venerdì 26 febbraio 2016

Contraffazione del marchio: la non rilevanza della conoscenza della falsità

I principi sanciti dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 1108/2016.
Con sentenza del maggio 2014 la Corte di Appello di Genova riformava la sentenza emessa dal Tribunale del luogo in data 7 febbraio 2011, nei confronti di uno straniero imputato del reato di cui all'art. 474 Codice penale nella qualità di legale rappresentante di una ditta di pelletteria per avere concorso nella contraffazione e nell’introduzione nel territorio dello Stato, di n. 209 colli contenenti 8.875 borse riportanti il segno distintivo della ditta "Luis Vuitton" contraffatto.

La Corte, in accoglimento dell'appello proposto dal PG e dalla costituita parte civile, dichiarava l'imputato responsabile del reato ascrittogli e lo condannava alla pena di anni uno e mesi 4 di reclusione, € 1.300,00 di multa, nonché al risarcimento del danno a favore della parte civile, da liquidarsi in separata sede.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell'imputato deducendo (citando Cass., Sez. V, n. 111240 del 13 marzo 2008) che il reato presuppone la contraffazione in senso rigoroso e non la mera imitazione del segno distintivo originario, rilevando a tal proposito che le borse oggetto di imputazione risultavano da foto allegate e da quanto sostenuto dal giudice di appello dotate di una sigla semplicemente simile a quella del prodotto originale.

La Corte di cassazione, Sez. V, con sentenza n. 1108 del 2016, rigettava il ricorso.

I giudici di legittimità hanno infatti stabilito che ai fini della configurazione del reato di cui all'art. 474 Codice penale, nell'ipotesi dell'immissione in circolazione di prodotti contrassegnati da falsi marchi di provenienza, non rileva che il singolo acquirente sia stato effettivamente ingannato o fosse addirittura consapevole della falsità, bensì importa che il marchio contraffatto sia idoneo a fare falsamente apparire quel dato prodotto come proveniente da un determinato produttore.

Fonte: Corte di Cassazione

Rodolfo Murra

(19 febbraio 2016)

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