mercoledì 15 gennaio 2020

Legittimi i limiti orari imposti alle sale giochi dalle amministrazioni comunali

La normativa nazionale in tema di liberalizzazione delle attività economiche e degli orari dei pubblici esercizi consente, quindi, alle autorità pubbliche di porre limiti e restrizioni all’attività economica per evitare danni alla salute, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e possibili contrasti con l’utilità sociale

SENTENZA TAR VENEZIA, sezione SEZIONE 3, numero provv.: 201901209

Pubblicato il 11/11/2019
N. 01209/2019 REG.PROV.COLL.
N. 00979/2018 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 979 del 2018, proposto da
Casinò Verona S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Carlo Geronimo Cardia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Cristiano Antonini in Venezia, via Santa Croce n. 205;

contro

Comune di San Giovanni Lupatoto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Sartori, Donata Paolini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Antonio Sartori in Venezia, San Polo 2988;

nei confronti

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Ufficio delle Dogane di Verona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Venezia, piazza S. Marco, 63;

per l'annullamento

- dell'ordinanza n. 46 del 19.06.2018 emanata dal Sindaco del Comune di San Giovanni Lupatoto, pubblicata sull'albo pretorio dal 31.07.2018 al 30.08.2018 avente ad oggetto la “Disciplina comunale degli orari di esercizio delle sale giochi e degli orari di funzionamento degli apparecchi con vincita in denaro installati negli esercizi autorizzati ex artt. 86 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza – R.D. n. 773/1931, e negli altri esercizi commerciali ove è consentita la loro installazione”;

- del “Regolamento per la disciplina dell'attività di Sala da gioco e per l'installazione di apparecchi elettronici per il gioco d'azzardo lecito e con vincita in denaro” approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 63 del 30.10.2017 (cfr., in particolare Delibera e Regolamento in Allegato 2);

- nonché di ogni altro atto presupposto e conseguente, e comunque connesso.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di San Giovanni Lupatoto e dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Ufficio delle Dogane di Verona;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 ottobre 2019 la dott.ssa Mara Spatuzzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il presente ricorso, la S.r.l. Casinò Verona, titolare di una sala giochi sita nel Comune di San Giovanni Lupatoto, presso cui sono installati apparecchi videoterminali di cui all’articolo 110, comma 6, lettera b) del Tulps (“VLT”) in forza di regolare licenza, impugna l’ordinanza n. 46 del 19.06.2018 emanata dal Sindaco del suddetto Comune (pubblicata sull’albo pretorio dal 31.07.2018 al 30.08.2018), nella parte in cui consente il funzionamento di tutti gli apparecchi di intrattenimento e svago con vincita in denaro, di cui all’art. 110, c. 6 del TULPS, ovunque installati, solo dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle ore 17.00 alle ore 22.00 di tutti i giorni, compresi i giorni festivi; nonché il presupposto “Regolamento per la disciplina dell’attività di Sala da gioco e per l’installazione di apparecchi elettronici per il gioco d’azzardo lecito e con vincita in denaro”, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 63 del 30.10.2017.

La ricorrente evidenzia, in primo luogo, il suo interesse a ricorrere, considerato il danno che tale riduzione di orario causerebbe alla sua attività, comportando la riduzione dei ricavi a fronte dei costi fissi della gestione della sala giochi ed esponendola al rischio di licenziare parte del personale, a fronte di una asserita inidoneità della misura restrittiva adottata dall’amministrazione comunale a perseguire le finalità di tutela della comunità locale e della salute pubblica, considerato anche il possibile aumento invece del gioco illecito e il danno all’erario per la perdita di gettito derivante dalla riduzione del volume di gioco; e lamenta l’illegittimità degli atti impugnati per i seguenti motivi:

