Con sentenza n. 174 del 27 luglio 2023, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 2, D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come integrato dall’art. 57, comma 1, d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 (Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 21, 41, 42 e 76 della Costituzione.
La disciplina censurata, infatti, essendo integralmente contenuta nel regolamento di esecuzione del Codice della strada, non può essere oggetto del sindacato di legittimità costituzionale (in proposito, Corte Cost., ordinanza n. 430 del 1999). La Corte Costituzionale ha già chiarito che la sua giurisdizione è limitata alla cognizione della legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge e non si estende a norme di natura regolamentare (sentenza n. 427 del 2000; ordinanze n. 254 del 2016, n. 156 del 2013, n....
https://www.latribuna.it
Corte costituzionale
Sentenza 27 luglio 2023, n. 171
Presidente: Sciarra - Redattore: Patroni Griffi
[...] nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, commi 1 e 5, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76, come sostituito dall'art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172 (Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia dal COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali), convertito, con modificazioni, nella legge 21 gennaio 2022, n. 3, come modificato dall'art. 8, comma 1, lettere a) e b), del decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 (Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell'epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza), convertito, con modificazioni, nella legge 19 maggio 2022, n. 52, promosso dal Tribunale ordinario di Padova, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento vertente tra E. T. e Azienda Ospedale-Università di Padova, con ordinanza del 14 luglio 2022, iscritta al n. 136 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell'anno 2022.
Visti gli atti di costituzione di E. T. e Azienda Ospedale-Università di Padova, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 20 giugno 2023 il giudice relatore Nicolò Zanon, sostituito per la redazione della sentenza dal giudice Filippo Patroni Griffi;
uditi gli avvocati Pierfrancesco Zen per E. T., Enrico Minnei per Azienda Ospedale-Università di Padova e l'avvocato dello Stato Beatrice Gaia Fiduccia per il Presidente del Consiglio dei ministri;
deliberato nella camera di consiglio del 20 giugno 2023.
RITENUTO IN FATTO
1.- Il Tribunale ordinario di Padova, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 14 luglio 2022. Iscritta l'ordinanza indicata in epigrafe ha sollevato, in riferimento agli artt. 23 e 32 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4, commi 1 e 5, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76, successivamente modificato dall'art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172 (Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali), convertito, con modificazioni, nella legge 21 gennaio 2022, n. 3 e «dall'art. 8, comma 1, lett. a)», del decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 (Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell'epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza), convertito, con modificazioni, nella legge 19 maggio 2022, n. 52.
Il giudice rimettente lamenta che le disposizioni impugnate «delegano alla circolare del Ministero della salute di dettare la disciplina delle indicazioni e dei termini per la vaccinazione cui devono sottoporsi gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario, sia in generale sia in caso di intervenuta guarigione dal virus, senza predeterminare la disciplina delegata alla circolare in modo tale che il relativo potere sia delimitato e circoscritto a parametri legislativamente stabiliti, e senza contenere alcuna precisazione, anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell'azione amministrativa limitativa del diritto alla salute delle persone».
1.1.- Il giudice a quo riferisce di essere investito di un procedimento cautelare promosso da E. T., infermiera alle dipendenze dell'Azienda Ospedale-Università di Padova, che veniva sospesa dal lavoro e dalla retribuzione per non aver adempiuto all'obbligo vaccinale di cui all'art. 4, comma 1, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito. Successivamente, la stessa ha contratto il virus SARS-CoV-2 e, acquisita la certificazione di avvenuta guarigione, è rientrata a lavoro in base a quanto previsto dall'art. 4, comma 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito.
La parte privata ha adito il Tribunale di Padova chiedendo che, «tra l'altro, venga accertato che, ai sensi della circolare del 21.07.2021 del Ministero della salute, ella è esente dall'obbligo vaccinale per 12 mesi, decorrenti dalla data di guarigione, oppure, in subordine, per almeno 6 mesi».
La parte resistente obietta, invece, di «dover dare applicazione» a quanto previsto dalle circolari del Ministero della salute del 3 marzo 2021 e del 21 luglio 2021, in base alle quali è possibile «considerare la somministrazione di un'unica dose vaccinale nei soggetti con pregressa infezione, purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno 3 mesi di distanza dalla documentata infezione e preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa». Osserva, poi, che l'Ufficio di gabinetto del Ministero della salute, con nota del 29 marzo 2022, ha ribadito che, «per i soggetti mai vaccinati che hanno contratto l'infezione [da SARS-CoV-2 documentata da un test diagnostico positivo], è indicata la vaccinazione, a partire da tre mesi (90 giorni) dalla data del test diagnostico positivo»; e ancora che «il professionista sanitario deve essere considerato inadempiente all'obbligo vaccinale qualora non effettui la dose in questione alla prima data utile (90 giorni) indicata nelle circolari menzionate». L'Azienda Ospedale-Università di Padova afferma, pertanto, che la nota con la quale è stato comunicato alla ricorrente di dover inviare il certificato vaccinale entro tre giorni dalla scadenza del termine di novanta giorni, decorrente dalla data in cui è risultata positiva al test diagnostico, sarebbe stata adottata in applicazione delle richiamate indicazioni.
1.2.- Ciò premesso, il Tribunale rimettente rileva, innanzitutto, che l'interesse ad agire della ricorrente continua a sussistere anche se, a seguito delle modifiche disposte dal d.l. n. 172 del 2021, come convertito, l'accertamento dell'inadempimento all'obbligo vaccinale è stato trasferito dall'azienda sanitaria locale all'Ordine professionale di appartenenza. Ciò in quanto la richiamata nota della parte resistente non è stata mai revocata e la ricorrente, pertanto, conserva l'interesse «a conoscere la data entro cui deve adempiere all'obbligo vaccinale».
1.3.- In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che, se fossero dichiarate costituzionalmente illegittime le disposizioni impugnate, le circolari ministeriali e la successiva nota ministeriale dovrebbero essere disapplicate e la controversia decisa senza tenerne conto.
1.4.- Nel motivare la non manifesta infondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale, il giudice rimettente, integralmente richiamate le disposizioni censurate, osserva che dalla loro lettura si evincerebbe che esse hanno «delegato» alle circolari del Ministero della salute la «disciplina delle indicazioni e dei termini della vaccinazione cui sono obbligati gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario [...] nel caso di intervenuta guarigione».
Così disponendo, risulterebbe superata la «concezione tradizionale, del tutto consolidata fino a poco tempo fa», in forza della quale le circolari non sono da considerarsi fonti del diritto, quanto piuttosto «atti amministrativi aventi efficacia meramente interna all'ente pubblico». La dottrina - continua il rimettente - avrebbe ritenuto le cosiddette «circolari-regolamento» una categoria «ibrida», di non facile inquadramento: per taluni sarebbero produttive di effetti diretti nell'ordinamento generale e sarebbero pertanto munite della «validità dei regolamenti»; per altri, tale tipologia di atti non sarebbe configurabile, per la intrinseca contraddittorietà che ciò comporterebbe; altri, infine, avrebbero sostenuto che sia di volta in volta necessario verificare se la circolare abbia i «requisiti sostanziali e procedimentali idonei a consentire una sua qualificazione come regolamento».
