mercoledì 20 ottobre 2021

C'è conflitto d'interessi se prima fai la multe e poi "aiuti" a fare ricorso :)



Si chiama Adpl ( una sigla che sta per «Associazione per i diritti e la protezione dei lavoratori), l'associazione che "aiuta ad annullare le multe" e si trova a Milano.

Civile Ord. Sez. 6 Num. 28121 Anno 2021
Data pubblicazione: 14/10/2021 /div>



R.G.33326/2019
RILEVATO CHE:
la Corte d'appello di Milano, a conferma della sentenza del Tribunale della stessa
città, ha rigettato la domanda di xxxxxxxxxxxxxx, Agente della Polizia municipale,
diretta a sentir dichiarare l'illegittimità della sanzione disciplinare della sospensione di
10 giorni dal servizio, comminata dal Comune di Milano per avere lo stesso svolto
attività associativa incompatibile con la funzione svolta (Presidente e fondatore della
"Associazione Diritti e Protezione dei Lavoratori Onlus - ADPL" che forniva consulenze
legali in merito alle sanzioni, ivi comprese quelle derivanti da violazioni del codice
della strada);
in base agli elementi di fatto individuati dal primo giudice, la Corte territoriale ha
confermato la sussistenza del conflitto d'interessi sotteso all'addebito disciplinare,
ritenendo l'incompatibilità fra i compiti di accertamento di contravvenzioni svolti dalla
polizia municipale e l'attività associativa finalizzata ad agevolarne l'impugnazione,
attuata da Giovanni Aurea in favore dell'Associazione con espressa spendita della
qualifica pubblica rivestita all'interno dell'amministrazione comunale;
la cassazione della sentenza è domandata da Giovanni Aurea sulla base di quattro
motivi di ricorso;
il Comune di Milano ha depositato controricorso;
è stata depositata proposta ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente
comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di
CO nsiglio.
CONSIDERATO CHE:
col primo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., il
ricorrente contesta "Violazione e falsa applicazione dell'art. 55 bis D.Igs. n.165/2001
come modificato dal d.lgs. n.150/2009"; ritiene erronea l'affermazione contenuta nel
provvedimento impugnato secondo la quale, al fine dell'intervenuta conoscenza
qualificata dei fatti da parte del Comune, il momento in cui lo stesso avrebbe avuto
notizia della condotta incompatibile andrebbe fatto coincidere con l'invio dello statuto
dell'associazione ADPL, ovvero con la data di pubblicazione dell'articolo di stampa
dalla quale traeva avvio l'indagine interna;
col secondo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ.,
deduce "Violazione e falsa applicazione dell'art. 60 e ss. del testo unico delle
disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato (D.P.R. n.3/57),
dell'art. 53 D.Igs. n. 165/2001 e dell'art. 12 del Codice di comportamento del Comune
di Milano in tema d'incompatibilità delle attività e conflitto di interessi";
contesta la rilevanza di qual si voglia conflitto di interessi in capo a un'attività
associativa che afferma essersi svolta per meri fini mutualistici ed assistenziali;
col terzo motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ.,
contesta "Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 Legge 266/1991, dell'art. 5 D.P.R.
n. 62/2013 emanato in attuazione dell'art. 54 D.Lgs. n.165/2001 e dell'art. 24 Cost.",
per avere, la Corte territoriale, travisato la natura dell'associazione Onlus ADPL,
impegnata in attività d'istruzione, formazione e tutela dei diritti civili, nell'ottica della
valorizzazione della sussidiarietà orizzontale, tutelata dalla legge, tra organi dello
Stato e associazioni di volontariato, nello svolgimento delle funzioni pubbliche;
col quarto motivo, formulato ai sensi dell'art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ.,
denuncia "Violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 15 D.Lgs. 196/2013", per
non avere la Corte d'appello accolto la doglianza del ricorrente in merito alla
violazione della privacy del dipendente da parte del Comune di Milano, in particolare,
con riferimento alla durata e alle modalità di svolgimento dell'indagine per
l'accertamento dell'addebito disciplinare;
il primo motivo è inammissibile;
le censure in esso contenute restano generiche, in assenza di allegazione degli
elementi dai quali ricavare lo specifico momento in cui il Comune è venuto a
conoscenza del comportamento rilevante sul piano disciplinare; in particolare, il
ricorrente non trascrive e non produce la determina applicativa della sanzione n. 258
del 28.12.2016 con cui il Comune ha irrogato la sanzione della sospensione dal lavoro
e dalla retribuzione per dieci giorni a seguito di contestazione di addebito rivoltagli il
15.09.2016;
in conformità a quanto ripetutamente affermato da questa Corte, il ricorso per
cassazione, in ragione dei principi di specificità e di allegazione di cui agli artt. 366 n.
4 e 369 n. 6 cod. proc. civ., deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a
costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì,
a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far
rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti

attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. Cass. n.11603 del 2018; Cass. n. 27209
del 2017; Cass. n. 12362 del 2006);
il secondo, il terzo e il quarto motivo, da esaminarsi congiuntamente per
connessione, sono inammissibili;
le censure prospettate dal ricorrente solo apparentemente invocano una
violazione di norme di legge, là dove le stesse chiedono una rivalutazione dei fatti di
causa, inibita in sede di legittimità;
i motivi tendono infatti, inammissibilmente, a rimettere a questa Corte un nuovo
accertamento circa l'asserita incompatibilità, rilevata dal Giudice dell'appello, tra la
funzione istituzionale di Giovanni Aurea all'interno dell'amministrazione comunale e
l'attività associativa dallo stesso svolta all'interno della Onlus;
va, pertanto, nel caso in esame, data attuazione al costante orientamento di
questa Corte, che reputa "...inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca,
apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla
rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia
trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di
merito" (Cass. n.18721 del 2018; Cass. n.8758 del 2017);
in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate in
dispositivo, seguono la soccombenza;
in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle
spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 200
per esborsi, Euro 2.800 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura
forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo
introdotto dall'art.1, comma 17 della I. n.228 del 2012, dà atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.