1) violazione e falsa applicazione dell’intesa raggiunta in sede di conferenza unificata e dell’art. 1 comma 1049 della legge di stabilità per il 2018, in quanto l’ordinanza impugnata, consentendo solo 8 ore di funzionamento degli apparecchi (distribuite in due fasce orarie da tre e cinque ore ciascuna) imporrebbe un divieto giornaliero di 16 ore, raffrontate alle 24 ore di funzionamento prima consentite alla ricorrente per ciascun giorno: divieto di gran lunga superiore al limite previsto dall’Intesa in questione che riconosce agli Enti Locali “la facoltà di stabilire per le tipologie di gioco delle fasce orarie fino a 6 ore complessive di interruzione quotidiana di gioco. La distribuzione oraria delle fasce di interruzione del gioco nell’arco della giornata va definita, d’intesa con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in una prospettiva il più omogenea possibile nel territorio nazionale e regionale, anche al fine del futuro monitoraggio telematico del rispetto dei limiti così definiti”.

2) difetto di istruttoria e carenza di motivazione, in quanto: le preoccupazioni lamentate dall'Amministrazione comunale in ordine al paventato fenomeno del gioco patologico nel territorio comunale non sarebbero supportate da indagini e dati scientifici specifici e aggiornati; si baserebbero su presunzioni generiche; mancherebbe una valutazione prospettica degli effetti derivanti dal provvedimento limitativo e della sua adeguatezza a contrastare il fenomeno; la disciplina in questione avrebbe valenza discriminatoria rispetto alle altre tipologie di gioco lecito e al canale di gioco on line;

3) difetto di proporzionalità;

4) incostituzionalità degli atti impugnati, per ingiustificata e sproporzionata compressione della libertà di iniziativa economica, di cui all’art. 41 Cost.; disparità di trattamento; contrasto con i principi di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità dell’azione amministrativa;

5) inadeguatezza della misura restrittiva rispetto allo scopo perseguito, in quanto la misura dell’interruzione forzata, ad avviso della ricorrente, che cita a supporto uno studio pubblicato nel 2015 sulla rivista “Springer Science and Business Media New York”, come attuata dal Comune, non sarebbe efficace a contrastare il fenomeno della ludopatia sul territorio comunale, in quanto prevede interruzioni non accompagnate da adeguata messaggistica che renda consapevole il giocatore, soprattutto quello problematico, che la pausa ha lo scopo precipuo di svegliarlo dal suo stato di dipendenza, tanto da comportare invece l’effetto contrario di aumentare la sua compulsività (che troverà comunque il proprio sfogo in altri giochi se non nell’offerta illegale) e avrebbe l’effetto di rendere, invece, insostenibile l’esercizio dell’attività da parte degli operatori economici del gioco legale. Al contrario, affinchè la normativa locale sia efficacemente finalizzata al raggiungimento dell’obiettivo consistente nel contrasto al gioco d’azzardo patologico, la forma maggiormente efficace allo scopo, sarebbe invece rappresentata da una adeguata prevenzione;

6) esigenze di unitarietà di trattamento sul territorio dello Stato. La ricorrente evidenzia la diversità di regolamentazione adottata dai Comuni Italiani sul territorio e sostiene che la potestà di pianificare l’utilizzo degli apparecchi da gioco di cui all’art. 110, comma 6, TULPS sarebbe, per esigenze di unitarietà di trattamento e per il principio della “chiamata in sussidiarietà”, in capo alla competente autorità statale, dovendo invece le amministrazioni locali partecipare attraverso il meccanismo della Conferenza unificata e non attraverso l’attribuzione di competenze legislative/regolatorie autonome, indipendenti e disomogenee.

La ricorrente, inoltre, si riserva di formulare apposita istanza risarcitoria e formula istanza istruttoria e di CTU “tesa ad accertare, con specifico riferimento al territorio interessato dalla misura (i) l’idoneità della misura rispetto alle finalità perseguite (i.e. contrasto della ludopatia); (ii) gli effetti distorsivi delle limitazioni di orario di apertura delle sale da gioco legale, consistenti nel grado di diffusione del gioco illegale/non autorizzato/non regolamentato”.

Si è costituito in giudizio il Comune di San Giovanni Lupatoto, contrastando le avverse pretese e chiedendo la reiezione del ricorso.

Si è costituita in giudizio, con memoria meramente formale, l’Agenzia Delle Dogane e dei Monopoli.