Il rimettente richiama, infine, la giurisprudenza amministrativa secondo la quale, per un verso, il provvedimento amministrativo che sia adottato, senza adeguata motivazione, in violazione di una circolare sarebbe viziato per eccesso di potere (sono citate le sentenze del Consiglio di Stato, sezione sesta, 13 febbraio 2011, n. 177 e sezione quarta, 21 giugno 2005, n. 3243, nonché sezione sesta, 14 febbraio 2002, n. 875); per un altro, la circolare illegittima potrebbe essere disapplicata da parte del destinatario della stessa (sono citate le sentenze del Consiglio di Stato, sezione quinta, 15 ottobre 2010, n. 7521, sezione quarta, 11 ottobre 2001, n. 5354, nonché sezione quarta, 27 novembre 2000, n. 6299).
Secondo il giudice a quo, le disposizioni censurate avrebbero superato questa «consolidata concezione della circolare», nel momento in cui hanno delegato a tale atto la disciplina relativa ad indicazioni e termini delle vaccinazioni cui sono tenuti gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario. In tal modo, infatti, le predette circolari sarebbero divenute «vere e proprie fonti del diritto, con efficacia diretta nell'ordinamento generale», le quali pertanto, come sarebbe stato posto in evidenza dalla dottrina più recente, sarebbero entrate a far parte del «quadro normativo tradizionale della gerarchia delle fonti».
1.4.1.- Tanto premesso, il Tribunale rimettente afferma di doversi interrogare sulla compatibilità con gli artt. 23 e 32 Cost. della «delega legislativa alle circolari del ministro della sanità». Entrambe le disposizioni costituzionali, infatti, prevedono una riserva di legge, istituto con «valenza partecipativa», che garantisce «pubblicità dei lavori parlamentari» e che consente che l'esercizio della funzione legislativa sia sottoposta al sindacato di questa Corte. Si tratti di una riserva di legge assoluta o relativa, ciò che sarebbe caratteristico dell'istituto è il pretendere che i limiti ai diritti fondamentali siano posti dalla fonte primaria.
A tal proposito, il Tribunale di Padova richiama la giurisprudenza di questa Corte che avrebbe considerato la riserva di legge quale «garanzia comune dei diritti di libertà» (sono citate le sentenze n. 383 del 1998 e n. 4 del 1962) e che avrebbe chiarito che «le attività esecutive eventualmente configurate devono essere "predeterminate dalla legge in modo tale che il relativo potere sia delimitato e circoscritto a parametri legislativamente stabiliti"» (è richiamata la sentenza n. 112 del 1993). Anche nelle materie coperte da riserva relativa, la legge non potrebbe limitarsi a indicare l'oggetto o le finalità dei vincoli (sentenza n. 4 del 1962), ma dovrebbe contenere «una precisazione, anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell'azione amministrativa limitativa della sfera generale di libertà dei cittadini» (sentenze n. 5 del 2021 e n. 115 del 2011). Il principio di legalità sostanziale, infatti, non consentirebbe «l'"assoluta indeterminatezza" del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa» (sono richiamate le sentenze n. 32 del 2009, n. 307 del 2003, n. 150 del 1982). Occorrerebbe, insomma, che l'esercizio del potere di imporre una prestazione sia determinato nel contenuto e nelle modalità, senza che sia lasciato all'«arbitrio dell'ente impositore la determinazione della prestazione» (sentenza n. 4 del 1957, e, più di recente, sentenza n. 190 del 2007).
La giurisprudenza costituzionale, insiste il rimettente, avrebbe affermato che, se è vero che la riserva relativa di legge espressa dall'art. 23 Cost. consente maggiori margini di integrazione da parte di fonti secondarie, ciò non significa che la legge possa essere relegata sullo sfondo o tramutarsi in una prescrizione normativa "in bianco", «senza una precisazione, anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell'azione amministrativa limitativa della sfera generale di libertà dei cittadini» (sentenza n. 115 del 2011). Si tratterebbe di un «principio supremo dello Stato di diritto», in base al quale, quando rinvia a un successivo provvedimento amministrativo generale o a un regolamento, la legge deve però «definire i criteri direttivi destinati a orientare la discrezionalità dell'amministrazione» (sentenza n. 174 del 2017).
1.4.2.- Sulla scorta della richiamata giurisprudenza di questa Corte, il rimettente Tribunale di Padova «nutre un non manifestamente infondato dubbio» che le disposizioni censurate non siano rispettose di quanto richiesto dagli artt. 23 e 32 Cost.
Esse, infatti, «nel delegare integralmente alla circolare ministeriale la disciplina delle indicazioni e dei termini della vaccinazione» imposta ex lege, non avrebbero predeterminato «minimamente la disciplina delegata alla circolare in modo tale che il relativo potere sia delimitato e circoscritto a parametri legislativamente stabiliti». Le disposizioni censurate non conterrebbero alcuna precisazione «dei contenuti e dei modi dell'azione amministrativa limitativa della sfera di libertà dei soggetti interessati», concretizzandosi in una delega «completamente "in bianco", priva di ogni limite contenutistico».
Non sarebbe in dubbio, a dire del rimettente, che «dettare la disciplina del termine temporale entro cui i sanitari non vaccinati, ma contagiati e guariti dal Covid-19, devono sottoporsi al trattamento sanitario della vaccinazione» incida sui diritti fondamentali di tali soggetti, in considerazione del fatto che non adempiere a detto obbligo determina la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione. Conseguentemente, non sarebbe costituzionalmente legittimo che sia una mera circolare a «stabilire ad libitum» il momento entro il quale il sanitario non vaccinato, ma guarito dal COVID-19, debba «sottoporsi alla vaccinazione (entro 3 mesi, 6 mesi, 3 anni o 6 anni, e sulla base di quali criteri?)», senza peraltro che le disposizioni censurate contengano alcuna precisazione «circa i contenuti ed i modi dell'azione amministrativa».
Il giudice a quo, a conferma della non manifesta infondatezza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale, richiama la nota dell'Ufficio di gabinetto del Ministero della salute del 29 marzo 2022, che «attribuendosi un potere di cui non è facile individuare il fondamento normativo» ha «perentoriamente» stabilito che il professionista sanitario guarito dal COVID-19 deve essere considerato inadempiente se non si sottopone a vaccinazione «alla prima data utile (90 giorni) indicata nelle circolari». La «incertezza» prodotta nell'interprete da tale nota confermerebbe la necessità che sia la legge a prevedere i «parametri entro i quali la discrezionalità amministrativa vada [...] esercitata».
1.5.- Da ultimo, il Tribunale di Padova asserisce che la «decisione provvisoria della domanda cautelare, disposta con separato provvedimento» non pregiudicherebbe l'ordinanza di rimessione. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, in sede cautelare il giudice potrebbe, dapprima, «concedere provvisoriamente la misura cautelare richiesta» e contestualmente sollevare la questione di legittimità costituzionale, per poi, una volta pronunciatasi questa Corte, definire il procedimento confermando o revocando la decisione già assunta (sono citate le sentenze n. 4 del 2000, n. 183 del 1997, n. 30 del 1995 e n. 444 del 1990).
2.- Con atto del 12 dicembre 2022, si è costituita in giudizio la ricorrente parte del giudizio a quo, chiedendo l'accoglimento delle sollevate questioni.
