domenica 27 ottobre 2013

Illegittimo il demansionamento

Corte di Cassazione 11 ottobre 2013, n. 23171
Presidente Ianniello – Relatore Marotta
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 997/2008 del 5 settembre 2008, la Corte di appello di Salerno, in sede di rinvio
disposto da questa Corte con sentenza n. 20170 del 26 settembre 2007, decidendo sull'appello
proposto da G.L..C. avverso la sentenza del Tribunale di Benevento n. 161/2006, accoglieva solo
parzialmente la domanda del C. nei confronti del Comune di Cerreto Sannita e dichiarava il suo
diritto ad essere adibito a mansioni equivalenti a quelle espletate in epoca anteriore alla delibera di
G.M. n. 199/2000 con la quale il medesimo (Comandante di Polizia Municipale e responsabile
dell'ex IV settore) era stato trasferito all'Area 3 tecnoprogettuale e dei LL.PP.. Riteneva, in
particolare, la Corte territoriale che oggetto del giudizio di rinvio fosse solo l'accertamento in fatto
dell'equivalenza delle mansioni di Comandante della Polizia Municipale e di responsabile dell'ex IV
settore con quelle di Istruttore dell'Area Tecnica Progettuale e dei Lavori Pubblici sulla base delle
disposizioni contenute nel Regolamento per l'Ordinamento degli Uffici e dei servizi del Comune di
Cerreto Sannita e, quindi, in parziale riforma della decisione di primo grado del Tribunale di
Benevento, valutava come sicuramente più pregnanti e di valenza maggiore i compiti svolti dal C.
prima della delibera n. 199/2000 (che dichiarava illegittima) rispetto a quelli svolti dopo, negando
ogni equivalenza di mansioni in termini di responsabilità pur a parità di livello di inquadramento
(C) e di qualifica funzionale (VI) e ritenendo sostanzialmente illegittimo il regolamento del
Comune con il quale le suddette differenti mansioni erano state collocate nell'ambito dei medesimi
livello e qualifica. Pur escludendo, poi, che fosse coperta da giudicato la domanda del C. relativa al
risarcimento del danno (essendo stata tale domanda riproposta in sede del precedente ricorso per
cassazione e presupponendo la stessa l'accertamento dell'equivalenza delle mansioni devoluto al
giudice del rinvio), ne rilevava l'infondatezza per mancanza di prova del preteso danno,
considerando, a tal fine, insufficiente la sola illegittimità del modulo organizzativo adottato
dall'amministrazione.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso C.G.L. affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso il Comune di Cerreto Sannita e formula, altresì, ricorso incidentale
affidato a due motivi.
Il Comune resistente ha presentato brevi osservazioni scritte sulle conclusioni del Procuratore
Generale ai sensi dell'art. 379 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
1. I ricorsi hinc et inde proposti avverso la stessa sentenza sono stati riuniti ex art. 335 cod. proc.
civ..
2. Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia: "Violazione e falsa applicazione degli artt.
1218, 2043, 1223, 2059 e 2087 cod. civ. nonché dell'art. 115 cod. proc. civ., omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversa (art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc.
civ.). Si duole della pronuncia di rigetto della domanda di risarcimento del danno evidenziando,
quanto al danno biologico, di aver documentato di aver subito una lesione psico-fisica in
conseguenza del provvedimento di trasferimento adottato dal Comune e richiama la diagnosi di
"disturbo dell'adattamento compatibile con una situazione occupazionale anamnesticamente
avversativa" della Clinica del Lavoro "L. Devoto" di XXXXXX, Servizio di Medicina Preventiva
dei Lavoratori e, quanto al danno esistenziale, di aver documentalmente dimostrato, anche a mezzo
della produzione di articoli di stampa che si erano occupati della vicenda che lo aveva visto
protagonista, che sussistevano tutti gli elementi sintomatici idonei ai fini della prova presuntiva del
richiesto danno esistenziale.
3. Con il secondo motivo il ricorrente principale denuncia: "Violazione e falsa applicazione dell'art.
37, co. 1, lett. b) del c.c.n.l. del 6 luglio 1995 (ai sensi dell'art. 360, n. 3, cod. proc. civ.) degli artt.
