domenica 9 agosto 2015

“La sanzione della chiusura del pubblico esercizio si rivela quale misura accessoria alla violazione dell’art. 20 del Codice della Strada che già prevedeva l’obbligo della rimozione delle opere e, quindi, rientrante nell’ordinaria attività di vigilanza e controllo da parte della Polizia Municipale..."

N. 10764/2015 REG.PROV.COLL. 
N. 10203/2014 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10203 del 2014, proposto dalla Società Om Naman Shivay Snc di Kumar Rakesh, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv. Michela Guidoni, Pier Paolo Polese, con domicilio eletto presso lo studio degli stessi in Roma, Via Francesco De Sanctis, n.15;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Alessandro Rizzo, con domicilio eletto presso gli Uffici dell’Avvocatura Capitolina in Roma, Via Tempio di Giove, n. 21;


per l'annullamento, previa sospensione,

della Determinazione Dirigenziale rep. n. CA/1949/2014 del 3 giugno 2014, notificata in data 1 luglio 2014, con la quale il Municipio Roma I Centro ha disposto :

1) la rimozione dell’occupazione abusiva di suolo pubblico, accertata dal Corpo della Polizia Locale di Roma Capitale con VAV n.14130003641 del 20.2.2014, antistante l'esercizio sito in Roma, via dei Serpenti n. 148, per l’immediato ripristino dello stato dei luoghi;

2) la chiusura del predetto esercizio per un periodo pari a 5 (cinque) giorni e, comunque, fino al completo ripristino dello stato dei luoghi, da eseguire dal settimo giorno successivo a quello di notifica;

- dell’Ordinanza sindacale n. 258 del 27.2.2012;

- di ogni altro atto presupposto o consequenziale, non conosciuto, comunque lesivo degli interessi della società ricorrente.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Vista l’ordinanza n. 4590 del 2014 che ha accolto la suindicata domanda cautelare limitatamente al punto 2 della Determinazione impugnata;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 aprile 2015 il Cons. Mariangela Caminiti e uditi per le parti i difensori presenti, come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso in epigrafe, la società Om Naman Shivay snc di Kumar Rakesh ha chiesto l’annullamento della Determinazione dirigenziale rep. n. CA/1949/2014 del 3 giugno 2014, con la quale il Municipio Roma I Centro ha disposto la rimozione dell’occupazione abusiva di suolo pubblico antistante l'esercizio sito in Roma, via dei Serpenti n. 148, per l’immediato ripristino dello stato dei luoghi nonché la chiusura del predetto esercizio per un periodo pari a cinque giorni, quest’ultima da eseguire dal settimo giorno successivo a quello di notifica. Il gravame è stato proposto anche avverso la Ordinanza sindacale n. 258 del 2012.

La Determinazione dirigenziale impugnata è stata adottata sul presupposto accertamento, effettuato dalla Polizia Locale – I Gruppo Trevi di Roma Capitale, dell’occupazione da parte della ricorrente, alla data del 20 febbraio 2014, del suolo pubblico, sulla sede stradale, con pedana, tavoli, sedie, un unico ombrellone di mq 4x2 e fioriere poste all’esterno della pedana per complessivi mq 8 “senza essere in possesso della relativa concessione”.

1.1. Il ricorso è articolato in varie doglianze di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili che si possono così compendiare: 1) Violazione dell' art. 3, comma 16 della L. n. 94 del 2009; dell' art. 6 della L. n. 77 del 1997; dell'art. 14 della Deliberazione C.C. n. 119 del 2005; dell' art. 54 del D.Lgs. n. 267 del 2000; incompetenza; eccesso di potere sotto molteplici profili (irragionevolezza, illogicità, contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione): la illegittimità della Determinazione impugnata deriverebbe dalla illegittimità dell’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012, emanata al di fuori delle finalità e dei presupposti previsti dalla legge n. 94 del 2009 che detta norme in materia di sicurezza pubblica ed in particolare dall’art. 3, commi 16, 17 e 18 in materia di sicurezza stradale. Da una lettura complessiva del dettato normativo risulterebbe che per l’esplicazione del potere di ordinanza ivi previsto occorrerebbe la concomitante sussistenza dei presupposti dell’occupazione di suolo pubblico commerciale abusiva e del rischio per la sicurezza stradale. Inoltre in materia di commercio, sia a livello nazionale (art. 6 legge n. 77 del 1997) che comunale (art.14, comma 5 del Reg. Cosap) la possibilità di comminare la sanzione della sospensione dell’attività commerciale nei casi di indebita occupazione di suolo pubblico sarebbe prevista solo in caso di recidiva, previa diffida e comunque per non più di 3 giorni, mentre l’Ordinanza n. 258 del 2012 prevede la sospensione per un periodo non inferiore a 5 giorni, anche nell’eventualità di un unico episodio.