2.1.- Nel richiamare i fatti di causa, la difesa della parte privata afferma che «è (era) fatto notorio che un guarito ha un'immunità naturale più efficace rispetto ad un vaccinato e che è pericoloso per la salute far vaccinare un guarito in termini ristretti»: la «migliore scienza» (sono richiamati, e allegati, la nota/diffida dell'Associazione Contiamoci del 31 gennaio 2022, una lettera di 1198 medici, lo studio sperimentale dell'istituto di ricerca Altamedica del 7 settembre 2022) avrebbe determinato in un anno «l'immunità da guarigione». Nell'arco di tempo intercorso tra il deposito del ricorso nel giudizio a quo e la costituzione nel giudizio costituzionale, peraltro, gli studi sui soggetti guariti e successivamente sottoposti a vaccino avrebbero confermato un «aumento del rischio» relativo a tutti gli effetti collaterali, puntualmente elencati: rischio stimato, si afferma, «superiore di almeno da 1,6 a 3 volte». Ulteriori studi avrebbero altresì mostrato che è possibile che i vaccini anti-COVID-19 «sopprimano la produzione di interferone», rendendo il sistema immunitario «incapace di combattere efficacemente infezioni e trasformazioni tumorali».
Quanto alle vicende che hanno portato al promovimento del ricorso dinanzi al Tribunale rimettente, la difesa della parte privata rileva che l'imposizione della vaccinazione al novantunesimo giorno dall'infezione, disposta dall'Azienda Ospedale-Università di Padova, non sarebbe desumibile da alcuna norma di legge, e si discosterebbe anche dalle indicazioni fornite dallo stesso Ministero della salute, e in particolare dalla circolare del 21 luglio 2021, che raccomanda la somministrazione di un'unica dose di vaccino ai guariti da COVID-19 preferibilmente entro 6 mesi dalla data in cui hanno contratto la malattia e comunque non oltre 12 mesi dalla guarigione. Ne conseguirebbe che «il termine di riferimento per il datore di lavoro non può che essere quello di 12 mesi, decorsi i quali potranno essere avviate le procedure volte alla verifica dell'assolvimento dell'obbligo». Diversamente, «[p]rima di tale data non c'è legittimazione alcuna per obbligare all'inoculazione del siero».
Peraltro, a seguito dell'approvazione della circolare del 21 luglio, molte Aziende sanitarie, attenendosi anche ad alcuni provvedimenti giurisdizionali, avrebbero comunque portato da tre a sei mesi il termine per l'inoculazione del vaccino ai sanitari guariti. Circostanza, questa, che evidenzierebbe l'inopportunità, oltre che l'illegittimità, della scelta del legislatore di richiamarsi, in questa delicata materia, a circolari, «fonte labile di diritto», foriera di disparità di trattamento tra i sanitari di diverse regioni o della stessa regione. Con la conseguenza che «[v]iene a sollevarsi così anche una questione di uguaglianza (art. 3 e 4 Cost.)».
2.2.- Con riferimento, più propriamente, al merito delle questioni di legittimità costituzionale, la difesa della parte privata reputa fondati i dubbi del giudice a quo, ritenendo costituzionalmente illegittimo che «meri atti amministrativi, ultimi nella scala della gerarchia delle fonti, possano stravolgere il basilare concetto di riserva di legge».
2.2.1.- Come confermato dal Consiglio di Stato, infatti, le circolari, soprattutto in campo medico, «contengono mere raccomandazioni e non prescrizioni cogenti e si collocano, sul piano giuridico, a livello di semplici indicazioni orientative» (è citata la sentenza della sezione terza, 9 febbraio 2022, n. 946), sicché il sanitario sarebbe «libero di prescrivere - e a maggior ragione assumere - i farmaci che ritenga più appropriati sulla base delle evidenze scientifiche acquisite».
Si afferma, pertanto, che l'obbligo vaccinale imposto ai sanitari sia «particolarmente gravoso e irrazionale», specie ove si consideri che il prodotto farmaceutico in questione «non può definirsi vaccino e non è finalizzato a impedire il contagio e, quindi, a tutelare la salute di terzi, ovvero quella pubblica» (è richiamata, in proposito, l'audizione tenuta il 10 ottobre 2022 al Parlamento europeo dalla presidente della sezione sviluppo dei mercati internazionali della società Pfizer), dovendosi invece considerare quale una cura individuale, come tale insuscettibile di essere imposta ex lege.
2.2.2.- La riserva di legge prevista dall'art. 32 Cost., qualificata come «riserva di legge assoluta», pretenderebbe che la relativa disciplina sia posta dal Parlamento con disposizioni approvate «secondo il procedimento sancito dagli artt. 70-74 Cost., e dalla legge costituzionale emanata in base al procedimento previsto dall'art. 138 Cost.», sicché l'obbligo vaccinale non sarebbe potuto essere introdotto con decreto-legge: «[t]anto avrebbe dovuto bastare a Tribunali ordinari e amministrativi per "disapplicare" la normativa in materia di obbligo di vaccinazione anti Sars-Cov 2 in quanto non di emanazione parlamentare».
2.2.3.- A «conclusioni uguali» si dovrebbe giungere anche ritenendo che la riserva di legge di cui all'art. 32 Cost. consenta l'utilizzo di fonti primarie di origine governativa o sia relativa.
Le circolari, anche quando circolari-regolamento, non sono infatti fonti di rango primario. Inoltre, anche se, secondo le «prospettazioni più avanguardiste (e spudoratamente più filogovernative)», esse potrebbero acquistare efficacia nei confronti dei terzi in ragione del conferimento di apposito potere da parte dell'ordinamento, tale conferimento di potere, nei commi 1 e 5 dell'art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito, si risolverebbe in una sorta di delega in bianco incompatibile con gli artt. 23 e 32 Cost. L'assenza di limiti di contenuto all'azione amministrativa, del resto, sarebbe confermata dal fatto «che in un lasso temporale minore di un anno il Ministero ha letteralmente "sparato" ogni possibile indicazione temporale», sino ad arrivare a sostenere, nella nota dell'Ufficio di gabinetto del 17 febbraio 2022 «salutata da ordini e giudici - che l'hanno incredibilmente applicata - come interpretazione autentica delle circolari esistenti», che il guarito «dovesse vaccinarsi immediatamente».
La «grossolanità dell'errore» sarebbe tanto più grave perché compiuto in relazione al bene fondamentale della salute, «attraverso un prodotto genico sperimentale» i cui effetti sono ignoti e in un momento - a marzo 2022 - in cui la normazione «eccezionale e derogatoria» doveva considerarsi «sorretta solo dalla propaganda», in quanto «da molti mesi era evidente che il vaccino non bloccava il contagio ma continuava ad inibire il lavoro e a mettere in pericolo la salute».
2.2.4.- La difesa della parte costituita osserva, altresì, che «se un rimando così ampio e cieco ad atti amministrativi» avrebbe potuto comprendersi «nelle prime fasi emergenziali della pandemia», certamente non lo si può capire al tempo dell'adozione del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito, e tanto meno successivamente, quando vi erano «già dati scientifici sufficienti per un eventuale e più ponderato intervento parlamentare».
