Consiglio di Stato Sez. VI n. 5668 del 9 giugno 2023
Differenza tra manutenzione straordinaria e ristrutturazione edilizia
Il concetto di manutenzione straordinaria (nonché quello di risanamento conservativo) presuppone la realizzazione di opere che lascino inalterata l'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile. Al contrario gli interventi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l'inserimento di nuovi impianti, la modifica e la redistribuzione dei volumi, rientrano nell'ambito della ristrutturazione edilizia. Infatti, come è noto, ai sensi del combinato disposto degli articoli 3 e 10 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, sono soggetti al rilascio del permesso di costruire gli “interventi di nuova costruzione”, che determinano una “trasformazione edilizia e urbanistica del territorio”.
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Pubblicato il 09/06/2023
N. 05668/2023REG.PROV.COLL.
N. 01090/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1090 del 2020, proposto dalla signora Pasqualina Schiano Di Cola, rappresentata e difesa dall’avvocato Vincenzo Magliulo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del suddetto difensore in Roma, via Gentile, n. 8/b;
contro
il Comune di Bacoli, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sede di Napoli, Sez. VI, 21 giugno 2019 n. 3429 resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del 27 aprile 2023 il Cons. Stefano Toschei;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Il presente giudizio in grado di appello ha ad oggetto la richiesta di riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sede di Napoli, Sez. VI, 21 giugno 2019 n. 3429 con la quale il TAR ha respinto il ricorso (n. R.g. 186/2015), proposto dalla signora Pasqualina Schiano Di Cola, al fine di ottenere l’annullamento dell’ordinanza di demolizione n. 238 del 25 novembre 2014 (prot. 35819 del 25 novembre 2014) emessa dal Comune di Bacoli.
2. - La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso in grado di appello può essere sinteticamente ricostruita sulla scorta dei documenti e degli atti prodotti dalla parte oggi appellante nei due gradi di giudizio (atteso che il Comune di Bacoli ha scelto di non essere presente in nessuno dei due gradi di giudizio) nonché da quanto sintetizzato nella parte in fatto della sentenza qui oggetto di appello, come segue:
- con il provvedimento impugnato in primo grado il responsabile del settore XII del Comune di Bacoli ha ingiunto alla signora Schiano Di Cola la demolizione di alcune opere edilizie realizzate in assenza del prescritto titolo abilitativo nella sua proprietà sita nel Comune di Bacoli, dichiarata di notevole interesse pubblico con D.M. 15 dicembre 1959 ed assoggettata alle disposizioni di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42;
- sotto il profilo urbanistico, dalla lettura dell’ordinanza di demolizione, si evince che le opere sono state realizzate in zona che il P.T.P. dei “Campi Flegrei”, approvato con D.M. del 26 aprile 1999, designa P.I.R. (protezione integrale con restauro paesistico-ambientale), di talché per tali zone l’art. 12, punto 4 del predetto strumento “è vietato qualsiasi intervento che comporti incremento dei volumi esistenti”;
- il provvedimento di demolizione, che richiama l’accertamento eseguito dalla Polizia municipale con sopralluogo del 12 ottobre 2014, elenca le seguenti opere abusive: 1) una tettoia in legno munita di grondaia di circa mq. 12 installata sulle pareti dell’appartamento e sorretta da un pilastro in mattoncini che copre lo spazio a livello dell’entrata al locale cucina; 2) una grata in ferro posta sul lato ovest del locale cucina; 3) un manufatto in muratura di mq. 60 con altezza di m. 2,80 circa posto a poca distanza, su lato ovest, dalle precedenti opere [il ridetto provvedimento di demolizione inoltre, con riferimento al manufatto di cui sub 3, chiarisce che: a) esso consta di tre stanze e bagno; b) è munito di impianto idraulico e di predisposizione di impianto elettrico; c) il piano di calpestio è in massetto di calcestruzzo; d) i vani luce sono muniti di soglie in marmo; e) gli accessi agli ambienti interni sono completi di scrigni per porte a scomparsa; f) sul muro perimetrale è stata altresì realizzata una tettoia di circa 6 mq. a copertura di un forno a legna e di un lavello in ceramica; g) è stato realizzato in luogo di una vecchia struttura in ferro “al momento quasi completamente demolita tranne il lato ovest”]; 4) un gazebo di circa 9 mq. e alto nel punto massimo circa 3 mt, realizzato in adiacenza al manufatto in muratura abusivo, costituito da pali infissi nel suolo coperto da doghe in ferro e teli impermeabili e pavimentato con lastroni in calcestruzzo prefabbricati;
- appurato quanto sopra il Comune di Bacoli ha dunque ingiunto la demolizione delle suddette opere realizzate in assenza del prescritto titolo abilitativo e comportanti, tra l’altro, un incremento volumetrico di mc. 168,00 in contrasto con la normativa del P.T.P. dei Campi Flegrei;
- la signora Schiano Di Cola ha impugnato il suddetto provvedimento dinanzi al TAR per la Campania che ha respinto il ricorso in quanto ha ritenuto la infondatezza delle censure dedotte. In particolare il primo giudice ha: a) in primo luogo ribadito che l’amministrazione, nel sanzionare la realizzazione di opere abusive, esercita un potere di tipo vincolato, con la conseguenza che il corrispondente provvedimento si presenta sufficientemente motivato con la descrizione delle opere abusive e la indicazione delle norme violate; b) in secondo luogo accertato che il manufatto realizzato costituisce una nuova opera costruita in una zona paesaggisticamente protetta, di talché la sanzione demolitoria si presenta adeguatamente disposta, tenuto anche conto che la prospettata realizzazione del manufatto in epoca antecedente al 1967 costituisce il frutto di una mera affermazione della proprietaria, non essendo stato adeguatamente provato tale assunto; c) con riferimento alla tettoria e al gazebo, per la loro consistenza, esse non possono ascriversi nella categoria delle opere pertinenziali, manifestando una evidente idoneità a costituire opere permanenti.