2) Violazione e falsa applicazione di legge: artt. 3 e 97 Cost; art. 3, comma 16 della legge n. 94 del 2009; art. 3 della legge n. 241 del 1990; art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000; art. 20 C.d.S; art. 1 della legge n. 689 del 1981; O.S. n. 258 del 2012. Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione, violazione del principio di stretta legalità: il potere di ordinanza generalmente attribuito al Sindaco, da esercitarsi in modo puntuale e per il caso singolo, con la previsione dell’Ordinanza n. 258 del 2012 sarebbe, invece, generale e destinato ad un numero indeterminato di soggetti per un periodo di tempo illimitato, non previsto dalla legge n. 94 del 2009 e riservato al Consiglio comunale ai sensi di legge e di Statuto. Aggiunge altresì che il potere sanzionatorio di ordinare la chiusura dell’esercizio commerciale disposto dall’art. 3, comma 16 non sarebbe suscettibile di subdelega, così come il potere di ordinanza previsto dall’art. 54 del Tuel. Inoltre ai sensi di legge sussisterebbe una mera facoltà e non l’obbligo incondizionato di sanzionare l’esercente abusivo e, nella specie, la particolare gravità della sanzione inflitta - chiusura per 5 giorni - imporrebbe l’esercizio di tale facoltà previa accurata valutazione della reale situazione di fatto (e non in modo generalizzato e indiscriminato), con una valutazione anche della gravità della condotta e dei singoli casi.

3) Violazione e falsa applicazione di legge: artt. 3, 23, 97, 114 e 118 Cost; art. 3, comma 16 della legge n. 94 del 2009; artt. 42 e 50 del d.lgs. n. 267 del 2000. Eccesso di potere per sviamento, irragionevolezza, illogicità, contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione. Questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 16 della legge n. 94 del 2009: sussisterebbero perplessità in ordine alla possibilità di configurare nel nostro ordinamento un potere di ordinanza “ordinario”, esercitabile all’infuori delle ipotesi della contingibilità e dell’urgenza, come configurato dall’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009. Nel caso di specie, il Sindaco non si sarebbe limitato ad emanare un atto amministrativo nei confronti di un destinatario determinato, ordinando la chiusura dell’attività, ma all’infuori delle ipotesi di sicurezza e di ordine pubblico, avrebbe regolamentato in deroga a norme primarie e secondarie, una determinata materia in modo generale e astratto. La società ricorrente eccepisce, altresì, l'incostituzionalità dell' art. 3, comma 16 della L. n. 94 del 2009 per violazione degli artt. 3, 23, 97, 114 e 118 della Costituzione, nella parte in cui attribuisce al Sindaco un potere di ordinanza diverso da quello previsto dall' art. 54 del D.Lgs. n. 267 del 2000, e per violazione degli artt. 3 e 23 della Costituzione, nella parte in cui svincola la sanzione della chiusura dell’esercizio commerciale dall’effettivo ripristino dello stato dei luoghi, consentendone l’irrogazione della sanzione anche in caso di immediata rimozione della occupazione di suolo pubblico.

4) Violazione e falsa applicazione di legge. Incompetenza: art.3, comma 16, della legge n. 94 del 2009; art. 20 C.d.S.; art. 6 della legge n. 77 del 1997; art. 14 D.C.C. n. 119 del 2005 e succ. mod.. Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione: l’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012 sarebbe illegittima nella parte in cui prevede la ulteriore sanzione della non concessione di occupazione di suolo pubblico in caso di recidiva, in quanto tale previsione sarebbe sprovvista di copertura legislativa nel disposto di cui all’art. 3, comma 16 della legge n. 94 del 2009, con conseguente superamento dei limiti fissati dalla norma primaria e previsione di un cumulo di sanzioni, non previsto dalla legge per la medesima condotta.