3.- Con atto del 13 dicembre 2022, si è costituita in giudizio anche l'Azienda Ospedale-Università di Padova, controparte nel giudizio principale, chiedendo siano dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate.
3.1.- La difesa della controparte sintetizza, anzitutto, l'evoluzione normativa in materia e le vicende del rapporto di lavoro di cui al giudizio a quo. In particolare si dà conto della circostanza che, una volta guarita la ricorrente dal COVID-19, l'Azienda, «uniformandosi alla prassi interpretativa adottata dalle Autorità sanitarie competenti e dai datori di lavoro (pubblici e privati) nella Regione Veneto», sospendeva temporalmente gli effetti dell'atto di accertamento dell'inadempimento all'obbligo e riammetteva sul lavoro la ricorrente, prospettandole che la sospensione avrebbe iniziato nuovamente a decorrere a partire dal primo giorno utile per la vaccinazione, dopo novanta giorni. La controparte dà, inoltre, conto della circostanza che la ricorrente, di fatto, «non ha visto più "riattivata" la sospensione del rapporto di lavoro quale conseguenza dell'accertato inadempimento»: ciò a motivo dell'intervenuta nuova contrazione del virus, in due successive occasioni, e per aver fruito di permessi, ferie, malattie «sino alla cessazione dell'obbligo vaccinale del 2.11.2022 disposta dal d.l. 31.10.2022, n. 162».
3.1.1.- Tanto premesso, la difesa dell'Azienda Ospedale-Università di Padova ritiene, anzitutto, che le questioni debbano essere dichiarate inammissibili per difetto di rilevanza.
La vicenda del giudizio a quo, infatti, riguarda una infermiera mai vaccinata, contagiatasi e, una volta guarita, riammessa in servizio, la quale ha chiesto al Tribunale di Padova di ordinare all'Azienda datrice di lavoro di sospendere l'atto di accertamento dell'obbligo vaccinale per dodici mesi decorrenti dalla guarigione e, in ogni caso, per non meno di sei mesi. La medesima infermiera, tuttavia, nel frattempo non è stata «mai più interessata (sfavorevolmente) dalla disciplina anti-covid fino alla cessazione dell'obbligo vaccinale», sicché, non essendo mai più stato sospeso il rapporto di lavoro, né la relativa retribuzione, la ricorrente non ha più alcun interesse a conoscere la data entro cui deve adempiere all'obbligo vaccinale, in quanto detto obbligo è nel frattempo venuto meno.
La difesa della controparte afferma che, ad ogni modo, «il petitum del giudizio a quo, sia cautelare che di merito, non riguarda la previsione del comma 1 dell'art. 4 del d.l. n. 44/2021», sicché la questione sollevata su tale disposizione sarebbe priva di rilevanza; peraltro, quando è stato accertato l'inadempimento della parte ricorrente all'obbligo vaccinale, il testo ratione temporis del citato art. 4, comma 1, «non faceva riferimento alcuno alle circolari» e, inoltre, il richiamo alle circolari ministeriali sarebbe da intendersi riferito alla somministrazione della dose di richiamo, che non interessa evidentemente la ricorrente, la quale mai si è vaccinata.
Nel caso in cui non si ritenessero inammissibili per le rilevate ragioni, «sarebbe quanto meno necessario restituire gli atti al giudice a quo per un approfondimento e/o un riesame della motivazione sulla rilevanza».
3.1.2.- La difesa dell'Azienda datrice di lavoro ritiene le questioni di legittimità costituzionale inammissibili anche per la «ricostruzione del quadro normativo e fattuale di riferimento del tutto scarna ed insoddisfacente».
Il rimettente, infatti, non avrebbe considerato l'evoluzione normativa che ha interessato i commi 1 e 5 dell'art. 4, né correttamente collocato nel tempo i fatti oggetto della vicenda ai quali l'una e l'altra disposizione sono suscettibili di essere applicati; non avrebbe stabilito se le riserve di legge di cui agli artt. 23 e 32 Cost. devono qualificarsi come assolute o relative; non avrebbe considerato che il censurato art. 4, comma 5, applicabile nel giudizio a quo, non restringe il diritto fondamentale, ma sospende temporaneamente i destinatari dall'obbligo vaccinale; affermando che la nota ministeriale del 29 marzo 2022 avrebbe creato «incertezza», avrebbe «trasforma[to] surrettiziamente una questione ermeneutica in un incidente di costituzionalità», quando avrebbe dovuto applicare gli ordinari strumenti di risoluzione delle antinomie.
3.2.- Nel merito, la controparte del giudizio principale ritiene non condivisibili gli argomenti spesi dal giudice rimettente.
3.2.1.- Si osserva, innanzitutto, che sarebbe erroneo il richiamo alla riserva di legge.
Ciò perché, come accennato già in punto di ammissibilità, quello della riserva di legge è istituto che intendere garantire le libertà fondamentali, mentre il censurato art. 4, comma 5, «non riguarda il momento limitativo della libertà» ma, al contrario, introduce «uno spazio temporaneo di esonero dall'obbligo vaccinale», sicché la libertà individuale «si riespande, non si contrae». Tanto ciò è vero che, nel giudizio a quo, la ricorrente chiede «l'applicazione della circolare cui rinvia la norma di legge», con la conseguenza che ciò che è in discussione in giudizio è «come le circolari debbano essere interpretate».
3.2.2.- Anche ad ammettere, peraltro, che le riserve di legge in questione siano assolute, ciò non escluderebbe l'integrazione del dettato legislativo da parte di «fonti sublegislative limitatamente ad aspetti di mera esecuzione "rispondenti a valutazioni di carattere tecnico", come nel caso di specie è per le circolari del Ministero della salute» (in proposito è richiamata la giurisprudenza di questa Corte in tema di determinazione del precetto penale per opera di provvedimenti amministrativi: sentenze n. 113 del 1972, n. 96 e n. 36 del 1964; ordinanza n. 356 del 1987).
L'individuazione del momento entro il quale il sanitario non vaccinato ma guarito sia tenuto a vaccinarsi risponde a una «valutazione esclusivamente tecnica» che sfugge alla competenza del Parlamento e che non può che essere rimessa al Ministero della salute e alle sue articolazioni tecnico-scientifiche: le circolari di cui è causa, del resto, sono state adottate da detto Ministero «sulla scorta di pareri espressi dal Consiglio Superiore della Sanità, dall'Autorità regolatoria italiana AIFA e dal Comitato tecnico scientifico del Dipartimento della Protezione Civile». Il rinvio alle circolari ministeriali, lungi dal consentire un incontrollato esercizio di discrezionalità amministrativa da parte del Governo, è solo funzionale a consentire che la previsione legislativa sia eseguita sulla base di quanto indicato dall'«organo più accreditato a formulare quelle valutazioni tecnico-scientifiche».
In questa prospettiva, la riserva di legge può dirsi dunque certamente soddisfatta, tanto più ove la si consideri relativa: «è nella legge che si trova allocata la scelta politica dell'introduzione dell'obbligo vaccinale, la modalità del suo accertamento, le conseguenze della sua violazione, rimettendosi alla circolare ministeriale non già scelte di politica sanitaria, ma esclusivamente determinazioni tecniche sulla base di nozioni mediche», le quali sono ovviamente «suscettibili d'essere aggiornate con l'evoluzione delle conoscenze del settore».
