Le fonti di prova e i mezzi di prova, disposizioni generali sulle prove
nel processo penale accusatorio.
Il processo penale ha la finalità di acclarare
la fondatezza o meno della pretesa punitiva dello Stato in relazione ad un
determinato fatto-reato attribuito all’imputato. In tale ottica le prove
costituiscono gli elementi sui quali deve basarsi il convincimento del giudice,
frutto di una valutazione di cui dovrà dare atto nella motivazione del
provvedimento giurisdizionale.
In tale prospettiva le prove sono
le circostanze che dimostrano un fatto sostanziale utile ad una parte per
dimostrare la fondatezza delle sue affermazioni (es. colpevolezza per il P.M.,
innocenza per la difesa).
Nel sistema processuale
accusatorio, che valorizza l’oralità e la dialettica tra le parti, la sede
naturale di acquisizione della prova è il dibattimento (artt. 496-515 c.p.p.).
Concetto diverso è quello di
fonti di prova cioè le cose, i documenti o le persone da cui può scaturire poi
la prova. Tali fonti preesistono al giudizio, tanto che funzione essenziale
della P.G. e del P.M. è proprio quella di assicurare le «fonti di prova», ai
sensi dell’art. 55. Orbene, la fonte rappresenta la scaturigine potenziale
della prova; solo innanzi al giudice la fonte partorirà la prova.
Mezzi di prova sono gli strumenti
attraverso i quali le fonti di prova producono la prova; i mezzi, quindi, sono
le forme attraverso le quali la prova viene ad esistenza.
Così, ad esempio, la
persona-teste (fonte soggettiva di prova) attraverso lo strumento della
testimonianza (mezzo di prova o modalità di creazione della prova), pone in
essere la sua dichiarazione, di affermazione o negazione di un fatto (prova
positiva o negativa). Nel confronto, le persone già esaminate o interrogate
(fonti di prova) attraverso tale strumento o mezzo probatorio (mezzo di prova),
formano la prova del fatto che interessa al processo.
Mezzi di ricerca della prova sono
quegli strumenti (ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni) volti
all’acquisizione di fonti di prova e cioè di cose materiali, tracce o
dichiarazioni da cui il giudice potrà trarre il suo convincimento, ma che
preesistono rispetto al dibattimento (es. una conversazione intercettata; una
cosa sequestrata).
Posto che la prova si forma
innanzi al giudice, i mezzi di ricerca della prova non possono mai pervenire
alla precostituita formazione della prova. Le risultanze di tali ricerche
dovranno, quindi, essere offerte al giudice in modo che innanzi a lui esse si
convertano in prove.
Proprio per sottolineare la
diversa natura degli atti compiuti dagli organi dell’investigazione penale
rispetto a quelli in sede giurisdizionale e quindi la diversa valenza anche
probatoria, il codice utilizza terminologie diverse: in luogo di testimonianza,
per il P.M. e per la P.G. si parla di «informazioni» (art. 351); in luogo di
«esame» delle parti private, si utilizza il termine pure di «informazioni»;
invece di «esame dell’imputato» si usa la fraseologia di «informazioni dalla
persona nei cui confronti si svolgono le indagini» (art. 350), per la P.G., e
quella di «interrogatorio» (art. 363) per il P.M. e per il giudice dell’udienza
preliminare (art. 421), ma non per il giudice dell’incidente probatorio; invece
di «ricognizione» si usa per il P.M. quella di «individuazione» (art. 361);
invece di «perizia» e di «periti» si parla per il P.M. di «accertamenti
tecnici» e di «consulenti tecnici» (articolo . 359), e per la P.G. di «atti od
operazioni tecniche» e di «persone idonee» (art. 348).
Tuttavia, è da sottolineare che
il codice detta una compiuta disciplina solo per i mezzi di prova e di ricerca
della prova (artt. 194-271) di natura giurisdizionale, mentre per quelle
attività degli organi inquirenti (P.M. e P.G.), assimilabili a quelle
processuali in questione, la disciplina è assai ristretta, sia per la
sostanziale informalità dell’attività investigativa (e la conseguente
tendenziale irrilevanza probatoria), sia per l’applicabilità ad essa delle
disposizioni dettate per i similari istituti giurisdizionali, in quanto
compatibili.
Prova generica e prova specifica
Infine un’ulteriore distinzione
deve essere fatta tra «prova generica» e «prova specifica».
In particolare la prova generica
è quella in grado di dimostrare la sussistenza del fatto reato: ad es. in caso
di omicidio colposo, le foto del sinistro stradale; i rilievi della polizia; la
perizia autoptica.
La prova specifica è, invece,
quella che consente di attribuire il fatto ad un determinato autore: ad esempio
la ricognizione di persona; la deposizione di un teste oculare che riferisce di
aver visto l’imputato sparare.
Disposizioni generali sulle prove
La disciplina delle prove è
contenuta nel libro III del codice di rito (artt. 187-271). Le concrete
modalità di assunzione delle prove sono invece disciplinate nel libro VII
(dibattimento) negli artt. 496-522 dedicati all’istruzione dibattimentale.
Nei primi articoli il codice
detta delle disposizioni generali valevoli per tutti i tipi di prove. In
particolare:
a) L’art. 187 disciplina
l’oggetto della prova, che individua nei fatti che attengono all’imputazione
contestata, alla punibilità, alla determinazione della pena ed all’applicazione
delle misure di sicurezza, alla responsabilità civile, nonché all’applicazione
di norme processuali. Sicché sarà compito del giudice non ammettere prove
richieste dalle parti che esulano dal suddetto oggetto (art. 495 c.p.p.).