In vista dell’udienza di merito, parte ricorrente e parte resistente hanno depositato ulteriori memorie e repliche, insistendo nelle loro pretese.

All’udienza pubblica del 23 ottobre 2019, previa discussione, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

In via preliminare, si evidenzia che il Collegio non ha ritenuto di aderire all’istanza istruttoria e di CTU richiesta dalla ricorrente, ritenendo sufficiente ai fini della decisione della causa quanto già prodotto dalle parti in giudizio.

I motivi di ricorso, che si esaminano congiuntamente in quanto tra loro connessi, non sono, ad avviso del Collegio, fondati, secondo quanto segue.

Per quanto riguarda la censura relativa alla violazione dell’Intesa raggiunta in sede di conferenza unificata e dell’art. 1 comma 1049 della legge di stabilità per il 2018, il Collegio non intende discostarsi dai propri precedenti (cfr. Tar Veneto, sent. n. 620 del 2019 e n. 417 del 2018), in cui ha ritenuto che la conclusione dell’Intesa raggiunta dalla Conferenza Unificata tra Governo Italiano, Regioni ed Enti Locali in data 7 settembre 2017, relativa ad una “Proposta di riordino dell’offerta del gioco lecito”, non può spiegare efficacia invalidante sull’ordinanza impugnata, considerato che l’Intesa de qua è, allo stato, priva di valore cogente in quanto non recepita dal previsto decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze. E, invero, ai sensi dell’art. 1, comma 936, della Legge n. 208/2015 (cd. "Legge di Stabilità per l’anno 2016") le Intese raggiunte in seno alla Conferenza Unificata devono essere recepite con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, sentite le Commissioni parlamentari competenti: il decreto ministeriale di recepimento, a tutt’oggi, non è stato ancora adottato, sicchè la conclusione dell’Intesa, recante la “Proposta di riordino dell’offerta del gioco lecito” (sempre modificabile in mancanza di recepimento, anche a seguito di eventuali osservazioni delle Commissioni parlamentari e previo ulteriore passaggio in sede di Conferenza Unificata), non può determinare l’illegittimità dell’ordinanza impugnata.

Inoltre, la “Proposta di riordino dell’offerta del gioco lecito”, di cui all’Intesa raggiunta in sede di Conferenza Unificata, contempla un complessivo riordino della materia e, oltre a stabilire l’apertura minima giornaliera per tutti i punti di gioco, prevede anche una significativa riduzione dell’offerta del gioco lecito, sia dei volumi che dei punti vendita, sicchè risulterebbe arbitrario e contrario allo spirito dell’Intesa predicarne un’applicazione atomistica o parcellizzata (“ a macchia di leopardo”).

Non possono, poi, valere a supporto della tesi della ricorrente i pareri interlocutori del Consiglio di Stato (nn. 1068/2019 e 1057/2019), richiamati nella memoria depositata il 20 settembre 2019, in quanto, oltre al fatto che riguardano la documentazione di gara per le procedure di affidamento in concessione della raccolta di scommesse e del gioco del bingo, con gli stessi il Consiglio di Stato si limita a chiedere ulteriori approfondimenti al Ministero dell’Economia e delle Finanze e, inoltre, chiede proprio conto della mancata adozione del decreto ministeriale e del ritardo con cui si sta procedendo al recepimento dell’Intesa.

Né, in virtù del principio tempus regit actum, potrebbe comunque rilevare, ai fini della valutazione della legittimità dell’ordinanza in questione, la legge regionale del Veneto n. 38 del 2019, art. 8, richiamata in sede di discussione, a sostegno delle proprie pretese, dal difensore della ricorrente (disposizione che, oltre ad essere entrata in vigore dopo l’adozione della contestata ordinanza sindacale, demanda, peraltro, ad un successivo provvedimento della Giunta regionale, previo parere della competente commissione consiliare, l’adozione di un provvedimento per rendere omogenee sul territorio regionale le fasce orarie di interruzione quotidiana dal gioco, secondo quanto previsto dall'Intesa).