3.2.3.- Da ultimo, la difesa dell'Azienda Ospedale-Università di Padova osserva che il giudice a quo si dilunga sul tema della natura delle circolari, asserendo che le disposizioni censurate, nel richiamarvisi, supererebbero la concezione tradizionale, rendendole vere e proprie fonti del diritto: ciò che, tuttavia, non lo porta a desumere «alcun profilo autonomo di incostituzionalità».
4.- Con atto depositato il 13 dicembre 2022, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le odierne questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili o non fondate.
4.1.- A detta della difesa dell'interveniente, la rilevanza delle questioni sollevate dal Tribunale di Padova difetterebbe in ragione dello ius superveniens.
L'art. 7, comma 1, lettera a), numeri 1) e 2) del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162 (Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali), convertito, con modificazioni, nella legge 30 dicembre 2022, n. 199, infatti, nel modificare il censurato art. 4, commi 1 e 5, ha anticipato dal 31 dicembre 2022 al 1° novembre 2022 «il termine finale di scadenza dell'obbligo vaccinale» e quello di efficacia della sospensione dall'esercizio dell'attività lavorativa per il caso di accertato inadempimento all'obbligo predetto. Il giudice a quo àncora l'interesse ad agire della ricorrente alla sola circostanza che la stessa sarebbe in attesa di «conoscere la data entro cui deve adempiere all'obbligo vaccinale»: ma se così è, allora il venir meno dell'obbligo vaccinale costituirebbe «motivo di cessazione di tale interesse», non sussistendo più un obbligo vaccinale in capo all'interessata.
Ciò, pertanto, dovrebbe indurre questa Corte a restituire gli atti al giudice a quo o a pronunciare l'inammissibilità delle questioni sollevate.
4.2.- Nel merito, le questioni sarebbero destituite di fondamento.
4.2.1.- L'Avvocatura generale dello Stato rileva, innanzitutto, che la «"prestazione personale"» (se si richiama l'art. 23 Cost.) o il «"trattamento sanitario" obbligatorio» (se si fa riferimento all'art. 32 Cost.) sono stati imposti dalla legge ordinaria, mentre il rinvio alle circolari ministeriali riguarderebbe «soltanto indicazioni e termini temporali», ovverosia «profili meramente attuativi di un obbligo già pienamente stabilito dalla fonte di rango primario».
4.2.2.- A differenza di quanto assume il rimettente, la disciplina legislativa, d'altra parte, non avrebbe introdotto una delega in bianco.
L'art. 4, comma 1, infatti, conterrebbe «due fondamentali indicazioni teleologiche», laddove stabilisce che l'obbligo vaccinale è imposto «al fine di tutelare la salute pubblica» e per «mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza». Il successivo comma 2, inoltre, prescrive l'esenzione dall'obbligo in caso di accertato pericolo per la salute in relazione a condizioni cliniche documentate.
La discrezionalità amministrativa, pertanto, sarebbe «tutt'altro che priva di limiti». Dal complessivo impianto normativo si ricaverebbe, inoltre, come la discrezionalità ministeriale sarebbe «subordinata a valutazioni medico-scientifiche, sulla cui esclusiva base le circolari indicano i limiti temporali nei quali gli interessati devono sottoporsi a vaccinazione». Con la conseguenza che eventuali prescrizioni irragionevoli o non supportate da evidenze scientifiche «potrebbero in ipotesi essere oggetto di sindacato da parte del giudice ordinario, con conseguente, eventuale, disapplicazione» della circolare.
4.2.3.- Si afferma, anzi, che «lo strumento della circolare, a ben vedere, si pone come l'unico possibile per dettare delle "norme tecniche" che devono necessariamente avere la flessibilità per adattarsi ad un contesto mutevole e imprevedibile, quale quello pandemico». Se, infatti, fosse stato indicato in una norma di legge il tempo entro il quale effettuare il ciclo vaccinale, si sarebbero fissati «i termini di trattamenti sanitari obbligatori senza garantire la possibilità di revisione laddove l'evidenza scientifica ne [avesse] richiesto una modifica», come invece è stato possibile fare con il succedersi delle circolari ministeriali.
La stessa previsione di un termine oltre il quale l'obbligo vaccinale cessa escluderebbe un rinvio in bianco ad atti amministrativi.
4.2.4.- Una volta richiamata la pronuncia di questa Corte concernente l'uso dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (sentenza n. 198 del 2021), con la quale in particolare si è rilevato che il COVID-19 «a causa della rapidità e della imprevedibilità con cui il contagio si spande, ha imposto l'impiego di strumenti capaci di adattarsi alle pieghe di una situazione di crisi in costante divenire», la difesa dell'interveniente osserva che le circolari cui rinvia la disposizione impugnata «attengono a prescrizioni esclusivamente tecniche» e la loro legittimità «non è stata mai revocata in dubbio dalla giurisprudenza amministrativa» (è richiamato in proposito Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 20 ottobre 2021, n. 7045).
Ciò a ulteriore conferma della circostanza secondo cui l'obbligo vaccinale «risiede solo ed esclusivamente nella norma primaria» e le circolari ministeriali dettano soltanto modalità e tempistiche di somministrazione del vaccino, che così possono essere tempestivamente adeguate sulla base delle evidenze scientifiche e nel rispetto del principio di precauzione.
Per ribadire il «contenuto chiaramente tecnico e non precettivo» e il carattere non normativo delle circolari ministeriali cui rinvia la disposizione impugnata, l'Avvocatura generale dello Stato riporta una parte della circolare del 21 luglio 2021, sottolineando come essa richiami il parere del Comitato tecnico scientifico, organo di natura tecnica, e ragioni di «"possibilità" di considerare la somministrazione di un'unica dose per i soggetti in determinate condizioni».
Quanto alla «circolare dell'Ufficio di Gabinetto del Ministero del 29 marzo 2022», essa si limiterebbe a «riepilogare» le modalità con le quali gli ordini professionali possono tenere conto, in fase istruttoria e ai fini della verifica dell'assolvimento dell'obbligo vaccinale, dell'eventuale guarigione del sanitario, in base alle indicazioni contenute nelle precedenti circolari.
4.2.5.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, infine, osserva che la disposizione censurata, «nel demandare le indicazioni di dettaglio ad atti amministrativi generali», non differirebbe da altre previsioni normative impositive di obblighi vaccinali.
Viene richiamato, a tal proposito, l'art. 1, comma 1, del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73 (Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale, di malattie infettive e di controversie relative alla somministrazione di farmaci), convertito, con modificazioni, nella legge 31 luglio 2017, n. 119, il quale fa rinvio a un documento amministrativo quale il calendario vaccinale nazionale, allegato al Piano nazionale prevenzione vaccinale approvato con intesa in Conferenza Stato-regioni. Normativa, questa, la cui «legittimità» sarebbe stata già riconosciuta da questa Corte con la sentenza n. 5 del 2018.
5.- La parte ricorrente nel giudizio a quo ha depositato memoria in prossimità dell'udienza pubblica, con la quale ha sostenuto - a dispetto di quanto eccepito dalla controparte e dal Presidente del Consiglio dei ministri - che le questioni di legittimità costituzionale sarebbero ancora rilevanti.
