domenica 8 settembre 2024

Il buono pasto spetta a prescindere delle fasce orarie destinate alla consumazione del pasto

 L’impiego del buono pasto nella Pubblica amministrazione.

 La consumazione del pasto è agganciata alla pausa di lavoro e avviene nel corso della stessa e, laddove la contrattazione collettiva lo preveda, il diritto alla mensa (o del servizio sostitutivo dello stesso, con l’erogazione del buono pasto) sorge ogniqualvolta il dipendente effettua un orario di lavoro eccedente le sei ore. La Corte di cassazione, con l’Ordinanza n.21440 del 31 luglio 2024, ha disposto che il diritto alla mensa, e quindi il buono pasto, spetta ogni volta che, contrattualmente, sia riconosciuto il diritto alla pausa.

Con la citata ordinanza la Cassazione afferma che la consumazione del pasto è collegata alla pausa di lavoro ed avviene nel corso della stessa e, laddove la contrattazione collettiva lo preveda, il diritto alla mensa (o ai sostitutivi buoni pasto) sorge ogniqualvolta la prestazione ecceda le sei ore.

Il fatto affrontato dalla citata ordinanza riguarda una lavoratrice, dipendente turnista presso un ospedale, la quale ricorre giudizialmente al fine di veder accertato il suo diritto alla erogazione dei buoni pasto per ogni turno eccedente le sei ore. La medesima lavoratrice si era rivolta al giudice del lavoro affinché condannasse l’azienda (nel caso di specie un ospedale) a corrispondere i buoni pasto nei giorni in cui aveva svolto attività lavorativa eccedente le sei ore.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno accolto il ricorso del lavoratore ritenendo, dal combinato disposto delle norme contrattuali con quanto previsto dall’art. 8 del Dlgs. 66/2003, che il diritto alla mensa doveva essere riconosciuto a tutti i dipendenti che effettuavano un orario giornaliero eccedente le 6 ore. Inoltre, poiché il servizio di assistenza svolto dal dipendente non poteva essere sospeso e in azienda non vi era un servizio di mensa serale, al lavoratore dovevano essere riconosciuti i buoni pasto.

In particolare, la Corte d’Appello di Messina ha accolto la predetta domanda, ritenendo che alla ricorrente spettassero i buoni pasto sia perché non poteva essere sospeso il servizio di assistenza dalla stessa reso, sia perché non vi era un servizio di mensa serale.

L’azienda ospedaliera ha proposto ricorso in Cassazione, la quale ha richiamato la propria consolidata giurisprudenza, secondo cui il diritto alla fruizione del buono pasto non ha natura retributiva ma costituisce un’erogazione di carattere assistenziale, collegato al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale, avente il fine di conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore (Cass. 31137/2019).

Proprio per la sua suindicata natura il diritto al buono pasto è strettamente collegato alle disposizioni della contrattazione collettiva che lo prevedono (Cass. 22985/2020).

Poiché la disposizione del CCNL riconosce il diritto alla mensa ai dipendenti in servizio in relazione alla particolare articolazione dell’orario di lavoro, per la Suprema Corte è risultato fondamentale individuare a cosa si riferisse tale espressione.

Secondo lo stesso CCNL il pasto va consumato al di fuori dell’orario di lavoro e il tempo impiegato al tal fine è rilevato con i normali strumenti di controllo dell’orario di lavoro e non deve eccedere i 30 minuti.

Dalla norma contrattuale si ricava che la fruizione del pasto e quindi il connesso diritto alla mensa o al buono pasto, è prevista nell’ambito di un intervallo non lavorato.

Si può dunque convenire sul fatto che l’espressione del CCNL “particolare articolazione dell’orario di lavoro” è collegata alla fruizione di un intervallo di lavoro.

Pertanto, la Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – ha rilevato che il diritto alla fruizione del buono pasto non ha natura retributiva, ma costituisce una erogazione di carattere assistenziale, collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale, avente il fine di conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore.

Ciò premesso, per la sentenza, non può essere accolta la tesi difensiva del datore, secondo cui il diritto alla mensa sorgerebbe solo in caso di attività lavorativa prestata nelle fasce orarie normalmente destinate alla consumazione del pasto.

Invero, secondo i Giudici di legittimità, la fruizione del pasto — ed il connesso diritto alla mensa o al buono pasto— è prevista nell’ambito di un intervallo non lavorato. Su tali presupposti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dalla società e ha confermato l’obbligo stabilito per legge di dover versare una somma concernente ai richiesti buoni pasto.

 23/08/2024 Nicola Niglio 

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