Infondate sono anche le ulteriori censure, in relazione alle quali il Collegio ugualmente ritiene di non discostarsi dai suoi numerosi precedenti in materia (ex multis, Tar Veneto nn. 620/2019, 417/2018, 445/2017, 130/2017, 128/2017, 114/2016, 119/2016, 753/2015 e 811/2015).

In primo luogo, infondata è la censura con cui si lamenta che la potestà di pianificare l’utilizzo degli apparecchi da gioco di cui all’art. 110, comma 6, TULPS sarebbe, per esigenze di unitarietà di trattamento e per il principio della “chiamata in sussidiarietà”, in capo alla competente autorità statale e non potrebbe essere oggetto di autonoma regolamentazione da parte dei Comuni.

Sul punto si evidenzia, infatti, che la giurisprudenza consolidata, avvallata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 220/2014, sostiene che il Sindaco, in forza della generale previsione dell’art. 50 comma 7 del TUEL, per esigenze di tutela della salute e della quiete pubblica, può disciplinare gli orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali sono installati gli apparecchi di gioco “considerati nel loro aspetto negativo di strumenti di grave pericolo per la salute individuale e il benessere psichico e socio-economico della popolazione, la cui tutela è compresa tra le attribuzioni dell’ente locale” ( Cfr., tra le altre, Tar Lombardia, sent. n. 619 del 2019, con i precedenti ivi citati, dove si legge altresì che “… il provvedimento del Sindaco - essendo diretto alla tutela della salute pubblica e del benessere socio-economico dei cittadini allo scopo di prevenire, contrastare e ridurre il fenomeno del gioco d’azzardo patologico (GAP) - rientra nel genus delle attribuzioni comunali, sub specie di esercizio della potestas di cui all’art 50, comma 7, del D.lgs. n. 267/2000…”).

In particolare, da ultimo, il Consiglio di Stato (cfr. sent. n. 4509 del 2019), dopo aver ricostruito il quadro nazionale ed europeo in materia, per il quale si rimanda a quanto riportato nella suddetta sentenza, ha evidenziato che “benché non sia stato emanato il decreto ministeriale che avrebbe dovuto indicare criteri e indirizzi, le amministrazioni regionali e locali hanno adottato legittimamente, in assenza di una normativa di coordinamento di ambito statale, propri regolamenti in materia”, e ha affermato che, dal composito e complesso quadro giuridico che regola la materia, emerge “non solo e non tanto la legittimazione, ma l'esistenza di un vero e proprio obbligo a porre in essere, da parte dell'amministrazione comunale, interventi limitativi nella regolamentazione delle attività di gioco, ispirati per un verso alla tutela della salute, che rischia di essere gravemente compromessa per i cittadini che siano giocatori e quindi clienti delle sale gioco, per altro verso al principio di precauzione, citato nell'art. 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), il cui campo di applicazione si estende anche alla politica dei consumatori, alla legislazione europea sugli alimenti, alla salute umana, animale e vegetale.

L'assioma fondamentale di tale ultimo principio è che nell'ipotesi di un rischio potenziale, laddove vi sia un'identificazione degli effetti potenzialmente negativi di un'attività e vi sia stata una valutazione dei dati scientifici disponibili, è d'obbligo predisporre tutte le misure per minimizzare (o azzerare, ove possibile) il rischio preso in considerazione, pur sempre nel rispetto del principio di proporzionalità e di contemperamento degli interessi coinvolti…” (in tal senso cfr. anche C.d.S., sent. n. 4867 del 2018).

Le censure di carenza di istruttoria e di motivazione, per non avere il Comune effettuato specifiche e minuziose indagini in ordine all’incidenza del fenomeno della ludopatia sul territorio comunale, non possono essere condivise.