La ricorrente, infatti, avrebbe ancora interesse a «ottenere una pronuncia nel merito non fosse altro per concludere il procedimento cautelare interrotto, entrato nel merito e che si deve determinare anche in punto spese».
A supporto della persistente rilevanza viene richiamata la giurisprudenza di questa Corte secondo cui «la valutazione della legittimità del provvedimento impugnato va condotta con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione» (sentenze n. 49 e n. 30 del 2016, n. 151 del 2014). Sarebbe palese che, quando è stata adottata l'ordinanza di rimessione, era ancora in vigore l'obbligo vaccinale che, in considerazione delle già note «circostanze degli effetti avversi e delle morti improvvise», «gravava pesantemente sulla vita della sanitaria».
Sarebbe insomma il principio tempus regit actum a radicare l'interesse attuale al pronunciamento nel giudizio a quo, se non altro per le spese di lite, visto che «l'infermiera è stata costretta ad azionare una causa per sottrarsi ad un obbligo insensato (perché non fondato sulla scienza ma su preoccupazioni politiche, come gli atti di Bergamo dimostrano), inutile (perché non fermava il contagio, come confermato da più parti, non ultima da dirigenti Pfizer in audizione al Parlamento Europeo) e pericoloso (in quanto guarita da 90 giorni)».
6.- Anche l'Azienda Ospedale-Università di Padova ha depositato, in prossimità dell'udienza pubblica, una memoria con la quale ha insistito per la declaratoria di inammissibilità delle sollevate questioni.
A conferma di quanto dedotto nell'atto di costituzione e ribadito nella stessa memoria, la difesa della controparte rileva che, con l'allegata sentenza del Tribunale di Padova, sezione lavoro, 5 aprile 2023, n. 191, il giudice a quo - che aveva disposto la separazione della causa relativa all'accertamento della data entro la quale la ricorrente è obbligata a sottoporsi a vaccinazione, dalla causa relativa al pagamento delle retribuzioni relative al periodo in cui ella è stata sospesa dal servizio il 23 novembre 2021, nonostante fosse già assente per malattia - ha deciso in ordine a tale ultimo profilo. Ne consegue che rimane pendente il solo giudizio attinente all'accertamento della data entro cui la ricorrente deve sottoporsi a vaccinazione, domanda rispetto alla quale, appunto, sarebbe cessato l'interesse.
6.1.- Si contesta, poi, il tentativo della difesa della ricorrente di estendere il perimetro del giudizio di legittimità costituzionale alla ragionevolezza e proporzionalità dell'obbligo vaccinale, profili sui quali questa Corte si sarebbe, comunque sia, già pronunciata con le sentenze n. 15 e n. 14 del 2023: di qui l'inammissibilità del richiamo a parametri diversi rispetto agli artt. 23 e 32 Cost.
6.2.- Quanto, poi, al merito delle questioni di legittimità costituzionale, viene osservato che le riserve di legge assolute e relative - che sono cosa diversa dalla riserva di legge formale - possono essere pacificamente soddisfatte dagli atti normativi del Governo, secondo una soluzione interpretativa avallata da questa Corte sin dalla sentenza n. 126 del 1969.
7.- Ha presentato una opinio in qualità di amicus curiae l'Associazione Droit Uniforme A.S.B.L.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- Il Tribunale di Padova, in funzione di giudice del lavoro, con l'ordinanza indicata in epigrafe ha sollevato, in riferimento agli artt. 23 e 32 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4, commi 1 e 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito, nel testo risultante a seguito del d.l. n. 24 del 2022, come convertito, nella parte in cui attribuisce a circolare del Ministero della salute l'onere «di dettare la disciplina delle indicazioni e dei termini per la vaccinazione cui devono sottoporsi gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario, sia in generale sia in caso di intervenuta guarigione dal virus, senza predeterminare la disciplina delegata alla circolare in modo tale che il relativo potere sia delimitato e circoscritto a parametri legislativamente stabiliti, e senza contenere alcuna precisazione, anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell'azione amministrativa limitativa del diritto alla salute delle persone».
1.1.- Il giudice a quo riferisce di essere investito di un procedimento cautelare promosso da un'infermiera che, sospesa dal lavoro e dalla retribuzione per non aver adempiuto all'obbligo vaccinale di cui all'art. 4, comma 1, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito, ha contratto il virus SARS-CoV-2 e, acquisita la certificazione di avvenuta guarigione, è rientrata a lavoro in base a quanto previsto dall'art. 4, comma 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito. Il datore di lavoro le ha successivamente comunicato di dover produrre il certificato vaccinale entro tre giorni dalla scadenza del termine di novanta giorni decorrenti dal giorno in cui era risultata positiva al test diagnostico.
Di qui il ricorso dinanzi al Tribunale di Padova, con il quale, tra le altre cose, è stato richiesto «venga accertato che, ai sensi della circolare del 21.07.2021 del Ministero della salute, ella è esente dall'obbligo vaccinale per 12 mesi, decorrenti dalla data di guarigione, oppure, in subordine, per almeno 6 mesi». Il datore di lavoro ritiene, invece, che, secondo quanto indicato nelle circolari del Ministero della salute del 3 marzo 2021 e del 21 luglio 2021, la vaccinazione torni a essere obbligatoria trascorsi tre mesi dalla documentata infezione.
1.2.- Ciò premesso, il Tribunale rimettente dubita in radice della legittimità costituzionale dell'art. 4, commi 1 e 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito, per contrasto con la riserva di legge posta dagli artt. 23 e 32 Cost.
Le predette disposizioni avrebbero «delegato» alle circolari del Ministero della salute la «disciplina delle indicazioni e dei termini della vaccinazione cui sono obbligati gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario [...] nel caso di intervenuta guarigione». Il che non sarebbe consentito in ambiti coperti da riserva di legge, in quanto la parte di disciplina non regolata con l'atto primario non potrebbe essere recata da circolari ministeriali; queste, infatti, sarebbero tradizionalmente «atti amministrativi aventi efficacia meramente interna all'ente pubblico», mentre le disposizioni censurate le considererebbero «vere e proprie fonti del diritto, con efficacia diretta nell'ordinamento generale».
Le disposizioni censurate sarebbero, inoltre, prescrizioni normative "in bianco", che non definiscono alcun criterio volto a orientare la discrezionalità dell'amministrazione. In tal modo, esse consentirebbero, in violazione di quanto gli artt. 23 e 32 Cost. impongono a tutela dei diritti fondamentali, che sia una mera circolare a «stabilire ad libitum» il momento entro il quale il sanitario non vaccinato, ma guarito dal COVID-19, debba «sottoporsi alla vaccinazione (entro 3 mesi, 6 mesi, 3 anni o 6 anni, e sulla base di quali criteri?)».
2.- In via preliminare, devono essere dichiarate inammissibili, per inconferenza del parametro, le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento all'art. 23 Cost.
Le disposizioni censurate, infatti, nel dettare una disciplina volta a imporre un trattamento sanitario, trovano il loro specifico riferimento costituzionale nell'art. 32, secondo comma, Cost., sicché è unicamente in relazione a tale parametro costituzionale che deve essere valutata la legittimità della scelta, operata dal legislatore, di non esaurire integralmente detta disciplina, ma di rinviare per taluni aspetti a quanto previsto in circolari ministeriali.