3. – Propone quindi appello, nei confronti della suddetta sentenza di primo grado n. 3429/2019, la signora Pasqualina Schiano Di Cola, che ne sostiene la erroneità per tre complessi motivi di appello (che sostanzialmente ricalcano le censure già dedotte in primo grado e non condivise dal TAR per la Campania), che possono sintetizzarsi come segue:
I) Eccesso di potere per violazione e/o falsa applicazione di legge – Errore in iudicando – Violazione di legge – Violazione e falsa applicazione dell'art. 10 l. 6 agosto 1967, n. 765 che ha modificato l’art. 31 l. 17 agosto 1942, n. 1150 – Violazione del giusto procedimento e della l. 7 agosto 1990, n. 241 ed in particolare dell’art. 3 - Eccesso di potere per difetto di istruttoria e per omessa ponderazione della situazione contemplata - Violazione e falsa applicazione dell’art. 27 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 in relazione agli artt. 3, 6, 10, 22, 33, 36 e 37 del medesimo decreto - Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 l.r. 28 novembre 2001, n. 19. Sostiene l’odierna appellante che il TAR sia incorso in errore nel considerare il manufatto di 60 mq come una nuova costruzione, di recente edificazione, piuttosto che il risultato di un mero intervento di manutenzione straordinaria, senza alcuna modifica delle sue caratteristiche plano-volumetriche, circostanza che sarebbe stata facilmente appurabile dall’amministrazione se solo avesse approfondito la questione con una semplice istruttoria. Ne deriva quindi che l’intervento avrebbe dovuto essere preceduto da una mera comunicazione di inizio attività che l’odierna appellante ha omesso di trasmettere, ma detto comportamento non può determinare l’ordine di demolire il manufatto, attesa la sicura riconducibilità dell’intervento effettuato nell’ambito degli “interventi di risanamento conservativo” (se non addirittura di “manutenzione straordinaria”), attesa la necessità di effettuare il recupero integrale dell’originario organismo edilizio, in armonia con l’assetto preesistente, intervento che, pertanto, va ricondotto alla nozione di manutenzione straordinaria/risanamento conservativo e rispetto al quale non è previsto il rilascio del permesso di costruire;
II) Eccesso di potere per violazione e/o falsa applicazione di legge - Errore in iudicando - Violazione e falsa applicazione dell’art. 27 d.P.R. 380/2001 in relazione agli artt. 3, 6, 10, 22, 33, 36 e 37 del medesimo decreto - Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 l.r. 19/2001 - Violazione e falsa applicazione dell’art. 149 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 - Violazione del giusto procedimento - Eccesso di potere per errore di fatto e di diritto – Eccesso di potere per difetto di istruttoria dei presupposti e di motivazione - Omessa ponderazione della situazione contemplata - Travisamento - Illogicità - Contraddittorietà - Perplessità - Manifesta ingiustizia. La signora Schiano Di Cola ribadisce che, con riferimento alla realizzazione della tettoia e del gazebo, il giudice di primo grado non ha colto come, anche in ragione delle modeste dimensioni della tettoia, essa poteva essere installata grazie alla presentazione di una mera denuncia di inizio attività, trattandosi peraltro di un volume tecnico di pertinenza rispetto all’edificio principale. Ciò vale anche per il gazebo. Conseguentemente, in applicazione dell’art. 37 d.P.R. 380/2001, l’amministrazione ben poteva infliggere una sanzione pecuniaria piuttosto che quella della demolizione in ragione del tipo di abusi contestati;
III) Eccesso di potere per violazione e/o falsa applicazione di legge - Errore in iudicando - Eccesso di potere per omessa istruttoria, per omessa motivazione, per omessa ponderazione della situazione contemplata – Violazione del d.P.R. 380/2001 ed in particolare degli artt. 34, 36 e 37 - Violazione di legge - Violazione e falsa applicazione dell'art. 31 d.P.R. 380/2001 - Violazione e falsa applicazione dell'art. 10 d.P.R. 380/2001 in relazione agli artt. 3, 6, 10, 22, 33, 34, 36 e 37 del medesimo decreto - Eccesso di potere per erroneità dei presupposti di fatto e di diritto - Violazione del giusto procedimento - Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione. Il provvedimento impugnato in primo grado è poi carente di una adeguata descrizione della “qualificazione giuridica dei contestati illeciti che, viceversa, nell’economia del procedimento sanzionatorio di abusi edilizi, acquisisce rilievo pregiudiziale, orientando le successive scelte dell’Amministrazione nella individuazione della misura sanzionatoria da applicare” (così, testualmente, a pag. 23 dell’atto di appello). Nel caso di specie, inoltre, l’adozione dell’ingiunzione di demolizione non è stata preceduta dal doveroso accertamento tecnico dell’ufficio sulla fattibilità dell’intervento di ripristino e senza avere adeguatamente calibrato la sanzione inflitta sulla base della specifica tipologia di illecito cui si riconnette il singolo abuso in contestazione.
4. – Come è avvenuto per il giudizio di primo grado, anche nella sede di appello il Comune di Bacoli ha ritenuto di non costituirsi (pervero compare nel fascicolo un atto di costituzione in giudizio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, non intimata perché estranea al presente contenzioso, di talché detta Autorità, avvistasi dell’errore, per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto la rimozione dell’atto erroneamente confluito nel fascicolo digitale del presente giudizio).
5. – I motivi dedotti nella presente sede di appello non possono essere condivisi dal Collegio per le ragioni che qui di seguito vengono illustrate.
6. – In primo luogo dalla lettura dei documenti prodotti emerge che il manufatto di 60 mq costituisce una nuova opera, perfettamente descritta come tale nel provvedimento di ingiunzione a demolire, nel quale è anche individuata l’opera preesistente e sostituita dalla attuale costruzione (“una vecchia struttura in ferro, al momento quasi completamente demolita tranne il lato ovest”). Ciò dimostra che l’intervento è evidentemente consistito nella realizzazione di una nuova costruzione, anche per effetto della demolizione (seppure ancora parziale, al momento del sopralluogo della Polizia municipale) di un precedente manufatto.