Come già evidenziato nelle precedenti sentenze di questo Tar sulla questione, infatti, nell’attuale momento storico la diffusione del fenomeno della ludopatia in ampie fasce della società civile costituisce un fatto notorio o, comunque, una nozione di fatto di comune esperienza, come attestano le numerose iniziative di contrasto assunte dalle autorità pubbliche a livello europeo, nazionale e regionale (per una sintesi dei molteplici interventi di prevenzione e contrasto della ludopatia si veda Cons. St. parere n. 33/2015 che richiama, tra l’altro, i seguenti atti: la Raccomandazione 2014/478/UE del 14 luglio 2014, sui principi per la tutela dei consumatori e degli utenti dei servizi di gioco d'azzardo on line; il decreto legge 13 settembre 2012, n. 158, che ha introdotto numerose misure di contrasto al gioco d’azzardo on line e off line; l’art. 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23, recante una delega al Governo per il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici volta a prevedere disposizioni per la tutela dei minori e per contrastare il gioco d’azzardo patologico; la legge 3 dicembre 2014, n. 190 che ha trasferito presso il Ministero della Salute l’Osservatorio per valutare le misure più efficaci per contrastare la diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave istituito dal cd. decreto Balduzzi; le numerose leggi regionali, e, in particolare, per quanto di interesse del presente ricorso, la L.R.V. n. 6/2015, che, sulla base della preoccupante diffusione delle ludopatie, demandano agli Enti Locali l’adozione di misure di prevenzione, contrasto e riduzione del rischio della dipendenza da GAP).

Inoltre, nel caso di specie, il Comune resistente ha, in ogni caso, tenuto conto dei dati relativi alla situazione a livello locale segnalata nella nota della ULSS 9 del 23 luglio 2017 in relazione ai distretti 1 e 2, che sono quelli di riferimento per il territorio del comune in questione, evidenziando il numero di soggetti presi in carico per ludopatia e di richieste di sostegno da parte di familiari e il loro trend in aumento e ritenendo che “i dati preoccupanti rilevati dalla ULSS competente ” fossero confermati anche dal “progressivo aumento di nuove aperture di sale slot nel Comune di San Giovanni Lupatoto”.

Dati che danno un’idea comunque “sottostimata” del fenomeno, come evidenziato dal Comune nelle premesse dell’ordinanza, dal momento che il fenomeno della ludopatia tende a restare sommerso ed è connotato da una notevole cifra oscura, in quanto molti soggetti ludopatici, perché provano vergogna o sottovalutano la propria patologia o per altre ragioni, non si rivolgono alle strutture sanitarie e ai servizi sociali (cfr. Tar Veneto, sent. n. 417 del 2018).

La preoccupante diffusione del gioco e l’esigenza di introdurre misure volte a contrastare la ludopatia, poste dal Comune a base dell’ordinanza impugnata, sono, inoltre, confermate dalla documentazione relativa alla diffusione, nei diversi comuni della provincia di Verona, e in particolare nel Comune in questione, delle apparecchiature di gioco lecito e delle sale gioco con VTL (cfr. doc. 8 in atti deposito Comune).

L’ordinanza sindacale impugnata (attuativa del regolamento comunale), in disparte ogni considerazione in ordine alla natura di atto generale, è, quindi, adeguatamente motivata con riferimento all’esigenza di tutela della salute pubblica e del benessere individuale e collettivo riscontrata dal Comune.

Quanto alle censure di violazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza, di violazione dell’art.41 della Costituzione e di non adeguatezza della misura rispetto allo scopo perseguito, le stesse sono parimenti infondate secondo quanto segue.

Innanzitutto, la libertà di iniziativa economica ex art. 41 della Costituzione non è assoluta, non potendo svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La normativa nazionale in tema di liberalizzazione delle attività economiche e degli orari dei pubblici esercizi consente, quindi, alle autorità pubbliche di porre limiti e restrizioni all’attività economica per evitare danni alla salute, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e possibili contrasti con l’utilità sociale (cfr. art. 1, comma 2, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito nella legge 24 marzo 2012, n. 27; art. 3, comma 1, lett. c, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148; in termini anche Corte Costituzionale, sentenza 200 del 20.7.2012).