3.- La datrice di lavoro della ricorrente, costituitasi in giudizio, ha eccepito l'inammissibilità della questione sollevata sull'art. 4, comma 1, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito, in quanto tale norma non sarebbe applicabile nel giudizio dinanzi al Tribunale di Padova.
3.1.- L'eccezione è fondata.
Nel procedimento cautelare a quo la ricorrente ha chiesto sia accertato che, essendo stata contagiata dal virus SARS-CoV-2, ella «è esente dall'obbligo vaccinale per 12 mesi, decorrenti dalla data di guarigione, oppure, in subordine, per almeno 6 mesi», a fronte della posizione del datore di lavoro, a parere del quale la vaccinazione, secondo quanto disposto dalle circolari del Ministero della salute, torna a essere obbligatoria trascorsi tre mesi dalla documentata infezione.
Il Tribunale di Padova deve, dunque, fare applicazione del solo art. 4, comma 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito, che regola vicende quali quelle di cui al giudizio principale, prevedendo che, in caso di intervenuta guarigione, è disposta «la cessazione temporanea della sospensione, sino alla scadenza del termine in cui la vaccinazione è differita in base alle indicazioni contenute nelle circolari del Ministero della salute».
L'art. 4, comma 1, del medesimo d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito, invece, è la norma che imponeva l'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 agli «esercenti le professioni sanitarie e [a]gli operatori di interesse sanitario di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43».
Non venendo in discussione, nel giudizio a quo, l'obbligatorietà della vaccinazione del personale sanitario ma esclusivamente il momento entro il quale l'infermiera, guarita dal COVID-19, doveva sottoporvisi, la questione sollevata avverso il citato art. 4, comma 1, è inammissibile per irrilevanza.
4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio, e la datrice di lavoro controparte nel giudizio a quo hanno, con argomenti simili, eccepito l'inammissibilità delle sollevate questioni di legittimità costituzionale per difetto di rilevanza, in quanto la ricorrente non avrebbe più alcun interesse ad agire.
Tale interesse, infatti, non sarebbe più sussistente in ragione del fatto che, nelle more del giudizio dinanzi a questa Corte, è venuto meno lo stesso obbligo di vaccinazione e che il rapporto di lavoro, da quando la lavoratrice è rientrata in servizio a seguito della guarigione dal COVID-19, non ha più subito alcuna sospensione.
A rendere non rilevanti le sollevate questioni sarebbe, altresì, lo ius superveniens. L'art. 7 del d.l. n. 162 del 2022, come convertito, infatti, ha anticipato dal 31 dicembre 2022 al 1° novembre 2022 «il termine finale di scadenza dell'obbligo vaccinale» e quello di efficacia della sospensione dall'esercizio dell'attività lavorativa per il caso di accertato inadempimento all'obbligo predetto. Sarebbe quantomeno necessario, pertanto, restituire gli atti al giudice a quo per una nuova valutazione sulla rilevanza.
4.1.- Tali eccezioni di inammissibilità non possono essere accolte.
È indubbio, come si è già detto, che, nel momento in cui è stata adottata l'ordinanza di rimessione, il giudice rimettente avrebbe dovuto decidere il ricorso proposto in base a quanto disposto dall'art. 4, comma 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito, il che è sufficiente a determinare «la pregiudizialità della questione sollevata rispetto alla definizione del processo principale» (da ultimo, sentenza n. 42 del 2023).
La circostanza che, successivamente alla sospensione del giudizio a quo in ragione della sollevazione delle odierne questioni di legittimità costituzionale, sia decorso il termine entro il quale il legislatore aveva imposto, agli esercenti le professioni sanitarie e agli operatori di interesse sanitario, di sottoporsi a vaccinazione, costituisce «il fisiologico esaurimento della fattispecie normativa posta alla base delle censure» (sentenza n. 151 del 2023). La rilevanza, d'altra parte, «riguarda solo il momento genetico in cui il dubbio di costituzionalità viene sollevato» (sentenza n. 69 del 2010) e, pertanto, eventuali evoluzioni del quadro normativo non consentono a questa Corte di «dichiarare le questioni inammissibili per "irrilevanza sopravvenuta"» (ordinanza n. 243 del 2021).
4.2.- Neppure può essere accolta la richiesta di restituire gli atti al giudice a quo.
Se è vero che l'art. 7 del d.l. n. 162 del 2022 è entrato in vigore successivamente all'ordinanza di rimessione, esso, tuttavia, si è limitato ad anticipare al 1° novembre 2022 il termine di vigenza dell'obbligo vaccinale di cui all'art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito, e, dunque, non ha alcuna incidenza sul rinvio che la disciplina censurata effettua alle circolari ministeriali, che è la sola parte della normativa oggetto dei dubbi di legittimità costituzionale.
5.- Ancora in via preliminare, la difesa della datrice di lavoro della ricorrente eccepisce l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale anche per la «ricostruzione del quadro normativo e fattuale di riferimento del tutto scarna ed insoddisfacente», osservando, in particolare, che il Tribunale rimettente avrebbe surrettiziamente trasformato la questione circa l'interpretazione delle circolari ministeriali, sulla quale si controverte nel giudizio a quo, in una questione di legittimità costituzionale delle disposizioni legislative che le richiamano.
5.1.- L'eccezione non è fondata.
Quest'ultimo rilievo non coglie nel segno, in quanto - sebbene il ricorso effettivamente verta sull'interpretazione delle circolari ministeriali - il giudice rimettente, in radice, dubita della legittimità costituzionale proprio delle norme legislative che consentono che la disciplina sull'obbligo vaccinale sia integrata per circolare.
Per quel che concerne la ricostruzione dei fatti di causa e del quadro normativo che interessa il giudizio a quo, quella offerta dal Tribunale di Padova, salvo quanto si è già osservato, è sufficiente a introdurre il giudizio di questa Corte. Alcune delle supposte carenze dell'ordinanza di rimessione, peraltro, riguardano profili che attengono non già all'ammissibilità ma al merito delle censure.
6.- Nel merito, la questione di legittimità costituzionale sollevata sull'art. 4, comma 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito, in riferimento all'art. 32 Cost., non è fondata.
6.1.- Questa Corte ha già affermato che l'art. 32 Cost. pone una riserva di legge relativa (sentenza n. 258 del 1994), sicché la Costituzione «non fa ricadere sul legislatore l'obbligo di introdurre una disciplina in tutto compiuta» (sentenza n. 25 del 2023), ma ammette che questa sia variamente integrata da atti normativi secondari, così come consente «all'amministrazione [di] adottare atti chiamati a specificare e concretizzare il complesso dei precetti normativi» (ancora sentenza n. 25 del 2023). Nei casi di riserve relative, pertanto, ciò che la legge è tenuta a fare, quando conferisca poteri amministrativi, è definire contenuti e modalità del loro esercizio (sentenze n. 5 del 2021 e n. 174 del 2017) che delimitino la discrezionalità dell'amministrazione, la cui attività deve sempre trovare «una, pur elastica, copertura legislativa» (sentenza n. 115 del 2011).
