E' incostituzionale il comma 2 dell'rt. 120 C.d.S.
La Corte dichiara l'incostituzionalità della norma nella parte in cui dispone che il prefetto provvede  alla revoca automatica della patente di guida, in caso di sopravvenuta condanna del suo titolare,  per reati in materia di stupefacenti, anche se di lieve entità. 
 
Norme impugnate: Art. 120, c. 1° e 2°, del decreto legislativo 30/04/1992, n. 285 (Nuovo Codice della strada), come sostituito dall'art. 3, c. 52°, lett. a), della legge 15/07/2009, n. 94.
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S. 22/2018 del 24/01/2018
Udienza Pubblica del 23/01/2018, Presidente: LATTANZI, Redattore: MORELLI
Norme impugnate: Art. 120, c. 1° e 2°, del decreto legislativo 30/04/1992, n. 285 (Nuovo Codice della strada), come sostituito dall'art. 3, c. 52°, lett. a), della legge 15/07/2009, n. 94.
Oggetto: Circolazione 
stradale - Patente di guida - Divieto di conseguimento o revoca per 
delinquenti abituali, professionali o per tendenza e per coloro che 
sono, o sono stati, sottoposti a misure di sicurezza personali o a 
misure di prevenzione o per i condannati per determinati reati.
- Applicazione anche in riferimento a reati commessi prima dell'entrata 
in vigore della legge n. 94 del 2009 [nella specie, reati di cui agli 
artt. 73 e 74 del Testo unico in materia di disciplina degli 
stupefacenti e sostanze psicotrope].
- Condanna per i reati di cui agli artt. 73 e 74 del medesimo Testo 
unico. Condizione soggettiva che ne comporta la revoca da parte del 
Prefetto
Circolazione stradale - Patente di guida - Prevista revoca automatica 
per i condannati per reati in materia di stupefacenti, anche se di lieve
 entità.
                                 
                                 
Dispositivo: illegittimità costituzionale parziale - non fondatezza - manifesta inammissibilità
                                 
                                 
Atti decisi: ord. 20, 210/2016, 97/2017
Atti decisi: ord. 20, 210/2016, 97/2017
SENTENZA N. 22
ANNO 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
 Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo                      
CAROSI, Marta     CARTABIA, Mario Rosario     MORELLI, Giancarlo        
         CORAGGIO, Giuliano                  AMATO, Silvana             
      SCIARRA, Daria                     de PRETIS, Nicolò              
      ZANON, Augusto Antonio     BARBERA, Giulio     PROSPERETTI, 
Giovanni      AMOROSO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 120,
 commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo 
codice della strada), come sostituito dall’art. 3, comma 52, lettera a),
 della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza
 pubblica), promossi dal Tribunale amministrativo regionale per il 
Friuli-Venezia Giulia con ordinanza del 17 dicembre 2015 e dal Tribunale
 ordinario di Genova con ordinanze del 16 giugno 2016 e del 30 marzo 
2017, iscritte, rispettivamente, ai nn. 20 e 210 del registro ordinanze 
2016 e al n. 97 del registro ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta 
Ufficiale della Repubblica nn. 6 e 43, prima serie speciale, dell’anno 
2016 e n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2017. 
Visti gli atti di costituzione di G. C. e di D. B., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 23 gennaio 2018 e nella 
camera di consiglio del 24 gennaio 2018 il Giudice relatore Mario 
Rosario Morelli;
uditi gli avvocati Federico Carnelutti e Giovanni 
Giavedoni per G. C., Raniero Raggi per D. B. e l’avvocato dello Stato 
Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.− Nel corso di un giudizio civile cautelare – avente 
ad oggetto istanza di sospensione dell’efficacia del provvedimento 
prefettizio di revoca della patente di guida, adottato nei confronti 
della ricorrente, in quanto non più in possesso dei «requisiti morali» 
previsti dall’art. 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 
(Nuovo codice della strada), come sostituito dall’art. 3, comma 52, 
lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia 
di sicurezza pubblica) – il Tribunale ordinario di Genova, in 
composizione collegiale, adito in sede di reclamo dei competenti 
ministeri avverso il provvedimento di sospensione, adottato in prima 
istanza, ha ritenuto rilevante, al fine del decidere, e non 
manifestamente infondata – ed ha per ciò sollevato con l’ordinanza in 
epigrafe (r.o. n. 210 del 2016) – duplice questione di legittimità 
costituzionale del combinato disposto dei commi 1 e 2 del predetto art. 