2043, 1218, 1223, 2059 e 2087 cod. civ. (ai sensi dell'art. 360 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ.)". Censura la
sentenza della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto di non poter condividere la decisione di
prime cure con la quale era stato riconosciuto il danno nella misura corrispondente alla mancata
percezione dell'indennità di vigilanza tenuto conto che quest'ultima è sempre intimamente connessa
all'effettivo svolgimento della specifica mansione cui è ancorata. Rileva che l'indennità prevista
dall'art. 37 lett. b) secondo periodo del c.c.n.l. del 6/7/1995, a differenza di quella di cui al primo
periodo della medesima norma non richiede lo svolgimento effettivo delle funzioni essendo
corrisposta al personale di appartenenza all'area di vigilanza anche in caso di malattia ovvero
comando presso altre amministrazioni.
4. Con il terzo motivo il ricorrente principale denuncia: "Violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc.
civ. nonché difetto assoluto di motivazione (ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ.)". Si duole del
fatto che i giudici di appello hanno compensato nella misura di 2/3 in danno del C. le spese di tutti i
gradi e le fasi.
5. Con il primo motivo di ricorso incidentale il Comune di Cerreto Sannita denuncia: "'Violazione e
falsa applicazione degli artt. 383, 384 e 394 (violazione del principio di intangibilità del decisum
statuito dalla Corte di Cassazione per il rinvio nel merito - insufficiente motivazione su un punto
decisivo per il giudizio – eccezione di giudicato sul rigetto della domanda di risarcimento dei danni
pronunciata dalla Corte di appello di Napoli e non gravata dal C. dinanzi alla Suprema Corte di
Cassazione". Si duole del fatto che la Corte territoriale ha errato nel ritenere che sulla domanda di
risarcimento del danno del C. non si fosse formato il giudicato e pronunciandosi su tale domanda è
andata oltre i limiti del giudizio di merito così come delineati da questa Corte in sede di rinvio.
6. Con il secondo motivo di ricorso incidentale il Comune denuncia: "Violazione e falsa
applicazione dell'art. 2103 cod. civ. e dell'art. 52 d.lgs. n. 165/2001 nonché dell'art. 19 del d.lgs. n.
165/2001; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo
per il giudizio". Si duole della ritenuta non equivalenza delle mansioni svolte dal ricorrente prima e
dopo il provvedimento impugnato nonostante la previsione, per entrambe, della stessa qualifica
funzionale, dello stesso inquadramento nella categoria C e dei medesimi requisiti di accesso. Si
duole, altresì, dell'omessa valutazione del fatto che, al momento dell'emanazione del provvedimento
impugnato il C. non fosse destinatario di alcun incarico dirigenziale.
7. Ragioni di ordine logico impongono il prioritario esame del ricorso incidentale.
8. 11 primo motivo di ricorso incidentale nei termini in cui è prospettato è infondato.
La Corte di appello di Napoli in sede di decisione del 5/12/2005 non si era pronunciata sulle
richieste risarcitorie del C. avendo ritenuto che nessun demansionamento questi avesse subito per
effetto del provvedimento di "trasferimento" disposto dal Comune di Cerreto Sannita. L'onere di
impugnazione del C. dinanzi alla Corte di legittimità concerneva, dunque, solamente i punti della
decisione che lo avevano visto soccombente e che erano stati considerati assorbenti dalla Corte
territoriale.
Come da questa Corte già affermato, la mancata riproposizione nel ricorso per cassazione delle
argomentazioni esposte nell'atto di appello in relazione a motivi dichiarati assorbiti dal giudice di
secondo grado non determina la definitività delle statuizioni del giudice di primo grado, in quanto
sono inammissibili in sede di legittimità censure che non siano dirette contro la sentenza di appello,
ma riguardino questioni sulle quali questa non si è pronunciata ritenendole assorbite, atteso che le
stesse, in caso di accoglimento del ricorso per cassazione, possono essere nuovamente riproposte al
giudice di rinvio (si richiama, sul punto, Cass. 1 giugno 2012, n. 8817, id. 12 settembre 2011, n.
18677).