5) Violazione e falsa applicazione di legge: art.3, comma 16 della legge n. 94 del 2009; art. 20 C.d.S. . Eccesso di potere per irragionevolezza, illogicità, contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione: sarebbe irragionevole oltreché illegittimo il termine di 7 giorni previsto dall’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012 (non previsto dalla norma presupposta) di decorrenza della esecutività del provvedimento di chiusura dell’attività considerato che i destinatari dei provvedimenti - esercizi di somministrazione – avrebbero necessità di smaltire scorte deperibili e gestire le prenotazioni già ricevute. Conclude parte ricorrente con la richiesta di annullamento degli atti impugnati, previa sospensione dell’efficacia degli stessi

1.2. Roma Capitale intimata si è costituita in giudizio per resistere al ricorso ed ha depositato documenti.

Con ordinanza n. 4590 del 2014 è stata accolta la suindicata domanda cautelare limitatamente al punto 2 della Determinazione impugnata che ha disposto la chiusura dell’esercizio.

In prossimità dell’odierna pubblica udienza Roma Capitale ha depositato documentazione da cui risulta l’accertamento da parte della Polizia locale dell’avvenuta rimozione dell’occupazione di suolo pubblico.

Alla pubblica udienza del 16 aprile 2015 la causa è stata trattenuta in decisione

2. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.

2.1. Le censure dedotte, ancorché diversamente articolate, ricalcano sostanzialmente profili giuridici già sottoposti all’esame della Sezione, che hanno trovato costante pronunciamento di rigetto (vedi da ultimo sent. n. 2245 del 2015, nonché ex multis sentenze nn. 7931 e 7949 del 13 agosto 2013 e n. 1055 del 2015).

Le decisioni citate muovono dalla ricognizione del relativo quadro normativo primario di riferimento (art. 20 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 – Codice della Strada; art. 3, comma 16, della legge 15 luglio 2009, n. 94), la cui combinata lettura impone di ribadire come possa essere comminata la sanzione della chiusura dell’esercizio (fino all’adempimento dell’ordine ripristinatorio e, comunque, per un periodo non inferiore a giorni cinque) per i casi di “indebita occupazione di suolo pubblico previsti … dall’articolo 20 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285”. La misura interdittiva è, dunque, legittimamente applicabile a fronte delle violazioni consumate dall’occupazione di suolo pubblico totalmente “abusiva” (in assenza di titolo).

Nel caso in esame – come in punto di fatto non contestato dall’odierna ricorrente – l’occupazione risulta posta in essere in difetto di titolo concessorio alcuno, cosicché essa è totalmente abusiva.

Più in particolare, motivando sugli specifici profili di censura dedotti in ricorso, volti a censurare in particolare la legittimità dell’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012, quale atto presupposto, il Collegio ribadisce, in coerenza con i precedenti della Sezione, che il potere attribuito al Sindaco per le strade urbane ai sensi dell’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009, è indubbiamente un potere discrezionale e tale potere è stato esercitato dall’Autorità in via generale e preventiva, disponendo con tale Ordinanza n. 258 specifiche indicazioni, impartite ai Dirigenti dei competenti Uffici dell’Amministrazione capitolina, in ragione delle quali, nei casi di occupazione di suolo pubblico totalmente abusiva effettuata, per fini di commercio, su strade urbane ricadenti nel territorio capitolino, delimitato dal perimetro del sito Unesco, devono applicarsi le disposizioni previste dall’art. 20 del Codice della strada e all’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009, con decorrenza dell’esecutività del provvedimento di chiusura dal settimo giorno successivo a quello della notifica.

L’art. 20 del d.lgs. n. 285 del 1992 prevede che chiunque occupa abusivamente il suolo stradale, ovvero, avendo ottenuto la concessione, non ottempera alle relative prescrizioni, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 168 ad euro 674 (comma 4) e che tale violazione importa la sanzione amministrativa accessoria dell’obbligo per l’autore della violazione stessa di rimuovere le opere abusive a proprie spese ai sensi dell’art. 3, comma 16, l. n. 94 del 2009 (comma 5); inoltre, fatti salvi i provvedimenti dell’Autorità per motivi di ordine pubblico, nei casi di indebita occupazione di suolo pubblico previsti dall’art. 633 c.p.p. e dall’art. 20 d.lgs. n. 285 del 1992, il Sindaco, per le strade urbane, può ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti e, se si tratta di occupazione a fine di commercio, la chiusura dell’esercizio fino al pieno adempimento dell’ordine e del pagamento delle spese o della prestazione di idonea garanzia e, comunque, per un periodo non inferiore a cinque giorni.
L’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012 costituisce, pertanto, applicazione della disposizione di cui all’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009 che ha attribuito al Sindaco uno specifico potere sanzionatorio, di natura dissuasiva, in via ordinaria ed a prescindere da situazioni contingibili ed urgenti, per le quali invece soccorre la previsione di cui all’art. 54 del d. lgs. n. 267 del 2000 (T.U. Enti locali).