La particolare intensità della tutela che certamente l'art. 32 Cost. accorda al diritto alla salute - il trattamento sanitario potendo essere determinato e reso obbligatorio per legge al ricorrere degli stringenti requisiti che la giurisprudenza di questa Corte ha ancora di recente ribadito (sentenze n. 15 e n. 14 del 2023) - non esclude, pertanto, che la legge, una volta individuata la misura sanitaria imposta, preveda un puntuale intervento dell'amministrazione «nell'ambito di una discrezionalità da esercitarsi sulla base di valutazioni soggette al sindacato di attendibilità tecnico-scientifica esperibile dall'autorità giurisdizionale» (sentenza n. 25 del 2023).
D'altra parte, come ha osservato la difesa dell'Azienda Ospedale-Università di Padova, la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo riconosciuto che non è costituzionalmente impedito l'intervento dell'amministrazione neppure in ambiti coperti da riserva di legge assoluta, sempre che detto intervento integri la fonte primaria, cui devono ascriversi gli elementi essenziali della fattispecie, sulla base di «una valutazione strettamente tecnica» (sentenza n. 333 del 1991), che concorre a precisare il contenuto della norma incriminatrice sulla scorta dei «suggerimenti che la scienza specialistica può dare in un determinato momento storico» (sentenza n. 475 del 1988).
6.2.- Nel caso di specie, l'obbligo per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di sottoporsi alla vaccinazione per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 era imposto dalla legge (art. 4, comma 1, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito), in attuazione di un non irragionevole bilanciamento tra le due confliggenti dimensioni, individuale e collettiva, della salute (sentenza n. 14 del 2023), così come era ancora la legge a individuare quando gli operatori sanitari erano esenti dall'obbligo vaccinale e a prescrivere la procedura da seguire per accertarne l'adempimento (art. 4, commi 2, 3 e 4, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito). Era sempre la fonte primaria, infine, a determinare le conseguenze derivanti dall'inadempimento di detto obbligo, consistenti nella sospensione dall'attività lavorativa e dalla retribuzione (art. 4, commi 4 e 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito), misure che questa Corte ha ritenuto strettamente funzionali a perseguire la finalità di riduzione della circolazione del virus (sentenze n. 15 e n. 14 del 2023).
La norma censurata, nell'ambito del contemperamento tra diritti costituzionali in conflitto, ha previsto che, nel caso in cui l'operatore sanitario non vaccinato contraesse il COVID-19, fosse disposta la «cessazione temporanea della sospensione» in caso di intervenuta guarigione: e ciò sul presupposto che, in tali circostanze, i soggetti destinatari dell'obbligo vaccinale fossero in possesso di una carica anticorpale che non rendeva più necessaria, almeno temporaneamente, la somministrazione del vaccino al fine di ridurre la circolazione del virus.
È nella sede legislativa, pertanto, che risiedeva interamente la disciplina concernente l'obbligo vaccinale, perché era la legge, e soltanto la legge, che aveva individuato: i soggetti tenuti a sottoporsi al trattamento sanitario; per quanti tra questi, «in caso di accertato pericolo per la salute», la vaccinazione potesse essere omessa o differita; la procedura da seguire per l'accertamento dell'obbligo e i soggetti chiamati a porla in essere; nonché, infine, le conseguenze derivanti dal provato inadempimento.
Ancora, è nella legge, e precisamente nella norma censurata, che era previsto - ed è quanto qui più rileva - il differimento della vaccinazione per gli operatori sanitari che fossero stati contagiati dal virus, per i quali, tuttavia, restava l'obbligo, solo temporaneamente sospeso, di sottoporsi al trattamento sanitario imposto per legge.
6.3.- In questo quadro normativo dettato interamente dalla fonte primaria, il legislatore si è limitato a demandare a «circolari del Ministero della salute» l'individuazione del termine di differimento della vaccinazione per gli operatori sanitari contagiati e guariti, ovverosia dell'arco di tempo nell'ambito del quale la carica anticorpale derivante dall'avvenuto contagio rendeva non necessaria la vaccinazione.
Individuazione che, evidentemente, deve essere compiuta sulla base di dati tecnico-scientifici, che, già di per sé mutevoli nel tempo, lo sono stati tanto più durante l'emergenza sanitaria da COVID-19, generata da un virus respiratorio, sino ad allora sconosciuto, «altamente contagioso, diffuso in modo ubiquo nel mondo, e che può venire contratto da chiunque» (sentenza n. 127 del 2022); circostanza che «ha imposto l'impiego di strumenti capaci di adattarsi alle pieghe di una situazione di crisi in costante divenire» (sentenza n. 37 del 2021). Ed è proprio in ragione della necessità di adeguare la disciplina «in base all'evoluzione della situazione sanitaria che si fronteggia e delle conoscenze scientifiche acquisite» (sentenza n. 14 del 2023) che la norma censurata, anzi che fissare legislativamente il termine in questione, ha ritenuto di demandarne l'individuazione a un atto amministrativo che doveva essere adottato, non a caso, dall'amministrazione istituzionalmente in possesso delle competenze tecnico-scientifiche per farlo: il tutto per tenere in conto le particolari esigenze di flessibilità connesse allo specifico contesto nel quale l'obbligo vaccinale era stato introdotto (sentenza n. 25 del 2023).
Non rileva, nel contesto delineato, definire la natura giuridica dell'atto dell'amministrazione - del quale la circolare costituisce, com'è noto, mero contenitore - se di natura normativa o meramente amministrativa, giacché è dirimente considerare che, nella descritta cornice di rango primario, al Ministero della salute non era demandato l'esercizio di discrezionalità amministrativa - che implica, come è noto, valutazione, ponderazione e bilanciamento di interessi comunque coinvolti nel procedimento - ma una mera valutazione di ordine tecnico da condurre alla stregua del dato scientifico e della sua rapida evoluzione; e ciò, tenendo in considerazione che l'obbligo vaccinale era stato imposto «[a]l fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza» (art. 4, comma 1, d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito).
L'eventuale scorretto esercizio del potere attribuito all'amministrazione, laddove si ritenesse non attendibile la valutazione tecnico-scientifica che ne è necessariamente alla base, non si riverbera in un vizio della norma di legge - che, nei limiti di quanto consentito dalla riserva relativa di cui all'art. 32 Cost., ha demandato all'amministrazione detta valutazione - ma determina, semmai, l'illegittimità della circolare amministrativa, che potrà essere conosciuta dai giudici comuni, cui pure ne è rimessa l'interpretazione.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4, commi 1 e 5, del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 (Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76, come sostituito dall'art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 26 novembre 2021, n. 172 (Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali), convertito, con modificazioni, nella legge 21 gennaio 2022, n. 3 e «dall'art. 8, comma 1, lett. a)», del decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 (Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell'epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza), convertito, con modificazioni, nella legge 19 maggio 2022, n. 52, sollevate, in riferimento all'art. 23 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Padova, in funzione di giudice del lavoro, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito, sollevata, in riferimento all'art. 32 Cost., dal Tribunale ordinario di Padova, in funzione di giudice del lavoro, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e sostituito, sollevata, in riferimento all'art. 32 Cost., dal Tribunale ordinario di Padova, in funzione di giudice del lavoro, con l'ordinanza indicata in epigrafe.