giovedì 30 gennaio 2020

Cassazione: videosorveglianza – Per evitare le sanzioni penali accordo sindacale o autorizzazione Ispettorato del Lavoro

Con sentenza n. 1733 del 17 gennaio 2020, la Corte di Cassazione penale ha ricordato, in conformità con le proprie decisioni n. 22148/2017 e 38882/2018, che il consenso espresso dai singoli lavoratori non esime dalla responsabilità penale il datore di lavoro che abbia impiantato sistemi di video sorveglianza nella propria azienda senza alcun accordo sindacale, o, in alternativa, senza l’autorizzazione dell’Ispettorato territoriale del Lavoro.

L’esclusione della deroga trova la sua ragion d’essere nel fatto che i lavoratori sono la parte debole del rapporto e, quindi, sia la procedura pattizia che quella amministrativa hanno la specifica funzione di sottrarre gli stessi da una sudditanza psicologica che può riflettersi sia sulle assunzioni che sullo svolgimento dei singoli rapporti.

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Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 1733/20; depositata il 17 gennaio
 


Ritenuto in fatto
 
1. Con sentenza del 30/4/2019, il Tribunale di Lanciano dichiarava G.D. colpevole della contravvenzione di cui all'art. 4, L. 20 maggio 1970, n. 300, e lo condannava alla pena di tremila euro di ammenda; allo stesso, quale datore di lavoro, era contestato di aver installato un sistema di videosorveglianza, idoneo a controllare l'attività dei dipendenti, in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali.
2. Propone ricorso per cassazione il G.D., a mezzo del proprio difensore, deducendo - con unico motivo - la mancanza di motivazione nel provvedimento impugnato. Il Tribunale si sarebbe limitato ad una formale ed astratta affermazione di principi giurisprudenziali, senza esaminare la vicenda concreta e, in particolare, la documentazione versata in atti (nello specifico: l'accordo formale sottoscritto dal ricorrente ed i dipendenti nel luglio 2014; l'istanza di annullamento in autotutela del verbale di accertamento e prescrizione del dicembre 2014; le trascrizioni delle deposizioni rese dalle dipendenti nel corso del giudizio di primo grado). Questa censura concernerebbe anche il profilo soggettivo del reato, da escludere in ragione della piena condivisione - con i dipendenti, all'epoca - dell'installazione dell'impianto, volto soltanto a prevenire furti nel negozio; come confermato, peraltro, dalle dichiarazioni rese dagli stessi collaboratori ed allegate all'impugnazione.
Considerato in diritto
3. Il ricorso risulta infondato.
Occorre premettere che la vicenda è emersa nel giudizio con caratteri del tutto pacifici, richiamati nella sentenza e non contestati dall'imputato; è acclarato, quindi, che il G.D. - datore di lavoro e titolare di un negozio - nel 2014 aveva installato un impianto di videosorveglianza in difetto delle condizioni di cui all'art. 4, l. n. 300 del 1970, ma previo accordo scritto con i dipendenti.
4. Ebbene, come correttamente affermato dal Tribunale, tale accordo non costituisce esimente della responsabilità penale, dovendosi al riguardo richiamare il prevalente e più recente indirizzo di legittimità che ritiene che la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 4 in esame sia integrata (con l'installazione di un sistema di videosorveglianza potenzialmente in grado di controllare a distanza l'attività dei lavoratori, come nel caso di specie) anche quando, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali e di provvedimento autorizzativo dell'autorità amministrativa, la stessa sia stata preventivamente autorizzata per iscritto da tutti i dipendenti (tra le altre, Sez. 3, n. 38882 del 10/4/2018, D., Rv. 274195; Sez. 3, n. 22148 del 31/01/2017, Zamponi, RV. 270507).
5. In particolare, secondo quanto prescritto dall'art. 4 L. n. 300 del 1970, l'installazione di apparecchiature (da impiegare esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale ma dalle quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori) deve essere sempre preceduta da una forma di codeterminazione (accordo) tra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali dei lavoratori, con la conseguenza che se l'accordo (collettivo) non è raggiunto, il datore di lavoro deve far precedere l'installazione dalla richiesta di un provvedimento autorizzativo da parte dell'autorità amministrativa (Direzione territoriale del lavoro) che faccia luogo del mancato accordo con le rappresentanze sindacali dei lavoratori, cosicché, in mancanza di accordo o del provvedimento alternativo di autorizzazione, l'installazione dell'apparecchiatura è illegittima e penalmente sanzionata. Questa procedura - frutto della scelta specifica di affidare l'assetto della regolamentazione di tali interessi alle rappresentanze sindacali o, in ultima analisi, ad un organo pubblico, con esclusione della possibilità che i lavoratori, uti singuli, possano autonomamente provvedere al riguardo - trova la sua ratio nella considerazione dei lavoratori come soggetti deboli del rapporto di lavoro subordinato. La diseguaglianza di fatto, e quindi l'indiscutibile e maggiore forza economico-sociale dell'imprenditore, rispetto a quella del lavoratore, rappresenta la ragione per la quale la procedura codeterminativa sia da ritenersi inderogabile (a differenza di quanto ritenuto invece dalla Sez. 3, n. 22611 del 17/04/2012), potendo essere sostituita dall'autorizzazione della direzione territoriale del lavoro solo nel solo di mancato accordo tra datore di lavoro e rappresentanze sindacali, non già dal consenso dei singoli lavoratori, poiché, a conferma della sproporzione esistente tra le rispettive posizioni, basterebbe al datore di lavoro fare firmare a costoro, all'atto dell'assunzione, una dichiarazione con cui accettano l'introduzione di qualsiasi tecnologia di controllo per ottenere un consenso viziato, perché ritenuto dal lavoratore stesso, a torto o a ragione, in qualche modo condizionante l'assunzione.
6. Sì da concludersi, quindi, che il consenso del lavoratore all'installazione di un'apparecchiatura di videosorveglianza, in qualsiasi forma prestato (anche scritta, come nel caso di specie), non vale a scriminare la condotta del datore di lavoro che abbia installato i predetti impianti in violazione delle prescrizioni dettate dalla fattispecie incriminatrice; la doglianza del ricorrente sul punto, pertanto, risulta infondata.
7. Quanto precede, peraltro, senza che possa accedersi alla tesi difensiva in ragione della quale il Tribunale non avrebbe esaminato la documentazione prodotta dal G.D., limitandosi ad una astratta affermazione di principio; dalla lettura della sentenza, infatti, risulta che il preventivo accordo scritto tra datore di lavoro e dipendenti - confermato da questi ultimi in dibattimento e fulcro del ricorso - era stato ben valutato dal Giudice (al pari dell'istanza di annullamento in autotutela del verbale di accertamento), il quale, tuttavia, lo aveva correttamente ritenuto irrilevante nell'ottica di cui alla rubrica, proprio in ragione delle considerazioni appena sopra espresse, qui da confermare.
8. L'impugnazione, pertanto, deve essere dichiarata rigettata, ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019
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Impianti di videosorveglianza illegittimi: il consenso preventivo del lavoratore non esclude il reato Il consenso del lavoratore all’installazione di un’apparecchiatura di videosorveglianza, in qualsiasi forma prestato, anche scritta, non vale a scriminare la condotta del datore di lavoro che abbia installato i predetti impianti in violazione delle prescrizioni normative che richiedono l’accordo sindacale o in subordine l’autorizzazione amministrativa (Corte di Cassazione, sentenza 17 gennaio 2020, n. 1733)