La Corte di Giustizia, come rimarcato da Cons. St. parere n. 33/2015 e da TAR Bolzano sentenza n. 31/2017, ha più volte specificato che restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione di servizi possono essere giustificate da esigenze imperative connesse all’interesse generale, come ad esempio la tutela dei destinatari del servizio e dell’ordine sociale, la protezione dei consumatori, la prevenzione della frode e dell’incitamento dei cittadini ad una spesa eccessiva legata al gioco medesimo (v. in tal senso, sentenza 24 gennaio 2013, nelle cause riunite C-186/11 e C-209/11, punto 23), con conseguente legittima introduzione, da parte degli Stati membri e delle loro articolazioni ordinamentali, di restrizioni all’apertura di locali adibiti al gioco, a tutela della salute di determinate categorie di persone maggiormente vulnerabili in funzione della prevenzione della dipendenza dal gioco (interesse fondamentale, salvaguardato dallo stesso Trattato CE).

Secondo la giurisprudenza europea spetta a ciascuno Stato membro decidere, nell'ambito del proprio potere discrezionale, se, nel contesto dei legittimi scopi da esso perseguiti, sia necessario vietare totalmente o parzialmente attività di gioco o scommessa, oppure soltanto limitarle e prevedere, a tal fine, modalità di controllo più o meno rigorose, tenendo presente che la necessità e la proporzionalità delle misure adottate deve essere valutata unicamente alla luce degli obiettivi perseguiti e del livello di tutela, che le autorità nazionali interessate intendono garantire.

Tanto premesso, l’impugnata disciplina che consente il funzionamento di tutti gli apparecchi di intrattenimento e svago con vincita in denaro, di cui all’art. 110, c. 6 del TULPS, ovunque installati, per un massimo di otto ore giornaliere (nella fascia oraria dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle ore 17.00 alle ore 22.00 di tutti i giorni, compresi i giorni festivi), come affermato più volte dalla giurisprudenza in materia - che si è tra l’altro pronunciata anche sugli orari di chiusura delle sale gioco mentre con l’ordinanza in questione il Comune ha specificamente limitato l’uso degli apparecchi di gioco di cui all’art. 110, c. 6 del TULPS, ovunque installati, per cui, al di là dello spegnimento dei suddetti apparecchi di gioco, le sale gioco potrebbero comunque organizzare diversamente le loro attività - è da considerare rispettosa del principio di proporzionalità rispetto agli obiettivi perseguiti (prevenzione, contrasto e riduzione del gioco d’azzardo patologico), realizzando un ragionevole contemperamento degli interessi economici degli imprenditori del settore con l’interesse pubblico a prevenire e contrastare fenomeni di patologia sociale connessi al gioco compulsivo, non essendo revocabile in dubbio che un’illimitata o incontrollata possibilità di accesso al gioco accresce il rischio di diffusione di fenomeni di dipendenza, con conseguenze pregiudizievoli sia sulla vita personale e familiare dei cittadini, che a carico del servizio sanitario e dei servizi sociali, chiamati a contrastare patologie e situazioni di disagio connesse alle ludopatie (sulla legittimità di ordinanze o regolamenti comunali che hanno limitato a otto ore giornaliere l’apertura delle sale scommesse o da gioco e la funzionalità degli apparecchi per il gioco installati, si veda da ultimo C.d.S., sentt. n. 4509 del 2019 che richiama diversi precedenti in tal senso “…le sentenze “gemelle” nn. 4438 e 4439 del 2018 (sopracitate sub 6 e concernenti la medesima ordinanza del Sindaco di Torino) hanno già ritenuto che il contenimento dell’orario di apertura di una sala giochi entro il limite di 8 ore giornaliere, come nel caso di specie, sia “rispettoso in concreto del principio di proporzionalità, in funzione del quale i diritti e le libertà dei cittadini possono essere limitati solo nella misura in cui ciò risulti indispensabile per proteggere gli interessi pubblici, e per il tempo necessario e commisurato al raggiungimento dello scopo prefissato dalla legge (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 26 febbraio 2015, n. 964)”. Ugualmente proporzionata è stata ritenuta dalla sentenza 5/06/2018, n. 3382 la limitazione di apertura a 8 ore giornaliere per le sale giochi, stabilita dal Comune di Domodossola, perché (punto 8.2.) <pur comportando, certamente, una riduzione dei ricavi, e, in questo senso, un costo per i privati, può essere efficacemente sostenuta mediante una diversa organizzazione dell'attività di impresa> ...); cfr. anche Tar Veneto, sentt. nn. 417 del 2018, 1130 del 2017, 667 del 2017, 662 del 2017; Tar Milano, sent. n.716 del 2019).