Ad esempio, rientrano
nell’oggetto della prova, una testimonianza per accertare la presenza
dell’imputato sul luogo del delitto e la sua detenzione di un’arma (fatti
inerenti all’imputazione); una perizia tendente ad accertare la capacità o meno
di intendere e volere dell’imputato (circostanza attinente alla punibilità);
accertamenti sulla ricorrenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 500,
c. 4, c.p.p. (fatto attinente all’applicazione di norme processuali).
b) L’art. 188 sancisce il
principio della libertà morale della persona nell’assunzione della prova. Non
possono pertanto essere utilizzati, neanche con il consenso dell’interessato,
metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione della
persona (es. siero della verità; ipnosi od altro) [1].
c) L’art. 189 fissa il principio di non
tassatività dei mezzi di prova nel rispetto del modello accusatorio, ove le parti
gestiscono il meccanismo probatorio. Sicché sono ammissibili anche mezzi di
prova non disciplinati dalla legge, se sono idonei ad assicurare l’accertamento
dei fatti (es. nastro registrato dalla vittima di richieste estorsive).
d) L’art. 190 sancisce il diritto
alla prova il quale ribadisce la facoltà delle parti di richiedere l’ammissione
delle prove nel processo e, dunque, l’appartenenza del meccanismo probatorio
alle parti (salve le ipotesi in cui le prove sono ammesse d’ufficio: art. 192,
c. 2). La violazione di tale diritto è motivo di ricorso per Cassazione (ex
art. 606, c. 1, lett. d) ).
L’art. 190bis c.p.p., nei
processi di criminalità organizzata, di violenza sessuale e di prostituzione e
pornografia minorile, impone limiti all’ammissibilità dell’esame di testimoni o
di persone indicate nell’art. 210 che già abbiano reso precedenti dichiarazioni
nel contraddittorio tra le parti (incidente probatorio o dibattimento),
consentendo la mera lettura delle loro dichiarazioni e non l’esame. Tale peculiare
regime si giustifica per l’esigenza di prevenire l’usura delle fonti di prova,
particolarmente pressante in ragione delle peculiarità soggettive ed oggettive
dei procedimenti in questione; peraltro non vi è alcuna lesione al diritto di
difesa, trattandosi pur sempre di dichiarazioni provenienti da soggetto già
debitamente esaminato e controesaminato (precedentemente) dal soggetto nei cui
confronti le dichiarazioni saranno utilizzate [2].
Nel corso delle indagini
preliminari, la difesa può esercitare il proprio diritto alla prova attraverso
investigazioni difensive ai sensi degli artt. 391bis e ss. Coerentemente all’
indole accusatoria del processo, la prova è nella disponibilità delle parti e
cioè spetta al P.M. indicare i mezzi di prova idonei a sostenere l’accusa ed
all’imputato di richiedere l’assunzione delle prove dirette a contrastare
l’accusa (artt. 190 e 468): è questo il cd. principio dispositivo. Al giudice
spetta solo il compito di valutare la rilevanza ed ammissibilità delle prove
richieste (artt. 190, 495); di procedere alla loro assunzione (art. 496);
nonché di valutarne la forza probatoria di colpevolezza o innocenza (art. 192).
Solo eccezionalmente spetta al giudice di prendere l’iniziativa di indicare
egli stesso la necessità di assumere mezzi di prova, come ad es. nell’udienza
preliminare (art. 422), nel giudizio abbreviato (art. 441, c. 5) ed in
dibattimento (artt. 506 e 507).
e) L’art. 191 fissa la regola
della inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita in violazione di
divieti di legge (es. artt. 62, 195 co. 4 e 7, 203, 271): si tratta di una
forma patologica della prova la quale incide sul profilo sostanziale dell’atto
(che non può essere usato), non su quello meramente formale (per essere l’atto
valido). Essa è motivo di ricorso per Cassazione ex art. 606, c. 1, lett. c) ).
f) L’art. 192 c. 1, sancisce il
principio del libero convincimento del giudice nella valutazione della prova e
del suo obbligo della motivazione da parte del giudice nel momento della
valutazione della prova e, dunque, della sua utilizzazione. Il vizio di
motivazione costituisce motivo di impugnazione ed in particolare di ricorso in
Cassazione (art. 606, lett. e) ) [3].
g) L’art. 192, c. 2, 3, 4 indica
alcuni criteri a cui deve attenersi il giudice nella valutazione delle prove .
Quando la prova è costituita da indizi (l’indizio è fatto certo attraverso cui,
in base a canoni di probabilità, si può risalire ad un fatto incerto da
provare) per la loro utilizzabilità è necesssario che essi siano plurimi, gravi,
precisi e concordanti.
h) L’art. 193 esclude
l’applicabilità nel processo penale dei limiti di prova stabiliti dalle leggi
civili, salvo che non riguardino «lo stato di famiglia e di cittadinanza».
[1] Il rispetto di tale principio
non consente, inoltre, la possibilità di arrestare il teste in udienza, anche
se commette il delitto di falsa testimonianza (art. 476, c. 2). Infatti la
minaccia di arresto potrebbe costituire una pressione psicologica incidente
negativamente sulla genuinità della deposizione.
[2] Per la compatibilità
costituzionale della norma, v. Cass. VI 18-6-2003, n. 26119.
[3] Di recente le Sezioni Unite
della Cassazione hanno affermato importanti principi in tema di valutazione
delle intercettazioni, stabilendo che : a) l’interpretazione del linguaggio
adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato,
costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito,
la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate,
si sottrae al sindacato di legittimità in cassazione; b) le dichiarazioni auto
ed etero accusatorie registrate nel corso di attività di intercettazione
regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere
attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di
corroborazione previsti dall’art. 192, comma terzo, c.p.p. (Cass. Sez. Un.,
28-5-2015, n. 22471).
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