Né può assumere rilievo la circostanza che l’appellante affermi come la realizzazione del manufatto sia avvenuta in epoca antecedente rispetto al 1967 né l’ulteriore contestazione volta a ritenere illegittimo il comportamento dell’amministrazione che avrebbe dovuto effettuare una approfondita istruttoria onde acquisire i necessari elementi per fissare la data di effettiva realizzazione del manufatto. Infatti, per costante principio giurisprudenziale è onere della parte appellante fornire la prova della preesistenza, rispetto al 1967, dell'immobile realizzato in assenza di titolo (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 21 ottobre 2022 n. 9010).
Come è noto, ai sensi dell'art. 31, comma 1, l., 17 agosto 1942. n. 1150 era stabilito che "Chiunque intenda eseguire nuove costruzioni edilizie ovvero ampliare quelle esistenti o modificarne la struttura o l'aspetto nei centri abitati ed ove esista il piano regolatore comunale, anche dentro le zone di espansione di cui al n. 2 dell'art. 7, deve chiedere apposita licenza al podestà del comune". È altrettanto noto, poi, che solo con l'introduzione della norma contenuta nell'art. 10 l. 6 agosto 1967, n. 765 (entrata in vigore l'1 settembre 1967), è stato previsto l'obbligo generalizzato di dotarsi di licenza edilizia per tutti gli interventi edilizi (intesi quali nuove costruzioni, ampliamenti, modifiche e demolizioni di manufatti esistenti, nonché opere di urbanizzazione) eseguiti sull'intero territorio comunale e quindi anche oltre il perimetro del c.d. centro abitato (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. II, 28 maggio 2020 n. 3366).
Fermo quanto sopra, come si è già rammentato, spetta però a colui che ha commesso l'abuso edilizio l'onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell'immobile abusivo (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. II, 4 gennaio 2021 n. 80), sicché non può ritenersi provata l’esistenza del manufatto prima del 1967 e la sua identità con quella attuale, essendo al riguardo irrilevanti le congetture assunte dalla parte appellante circa la pretesa dimensione che l'immobile avrebbe necessariamente avuto a quella data. Né può trasferirsi l’onere della prova in capo all’amministrazione procedente, sostenendo (come fa l’odierna appellante) che avrebbe dovuto approfondire l’istruttoria su tale profilo prima di adottare il provvedimento demolitorio (cfr., ancora, in argomento, Cons. Stato, Sez. VI, 17 febbraio 2023 n. 1661).
7. – Ed infatti, al riguardo deve precisarsi che il privato è onerato a provare la data di realizzazione dell'opera edilizia, non solo per poter fruire del beneficio del condono edilizio, ma anche - in generale - per potere escludere la necessità del previo rilascio del titolo abilitativo, ove si faccia questione di opera risalente ad epoca anteriore all'introduzione del regime amministrativo autorizzatorio dello ius aedificandi.
La prova circa il tempo di ultimazione delle opere edilizie è, quindi, posta sul privato e non sull'amministrazione, atteso che solo il privato può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone) inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto, mentre l’amministrazione non può, in via generale, materialmente accertare quale fosse la situazione all'interno del suo territorio negli anni precedenti al 1967 (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019 n. 903).
Tale prova deve, inoltre, essere rigorosa e deve fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi, dovendosi, tra l'altro, negare ogni rilevanza a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o a semplici dichiarazioni rese da terzi, in quanto non suscettibili di essere verificate (cfr. ancora, in argomento, Cons. Stato, Sez. VI, 20 aprile 2020 n. 2524, 4 marzo 2019 n. 1476 e 9 luglio 2018 n. 4168).
8. - Sotto altro versante va rammentato che il concetto di manutenzione straordinaria (nonché quello di risanamento conservativo), oggi come allora, presuppone la realizzazione di opere che lascino inalterata l'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 23 marzo 2022 n. 2141). Al contrario gli interventi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l'inserimento di nuovi impianti, la modifica e la redistribuzione dei volumi, rientrano nell'ambito della ristrutturazione edilizia (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. IV, 21 ottobre 2019 n. 7151).
Infatti, come è noto, ai sensi del combinato disposto degli articoli 3 e 10 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, sono soggetti al rilascio del permesso di costruire gli “interventi di nuova costruzione”, che determinano una “trasformazione edilizia e urbanistica del territorio” (giurisprudenza consolidata, cfr., tra le ultime, Cons. Stato, Sez. VI, 26 aprile 2023 n. 4169).
Inoltre, trattandosi di area vincolata (ove insistono le opere oggetto dell’ordine di demolizione) non può non rammentarsi che, ai sensi dell’art. 167, comma 4, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, sono suscettibili di sanatoria (e, quindi, inidonei a determinare un vulnus alle esigenze paesaggistiche) esclusivamente: a) i lavori che non determinano la creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) i lavori effettuati con materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica; c) i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 d.P.R. 380/2001. Al contrario, sono considerati sempre rilevanti dal punto di vista paesaggistico lavori che determinino incremento di superficie o di volumetria. In simili casi la rilevanza paesaggistica è direttamente assegnata dal legislatore ed è, conseguentemente, preclusa ogni valutazione in concreto in ordine all'effettivo pregiudizio dagli stessi arrecato rispetto al bene paesaggistico tutelato. Nel caso di specie, le opere attengono ad una nuova costruzione, neppure suscettibile di sanatoria paesaggistica (cfr., tra le ultime, Cons. Stato Sez. VI, 26 aprile 2023 n. 4172).
Ed infatti, dalla accurata descrizione delle opere contestate come abusive contenuta nel provvedimento di demolizione emerge con chiarezza che il manufatto in muratura e l’adiacente tettoia sono stati realizzati (per come si è già sopra detto) in sostituzione di una “vecchia struttura in ferro al momento quasi completamente demolita”. Ne consegue che per tali interventi innovativi e di trasformazione del territorio non sarebbe stata possibile la loro realizzazione presentando una comunicazione (ovvero una denuncia) di inizio attività.