Come è noto, infatti, ai fini dell'ordinanza sindacale emanata dal Sindaco ai sensi del predetto art. 54, i requisiti di necessità ed urgenza cui si riferisce la norma sono intesi nel senso che il provvedimento extra ordinem si deve necessariamente fondare su una eccezionale situazione di pericolo, tale da non potere essere fronteggiata se non con interventi immediati ed indilazionabili, non rientranti tra gli ordinari mezzi previsti dall'ordinamento giuridico (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 3 giugno 2013, n. 3034; idem, 22 ottobre 2014, n. 5213).

Nel caso in esame, invece, ci troviamo di fronte all’esercizio di un potere espressamente regolamentato dalla legge per ipotesi assolutamente prevedibili, che non hanno né i connotati dell’urgenza né della eccezionalità. Né tale attribuzione può ritenersi violativa di norme costituzionali in quanto non è enucleabile dal sistema un principio di carattere assoluto che escluda l’attribuzione di un potere ai Sindaci a prescindere dalle ipotesi di contingibilità ed urgenza (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II ter, n. 2573 del 2014).

2.2. Sostiene, in particolare, la società ricorrente che il potere esercitato dal Sindaco sarebbe un potere attribuito dalla legge per la tutela della sicurezza pubblica e, nello specifico, della sicurezza stradale: occorrerebbe pertanto di volta in volta una specifica motivazione non solo sulla assenza del titolo concessorio, ma anche sulla sussistenza di un concreto pericolo per la sicurezza pubblica. Qualora così non fosse la normativa in questione (art. 3, commi 16, 17 e 18 della L. n. 94 del 2009) si porrebbe in contrasto con la Costituzione. In relazione a questa denegata ipotesi, pertanto, la ricorrente ha prospettato una eventuale eccezione di legittimità costituzionale. In sostanza, secondo la ricorrente delle due l’una: o la disciplina in questione è – come affermato in altre pronunce di questo TAR – conforme a Costituzione perché fondata su motivi di sicurezza pubblica, e allora, di questi motivi si deve tener conto nell’adozione in concreto dei provvedimenti interdittivi, oppure la norma sarebbe da considerarsi incostituzionale (secondo e terzo mezzo).

Ritiene il Collegio che la tesi della ricorrente non possa essere condivisa.

Premesso che, in linea generale, tutta la disciplina concernente l’occupazione del suolo pubblico è posta certamente anche a presidio della sicurezza pubblica, sia sotto il profilo della circolazione pedonale che veicolare, tanto è vero che la rubrica dell’art. 3, della legge n. 94 del 2009 è appunto “Sicurezza pubblica”, tuttavia la lettera del comma 16 dell’art. 3 della legge n. 94 del 2009 non consente di ritenere che una valutazione in concreto circa la sussistenza di pericoli per la sicurezza pubblica debba essere effettuata ogni qualvolta la condotta di occupazione di suolo pubblico abusiva venga sanzionata o che essa costituisca il presupposto per l’esercizio di volta in volta del potere sanzionatorio.

Recita infatti il citato comma 16: “Fatti salvi i provvedimenti dell’autorità per motivi di ordine pubblico, nei casi di indebita occupazione di suolo pubblico previsti dall’articolo 633 del codice penale e dall’ articolo 20 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 , e successive modificazioni, il sindaco, per le strade urbane, e il prefetto, per quelle extraurbane o, quando ricorrono motivi di sicurezza pubblica, per ogni luogo, possono ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti e, se si tratta di occupazione a fine di commercio, la chiusura dell’esercizio fino al pieno adempimento dell’ordine e del pagamento delle spese o della prestazione di idonea garanzia e, comunque, per un periodo non inferiore a cinque giorni”.

Appare chiaro dalla lettera della norma che il presupposto unico per l’esercizio del potere di disporre l’immediato ripristino dello stato dei luoghi e la chiusura dell’esercizio commerciale è la indebita occupazione di suolo pubblico.

Il riferimento alla sicurezza pubblica è espressamente compiuto dall’articolo in esame solo al fine di individuare la competenza del Sindaco o del Prefetto ad esercitare detto potere. Infatti, essa indica come organo competente “il sindaco, per le strade urbane, e il prefetto, per quelle extraurbane o, quando ricorrono motivi di sicurezza pubblica, per ogni luogo, (…)”,con ciò semplicemente volendo estendere, in caso di specifici motivi di sicurezza pubblica, la competenza del prefetto ad ogni luogo e, dunque, anche nel caso in cui non si tratti di strade extraurbane.