Inoltre, l’idoneità dell’atto impugnato a realizzare l’obiettivo perseguito deve essere apprezzata tenendo presente che scopo della disciplina impugnata non è quello di eliminare ogni forma di dipendenza patologica dal gioco (anche quelle generate da altre tipologie di giochi leciti e anche on line) - obiettivo che travalicherebbe la sfera di attribuzioni del Comune (Tar Veneto, sent. n. 114 del 2016) - ma solo quello di prevenire, contrastare e ridurre il rischio di dipendenza patologica da gioco, derivante dall’utilizzo di apparecchiature per il gioco lecito, di cui all’art. 110, c. 6 del TULPS, ovunque installate sul territorio comunale.

In conclusione, malgrado la riduzione degli orari di funzionamento delle apparecchiature di gioco, di cui all’art. 110, c. 6 del TULPS, sia solo uno degli strumenti attivabili a livello locale per contrastare le ludopatie -affiancandosi ad altre misure, anche di carattere sociale e sanitario nonché di educazione e prevenzione, che le autorità pubbliche, di volta in volta competenti, possono attivare per combattere il fenomeno - ciò nondimeno trattasi di misura cui non può essere disconosciuta “adeguatezza ovvero idoneità allo scopo”, incidendo sull’offerta del gioco d'azzardo, limitandone la fruibilità sul piano temporale, mediante uno strumento che pone, al fine, le condizioni per una sua riduzione (cfr., tra le altre, C.d.S., sent. 3382 del 2018, secondo cui “…La limitazione oraria mira a contrastare il fenomeno della ludopatia inteso come disturbo psichico che spinge l’individuo a concentrare ogni suo interesse sul gioco, in maniera ossessiva e compulsiva, con ovvie ricadute sul piano della vita familiare e professionale, oltre che con innegabile dispersione del patrimonio personale…omissis…La scelta del Comune è proporzionata, in primo luogo, poiché in potenza capace di conseguire l’obiettivo: mediante la riduzione degli orari è ridotta l’offerta di gioco; l’argomento addotto dall’appellante secondo cui i soggetti affetti da ludopatia si indirizzerebbero verso altre forme di gioco – definite più subdole, rischiose o incontrollabili – prova troppo poiché dimostra che comunque è opportuno limitare già una delle possibili forme di gioco… omissis…Rispondendo la lotta alla ludopatia a finalità di tutela della salute non è più dubitabile, alla luce delle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale, che la riduzione degli orari delle sale gioco sia strumento idoneo a contrastare il fenomeno della ludopatia…”; C.d.S., sent. n. 2519 del 2016, che evidenzia che l’obiettivo da raggiungere “è quello del disincentivo piuttosto che quello della eliminazione del fenomeno che viene affrontato, la cui complessità non è revocabile in dubbio, e per il quale non esistono soluzioni di sicuro effetto…”; cfr. anche Tar Milano, sentt. n. 716 del 2019 e 1669 del 2018; Tar Veneto, sentt. n 620 del 2019 e n.417 del 2018).

In definitiva, per quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.

Si ritiene che le spese di lite debbano seguire la soccombenza ed essere liquidate, come in dispositivo, nei confronti del Comune resistente, mentre vadano compensate nei confronti dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, considerata la costituzione in giudizio meramente formale della stessa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la ricorrente a rifondere le spese di lite nei confronti del Comune resistente, che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre oneri di legge.

Spese compensate nei confronti dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 23 ottobre 2019 con l'intervento dei magistrati:



Alessandra Farina, Presidente
Marco Rinaldi, Primo Referendario
Mara Spatuzzi, Referendario, Estensore



L'ESTENSORE 
  Mara Spatuzzi
IL PRESIDENTE
Alessandra Farina






IL SEGRETARIO