D’altronde la motivazione dell’atto, incentrata sulla descrizione delle opere realizzate senza titolo, appare congrua rispetto alla tipologia del potere esercitato dall’amministrazione. E’ noto infatti che, ai sensi dell'art. 27 d.P.R. 380/2001 è sanzionata con la demolizione la realizzazione senza titolo di nuove opere in zone vincolate. Trattandosi di atto vincolato, il provvedimento è sufficientemente motivato con la specifica descrizione delle opere abusive e l'indicazione delle norme violate, tanto che, proprio per tale natura dell'atto, è infondata ogni censura di violazione delle garanzie partecipative atteso che il provvedimento non sarebbe annullabile né per questo né per altri vizi procedimentali, ai sensi dell'art. 21-octies l. 7 agosto 1990, n. 241. Pertanto – e in ragione di quanto appena riferito - l'ordine di demolizione costituisce atto dovuto mentre la possibilità di non procedere alla rimozione degli abusi costituisce solo un’eventualità della fase esecutiva, subordinata alla circostanza dell'impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi (cfr., tra le ultime su tutte le questioni di cui sopra, Cons. Stato, Sez. VII, 8 marzo 2023 n. 2456).
9. – Quanto alla realizzazione della tettoia, per le dimensioni (ben 12 metri quadrati) e il posizionamento di tale opera, può escludersi che abbia rilievo la sostenuta (dall’appellante) considerazione alla stregua di un volume tecnico della stessa ovvero della sua qualificazione in termini di pertinenzialità.
Le caratteristiche strutturali del manufatto escludono che si tratti di una pertinenza, posto che secondo la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato la nozione di pertinenza, sul piano urbanistico - edilizio, è limitata ai soli interventi accessori di modesta entità e privi di autonoma funzionale (cfr., ad esempio, Cons. Stato, Sez. IV, 13 luglio 2022 n. 5926). Nel caso di specie il rilevante aumento di superficie copertura e l'oggettiva possibilità di sfruttamento autonomo del manufatto - a prescindere dall'utilizzo che in concreto ne fa il proprietario - impediscono di considerarlo una pertinenza in senso urbanistico edilizio (cfr. ancora, sul punto, Cons. Stato, Sez. VI, 17 marzo 2022 n. 1957 a mente della quale “Il carattere pertinenziale non è riscontrabile nel caso in cui l'opera non sia di modesta entità, né si presenti come accessoria rispetto ad un'opera principale e, inoltre, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connoti per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale”).
Del resto, in fattispecie analoghe questo Consiglio ha avuto occasione di precisare che “Non sussiste la natura pertinenziale nel caso in cui sia realizzato un nuovo volume, su un'area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata un'opera qualsiasi, quale può essere ad esempio una tettoia, che ne alteri la sagoma” (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. VI, 22 giugno 2022, n. 5153; cfr. anche Cons. Stato, Sez. IV, 8 gennaio 2018, n. 72 secondo cui “La realizzazione di una tettoia va configurata sotto il profilo urbanistico come intervento di nuova costruzione, richiedendo quindi il permesso di costruire, allorché difetti dei requisiti richiesti per le pertinenze e per gli interventi precari”).
Deriva da quanto sopra che né per la nuova costruzione in muratura né per la tettoia, poteva trovare applicazione l’invocato (dalla parte appellante) art. 37, comma 1, d.P.R. 380/2001, nella parte in cui dispone che “la realizzazione di interventi edilizi di cui all'art. 22, in assenza della o in difformità della denuncia di inizio attività comporta la sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi comunque in misura non inferiore a 516 euro”. Ciò in quanto, per la realizzazione delle dette opere sarebbe stato necessario (per quanto sopra detto) il rilascio del previo titolo abilitativo edilizio (peraltro con l’incertezza circa la possibilità dell’effettivo rilascio in ragione del carattere vincolato dell’area in cui le stesse insistono).
Consegue a quanto sopra che anche le censure (al provvedimento impugnato e alla sentenza oggetto di appello) prospettate con il terzo motivo di appello si presentano infondate.
10. – Per completezza, da ultimo, va osservato che quanto alla realizzazione del gazebo, costituito da una struttura “di circa 9 mq. e alto nel punto massimo circa 3 mt, realizzato in adiacenza al manufatto in muratura abusivo, costituito da pali infissi nel suolo coperto da doghe in ferro e teli impermeabili e pavimentato con lastroni in calcestruzzo prefabbricati” (così, nella dettagliata descrizione recata dal provvedimento di demolizione), non può ricondursi detta opera al novero delle “pertinenze”.
A differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi, il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale ed è funzionalmente inserito al suo servizio, ma è altresì sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporta ulteriore “carico urbanistico”, proprio in quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale col fabbricato principale (cfr., in argomento, Cons. Stato, Sez. VI, 27 settembre 2022 n. 8320).
Caratteristiche che, nella fattispecie, stante la dimensione delle opere abusive e la concreta utilizzabilità, non sono ravvisabili e comunque non sono adeguatamente supportate sotto il profilo probatorio.
Né può essere predicata la natura precaria del manufatto, essendo evidente che lo stesso, anche per l’assenza di prova contraria, sia destinato a soddisfare esigenze funzionali all’edificio di abitazione, rappresentando quindi, anche per le dimensioni, un incremento del carico urbanistico.
Neppure può sostenersi la precarietà dell’opera, anzitutto per le caratteristiche costruttive della stessa per come sono state puntualmente descritte nel provvedimento demolitorio dall’amministrazione, ma anche perché le opere di carattere precario debbono essere funzionali a soddisfare una esigenza temporanea destinata a cessare nel tempo, normalmente breve, entro cui si realizza l'interesse finale che la medesima era destinata a soddisfare. Pertanto, la natura precaria dell'opera non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente assegnatagli dal costruttore, rilevando piuttosto la sua oggettiva idoneità a soddisfare un bisogno non provvisorio attraverso la perpetuità della funzione. Tutte circostanze non rinvenibili (né dimostrate) nel caso in esame.
11. - In ragione di quanto si è sopra illustrato il ricorso in appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza di primo grado.