Tale tesi è confermata dal comma 17 dello stesso articolo, il quale dispone che “Le disposizioni di cui al comma 16 si applicano anche nel caso in cui l’esercente ometta di adempiere agli obblighi inerenti alla pulizia e al decoro degli spazi pubblici antistanti l’esercizio.” Appare infatti evidente che la violazione degli obblighi attinenti al decoro e alla pulizia degli spazi pubblici non possa ritenersi in alcun modo connesso a specifiche esigenze di sicurezza pubblica di circolazione veicolare o pedonale.

2.3. La previsione di un tale potere in capo al Sindaco per le strade urbane non pare in contrasto con alcuna delle norme costituzionali indicate nel ricorso (articoli 3, 23, 97, 114 e 118 Cost.).

Infatti, in primo luogo, come si è detto anche in varie precedenti pronunce, non è enucleabile dal sistema un principio di carattere assoluto che escluda a livello costituzionale l’attribuzione di un potere ai Sindaci a prescindere dalle ipotesi di contingibilità ed urgenza (cfr. TAR Lazio, Roma, sez.II ter, n. 2573 del 2014).

E’ inoltre manifestamente infondata la questione di costituzionalità del comma 16 dell’art. 3 della legge n. 94 del 2009, per violazione degli artt. 3 e 23 Cost., nella parte in cui esso svincola la sanzione della chiusura dall’effettivo ripristino dello stato dei luoghi, in ragione della finalità non solo ripristinatoria ma anche sanzionatoria e dissuasiva della norma de qua.

La misura in esame (chiusura temporanea dell’attività) ha, in particolare, carattere aggiuntivo e finalità deterrente volendo scoraggiare l’indebito uso dei beni demaniali la cui abusiva utilizzazione si sostanzia nella sottrazione del loro godimento alla collettività.

Essa, infatti, risponde all’esigenza di garantire il rispetto delle norme sulla occupazione di suolo pubblico, sanzionando l’indebita ed abusiva occupazione ad evidenti fini dissuasivi. Una tale esigenza risponde anche, evidentemente, a finalità di sicurezza pubblica in generale, finalità che tutta la disciplina delle occupazioni di suolo pubblico sicuramente persegue anche se in modo non esclusivo (tanto è vero che il rilascio della O.s.p. è sempre subordinato ad una valutazione di questi profili). Ciò tuttavia non significa che occorra che vi sia in concreto un pericolo imminente per la sicurezza stradale al fine di giustificare l’esercizio dei poteri sanzionatori, i quali semplicemente si accompagnano alla sanzione penale e a quella prevista dal Codice della strada. Per quanto riguarda poi la previsione di cui all’art. 6 della legge n. 77 del 1997 circa la sospensione dell’attività in caso di recidiva nella occupazione indebita di suolo pubblico, non si ravvisa alcuna contraddittorietà, in quanto quest’ultima disciplina continua ad applicarsi in via residuale nei casi in cui il Sindaco (o il Prefetto) abbiano ritenuto di non applicare i poteri discrezionali di cui all’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009.

3. Con riferimento al secondo motivo di ricorso, con cui la società ricorrente sostiene che il potere attribuito al Sindaco dall’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009 non sarebbe subdelegabile ai Dirigenti, si osserva che l’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012 disciplina in via generale e preventiva lo specifico potere sanzionatorio, di natura discrezionale, attribuito, per le strade urbane, al Sindaco dalla predetta norma (art. 3, comma 16), individuando le specifiche condizioni per il suo esercizio e impartendo specifiche indicazioni ai Dirigenti dei competenti Uffici dell’Amministrazione capitolina.

