domenica 6 dicembre 2020

Il Comune non può riservare alcuni spazi di sosta sulla via pubblica ai propri dipendenti.


tar sardegna
La pubblica utilità esclude spazi sosta per il Comune
Il Codice limita il beneficio a invalidi e auto di servizio di polizia e soccorsi


di Gianlorenzo Saporito (Sole 24 Ore)


Il Comune non può riservare alcuni spazi di sosta sulla via pubblica ai propri dipendenti. Questo è il principio posto dal Tar Sardegna con la sentenza 19 novembre 2020, n. 635, in un contesto che vede da sempre tentativi di allargare l’ambito dei beneficiari di posti riservati.

Con un’ordinanza, il responsabile dell’area tecnica di un ente locale intendeva ridurre la presenza di veicoli in sosta su un tratto di strada pubblica congestionato, adiacente la casa comunale e una scuola. Aveva quindi individuato spazi di sosta nel tratto finale e cieco della strada, cioè nella zona retrostante la sede degli uffici comunali, e aveva previsto l’uso di tali spazi per la sosta dei veicoli di proprietà del Comune, degli amministratori politici, dei dipendenti e del personale di servizio dell’adiacente istituto scolastico.

Questa riserva è stata contestata da un residente nella zona, che non condivideva il vantaggio per amministratori e pubblici dipendenti.

Di qui il ricorso al giudice amministrativo, fondato su una norma del Codice della strada (l’articolo 7) che tra le varie cose consente al sindaco di riservare la sosta in limitati spazi per i veicoli della polizia stradale, dei vigili del fuoco, per servizi di soccorso e veicoli adibiti al servizio di persone con limitata o impedita capacità motoria.

I giudici hanno accolto il ricorso, precisando che il Codice è tassativo nell’elencazione dei possibili riservatari e quindi non consente di accordare preferenza a dipendenti comunali o categorie il cui luogo di lavoro sia adiacente agli spazi di sosta. Di sicuro, un agevole parcheggio a disposizione, in prossimità del luogo di lavoro, è un vantaggio per i dipendenti pubblici e consente una maggior efficienza, ma ciò non può rappresentare una vera e propria riserva, poiché gli spazi pubblici possono essere sottratti all’uso generale solo per motivi di pubblico interesse.


La stessa logica era presente anche nell’articolo 4 del vecchio Codice (Dpr 393/1959), che consentiva ai Comuni di prevedere una riserva di parcheggio per determinati veicoli, quando ciò fosse stato necessario per «motivi di pubblico interesse». La norma del 1959 era stata chiarita da una circolare del ministero dei Lavori pubblici (la 1525/1981) che richiedeva, per generare una riserva di spazi, una situazione obiettiva di interesse collettivo, riferibile al bisogno della generalità dei consociati. Quindi escludeva che esigenze di privata utilità o di mera comodità di persone o impiegati, funzionari o amministratori, potessero essere il presupposto di una riserva. In particolare, la circolare escludeva che potessero riservarsi spazi di sosta ai veicoli di una banca, dinanzi ad alberghi, per veicoli a noleggio o di servizio della magistratura. In ogni caso poi, lo spazio riservato non doveva essere esorbitante rispetto alla riconosciuta esigenza pubblica ed alla natura di essa.

In sintesi, anche in prossimità di uffici pubblici, vige la regola della parità di trattamento tra gli utenti della strada, separando le esigenze reali dalle generiche comodità di uso.
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La prima sez. del T.A.R. Sardegna con la sentenza 19 novembre 2020 n. 635 interviene per dichiarare l’illegittimità di un’ordinanza comunale con la quale per la medesima strada si differenzia il parcheggio – in spazi riservati – in relazione a criteri soggettivi piuttosto che in funzione di un’esigenza oggettiva attinente alla regolamentazione del traffico veicolare, e della relativa sosta.

L’art. 7, Regolamentazione della circolazione nei centri abitati, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, Nuovo codice della strada, disciplina i casi e le modalità per la sosta, rilevando che la fermata negli appositi spazi a parcheggio impone ai conducenti di segnalare, in modo chiaramente visibile, l’orario in cui la sosta ha avuto inizio (ovvero, l’eventuale esenzione), con un connesso onere della Pubblica Amministrazione di adottare gli atti necessari per l’individuazione dell’area destinata a parcheggio, secondo le modalità e i limiti della cit. norma, pena l’illegittimità dell’eventuale sanzione applicata[1].

È noto, altresì, che le aree destinate al parcheggio devono essere ubicate fuori della carreggiata e, comunque, in modo che i veicoli parcheggiati non ostacolino lo scorrimento del traffico, dovendo tenere conto a degli effetti sul traffico e sulla sicurezza della circolazione[2] e dei vincoli di legge nell’esercizio di tale potere, espressione di scelte latamente discrezionali, devolute alla esclusiva competenza decisionale dell’Autorità amministrativa (purché non iure e contra ius)[3].

L’intervento del giudice di prime cure afferisce ad un’ordinanza comunale (del responsabile UTC)[4] con la quale l’Amministrazione regolamenta «gli spazi riservati alla sosta di veicoli per motivi di pubblico interesse nella zona retrostante la residenza comunale» solo per i propri mezzi, ovvero per quelli di proprietà del Comune, degli amministratori e dei dipendenti, del personale in servizio di un (contiguo) istituto scolastico, in una suggestiva “posizione di esclusività” attinente ad una “preferenza alla sosta” rispetto a tutti coloro che transitano nella via pubblica: il tutto «allo scopo… di decongestionare la presenza di veicoli in sosta nei precedenti tratti della stessa via Municipio» (la c.d. motivazione).