In assenza di costituzione della parte appellata nulla deve disporsi circa le spese del secondo grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello (n. R.g. 1090/2020), come indicato in epigrafe, lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 27 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente
Giordano Lamberti, Consigliere
Stefano Toschei, Consigliere, Estensore
Davide Ponte, Consigliere
Marco Poppi, Consigliere
Il concetto di manutenzione straordinaria (nonché quello di risanamento conservativo) presuppone la realizzazione di opere che lascino inalterata l'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile. Al contrario gli interventi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l'inserimento di nuovi impianti, la modifica e la redistribuzione dei volumi, rientrano nell'ambito della ristrutturazione edilizia. Infatti, come è noto, ai sensi del combinato disposto degli articoli 3 e 10 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, sono soggetti al rilascio del permesso di costruire gli “interventi di nuova costruzione”, che determinano una “trasformazione edilizia e urbanistica del territorio”.
https://lexambiente.it
Pubblicato il 09/06/2023
N. 05668/2023REG.PROV.COLL.
N. 01090/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1090 del 2020, proposto dalla signora Pasqualina Schiano Di Cola, rappresentata e difesa dall’avvocato Vincenzo Magliulo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio del suddetto difensore in Roma, via Gentile, n. 8/b;
contro
il Comune di Bacoli, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sede di Napoli, Sez. VI, 21 giugno 2019 n. 3429 resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del 27 aprile 2023 il Cons. Stefano Toschei;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Il presente giudizio in grado di appello ha ad oggetto la richiesta di riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sede di Napoli, Sez. VI, 21 giugno 2019 n. 3429 con la quale il TAR ha respinto il ricorso (n. R.g. 186/2015), proposto dalla signora Pasqualina Schiano Di Cola, al fine di ottenere l’annullamento dell’ordinanza di demolizione n. 238 del 25 novembre 2014 (prot. 35819 del 25 novembre 2014) emessa dal Comune di Bacoli.
2. - La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso in grado di appello può essere sinteticamente ricostruita sulla scorta dei documenti e degli atti prodotti dalla parte oggi appellante nei due gradi di giudizio (atteso che il Comune di Bacoli ha scelto di non essere presente in nessuno dei due gradi di giudizio) nonché da quanto sintetizzato nella parte in fatto della sentenza qui oggetto di appello, come segue:
- con il provvedimento impugnato in primo grado il responsabile del settore XII del Comune di Bacoli ha ingiunto alla signora Schiano Di Cola la demolizione di alcune opere edilizie realizzate in assenza del prescritto titolo abilitativo nella sua proprietà sita nel Comune di Bacoli, dichiarata di notevole interesse pubblico con D.M. 15 dicembre 1959 ed assoggettata alle disposizioni di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42;
- sotto il profilo urbanistico, dalla lettura dell’ordinanza di demolizione, si evince che le opere sono state realizzate in zona che il P.T.P. dei “Campi Flegrei”, approvato con D.M. del 26 aprile 1999, designa P.I.R. (protezione integrale con restauro paesistico-ambientale), di talché per tali zone l’art. 12, punto 4 del predetto strumento “è vietato qualsiasi intervento che comporti incremento dei volumi esistenti”;
- il provvedimento di demolizione, che richiama l’accertamento eseguito dalla Polizia municipale con sopralluogo del 12 ottobre 2014, elenca le seguenti opere abusive: 1) una tettoia in legno munita di grondaia di circa mq. 12 installata sulle pareti dell’appartamento e sorretta da un pilastro in mattoncini che copre lo spazio a livello dell’entrata al locale cucina; 2) una grata in ferro posta sul lato ovest del locale cucina; 3) un manufatto in muratura di mq. 60 con altezza di m. 2,80 circa posto a poca distanza, su lato ovest, dalle precedenti opere [il ridetto provvedimento di demolizione inoltre, con riferimento al manufatto di cui sub 3, chiarisce che: a) esso consta di tre stanze e bagno; b) è munito di impianto idraulico e di predisposizione di impianto elettrico; c) il piano di calpestio è in massetto di calcestruzzo; d) i vani luce sono muniti di soglie in marmo; e) gli accessi agli ambienti interni sono completi di scrigni per porte a scomparsa; f) sul muro perimetrale è stata altresì realizzata una tettoia di circa 6 mq. a copertura di un forno a legna e di un lavello in ceramica; g) è stato realizzato in luogo di una vecchia struttura in ferro “al momento quasi completamente demolita tranne il lato ovest”]; 4) un gazebo di circa 9 mq. e alto nel punto massimo circa 3 mt, realizzato in adiacenza al manufatto in muratura abusivo, costituito da pali infissi nel suolo coperto da doghe in ferro e teli impermeabili e pavimentato con lastroni in calcestruzzo prefabbricati;
- appurato quanto sopra il Comune di Bacoli ha dunque ingiunto la demolizione delle suddette opere realizzate in assenza del prescritto titolo abilitativo e comportanti, tra l’altro, un incremento volumetrico di mc. 168,00 in contrasto con la normativa del P.T.P. dei Campi Flegrei;
- la signora Schiano Di Cola ha impugnato il suddetto provvedimento dinanzi al TAR per la Campania che ha respinto il ricorso in quanto ha ritenuto la infondatezza delle censure dedotte. In particolare il primo giudice ha: a) in primo luogo ribadito che l’amministrazione, nel sanzionare la realizzazione di opere abusive, esercita un potere di tipo vincolato, con la conseguenza che il corrispondente provvedimento si presenta sufficientemente motivato con la descrizione delle opere abusive e la indicazione delle norme violate; b) in secondo luogo accertato che il manufatto realizzato costituisce una nuova opera costruita in una zona paesaggisticamente protetta, di talché la sanzione demolitoria si presenta adeguatamente disposta, tenuto anche conto che la prospettata realizzazione del manufatto in epoca antecedente al 1967 costituisce il frutto di una mera affermazione della proprietaria, non essendo stato adeguatamente provato tale assunto; c) con riferimento alla tettoria e al gazebo, per la loro consistenza, esse non possono ascriversi nella categoria delle opere pertinenziali, manifestando una evidente idoneità a costituire opere permanenti.
