Per il delitto di minaccia o resistenza a pubblico ufficiale non è richiesta una minaccia diretta o personale, ma è sufficiente qualsiasi forma di coazione, anche morale.
Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 21238 del 5 giugno 2025 (su telegram premium)
Massima
In tema di minaccia e resistenza a pubblico ufficiale, integra il reato di cui all'art. 336 cod. pen. la condotta del detenuto che, all'interno di un istituto penitenziario, minaccia gli agenti della polizia penitenziaria, anche quando la minaccia non sia diretta a far compiere uno specifico atto contrario ai doveri d'ufficio rientrante nella competenza funzionale dell'agente minacciato. Ai fini dell'integrazione del reato, infatti, non è necessaria una minaccia diretta o personale, essendo sufficiente l'uso di qualsiasi coazione, anche morale ovvero una minaccia indiretta, purché sussista l'idoneità a coartare la libertà di azione del pubblico ufficiale.
Massima
In tema di minaccia e resistenza a pubblico ufficiale, integra il reato di cui all'art. 336 cod. pen. la condotta del detenuto che, all'interno di un istituto penitenziario, minaccia gli agenti della polizia penitenziaria, anche quando la minaccia non sia diretta a far compiere uno specifico atto contrario ai doveri d'ufficio rientrante nella competenza funzionale dell'agente minacciato. Ai fini dell'integrazione del reato, infatti, non è necessaria una minaccia diretta o personale, essendo sufficiente l'uso di qualsiasi coazione, anche morale ovvero una minaccia indiretta, purché sussista l'idoneità a coartare la libertà di azione del pubblico ufficiale.
La persona offesa dal delitto deve intendersi l'amministrazione carceraria nel suo complesso, rappresentata nell'occorrenza dall'agente direttamente investito dalle minacce. L'atto che rileva non è solo quello che rientra nella specifica competenza dell'agente minacciato ma anche quello che più in generale fa capo all'ufficio di appartenenza dell'agente stesso, traducendosi la minaccia in una richiesta rivolta all'intermediario di sottoporla a chi ha il potere di decidere.
Quanto alla determinazione della pena, in presenza di recidiva reiterata, il giudice non può applicare le circostanze attenuanti generiche in virtù del divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata di cui all'art. 99, comma quarto, cod. pen., previsto dall'art. 69, comma quarto, cod. pen., dovendo fornire adeguata motivazione che tenga conto dei precedenti penali quale espressione della spiccata capacità criminale del reo.
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