Il ricorso veniva promosso da un proprietario residente in un immobile il cui ingresso si affaccia nel cit. tratto di strada; titolare di un chiaro interesse, concreto e differenziato rispetto alla generalità dei cittadini, atteso che il regime di sosta veicolare incide direttamente sulla propria sfera giuridica e dominio, in un’area in cui risiede insieme alla propria famiglia.

Ne consegue che si radica la legittimazione ad agire, riversando – dette limitazioni – in un concreto pregiudizio sia sotto il profilo del carattere patrimoniale che di deterioramento delle condizioni di vita, determinandone un peggioramento: un interesse dotata di spessore sostanziale.

Il ricorso risulta fondato (accolto con condanna alle spese) avendo violato l’art. 7 del nuovo Codice della Strada, nella parte in cui stabilisce, al comma 1, che «1. Nei centri abitati i comuni possono, con ordinanza del sindaco: a) adottare i provvedimenti indicati nell’art. 6, commi 1, 2 e 4; … d) riservare limitati spazi alla sosta dei veicoli degli organi di polizia stradale di cui all’art. 12, dei vigili del fuoco, dei servizi di soccorso, nonché di quelli adibiti al servizio di persone con limitata o impedita capacità motoria, munite del contrassegno speciale, ovvero a servizi di linea per lo stazionamento ai capilinea».

Si comprende che siamo in presenza non di una moratoria generalizzata ma solo una deroga per coloro che sono deputati alla cura di interessi primari o portatori di tutela in relazione, ad una condizione di particolare fragilità, o per ragioni di servizio pubblico: l’obbligo cogente è sempre funzionale al perseguimento dell’interesse pubblico sotteso, senza rivestire per ciò la forma in maniera incondizionata[5],

Infatti, annota il Tribunale, la disposizione inequivocabilmente consente la riserva di spazi per la sosta in area pubblica solo in favore di specifiche categorie di veicoli al servizio di particolari e limitate esigenze.

Risulta evidente che si tratta di un catalogo di esenzione definito direttamente dal legislatore (in claris non fit interpretatio), sicché l’esercizio della discrezionalità amministrativa non può estendere la riserva al parcheggio di veicoli appartenenti a «categorie non contemplate nella predetta disposizione normativa, la cui portata tassativa trova conferma -oltre che nel tenore testuale in sé considerato- nel suo raffronto con il regime normativo previgente, rintracciabile nell’ormai abrogato art. 4 del d.p.r. 15 giugno 1959, n. 393 (T.U. delle norme sulla circolazione stradale), che consentiva ai Comuni di prevedere una “riserva di parcheggio” “alla sosta di determinati veicoli quando ciò sia necessario per motivi di pubblico interesse”, con previsione, dunque, non limitata a precise categorie di utenti, come, invece, quella ora vigente».

Altra considerazione, all’opposto del divieto selettivo, è la disposizione che prevede una deroga all’obbligo di attivare nei pressi di una determinata zona (ad es. nelle c.d. zone blu) stalli liberi e/o aree di sosta libere, ovvero senza limitazioni rivolto al pubblico indifferenziato degli utenti, non alterando il fine della disposizione normativa[6].

Di converso e conferma, grava sull’Amministrazione comunale – quale obbligazione di risultato – nel fare tutto ciò che sia necessario per assicurare al titolare di un parcheggio riservato (munito di contrassegno) l’effettiva fruizione del parcheggio, rimettendo alla stessa la scelta delle modalità ritenute più utili e opportune per adempiere a tale obbligazione[7].

In definitiva, la norma vigente non ammette estensioni a cura dell’Amministrazione Locale, ne può assumere rilievo dirimente la Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici 28 settembre 1981, n. 1525 ad oggetto «spazi riservati alla sosta di veicoli per motivi di pubblico interesse»[8], richiamato nel testo redazionale dell’ordinanza, quale rinvio motivazionale (ex art. 3 della lege n. 241/1990), proprio perché la disciplina di riferimento è stata abrogata dalla sopravvenuta norma di rango primario del Codice della Strada e attualmente in vigore.

La sentenza che annulla un provvedimento amministrativo, con richiami normativi da anni vetusti, mette in luce un modo di amministrare i beni pubblici (da intendersi anche l’uso) che non può considerare apprezzabili come “esigenze di pubblico interesse” il parcheggio riservato tout court agli amministratori e dipendenti del Comune (e altri fortunati): la ratio legis è altra e diversa (il segno dei tempi e il costume sociale, pure).

[1] Cass. civ., sez. VI, sott. sez. II, ord., 23 luglio 2020, n. 15678.

[2] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 maggio 2020, n. 2928.

[3] T.A.R. Veneto, sez. I, 15 maggio 2019, n. 592, idem T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 3 ottobre 2018, n. 1192.

[4] L’adozione dei provvedimenti riferiti alla disciplina delle aree di parcheggio all’interno del territorio comunale, emessi ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. n. 285/1992, sono di competenza del Dirigente del settore e non del sindaco, T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 29 novembre 2018, n. 2062, idem T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 13 aprile 2018, n. 1012.

[5] Cass. civ., sez. II, 14 settembre 2017, n. 21320.

[6] Cfr. Cass. civ., sez. VI, ord. 24 novembre 2014, n. 24939; sez. III, ord. 21 dicembre 2017, n. 30678.

[7] Consiglio Giustizia Amministrativa Sicilia, 18 giugno 2018, n. 356.

[8] La Circolare precisava che l’esenzione per gli amministratori, avendo carattere eccezionale, doveva essere giustificata sulla coesistenza di più condizioni idonee ad soddisfacimento di un pubblico interesse, che doveva trovare corrispondenza in una situazione obiettiva e diretta correlazione logica fra il fine da perseguire ed il provvedimento adottato, escludendo «ogni caso di sosta per la privata utilità o comodità delle persone od impiegati e funzionari locali».

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