120 del codice della strada, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo 
comma, della Costituzione, in relazione all’art. 7 della Convenzione per
 la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali 
(CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva 
con legge 4 agosto 1955, n. 848, nonché agli artt. 3, 16, 25 e 111 Cost.
Con la prima questione, il Tribunale rimettente chiede a
 questa Corte di accertare se il novellato art. 120 cod. strada – nel 
prevedere l’applicabilità della revoca della patente di guida nei 
confronti di soggetti condannati, per reati previsti dagli artt. 73 e 74
 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 
(Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e 
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi 
stati di tossicodipendenza), ancorché commessi (come nel caso della 
ricorrente del giudizio a quo) in data anteriore a quella (8 agosto) di 
entrata in vigore della novella del 2009 – non leda il principio di 
irretroattività delle sanzioni penali, riferibile anche alle sanzioni, 
come quella prevista dalla norma denunciata, da ritenere 
«sostanzialmente» tali, poiché seriamente afflittive, in applicazione 
della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. Dal che,
 appunto, la sospettata violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, 
Cost., in relazione all’art. 7 della CEDU.
La seconda questione investe l’“automatismo” della 
revoca prefettizia, che la normativa censurata ricollega alla condanna 
per reati, in materia di stupefacenti, con riguardo ai quali la 
disciplina speciale (art. 85 dello stesso d.P.R. n. 309 del 1990) 
prevede, invece, che sia il giudice penale a decidere se applicare o 
meno (e per quale durata) la pena accessoria del «ritiro della patente».
Il che evidenzierebbe, secondo il giudice a quo, 
«profili di irragionevolezza e di […] disparità di trattamento», 
rilevanti, «oltre che per l’incidenza sulla libertà personale e sulla 
libertà di circolazione […], anche dal punto di vista della sottrazione 
del soggetto al giudice naturale e ad un giusto processo», con 
conseguente violazione degli artt. 3, 16, 25 e 111 Cost.
1.1.− Nel giudizio innanzi a questa Corte si è 
costituita la parte privata, per chiedere «che sia accolta la questione 
di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Genova», con 
riferimento sia all’uno che all’altro profilo di censura, ribadendo e 
argomentando con successiva memoria tale conclusione.
1.2.− È intervenuto, altresì, il Presidente del 
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale 
dello Stato, che ha viceversa escluso la fondatezza di entrambe le 
questioni in esame. Nel sollevarle, il rimettente non avrebbe, infatti, 
considerato che «il decreto di revoca della patente non costituisce […] 
una conseguenza accessoria della violazione di una disposizione del 
Codice della strada, bensì consegue alla accertata inesistenza 
originaria o sopravvenuta dei requisiti morali prescritti per il 
conseguimento della patente»: requisiti «necessari ad ottenere [e 
mantenere] il permesso di guida, stante la preminente necessità di 
privare della patente di guida oggetti coinvolti nel traffico di 
sostanze stupefacenti».
2.− Il Tribunale amministrativo regionale per il 
Friuli-Venezia Giulia – nel corso di altro giudizio avente ad oggetto 
istanza di annullamento di un provvedimento prefettizio di revoca della 
patente a seguito di condanna del titolare per reati in materia di 
stupefacenti – ha sollevato, a sua volta (r.o. n. 20 del 2016), 
questione di legittimità costituzionale del novellato art. 120 cod. 
strada, in relazione al (solo) profilo dell’ “automatismo” della revoca 
ed in riferimento all’art. 27, oltre che all’art. 3, Cost.
2.1.– Anche in questo giudizio si è costituito il 
ricorrente nel processo a quo, il quale ha concluso per l’accoglimento 
della questione sollevata dal Tribunale rimettente e, con successiva 
memoria, ha ribadito e ulteriormente argomentato tale conclusione. 
2.2.− È, altresì, intervenuto il Presidente del 
Consiglio dei ministri, per il tramite dell’Avvocatura generale dello 
Stato, che ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità della sollevata
 questione e, nel merito, ne ha contestato la fondatezza. 