3. – Propone quindi appello, nei confronti della suddetta sentenza di primo grado n. 3429/2019, la signora Pasqualina Schiano Di Cola, che ne sostiene la erroneità per tre complessi motivi di appello (che sostanzialmente ricalcano le censure già dedotte in primo grado e non condivise dal TAR per la Campania), che possono sintetizzarsi come segue:
I) Eccesso di potere per violazione e/o falsa applicazione di legge – Errore in iudicando – Violazione di legge – Violazione e falsa applicazione dell'art. 10 l. 6 agosto 1967, n. 765 che ha modificato l’art. 31 l. 17 agosto 1942, n. 1150 – Violazione del giusto procedimento e della l. 7 agosto 1990, n. 241 ed in particolare dell’art. 3 - Eccesso di potere per difetto di istruttoria e per omessa ponderazione della situazione contemplata - Violazione e falsa applicazione dell’art. 27 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 in relazione agli artt. 3, 6, 10, 22, 33, 36 e 37 del medesimo decreto - Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 l.r. 28 novembre 2001, n. 19. Sostiene l’odierna appellante che il TAR sia incorso in errore nel considerare il manufatto di 60 mq come una nuova costruzione, di recente edificazione, piuttosto che il risultato di un mero intervento di manutenzione straordinaria, senza alcuna modifica delle sue caratteristiche plano-volumetriche, circostanza che sarebbe stata facilmente appurabile dall’amministrazione se solo avesse approfondito la questione con una semplice istruttoria. Ne deriva quindi che l’intervento avrebbe dovuto essere preceduto da una mera comunicazione di inizio attività che l’odierna appellante ha omesso di trasmettere, ma detto comportamento non può determinare l’ordine di demolire il manufatto, attesa la sicura riconducibilità dell’intervento effettuato nell’ambito degli “interventi di risanamento conservativo” (se non addirittura di “manutenzione straordinaria”), attesa la necessità di effettuare il recupero integrale dell’originario organismo edilizio, in armonia con l’assetto preesistente, intervento che, pertanto, va ricondotto alla nozione di manutenzione straordinaria/risanamento conservativo e rispetto al quale non è previsto il rilascio del permesso di costruire;
II) Eccesso di potere per violazione e/o falsa applicazione di legge - Errore in iudicando - Violazione e falsa applicazione dell’art. 27 d.P.R. 380/2001 in relazione agli artt. 3, 6, 10, 22, 33, 36 e 37 del medesimo decreto - Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 l.r. 19/2001 - Violazione e falsa applicazione dell’art. 149 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 - Violazione del giusto procedimento - Eccesso di potere per errore di fatto e di diritto – Eccesso di potere per difetto di istruttoria dei presupposti e di motivazione - Omessa ponderazione della situazione contemplata - Travisamento - Illogicità - Contraddittorietà - Perplessità - Manifesta ingiustizia. La signora Schiano Di Cola ribadisce che, con riferimento alla realizzazione della tettoia e del gazebo, il giudice di primo grado non ha colto come, anche in ragione delle modeste dimensioni della tettoia, essa poteva essere installata grazie alla presentazione di una mera denuncia di inizio attività, trattandosi peraltro di un volume tecnico di pertinenza rispetto all’edificio principale. Ciò vale anche per il gazebo. Conseguentemente, in applicazione dell’art. 37 d.P.R. 380/2001, l’amministrazione ben poteva infliggere una sanzione pecuniaria piuttosto che quella della demolizione in ragione del tipo di abusi contestati;
III) Eccesso di potere per violazione e/o falsa applicazione di legge - Errore in iudicando - Eccesso di potere per omessa istruttoria, per omessa motivazione, per omessa ponderazione della situazione contemplata – Violazione del d.P.R. 380/2001 ed in particolare degli artt. 34, 36 e 37 - Violazione di legge - Violazione e falsa applicazione dell'art. 31 d.P.R. 380/2001 - Violazione e falsa applicazione dell'art. 10 d.P.R. 380/2001 in relazione agli artt. 3, 6, 10, 22, 33, 34, 36 e 37 del medesimo decreto - Eccesso di potere per erroneità dei presupposti di fatto e di diritto - Violazione del giusto procedimento - Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione. Il provvedimento impugnato in primo grado è poi carente di una adeguata descrizione della “qualificazione giuridica dei contestati illeciti che, viceversa, nell’economia del procedimento sanzionatorio di abusi edilizi, acquisisce rilievo pregiudiziale, orientando le successive scelte dell’Amministrazione nella individuazione della misura sanzionatoria da applicare” (così, testualmente, a pag. 23 dell’atto di appello). Nel caso di specie, inoltre, l’adozione dell’ingiunzione di demolizione non è stata preceduta dal doveroso accertamento tecnico dell’ufficio sulla fattibilità dell’intervento di ripristino e senza avere adeguatamente calibrato la sanzione inflitta sulla base della specifica tipologia di illecito cui si riconnette il singolo abuso in contestazione.
4. – Come è avvenuto per il giudizio di primo grado, anche nella sede di appello il Comune di Bacoli ha ritenuto di non costituirsi (pervero compare nel fascicolo un atto di costituzione in giudizio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, non intimata perché estranea al presente contenzioso, di talché detta Autorità, avvistasi dell’errore, per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto la rimozione dell’atto erroneamente confluito nel fascicolo digitale del presente giudizio).
5. – I motivi dedotti nella presente sede di appello non possono essere condivisi dal Collegio per le ragioni che qui di seguito vengono illustrate.
6. – In primo luogo dalla lettura dei documenti prodotti emerge che il manufatto di 60 mq costituisce una nuova opera, perfettamente descritta come tale nel provvedimento di ingiunzione a demolire, nel quale è anche individuata l’opera preesistente e sostituita dalla attuale costruzione (“una vecchia struttura in ferro, al momento quasi completamente demolita tranne il lato ovest”). Ciò dimostra che l’intervento è evidentemente consistito nella realizzazione di una nuova costruzione, anche per effetto della demolizione (seppure ancora parziale, al momento del sopralluogo della Polizia municipale) di un precedente manufatto.