Nella fattispecie in esame, in sede di giudizio di rinvio, è stata, dunque, rimessa da questa Corte in
discussione, con la decisione rescindente, la valutazione della sussistenza del demansionamento
lamentato sotto diversi profili (compresi quelli attinenti alla maggiore responsabilità insita nei
compiti di comandante dei vigili ed alla perdita di professionalità conseguente al disposto
mutamento di mansioni) a mezzo del sollecitato raffronto delle mansioni svolte dal C. prima del
trasferimento e di quelle di nuova destinazione.
Impregiudicata è, quindi, rimasta la questione, logicamente conseguente, dell'eventuale danno
derivato al C. dal lamentato demansionamento, valutazione necessariamente riservata all'esito
(positivo) dell'accertamento richiesto da questa Corte.
Nessun giudicato si era, dunque, formato in dipendenza della proposizione dinanzi alla Corte di
legittimità delle sole questioni afferenti il demansionamento (anche se, per quanto più avanti si dirà,
uno sbarramento alle pretese del C. si era già verificato in sede di appello dinanzi alla Corte
napoletana).
9. Egualmente infondato è il secondo motivo di ricorso incidentale.
Si osserva, infatti, che, nella specie la Corte di merito ha espresso il proprio giudizio nella fase
rescissoria sulla base di quanto devolutole da questa Corte in sede rescindente.
Le doglianze che il ricorrente incidentale ore pone sostanzialmente postulano che, trattandosi di
pubblico impiego contrattualizzato, non vi sia nel provvedimento con il quale è stato esercitato lo
ius variandi alcuna violazione di un diritto soggettivo del lavoratore laddove, come nella specie, tale
esercizio risulti conforme alle previsioni di cui all'art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 (nel testo anteriore
alla novella recata dall'art. 62, comma 1 del d.lgs. n. 150 del 2009). In sostanza, ad avviso del
Comune di Cerreto Sannita, ove il lavoratore agisca per il riconoscimento del diritto
all'assegnazione di mansioni equivalenti alle ultime esercitate, resta esclusa la suddetta violazione
qualora le nuove mansioni rientrino nella medesima area professionale prevista dal contratto
collettivo, restando la materia disciplinata compiutamente dal citato art. 52 del d.lgs. n. 165 del
2001, che assegna rilievo solo al criterio dell'equivalenza formale in riferimento alla classificazione
prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto
acquisita, senza che possa aversi riguardo alla norma generale di cui all'art. 2103 cod. civ. e senza
che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione.
Tali doglianze, però, in quanto attinenti ad una valutazione necessariamente pregiudiziale rispetto
all'accertamento devoluto al giudice del rinvio, sono inammissibili in questa sede, risultando
superate dal precedente decisum di questa Corte.
Nello specifico, in sede di sentenza n. 20170/2007, questa Corte ha già affrontato la questione dei
rapporti tra l'art. 52 del d.lgs. n. 165/2001 e l'art. 2103 cod. civ. e, senza ritenere evidentemente
risolutiva l'equivalenza formale degli inquadramenti, come, peraltro, integrata dalle disposizioni del
Regolamento riguardanti le mansioni originarie del C. e quelle di nuova destinazione,
nell'accogliere l'ottavo, nono e decimo motivo di ricorso, ha devoluto alla Corte di appello di
Salerno l'indagine circa l'asserita sottrazione di competenze sulla base del raffronto delle mansioni
come risultanti dal Regolamento Organico degli Uffici e dei Servizi e sul presupposto che i compiti
svolti dal C. prima e dopo il trasferimento corrispondessero a quanto previsto dal Regolamento
medesimo.
Tale indagine è stata svolta dal giudice di merito appunto operando il suddetto raffronto e
considerando quale dato di partenza (pacifico) che sia per il Comandante della Polizia Municipale e
responsabile ex IV Settore sia per l'Istruttore amministrativo III Settore Lavori Pubblici fosse
previsto, alla stregua del contenuto delle due figure, come definito dal Regolamento comunale, il
medesimo inquadramento, categoria C) e la medesima qualifica funzionale - VI q.f. -.
Quanto al richiamo che il Comune ricorrente fa all'art. 19 del d.lgs. n. 165/2001 deve innanzitutto
rilevarsi una carenza della relativa censura sotto il profilo dell'autosufficienza, non evincendosi se
effettivamente la questione di cui si denuncia l'omesso esame fosse stata prospettata al giudice del
rinvio ed in quali termini (non è stata, infatti, riprodotta, in parte qua, la comparsa di costituzione
del Comune dinanzi alla Corte di appello di Salerno).