3.− Il Tribunale ordinario di Genova, in composizione 
monocratica – adito, «dopo declinatoria di giurisdizione da parte del 
TAR Liguria», con ricorso ai sensi dell’art. 700 del codice di procedura
 civile, avverso altro provvedimento prefettizio di revoca della patente
 – ha nuovamente sollevato, con successiva ordinanza (r.o. n. 97 del 
2017), questione di legittimità costituzionale del predetto art. 120 
cod. strada «nella parte in cui: 1) [n]on consente una valutazione 
discrezionale della durata dell’inibitoria o revoca del titolo 
abilitativo alla guida, commisurata alla gravità dei fatti per cui è 
stata inflitta condanna e delle pene in concreto comminate; 2) [p]revede
 l’applicazione delle limitazioni al rilascio o uso del titolo 
abilitativo alla guida anche nei confronti dei condannati per l’art. 73 
TU 309/90 a cui sia stata applicata la sospensione condizionale della 
pena, determinando ingiustificata disparità di trattamento rispetto ad 
ogni altra categoria di condannati con pena sospesa; 3) [p]revede 
diversa decorrenza e durata del divieto di conseguimento della patente, o
 della durata della revoca, tra condannati per fatti di stupefacenti che
 richiedano l’ammissione all’esame abilitativo e condannati  già 
titolari di patente di guida; 4) [p]revede diversa decorrenza e durata 
del divieto di conseguimento della patente, o della durata della revoca,
 tra condannati per fatti di stupefacenti (con pena sospesa) che 
richiedano l’ammissione all’esame abilitativo, e condannati (con pena 
sospesa) già titolari di patente di guida».
In motivazione della suddetta ordinanza (che si conclude
 con il trascritto dispositivo, che non indica i parametri 
costituzionali in tesi violati), il giudice a quo premette di “far 
propri” tutti i profili di incostituzionalità dell’art. 120 cod. strada 
evidenziati nelle (da lui richiamate) precedenti ordinanze del Tribunale
 di Genova (in composizione collegiale) e del TAR Friuli-Venezia Giulia.
 Precisa, quindi, che «intende solo aggiungere a tali dubbi già palesati
 – e prospettare alla Corte – ulteriori corollari sui profili di 
incompatibilità dell’art. 120 in questione con i principi costituzionali
 messi in luce nei due richiamati provvedimenti dei Tribunali 
rimettenti» (artt. 3, 16, 25, 27 e 111 Cost.).
E, a tal fine, argomenta che il carattere 
sostanzialmente penale delle limitazioni previste dalla disposizione 
denunciata troverebbe conferma dal rilievo che, ai fini dell’ottenimento
 della patente di guida, essa attribuisce alla riabilitazione, e cioè 
all’istituto che fa venir meno «gli effetti penali» della condanna; 
sostiene poi che del tutto irragionevole sarebbe il trattamento “più 
gravoso”, che l’art. 120 riserva ai soggetti condannati che non abbiano 
ancora conseguito la patente di guida rispetto a quello riguardante 
coloro cui la patente di guida sia stata revocata; aggiunge ancora che 
la revoca o l’inibitoria all’esame di guida, senza modulazione di durata
 e senza sospensione, costituirebbe un «macigno difficilmente 
valicabile» sul percorso riabilitativo dei condannati per reati connessi
 agli stupefacenti che abbiano usufruito della sospensione condizionale 
della pena. 
3.1.− L’Avvocatura generale dello Stato – per il 
Presidente del Consiglio dei ministri, anche in questo giudizio 
intervenuto – ha eccepito l’inammissibilità per irrilevanza, ovvero per 
difetto di motivazione sulla rilevanza, delle questioni sollevate e, in 
subordine, ne ha contestato la fondatezza, per erroneità del correlativo
 presupposto ermeneutico. 
Considerato in diritto
1.– L’art. 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, 
n. 285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall’art. 3, comma 
52, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in 
materia di sicurezza pubblica), sotto la rubrica «Requisiti morali per 
ottenere il rilascio dei titoli abilitativi di cui all’art. 116», nei 
suoi commi 1, 2 e 3, così testualmente dispone:
 
«1. Non possono conseguire la patente di guida i 
delinquenti abituali, professionali o per tendenza e coloro che sono o 
sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali […], le persone 
condannate per i reati [in materia di stupefacenti] di cui agli artt. 73
 e 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9
 ottobre 1990, n. 309, fatti salvi gli effetti di provvedimenti 
riabilitativi […]»;
«2. […] se le condizioni soggettive indicate al primo 
periodo del comma 1 del presente articolo intervengono in data 
successiva al rilascio, il prefetto provvede alla revoca della patente 
di guida. La revoca non può essere disposta se sono trascorsi più di tre
 anni dalla data […] del passaggio in giudicato della sentenza di 
condanna per i reati indicati al primo periodo del medesimo comma 1»;
«3. [l]a persona destinataria del provvedimento di 
revoca di cui al comma 2 non può conseguire una nuova patente di guida 
prima che siano trascorsi almeno tre anni».
