Il datore di lavoro non sarà tenuto a operare la ritenuta a titolo di
acconto IRPEF sul valore dei buoni pasto fino a 4 euro, se cartacei,
ovvero 8 euro, se elettronici, anche nei confronti dei lavoratori in
smart-working. Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate - Direzione
Regionale Lazio con la risposta a interpello n. 956-2631/2020. In
assenza di disposizioni che limitano l’erogazione, da parte del datore
di lavoro, dei buoni pasto in favore dei propri dipendenti, per tali
prestazioni sostitutive del servizio di mensa trova applicazione il
regime di parziale imponibilità, indipendentemente dall’articolazione
dell’orario di lavoro e dalle modalità di svolgimento dell’attività
lavorativa.
Con la risposta a interpello n. 956-2631/2020 l'Agenzia delle
Entrate - Direzione Regionale del Lazio ha fornito alcune indicazioni
sul regime fiscale applicabile ai buoni pasto in caso di lavoratori in smart working.
In deroga al principio di onnicomprensività che disciplina il
reddito di lavoro dipendente, l’art. 51, comma 2, lettera c), TUIR
prevede che non concorrono alla formazione del reddito del lavoratore dipendente:
- le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro nonché
quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite
da terzi;
- le prestazioni sostitutive delle
somministrazioni di vitto fino all’importo complessivo giornaliero di 4
euro, aumentato a 8 euro nel caso in cui le stesse siano rese in forma
elettronica;
- le indennità sostitutive delle somministrazioni
di vitto corrisposte agli addetti ai cantieri edili, ad altre strutture
lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive ubicate in zone
dove manchino strutture o servizi di ristorazione fino all’importo
complessivo giornaliero di 5,29 euro.
La ratio sottesa a tale regime fiscale di favore è ispirata dalla volontà del legislatore di detassare le erogazioni ai dipendenti
che si ricollegano alla necessità del datore di lavoro di provvedere
alle esigenze alimentari del personale che durante l’orario di lavoro
deve consumare il pasto.
La disposizione disciplina distinte ipotesi di somministrazione di vitto e precisamente:
- la gestione, anche tramite terzi, di una mensa da parte del datore di lavoro;
- la prestazione di servizi sostitutivi di mense aziendali (ad esempio, sotto forma di buoni pasto);
- la corresponsione di una somma a titolo di indennità sostitutiva di mensa.
Fatta salva la prima ipotesi che esclude l’emersione di un reddito
di lavoro dipendente, nelle altre modalità di somministrazione del
vitto, invece, è prevista, anche se in diversa misura, la rilevanza reddituale della stessa.
L’art. 4, D.M. 7 giugno 2017, n. 122 del Ministero dello Sviluppo economico prevede che i buoni pasto:
- consentono al titolare di ricevere un servizio sostitutivo di mensa di importo pari al valore facciale del buono pasto;
- consentono all’esercizio convenzionato di provare documentalmente
l’avvenuta prestazione nei confronti delle società di emissione;
- sono utilizzati esclusivamente dai prestatori di lavoro
subordinato, a tempo pieno o parziale, anche qualora l’orario di lavoro
non prevede una pausa per il pasto, nonché dai soggetti che hanno
instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non
subordinato;
- non sono cedibili, né cumulabili oltre il limite di otto buoni, né commercializzabili o convertibili in denaro e sono utilizzabili solo dal titolare;
- sono utilizzabili esclusivamente per l’intero valore facciale.
Il buono pasto può essere corrisposto da parte del datore di lavoro in favore dei dipendenti assunti, sia a tempo pieno che a tempo parziale,
nonché qualora l’articolazione dell’orario di lavoro non preveda una
pausa per il pranzo; tale previsione, in effetti, tiene conto della
circostanza che la realtà lavorativa è sempre più caratterizzata da
forme di lavoro flessibili.
In assenza di disposizioni che limitano l’erogazione, da parte del
datore di lavoro, dei buoni pasto in favore dei propri dipendenti, si
ritiene che per tali prestazioni sostitutive del servizio di mensa trovi
applicazione il regime di parziale imponibilità prevista dalla lettera c) del comma 2 dell’art. 51 TUIR, indipendentemente dall’articolazione dell’orario di lavoro e dalle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.
Quindi, nel caso in cui si riconoscono i buoni pasto ai lavoratori agili, gli stessi non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente, ai sensi dell’art. 51, comma 2, lettera c),TUIR.
Pertanto, il datore di lavoro non sarà tenuto a operare, anche nei confronti dei lavoratori in smart working, la ritenuta a titolo di acconto IRPEF sul valore dei buoni pasto fino a 4 euro, se cartacei, ovvero 8 euro, se elettronici.
A cura della Redazione https://www.ipsoa.it
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