D’altra parte che l’Autorità competente abbia voluto prevedere per le occupazioni di suolo pubblico totalmente abusive la più incisiva sanzione della chiusura temporanea, sia pure nella misura minima, emerge in modo chiaro dalla motivazione dell’Ordinanza in cui è, tra l’altro, indicato come “il crescente fenomeno di occupazione abusiva di suolo pubblico, da parte di titolari di esercizi commerciali, ampiamente registrato dagli organi di comunicazione ed oggetto di persistenti segnalazioni da parte della comunità cittadina, testimonia la necessità di dar corso ad una nuova valutazione generale dell’equilibrio tra l’interesse pubblico di massima fruizione del territorio, da un lato, e l’interesse pubblico di tutela del patrimonio, dall’altro” nonché dal successivo snodo della stessa in cui è indicato che “la sanzione della chiusura del pubblico esercizio si rivela quale misura accessoria alla violazione dell’art. 20 del Codice della Strada che già prevedeva l’obbligo della rimozione delle opere e, quindi, rientrante nell’ordinaria attività di vigilanza e controllo da parte della Polizia Municipale e dei competenti Uffici; … il Sindaco intende avvalersi del potere previsto dall’art. 3, comma 16 della legge 94/2009, per sanzionare le occupazioni totalmente abusive di suolo pubblico, per fini di commercio, ricadenti nelle strade urbane del territorio capitolino delimitato dal perimetro del sito Unesco”.

Ne consegue, che il potere discrezionale attribuito al Sindaco dalla norma in esame è stato in concreto esercitato con una ragionevole valutazione “a monte” di carattere generale, coerente con le specifiche finalità di protezione di cui alla legge n. 94 del 2009 applicate in concreto, perché si è inteso perseguire – in maniera strutturata – un fenomeno di degrado avente dimensioni collettive e radicate nel contesto ambientale, assicurando in tal modo tutela alle strade urbane ricadenti nel perimetro del sito Unesco.

Si tratta di una scelta assolutamente legittima giacché non sussistono impedimenti di tipo giuridico o funzionale a che un organo della P.A. titolare di un potere discrezionale, decida di esercitarlo per il tramite di un atto a contenuto generale che ne fissi contenuti e presupposti e che ne demandi l’esecuzione (che, in presenza dei presupposti previsti, diventa attività vincolata) agli uffici dipendenti, anche avendo riguardo alla circostanza che in tale maniera viene assicurata uniformità di trattamento e prevedibilità di conseguenze per la trasgressione del precetto, a tutto vantaggio della trasparenza e dell’efficacia dell’azione amministrativa.

Non trattandosi, per quando si è detto sopra, di poteri extra ordinem non vi è inoltre nessuna preclusione all’esercizio in queste forme del potere attributo al Sindaco dalla norma.

Né può dirsi che si tratti di esercizio di un potere di natura normativa di rango regolamentare, spettante al Consiglio comunale - come sostenuto nel secondo e terzo motivo di impugnazione - in quanto l’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012 ricollega le fattispecie astrattamente sanzionabili alle tassative previsioni della citata fonte normativa e consiste, pertanto, in una semplice direttiva impartita dal Sindaco ai Dirigenti (cfr. ex multis Tar Lazio Roma, Sez. II ter, 28 maggio 2014, n. 5706).

Infine, vanno disattese le doglianze concernenti il difetto di istruttoria e la irragionevolezza posto che la sanzione applicata corrisponde al minimo edittale, previsto dalla norma di legge (5 giorni).

4. Quanto alla questione sollevata nel ricorso al quarto motivo si osserva che la previsione secondo cui “nel caso di recidiva, oltre all’applicazione delle suddette sanzioni, all’esercente non verrà rilasciata, per i due anni successivi alla data di accertamento della seconda violazione, alcuna concessione di suolo pubblico” non assume alcun rilievo nella controversia in esame in quanto il provvedimento impugnato non costituisce applicazione di tale previsione.

La doglianza è pertanto inammissibile.

5. Con riferimento alla censura di cui al quinto motivo di ricorso, volta a contestare la prescrizione che il provvedimento di chiusura del pubblico esercizio debba essere esecutivo dal settimo giorno successivo a quello della notifica, per irragionevolezza e difetto di istruttoria, considerata l’esigenza degli esercenti di smaltire le scorte deperibili e di gestire le prenotazioni già ricevute, si osserva che tale termine non pare irragionevole in relazione ai tempi medi di smaltimento delle scorte deperibili e della disdetta o spostamento delle prenotazioni.

6. Sulla base delle considerazioni che precedono, unitamente alla copiosa giurisprudenza della Sezione che qui si intende richiamata ad integrazione della motivazione, il ricorso è infondato e va respinto.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e sono poste in favore di Roma Capitale.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore di Roma Capitale che si liquidano in euro 2.000,00 (duemila), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 aprile 2015 con l'intervento dei magistrati:


Giuseppe Rotondo, Presidente FF
Mariangela Caminiti, Consigliere, Estensore
Salvatore Gatto Costantino, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE




DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/08/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)