Né può assumere rilievo la circostanza che l’appellante affermi come la realizzazione del manufatto sia avvenuta in epoca antecedente rispetto al 1967 né l’ulteriore contestazione volta a ritenere illegittimo il comportamento dell’amministrazione che avrebbe dovuto effettuare una approfondita istruttoria onde acquisire i necessari elementi per fissare la data di effettiva realizzazione del manufatto. Infatti, per costante principio giurisprudenziale è onere della parte appellante fornire la prova della preesistenza, rispetto al 1967, dell'immobile realizzato in assenza di titolo (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 21 ottobre 2022 n. 9010).
Come è noto, ai sensi dell'art. 31, comma 1, l., 17 agosto 1942. n. 1150 era stabilito che "Chiunque intenda eseguire nuove costruzioni edilizie ovvero ampliare quelle esistenti o modificarne la struttura o l'aspetto nei centri abitati ed ove esista il piano regolatore comunale, anche dentro le zone di espansione di cui al n. 2 dell'art. 7, deve chiedere apposita licenza al podestà del comune". È altrettanto noto, poi, che solo con l'introduzione della norma contenuta nell'art. 10 l. 6 agosto 1967, n. 765 (entrata in vigore l'1 settembre 1967), è stato previsto l'obbligo generalizzato di dotarsi di licenza edilizia per tutti gli interventi edilizi (intesi quali nuove costruzioni, ampliamenti, modifiche e demolizioni di manufatti esistenti, nonché opere di urbanizzazione) eseguiti sull'intero territorio comunale e quindi anche oltre il perimetro del c.d. centro abitato (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. II, 28 maggio 2020 n. 3366).
Fermo quanto sopra, come si è già rammentato, spetta però a colui che ha commesso l'abuso edilizio l'onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell'immobile abusivo (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. II, 4 gennaio 2021 n. 80), sicché non può ritenersi provata l’esistenza del manufatto prima del 1967 e la sua identità con quella attuale, essendo al riguardo irrilevanti le congetture assunte dalla parte appellante circa la pretesa dimensione che l'immobile avrebbe necessariamente avuto a quella data. Né può trasferirsi l’onere della prova in capo all’amministrazione procedente, sostenendo (come fa l’odierna appellante) che avrebbe dovuto approfondire l’istruttoria su tale profilo prima di adottare il provvedimento demolitorio (cfr., ancora, in argomento, Cons. Stato, Sez. VI, 17 febbraio 2023 n. 1661).
7. – Ed infatti, al riguardo deve precisarsi che il privato è onerato a provare la data di realizzazione dell'opera edilizia, non solo per poter fruire del beneficio del condono edilizio, ma anche - in generale - per potere escludere la necessità del previo rilascio del titolo abilitativo, ove si faccia questione di opera risalente ad epoca anteriore all'introduzione del regime amministrativo autorizzatorio dello ius aedificandi.
La prova circa il tempo di ultimazione delle opere edilizie è, quindi, posta sul privato e non sull'amministrazione, atteso che solo il privato può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone) inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto, mentre l’amministrazione non può, in via generale, materialmente accertare quale fosse la situazione all'interno del suo territorio negli anni precedenti al 1967 (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019 n. 903).
Tale prova deve, inoltre, essere rigorosa e deve fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi, dovendosi, tra l'altro, negare ogni rilevanza a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o a semplici dichiarazioni rese da terzi, in quanto non suscettibili di essere verificate (cfr. ancora, in argomento, Cons. Stato, Sez. VI, 20 aprile 2020 n. 2524, 4 marzo 2019 n. 1476 e 9 luglio 2018 n. 4168).
8. - Sotto altro versante va rammentato che il concetto di manutenzione straordinaria (nonché quello di risanamento conservativo), oggi come allora, presuppone la realizzazione di opere che lascino inalterata l'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 23 marzo 2022 n. 2141). Al contrario gli interventi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l'inserimento di nuovi impianti, la modifica e la redistribuzione dei volumi, rientrano nell'ambito della ristrutturazione edilizia (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. IV, 21 ottobre 2019 n. 7151).
Infatti, come è noto, ai sensi del combinato disposto degli articoli 3 e 10 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, sono soggetti al rilascio del permesso di costruire gli “interventi di nuova costruzione”, che determinano una “trasformazione edilizia e urbanistica del territorio” (giurisprudenza consolidata, cfr., tra le ultime, Cons. Stato, Sez. VI, 26 aprile 2023 n. 4169).
Inoltre, trattandosi di area vincolata (ove insistono le opere oggetto dell’ordine di demolizione) non può non rammentarsi che, ai sensi dell’art. 167, comma 4, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, sono suscettibili di sanatoria (e, quindi, inidonei a determinare un vulnus alle esigenze paesaggistiche) esclusivamente: a) i lavori che non determinano la creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) i lavori effettuati con materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica; c) i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 d.P.R. 380/2001. Al contrario, sono considerati sempre rilevanti dal punto di vista paesaggistico lavori che determinino incremento di superficie o di volumetria. In simili casi la rilevanza paesaggistica è direttamente assegnata dal legislatore ed è, conseguentemente, preclusa ogni valutazione in concreto in ordine all'effettivo pregiudizio dagli stessi arrecato rispetto al bene paesaggistico tutelato. Nel caso di specie, le opere attengono ad una nuova costruzione, neppure suscettibile di sanatoria paesaggistica (cfr., tra le ultime, Cons. Stato Sez. VI, 26 aprile 2023 n. 4172).
Ed infatti, dalla accurata descrizione delle opere contestate come abusive contenuta nel provvedimento di demolizione emerge con chiarezza che il manufatto in muratura e l’adiacente tettoia sono stati realizzati (per come si è già sopra detto) in sostituzione di una “vecchia struttura in ferro al momento quasi completamente demolita”. Ne consegue che per tali interventi innovativi e di trasformazione del territorio non sarebbe stata possibile la loro realizzazione presentando una comunicazione (ovvero una denuncia) di inizio attività.