2.− Le tre ordinanze, di cui si è in narrativa detto, 
convergono nel denunciare, per contrasto con i parametri costituzionali 
in esse rispettivamente evocati, la disposizione di cui al comma 2, in 
correlazione al precedente comma 1, dell’art. 120 del codice della 
strada, con specifico ed esclusivo riguardo alla revoca della patente di
 guida che consegua a condanna per reati in materia di stupefacenti. E, 
per tale comunanza di oggetto, possono riunirsi, per essere decise con 
unica sentenza.
3.− Preliminarmente, va però dichiarata la manifesta 
inammissibilità della questione sollevata dal Tribunale amministrativo 
regionale per il Friuli-Venezia Giulia (r.o. n. 20 del 2016). Ciò in 
quanto detto giudice difetta ictu oculi di giurisdizione.
Per risalente e consolidata giurisprudenza della Corte 
di cassazione, giudice regolatore della giurisdizione, i provvedimenti 
adottati ai sensi dell’art. 120 cod. strada (incidenti su diritti 
soggettivi non degradabili ad interessi legittimi per effetto della loro
 adozione, né inerenti a materia riconducibile alla giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo) sono riservati, infatti, alla 
cognizione del giudice ordinario (ex multis, sezioni unite, sentenze 14 
maggio 2014, n. 10406; 6 febbraio 2006, n. 2446; e, analogamente in tema
 di sospensione della patente, 27 aprile 2005, n. 8693; 11 febbraio 
2003, n. 1993; 8 luglio 1996, n. 6232).
E rispetto a tale univoco orientamento, il rimettente 
non spende alcuna – sia pur solo “non implausibile” – motivazione, per 
prospettarne la superabilità, a sostegno della sua (pertanto 
manifestamente non sussistente) legittimazione a sollevare, come giudice
 a quo, la questione suddetta.
4.− Anche le questioni sollevate dal giudice monocratico
 del Tribunale ordinario di Genova (r.o. n. 97 del 2017), sono 
manifestamente inammissibili.
Prive di rilevanza – nel giudizio a quo avente, come 
detto, ad oggetto un provvedimento di revoca della patente di guida – 
sono, infatti, le questioni relative ad asseriti (non pertinenti) 
profili di deteriore trattamento dei soggetti che intendano conseguire, 
per la prima volta, il titolo abilitativo. Sono poi carenti della 
descrizione della fattispecie concreta, ai fini della motivazione sulla 
rilevanza, le questioni che il rimettente dichiara di far proprie, 
mutuandole dalle precedenti ordinanze di altri giudici, cui all’uopo 
rinvia. E, comunque, tutte le (non sempre chiaramente) adombrate 
questioni risultano aggregate in dispositivo, ma senza indicazione 
alcuna dei parametri di rispettivo riferimento.
5.− La sola ordinanza (r.o. n. 210 del 2016) del 
Tribunale ordinario di Genova, in composizione collegiale, supera, 
dunque, il vaglio di ammissibilità delle questioni sollevate.
Il thema decidendum segnato da detta ordinanza ha, come detto, un duplice oggetto.
5.1.− Per un verso il rimettente denuncia, infatti, il 
combinato disposto dei commi 1 e 2 del novellato art. 120 cod. strada, 
nella parte in cui ne conseguirebbe la revocabilità della patente di 
guida, anche in via retroattiva, in correlazione a condanne bensì 
successive all’entrata in vigore della novella del 2009, ma concernenti 
reati (in materia di stupefacenti) commessi (come nella specie) 
anteriormente a tale data; e ne prospetta il contrasto con gli artt. 11 e
 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 7 della 
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà 
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e 
resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, per lesione del 
principio di irretroattività delle sanzioni sostanzialmente penali 
sancito dalla evocata norma convenzionale, come interpretata dalla Corte
 di Strasburgo.
5.2.− Sotto altro e più generale profilo, dubita poi lo 
stesso giudice che l’“automatismo” della revoca del titolo di guida, che
 la normativa censurata direttamente ricollega ad intervenuta condanna 
per i reati in questione, violi gli artt. 3, 16, 25 e 111 Cost., per 
essere connotato da «profili di irragionevolezza e di conseguente 
disparità di trattamento», rilevanti «oltre che per l’incidenza sulla 
libertà personale e sulla libertà di circolazione […]  anche dal punto 
di vista della sottrazione del soggetto al giudice naturale e ad un 
giusto processo».