In ogni caso, tale questione, in ragione del fatto che la Corte territoriale ha operato il richiesto
raffronto proprio premettendo che si trattava di mansioni per le quali era previsto il medesimo
inquadramento, risulta in concreto irrilevante.
Per il resto si osserva che l'esito dell'operazione di comparazione, illustrata dalla Corte salernitana
con logicità e compiutezza di argomentazioni, non è sindacabile in questa sede di legittimità.
Al riguardo il Comune ricorrente incidentale si limita a censurare la motivazione sotto il profilo
dell'erroneità del ritenuto esercizio illegittimo dello ius variandi pur a parità di inquadramento nel
medesimo livello professionale (questione, come detto, inammissibile in questa sede) senza alcun
rilievo in ordine al ragionamento decisorio ed all'opzione che ha condotto il giudice del merito alla
soluzione della quaestio farti devolutale nei termini sopra prospettati.
Del tutto insufficiente a tal fine è, infatti, riferire che l'esplicitato ragionamento sarebbe stato
influenzato dall'erroneo presupposto secondo cui, pur a parità di inquadramento, potesse trattarsi di
mansioni non equivalenti, con la conseguenza che doveva risultare non rilevante che, diversamente
dal Comandante di Polizia Municipale, l'Istruttore dell'Area tecnico-progettuale fosse vincolato alle
direttive impartite dal Responsabile dell'Area, trattandosi di un elemento di differenziazione
attinente al "contenuto materiale" delle mansioni e non incidente sulla complessiva equivalenza
delle stesse.
In realtà la valutazione della Corte di appello è stata decisamente più articolata laddove sono state
esaminate nel dettaglio le mansioni e le funzioni delle due categorie interessate per giungere alla
conclusione che il Comandante della Polizia Municipale e responsabile dell'ex IV Settore fosse
deputato a svolgere compiti (di polizia locale, redazione rapporti giudiziaria, predisposizione atti nel
settore commerciale, urbanistico ed edilizio ecc.) "sicuramene più pregnanti e di valenza maggiore
rispetto a quelli assegnati all'Istruttore dell'Area amministrativa".
10. Il primo motivo di ricorso principale non è fondato per le ragioni di seguito illustrate.
Osserva il Collegio che, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte (v. Cass. S.U.
24 marzo 2006, n. 6572), "in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del
diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che
asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale
- non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura
e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è
subordinato all'esistenza di una lesione dell'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno
esistenziale - da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore,
ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue
abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e
realizzazione della sua personalità nel mondo esterno - va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi
consentiti dall'ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui
dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità,
conoscibilità all'interno ed all'esterno del luogo di lavoro dell'operata dequalificazione, frustrazione
di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in
essere nei confronti del datore comprovanti l'avvenuta lesione dell'interesse relazionale, effetti
negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto) - il cui artificioso isolamento si risolverebbe
in una lacuna del procedimento logico - si possa, attraverso un prudente apprezzamento,
coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all'esistenza del danno, facendo ricorso, ai sensi dell'art.
115 cod. proc. civ., a quelle nozioni generali derivanti dall'esperienza, delle quali ci si serve nel
ragionamento presuntivo e nella valutazione delle prove". Tale principio è stato in sostanza
confermato anche nel quadro generale della accezione unitaria del danno non patrimoniale
successivamente tracciata dalle stesse Sezioni Unite (v. Cass. S.U. 11 novembre 2008, n. 26972).
Nel contempo (v. Cass. 19 dicembre 2008, n. 29832), è stato anche affermato che "la risarcibilità
del danno morale, a norma dell'art. 2059 cod. civ., non è soggetta al limite derivante dalla riserva di
legge e non richiede che il fatto illecito integri in concreto un reato, essendo sufficiente che vi sia
stata una lesione di un interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito, atteso che la
previsione costituzionale dell'interesse relativo ne esige in ogni caso la protezione". Nello stesso
quadro tracciato dalle Sezioni Unite, più di recente è stato altresì precisato che, in tema di
risarcimento del danno non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione, "'non è
sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul
lavoratore non solo di allegare il demansionamento ma anche di fornire la prova ex art. 2697 cod.
civ. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale" (v. Cass. 17
settembre 2010, n. 19785) e che "'in caso di accertato demansionamento professionale, la
risarcibilità del danno all'immagine derivato al lavoratore a cagione del comportamento del datore
di lavoro presuppone che la lesione dell'interesse sia grave, nel senso che l'offesa superi una soglia
minima di tollerabilità, e che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o
fastidi" (v. Cass. 4 marzo 201 l. n. 5237).