D’altronde la motivazione dell’atto, incentrata sulla descrizione delle opere realizzate senza titolo, appare congrua rispetto alla tipologia del potere esercitato dall’amministrazione. E’ noto infatti che, ai sensi dell'art. 27 d.P.R. 380/2001 è sanzionata con la demolizione la realizzazione senza titolo di nuove opere in zone vincolate. Trattandosi di atto vincolato, il provvedimento è sufficientemente motivato con la specifica descrizione delle opere abusive e l'indicazione delle norme violate, tanto che, proprio per tale natura dell'atto, è infondata ogni censura di violazione delle garanzie partecipative atteso che il provvedimento non sarebbe annullabile né per questo né per altri vizi procedimentali, ai sensi dell'art. 21-octies l. 7 agosto 1990, n. 241. Pertanto – e in ragione di quanto appena riferito - l'ordine di demolizione costituisce atto dovuto mentre la possibilità di non procedere alla rimozione degli abusi costituisce solo un’eventualità della fase esecutiva, subordinata alla circostanza dell'impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi (cfr., tra le ultime su tutte le questioni di cui sopra, Cons. Stato, Sez. VII, 8 marzo 2023 n. 2456).
9. – Quanto alla realizzazione della tettoia, per le dimensioni (ben 12 metri quadrati) e il posizionamento di tale opera, può escludersi che abbia rilievo la sostenuta (dall’appellante) considerazione alla stregua di un volume tecnico della stessa ovvero della sua qualificazione in termini di pertinenzialità.
Le caratteristiche strutturali del manufatto escludono che si tratti di una pertinenza, posto che secondo la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato la nozione di pertinenza, sul piano urbanistico - edilizio, è limitata ai soli interventi accessori di modesta entità e privi di autonoma funzionale (cfr., ad esempio, Cons. Stato, Sez. IV, 13 luglio 2022 n. 5926). Nel caso di specie il rilevante aumento di superficie copertura e l'oggettiva possibilità di sfruttamento autonomo del manufatto - a prescindere dall'utilizzo che in concreto ne fa il proprietario - impediscono di considerarlo una pertinenza in senso urbanistico edilizio (cfr. ancora, sul punto, Cons. Stato, Sez. VI, 17 marzo 2022 n. 1957 a mente della quale “Il carattere pertinenziale non è riscontrabile nel caso in cui l'opera non sia di modesta entità, né si presenti come accessoria rispetto ad un'opera principale e, inoltre, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connoti per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale”).
Del resto, in fattispecie analoghe questo Consiglio ha avuto occasione di precisare che “Non sussiste la natura pertinenziale nel caso in cui sia realizzato un nuovo volume, su un'area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio, ovvero sia realizzata un'opera qualsiasi, quale può essere ad esempio una tettoia, che ne alteri la sagoma” (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. VI, 22 giugno 2022, n. 5153; cfr. anche Cons. Stato, Sez. IV, 8 gennaio 2018, n. 72 secondo cui “La realizzazione di una tettoia va configurata sotto il profilo urbanistico come intervento di nuova costruzione, richiedendo quindi il permesso di costruire, allorché difetti dei requisiti richiesti per le pertinenze e per gli interventi precari”).
Deriva da quanto sopra che né per la nuova costruzione in muratura né per la tettoia, poteva trovare applicazione l’invocato (dalla parte appellante) art. 37, comma 1, d.P.R. 380/2001, nella parte in cui dispone che “la realizzazione di interventi edilizi di cui all'art. 22, in assenza della o in difformità della denuncia di inizio attività comporta la sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi comunque in misura non inferiore a 516 euro”. Ciò in quanto, per la realizzazione delle dette opere sarebbe stato necessario (per quanto sopra detto) il rilascio del previo titolo abilitativo edilizio (peraltro con l’incertezza circa la possibilità dell’effettivo rilascio in ragione del carattere vincolato dell’area in cui le stesse insistono).
Consegue a quanto sopra che anche le censure (al provvedimento impugnato e alla sentenza oggetto di appello) prospettate con il terzo motivo di appello si presentano infondate.
10. – Per completezza, da ultimo, va osservato che quanto alla realizzazione del gazebo, costituito da una struttura “di circa 9 mq. e alto nel punto massimo circa 3 mt, realizzato in adiacenza al manufatto in muratura abusivo, costituito da pali infissi nel suolo coperto da doghe in ferro e teli impermeabili e pavimentato con lastroni in calcestruzzo prefabbricati” (così, nella dettagliata descrizione recata dal provvedimento di demolizione), non può ricondursi detta opera al novero delle “pertinenze”.
A differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi, il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale ed è funzionalmente inserito al suo servizio, ma è altresì sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporta ulteriore “carico urbanistico”, proprio in quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale col fabbricato principale (cfr., in argomento, Cons. Stato, Sez. VI, 27 settembre 2022 n. 8320).
Caratteristiche che, nella fattispecie, stante la dimensione delle opere abusive e la concreta utilizzabilità, non sono ravvisabili e comunque non sono adeguatamente supportate sotto il profilo probatorio.
Né può essere predicata la natura precaria del manufatto, essendo evidente che lo stesso, anche per l’assenza di prova contraria, sia destinato a soddisfare esigenze funzionali all’edificio di abitazione, rappresentando quindi, anche per le dimensioni, un incremento del carico urbanistico.
Neppure può sostenersi la precarietà dell’opera, anzitutto per le caratteristiche costruttive della stessa per come sono state puntualmente descritte nel provvedimento demolitorio dall’amministrazione, ma anche perché le opere di carattere precario debbono essere funzionali a soddisfare una esigenza temporanea destinata a cessare nel tempo, normalmente breve, entro cui si realizza l'interesse finale che la medesima era destinata a soddisfare. Pertanto, la natura precaria dell'opera non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente assegnatagli dal costruttore, rilevando piuttosto la sua oggettiva idoneità a soddisfare un bisogno non provvisorio attraverso la perpetuità della funzione. Tutte circostanze non rinvenibili (né dimostrate) nel caso in esame.
11. - In ragione di quanto si è sopra illustrato il ricorso in appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza di primo grado.
In assenza di costituzione della parte appellata nulla deve disporsi circa le spese del secondo grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello (n. R.g. 1090/2020), come indicato in epigrafe, lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 27 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente
Giordano Lamberti, Consigliere
Stefano Toschei, Consigliere, Estensore
Davide Ponte, Consigliere
Marco Poppi, Consigliere