Un datore di lavoro veniva dichiarato colpevole nel giudizio di primo grado e condannato alla pena di 3.000,00 euro di ammenda, per aver installato un sistema di videosorveglianza, idoneo a controllare l’attività dei dipendenti, in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali (art. 4, L. n. 300/1970). Il medesimo propone così ricorso in Cassazione, deducendo la mancanza di motivazione nel provvedimento impugnato. Il Tribunale, cioè, si sarebbe limitato ad una formale ed astratta affermazione di principi giurisprudenziali, senza esaminare la vicenda concreta e, in particolare, la documentazione prodotta in atti, ovvero: l’accordo formale sottoscritto dal ricorrente ed i dipendenti e le trascrizioni delle deposizioni rese dalle dipendenti nel corso del giudizio di primo grado. Questa censura concernerebbe anche il profilo soggettivo del reato, da escludere in ragione della piena condivisione con i dipendenti circa l’installazione dell’impianto, volto soltanto a prevenire furti nel negozio.
Per la Suprema Corte, il ricorso è infondato.
Come correttamente affermato dal Tribunale, l’accordo scritto con i dipendenti, preventivo all’installazione dell’impianto di videosorveglianza, non costituisce esimente della responsabilità penale. Al riguardo, infatti, secondo il prevalente e più recente indirizzo di legittimità, la fattispecie incriminatrice dell’installazione di un sistema di videosorveglianza potenzialmente in grado di controllare a distanza l’attività dei lavoratori, risulta integrata anche quando, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali e di provvedimento autorizzativo dell’autorità amministrativa, la stessa sia stata preventivamente autorizzata per iscritto da tutti i dipendenti (ex multis, Corte di Cassazione, sentenza n. 38882/2018).
Secondo quanto prescritto dall’articolo 4 della L. n. 300/1970, l’installazione di apparecchiature da impiegare esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, ma dalle quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, deve essere sempre preceduta da una forma di codeterminazione (accordo) tra il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali dei lavoratori. Laddove, poi, l’accordo (collettivo) non sia raggiunto, il datore di lavoro deve far precedere l’installazione dalla richiesta di un provvedimento autorizzativo da parte dell’autorità amministrativa (Ispettorato territoriale del lavoro). In mancanza, l’installazione è sempre illegittima e penalmente sanzionata.
Tale procedura trova la sua ratio nella considerazione dei lavoratori come soggetti deboli del rapporto di lavoro subordinato e giustifica la scelta specifica di affidare l’assetto della regolamentazione di tali interessi alle rappresentanze sindacali o, in ultima analisi, ad un organo pubblico. La diseguaglianza di fatto, e quindi l’indiscutibile e maggiore forza economico-sociale dell’imprenditore, rispetto a quella del lavoratore, rappresenta la ragione per la quale la procedura codeterminativa sia da ritenersi inderogabile e sia esclusa la possibilità che i lavoratori, “uti singuli”, possano autonomamente provvedere al riguardo.
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