Orbene, nella fattispecie, la Corte di merito, dopo aver accertato la sussistenza di un
demansionamento, si è limitata a trarre le conseguenze derivanti dalla operata dequalificazione solo
rispetto al lamentato danno patrimoniale, limitandosi, quanto ai denunciati danno biologico ed
esistenziale, semplicemente ad un generico inciso ("a fronte della mancanza di prove del dedotto da
demansionamento") e ad un riferimento (nella parte narrativa della sentenza) all'ottenimento da
parte del C. di una condanna al relativo risarcimento in un diverso giudizio.
Tuttavia vanno, al riguardo, svolte le seguenti considerazioni.
Quanto al danno biologico il ricorrente principale, in ossequio al principio di autosufficienza, ha
riportato nel ricorso per cassazione il contenuto, nella parte essenziale, della documentazione clinica
rilasciata dalla Clinica del Lavoro "L. Devoto" di XXXXXX - Servizio di Medicina dei lavoratori
da cui si evince che, all'esito degli accertamenti, era stata formulata la seguente diagnosi: "Disturbo
dell'adattamento compatibile con situazione occupazionale anamnesticamente avversativa".
Peraltro, riguardo a tale produzione documentale, il Comune di Cerreto Sannita, lungi dal contestare
la ritualità della produzione in giudizio della stessa ovvero dell'introduzione, sin dal ricorso di
primo grado, della relativa questione si è limitato ad opporre che si trattava di documentazione
insufficiente a provare il lamentato danno biologico e ad evidenziare che il C. non aveva avanzato
alcuna richiesta istruttoria sul punto né, in particolare, chiesto che fosse disposta una consulenza
tecnica d'ufficio.
Va, però, rilevato che il Tribunale di Benevento, nella decisione n. 161/2002 (oggetto di gravame
dinanzi alla Corte di appello di Napoli), non si era specificamente pronunciato sul preteso danno
biologico, limitandosi a riconoscere in favore del C. il risarcimento per il danno patrimoniale
derivato dalla illegittima assegnazione dello stesso all'Area tecnico progettuale, danno
equitativamente quantificato in £. 500.000 mensili dalla data della delibera alla reintegrazione nelle
precedenti mansioni.
Pur se la questione del danno biologico era stata, dunque, come assume il C. ritualmente e
tempestivamente proposta, la stessa era rimasta inevitabilmente travolta dalla mancanza di appello
(in via principale ovvero incidentale) del dipendente.
Si rileva significativamente dalla sentenza della Corte di appello di Napoli n. 555/2005, oggetto del
giudizio rescindente di cui alla decisione di questa Corte n. 20170/2007, che il C. in quella sede si
era limitato a chiedere il rigetto dell'impugnazione proposta dal Comune di Cerreto Sannita (senza,
dunque, dolersi della mancata pronuncia sul pur prospettato danno biologico).
Non vi dubbio, allora, che su tale domanda si sia formato il giudicato (e ciò già prima della
decisione di questa Corte n. 20170/2007).
Analoghe considerazioni possono esser svolte con riguardo al danno esistenziale (certamente
ulteriore rispetto al danno patrimoniale riconosciuto dal Tribunale di Benevento) dovendosi vieppiù
evidenziare che, contrariamente a quanto avvenuto rispetto al danno biologico, neppure si evince
che la domanda relativa a tale danno sia stata ritualmente avanzata dinanzi al giudice di primo
grado.
Perché possa ritenersi che una determinata questione sia stata sottoposta al contraddittorio con
l'altra parte non è sufficiente il richiamo ad una produzione documentale ma è necessario che in
ordine a quest'ultima siano svolte specifiche deduzioni.