E, in relazione a tale secondo profilo, il Tribunale 
ordinario di Genova sottolinea le rilevanti «conseguenze negative» che –
 per la ricorrente (la quale, da sola, «deve accompagnare presso 
istituti dislocati in luoghi diversi le tre figlie minori, una delle 
quali con problemi di salute che comportano un periodico monitoraggio 
ospedaliero») – avrebbe la revoca della patente, disposta a ben otto 
anni di distanza dalla commissione del reato di cui all’art. 73, comma 
5, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 
(Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e 
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi 
stati di tossicodipendenza), fatto lieve, in relazione al quale il 
giudice penale aveva ritenuto di non disporre il ritiro del titolo di 
guida ex art. 85 del medesimo d.P.R. n. 309 del 1990.
6.− Nell’incipit del percorso argomentativo relativo 
alla prima delle due così sollevate questioni, il Tribunale ordinario di
 Genova muove dalla considerazione che la «sanzione della revoca», di 
cui al censurato art. 120 cod. strada, non abbia «carattere penale» 
nell’ordinamento interno (e non chiami per ciò in gioco i principi di 
cui all’art. 25, secondo comma, Cost.); ma si pone poi il quesito – cui 
dà risposta affermativa – «se la revoca sia una vera e propria sanzione 
in senso sostanziale» alla stregua dei cosiddetti «Engel criteria», 
enucleabili dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti 
dell’uomo. Dal che l’evocazione del parametro interposto di cui all’art.
 7 della CEDU, ai fini della denunciata violazione dell’art. 117, primo 
comma, Cost., e dell’art. 11 Cost., quest’ultimo impropriamente però 
richiamato (sentenze n. 210 del 2013 e n. 80 del 2011).
6.1.− La natura di «sanzione» della revoca della patente, qui in esame, è però erroneamente presupposta dal rimettente.
Come più volte ribadito dalla Corte di legittimità (per 
tutte, sezioni unite civili, sentenza 14 maggio 2014, n. 10406; sezione 
seconda civile, ordinanza 4 novembre 2010, n. 22491), la revoca della 
patente, nei casi previsti dall’art. 120 in esame, non ha natura 
sanzionatoria, né costituisce conseguenza accessoria della violazione di
 una disposizione in tema di circolazione stradale, ma rappresenta la 
constatazione dell’insussistenza (sopravvenuta) dei «requisiti morali» 
prescritti per il conseguimento di quel titolo di abilitazione.
Vale a dire che, diversamente dal “ritiro” della patente
 disposto dal giudice penale ai sensi dell’art. 85 del d.P.R. n. 309 del
 1990, la “revoca” del titolo in via amministrativa, di cui alla 
disposizione censurata, non risponde ad una funzione punitiva, 
retributiva o dissuasiva dalla commissione di illeciti e trova, 
viceversa, la sua ratio nell’individuazione di un perimetro di 
affidabilità morale del soggetto, cui è rilasciata la patente di guida, e
 nella selezione di ipotesi in presenza delle quali tale affidabilità 
viene meno. Per cui quelli che vengono, nel nostro caso, in rilievo 
sono, appunto, solo effetti riflessi della condanna penale, in settori 
ordinamentali diversi da quello cui è affidata la funzione repressiva 
degli illeciti con le misure afflittive al riguardo previste. 
Esclusa così, in radice, la natura sanzionatoria della 
revoca in via amministrativa della patente, risulta non pertinente 
l’evocazione della giurisprudenza della Corte europea sui criteri per 
l’attribuibilità di natura sostanzialmente penale a “sanzioni” non 
formalmente tali. Mentre − nella logica (appunto non punitiva ma 
individuativa delle condizioni soggettive ostative al conseguimento o al
 mantenimento del permesso di guida) che ispira la novella del 2009 − la
 revoca della patente anche per reati, in materia di stupefacenti, 
commessi anteriormente alla entrata in vigore della disposizione 
impugnata, per i quali la condanna sia però comunque intervenuta dopo 
tale data, attiene al piano degli effetti riconducibili all’applicazione
 ratione temporis della norma stessa.
Dal che la non fondatezza della questione sin qui esaminata.
