inoltre, la delibera n. 47/2003 provvedeva a correggere l’errore materiale inerente la posizione di Aiello Filippo.
15. Appare pertanto giocoforza respinge l’appello in esame. Attesa la complessità delle questioni in fatto ed in diritto trattate si ravvisano eccezionali motivi per compensare le spese dell’odierno grado di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese tra le parti costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 giugno 2014 con l'intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Vito Poli, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore
 

 

L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/10/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)