Sul punto il ricorrente si limita a riferire di aver riportato fedelmente dinanzi al Tribunale di
Benevento la "lunga cronistoria" che lo aveva visto protagonista assumendo che da questa si potesse
ricavare l'avvenuta lesione dell'interesse relazionale. Nulla, però, dice in ordine alla circostanza che
di tale interesse sia stata effettivamente denunciata la lesione con chiara allegazione in ordine alla
natura ed alle caratteristiche del pregiudizio medesimo e che sia stata avanzata tempestivamente
specifica richiesta risarcitoria.
Pur a fronte, dunque, di una insufficiente motivazione da parte della Corte territoriale, in rapporto
alle questioni prospettate (solo) in grado di appello, non si riscontrano nelle censure del ricorrente i
necessari presupposti della ancora possibile controvertibilità e della decisività.
11. Il secondo motivo di ricorso principale è fondato.
La Corte territoriale ha escluso la sussistenza di un danno patrimoniale risarcibile considerando che,
ai fini di tale danno, non potesse essere presa in esame l'indennità di vigilanza essendo quest'ultima
sempre intimamente connessa all'effettivo svolgimento della specifica mansione.
Invero va rilevato che, in termini generali, una valutazione dell'ammontare del risarcimento del
danno patrimoniale derivato da un inadempimento datoriale non può essere condotta sul
presupposto di una stretta corrispettività (prestazione/spettanze) assumendo rilevanza la qualità e
quantità della esperienza lavorativa pregressa al solo fine dell'individuazione del parametro da
assumere quale base di calcolo.
Non poteva, dunque, essere ostativa ad una inclusione in tale base dell'indennità prevista per il
personale dell'Area di vigilanza dall'art. 37 del c.c.n.l. del 6/7/1995 la circostanza che si trattasse di
una indennità tipica di tale settore e che il C. fosse stato reintegrato non nelle mansioni di
provenienza bensì in altre a queste equivalenti.
Va, peraltro, operato un distinguo tra l'indennità prevista dall'art. 37 del c.c.n.l. del 6/6/1995 nella
prima parte della lettera b), spettante a tutto il personale dell'Area di vigilanza, ivi compresi i
custodi delle carceri mandamentali, in possesso dei requisiti e per l'esercizio delle funzioni di cui
all'art. 5 della legge 7 marzo 1986, n. 65 (L. 1.570.000 annue lorde ripartite per 12 mesi) e
l'indennità prevista dalla medesima lett. b), seconda parte, spettante al personale dell'area di
vigilanza non svolgente le funzioni di cui all'art. 5 della citata legge n. 65 del 1986 (L. 930.000 per
12 mesi).
Nel valutare, nella specie, l'ammontare del risarcimento patrimoniale spettante al C. non può non
considerarsi che questi, dal 9/9/2000 al 4/8/2004, come risultante dalla sentenza impugnata, è stato
in aspettativa sindacale con la conseguenza che se fino al 9/9/2000, il danno da illegittimo
trasferimento va quantificato tenendo conto dell'indennità prevista in caso di effettivo esercizio
delle funzioni di cui all'art. 5 della legge 7 marzo 1986 n. 65 (esercizio precluso al C. in
conseguenza dell'illegittimo trasferimento, irrilevante essendo la disposta reintegra in mansioni solo
equivalenti e non nelle medesime mansioni), per il periodo successivo a tale data il danno va
quantificato tenendo solo conto dell'indennità minore, spettante a prescindere dall’esercizio
effettivo delle funzioni di cui al citato art. 5 e per il solo fatto di appartenere all'Area di vigilanza
(fermo restando, nel complesso, il limite costituito dalla pronuncia del Tribunale di Benevento,
appellata solo dal Comune e, in punto di risarcimento, non anche dal C. ).
12. Così accolto il secondo motivo di ricorso principale (rigettato il primo ed assorbito il terzo) e
respinti quelli oggetto di ricorso incidentale, la impugnata sentenza va, dunque, cassata, in relazione
ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di appello di Salerno in diversa composizione, la quale
provvederà sulla domanda risarcitoria del danno da demansionamento applicando i principi e le
indicazioni di cui sopra e statuirà anche sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; accoglie per quanto di ragione il ricorso principale cassa la impugnata
sentenza in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di
Salerno in diversa composizione. Rigetta il ricorso incidentale.