7.− La seconda questione – relativa all’automatismo 
della revoca della patente, da parte dell’autorità amministrativa, in 
caso di sopravvenuta condanna del suo titolare, per reati in materia di 
stupefacenti – è, invece, fondata per violazione dei principi di 
eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.
La disposizione denunciata – sul presupposto di una 
indifferenziata valutazione di sopravvenienza di una condizione ostativa
 al mantenimento del titolo di abilitazione alla guida – ricollega, 
infatti, in via automatica, il medesimo effetto, la revoca di quel 
titolo, ad una varietà di fattispecie, non sussumibili in termini di 
omogeneità, atteso che la condanna, cui la norma fa riferimento, può 
riguardare reati di diversa, se non addirittura di lieve, entità. Reati 
che, per di più, possono (come nella specie) essere assai risalenti nel 
tempo, rispetto alla data di definizione del giudizio. Il che dovrebbe 
escluderne l’attitudine a fondare, nei confronti del condannato, dopo un
 tale intervallo temporale, un giudizio, di assenza dei requisiti 
soggettivi per il mantenimento del titolo di abilitazione alla guida, 
riferito, in via automatica, all’attualità.
Ulteriore profilo di irragionevolezza della disposizione
 in esame è, poi, ravvisabile nell’automatismo della “revoca” 
amministrativa rispetto alla discrezionalità della parallela misura del 
“ritiro” della patente che, ai sensi dell’art. 85 del d.P.R. n. 309 del 
1990, il giudice che pronuncia la condanna per i reati in questione «può
 disporre», motivandola, «per un periodo non superiore a tre anni».
È pur vero che tali due misure – come già evidenziato – operano su piani diversi e rispondono a diverse finalità.
Ma la contraddizione non sta nel fatto che la condanna 
per reati in materia di stupefacenti possa rilevare come condizione 
soggettiva ostativa al mantenimento del titolo di abilitazione alla 
guida, agli effetti della sua revocabilità da parte dell’autorità 
amministrativa, anche quando il giudice penale (non ritenendo che detto 
titolo sia strumentale al reato commesso o che possa agevolare la 
commissione di nuovi reati) decida di non disporre (ovvero disponga per 
un più breve periodo) la sanzione accessoria del ritiro della patente.
La contraddizione sta, invece, in ciò che – agli effetti
 dell’adozione delle misure di loro rispettiva competenza (che pur si 
ricollegano al medesimo fatto-reato e, sul piano pratico, incidono in 
senso identicamente negativo sulla titolarità della patente) – mentre il
 giudice penale ha la “facoltà” di disporre, ove lo ritenga opportuno, 
il ritiro della patente, il prefetto ha invece il “dovere” di disporne 
la revoca.
Per tali profili di contrasto con l’art. 3 Cost. (nei 
quali restano assorbite le altre formulate censure) va, pertanto, 
dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’esaminato comma 2 
dell’art. 120 cod. strada, nella parte in cui dispone che il prefetto 
«provvede» − invece che «può provvedere» − alla revoca della patente di 
guida, in caso di sopravvenuta condanna del suo titolare per reati di 
cui agli artt. 73 e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990. 
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi, 
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 
120, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo 
codice della strada), come sostituito dall’art. 3, comma 52, lettera a),
 della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza
 pubblica), nella parte in cui – con riguardo all’ipotesi di condanna 
per reati di cui agli artt. 73 e 74 del decreto del Presidente della 
Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di
 disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
 riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), che intervenga
 in data successiva a quella di rilascio della patente di guida – 
dispone che il prefetto «provvede» – invece che «può provvedere» – alla 
revoca della patente;
2) dichiara la manifesta inammissibilità della 
questione di legittimità costituzionale dell’art. 120, commi 1 e 2, del 
d.lgs. n. 285 del 1992, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 
della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il 
Friuli-Venezia Giulia, con l’ordinanza in epigrafe;
3) dichiara la manifesta inammissibilità delle 
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 120, commi 1 e 2, del 
d.lgs. n. 285 del 1992, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 16, 25, 
27 e 111 Cost., dal Tribunale ordinario di Genova, in composizione 
monocratica, con l’ordinanza in epigrafe;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità 
costituzionale dell’art. 120, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 285 del 1992, 
sollevata, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma Cost., in 
relazione all’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti 
dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 
848, dal Tribunale ordinario di Genova, in composizione collegiale, con 
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2018.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
