06/09/2019 CORTE CASS. Sent. 20914 - 2019.pdf 852 Kb
Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale Il ricorrente, dipendente di una Università, era stato sottoposto a procedimento penale per reati di peculato e falsità materiale e conseguentemente sospeso dall’amministrazione, in attesa della definizione del procedimento penale. Alla scadenza dei 5 anni di sospensione il ricorrente veniva collocato in aspettativa per 2 anni ai sensi dell’art. 3 comma 2 L. 97/2001, e, al termine dell’aspettativa, nuovamente sospeso fino a che, durante la sospensione, era cessato dal servizio per raggiunti limiti di età. Successivamente a ciò era poi intervenuta la sentenza penale di condanna e l’amministrazione aveva riavviato il procedimento disciplinare sospeso e comminato la sanzione del licenziamento senza preavviso. Il ricorrente ritiene che il procedimento non potesse essere più riaperto per mancanza di interesse da parte dell’amministrazione a causa della sua cessazione dal servizio. I giudici respingono la domanda chiarendo in particolare che: “qualora sia stata disposta la sospensione cautelare dal servizio a seguito di procedimento penale, l'interesse all'esercizio dell'azione disciplinare da parte della pubblica amministrazione permane anche nell'ipotesi di sopravvenuto collocamento in quiescenza del dipendente e ciò non solo per dare certezza agli assetti economici tra le parti ma anche per finalità che trascendono il rapporto di lavoro già cessato, poiché il datore pubblico è pur sempre tenuto a intervenire a salvaguardia di interessi collettivi di rilevanza costituzionale, nei casi in cui vi sia un rischio concreto di lesione della sua immagine; sicché il datore di lavoro ha l'onere di attivare o riprendere l'iniziativa disciplinare al fine di valutare autonomamente l'incidenza dei fatti già sottoposti al giudizio penale e definire il destino della sospensione cautelare, legittimando, in difetto, la pretesa del lavoratore a recuperare le differenze stipendiali fra l'assegno alimentare percepito e la retribuzione piena che sarebbe spettata in assenza della misura cautelare (in tal senso Cass. 24 agosto 2016, n. 17307; Cass. 28 luglio 2017, n. 18849; Cass. 10 agosto 2018, n. 20708”. Inoltre, proseguono gli Ermellini, solo l’irrogazione della sanzione preclude l’accoglimento, in caso di dipendente dimissionario, della istanza di riammissione in servizio del dipendente stesso, ed impedisce a quest’ultimo la partecipazione ai concorsi pubblici ex art. 2 comma 3 d.P.R. 487/1994.
Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale Il ricorrente, dipendente di una Università, era stato sottoposto a procedimento penale per reati di peculato e falsità materiale e conseguentemente sospeso dall’amministrazione, in attesa della definizione del procedimento penale. Alla scadenza dei 5 anni di sospensione il ricorrente veniva collocato in aspettativa per 2 anni ai sensi dell’art. 3 comma 2 L. 97/2001, e, al termine dell’aspettativa, nuovamente sospeso fino a che, durante la sospensione, era cessato dal servizio per raggiunti limiti di età. Successivamente a ciò era poi intervenuta la sentenza penale di condanna e l’amministrazione aveva riavviato il procedimento disciplinare sospeso e comminato la sanzione del licenziamento senza preavviso. Il ricorrente ritiene che il procedimento non potesse essere più riaperto per mancanza di interesse da parte dell’amministrazione a causa della sua cessazione dal servizio. I giudici respingono la domanda chiarendo in particolare che: “qualora sia stata disposta la sospensione cautelare dal servizio a seguito di procedimento penale, l'interesse all'esercizio dell'azione disciplinare da parte della pubblica amministrazione permane anche nell'ipotesi di sopravvenuto collocamento in quiescenza del dipendente e ciò non solo per dare certezza agli assetti economici tra le parti ma anche per finalità che trascendono il rapporto di lavoro già cessato, poiché il datore pubblico è pur sempre tenuto a intervenire a salvaguardia di interessi collettivi di rilevanza costituzionale, nei casi in cui vi sia un rischio concreto di lesione della sua immagine; sicché il datore di lavoro ha l'onere di attivare o riprendere l'iniziativa disciplinare al fine di valutare autonomamente l'incidenza dei fatti già sottoposti al giudizio penale e definire il destino della sospensione cautelare, legittimando, in difetto, la pretesa del lavoratore a recuperare le differenze stipendiali fra l'assegno alimentare percepito e la retribuzione piena che sarebbe spettata in assenza della misura cautelare (in tal senso Cass. 24 agosto 2016, n. 17307; Cass. 28 luglio 2017, n. 18849; Cass. 10 agosto 2018, n. 20708”. Inoltre, proseguono gli Ermellini, solo l’irrogazione della sanzione preclude l’accoglimento, in caso di dipendente dimissionario, della istanza di riammissione in servizio del dipendente stesso, ed impedisce a quest’ultimo la partecipazione ai concorsi pubblici ex art. 2 comma 3 d.P.R. 487/1994.
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