mercoledì 23 novembre 2016

E' reato la vendita prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione


🛃"Non si esige per la sua configurabilità un previo accertamento sulla commestibilità dell'alimento, né il verificarsi di un danno per la salute del consumatore, ben potendo assumere rilievo penale le sole modalità estrinseche di conservazione del prodotto".Tribunale di Aosta – Sezione penale - Sentenza 30 giugno 2016 n. 345
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI AOSTA
In composizione monocratica
Alla pubblica udienza del 29/06/2016 il Giudice dott. Marco Tornatore, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel procedimento penale contro:
Vi.Gr., nata (...)
Residente in Via (...) - Quincinetto (TO) ed ivi elettivamente domiciliata.
Libera - Presente
Au.Al., nato (...) Residente in Via (...) - Quincinetto (TO)
Elettivamente domiciliato in Via (...) - Quincinetto (TO) c/o Vi.Gr.
Libero - Assente
(con ordinanza di assenza del 29.06.2016)

IMPUTATI

A) reato di cui agli arti 110 c.p. e 5 lett. b) della legge n. 283 del 1962, perché in concorso fra loro, detenevano per la vendita prodotti alimentari in cattivo stato di conservazione.
In particolare, presso il chiosco ambulante all'insegna Vi.Gr. collocato per la stagione estiva in Antey Sant'André (AO), detenevano salumi e formaggi esposti a temperature elevate che ne causavano il deterioramento ed in alcuni casi il compenetramento tra l'etichetta e la crosta esterna; mantenevano in scarse condizioni igieniche sia gli alimenti sia i coltelli da taglio, a causa dell'indisponibilità di acqua corrente; non impedivano - anche a causa della mancanza di un piano di autocontrollo aziendale - che a contatto con gli alimenti entrassero agenti infestanti quali mosche ed altri insetti.
B) reato di cui agli art. 156, 110, 515 c.p. perché, in concorso tra loro, compivano atti idonei e diretti in modo non equivoco a consegnare agli acquirenti cose mobili diverse da quanto dichiarato per origine, provenienza e qualità.
In particolare, commercializzavano come Fontina al prezzo di 13 Euro/kg formaggio stagionato in realtà qualicabile come "Formaggio Valdostano".
Con la recidiva reiterata per il solo AU.
C) reato di cui agli arti 110, 44 lett. a) D.P.R. 380 del 2001 perché, in concorso fra loro, collocavano in zona "(...)", preclusa alle attività commerciali dal P.R.G. comunale, una roulotte utilizzata in modo tale da soddisfare esigenze permanenti di tipo commerciale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

All'udienza dibattimentale del 29/6/2016, Vi.Gr. e Au.Al. chiedevano di essere giudicati nelle forme del giudizio abbreviato. Dall'esame degli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero, emerge pacificamente che in data 23/7/2015 il personale in servizio presso il Corpo Forestale della Valle d'Aosta si recava in Antey-Saint-André (AO), loc. Fiemaz, presso il banco di vendita ambulante aperto dall'impresa individuale Vi.Gr.
Al momento dell'accertamento, era presente al banco di vendita Au.Al., associato in partecipazione all'impresa individuale, come da contratto stipulato in data 1/4/2010 in Ceva (CN).
All'esito del controllo, gli operanti rinvenivano esposti per la vendita salumi e formaggi tipici.
Una parte dei formaggi si trovava in cattivo stato di conservazione, atteso che essa si presentava con anomala colorazione brunita e con "spanciature" (anomali rigonfiamenti e venature delle croste), dovuta all'eccessiva temperatura alla quale era esposta.
Inoltre, si rilevavano carenze igieniche sia in relazione al mancato lavaggio dei coltelli adoprato per il taglio dei formaggi, sia in relazione alle modalità di presentazione dei prodotti esposti, non protetti da agenti infestanti quali mosche ed altri insetti.
Tali carenze sono particolarmente evidenti nella documentazione fotografica incorporata nella relazione fotografica.
Quanto sopra integra con ogni evidenza la contravvenzione contestata al capo 2) di imputazione.
Si osserva infatti che, in materia alimentare, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 5, lett. b), della legge 30 aprile 1962 n. 283, la consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr. tra le altre Cass. n. 26108/2004; Cass. n. 2649/2003; Cass. n. 15049/2007) condivisibilmente non ritiene necessario che il cattivo stato di conservazione si riferisca alle caratteristiche intrinseche delle sostanze alimentari, ma è sufficiente che esso riguardi le modalità estrinseche con cui si realizza, le quali devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, o a norme di comune esperienza, poiché, attesa la natura di reato di pericolo presunto, non si esige per la sua configurabilità un previo accertamento sulla commestibilità dell'alimento, né il verificarsi di un danno per la salute del consumatore, ben potendo assumere rilievo penale le sole modalità estrinseche di conservazione del prodotto (cfr. sul punto specifico Cass. n. 35234/2007) o lo stoccaggio dei prodotti in locali sporchi o insalubri e quindi igienicamente inidonei alla conservazione (cfr. Cass. n. 9477/2005). Nel caso in esame, l'esposizione prolungata per la vendita (per diversi giorni e per molte ore al giorno) di fontina o altri formaggi, anche in forme già tagliate, a temperature eccessive in ragione della stagione estiva e per di più senza adeguata protezione dagli agenti esterni, in tal modo lasciati liberi di posarsi su generi alimentari destinati al consumo umano diretto, anche senza previo trattamento di cottura, non costituisce modalità idonea alla conservazione di prodotti alimentari, trattandosi, in base a nonne di comune esperienza, di generi soggetti a deterioramento se esposti a temperature estive. La contravvenzione di cui all'art. 5 della legge 30 aprile 1962 n. 283 si configura infatti come reato di pericolo presunto e non è necessaria la prova di un pericolo concreto di contaminazione alimentare o di deteriorabilità dei prodotti, essendo sufficiente la prova di modalità di conservazione o stoccaggio non idonei secondo la comune esperienza.
Per quanto riguarda le posizioni soggettive, Vi.Gr. risponde del reato perché è la titolare dell'omonima impresa individuale e Au.Al., lungi dal trovarsi occasionalmente sul banco di vendita, è da molti anni (2010) associato in partecipazione con la VI.LA. e per di più svolgeva le mansioni di addetto alla vendita, con possibilità di visione diretta dei prodotti caseari esposti per la vendita.
Essi debbono pertanto essere dichiarati colpevoli della contravvenzione loro ascritta.
Inoltre, nel corso della medesima ispezione, gli operanti constatavano che venivano esposto sul banco di vendita alcune forme di formaggio, sulle quali era apposto un cartello in cartoncino recante la scritta: "Fontina Euro 13,00 kg".
Ad un controllo più attento, gli operanti riscontravano che non si trattava di Fontina DOP ma di Formaggio valdostano (cfr. relazione fotografica cit.), da ritenersi genere alimentare di seconda scelta e di minor pregio rispetto alla fontina DOP.
Indipendentemente dal valore economico intrinseco del formaggio, l'esposizione alla vendita del prodotto avveniva con modalità potenzialmente ingannevoli, poiché si indicava per la vendita una cosa mobile diversa da quella effettivamente venduta.
In tal modo, risulta integrata la fattispecie delittuosa prevista dall'art. 515 c.p., nella forma tentata, di cui al capo 1) di imputazione.
Per quanto concerne le posizioni soggettive, valgono le considerazioni sopra esposte.
Va poi riconosciuta la continuazione tra i reati ascritti, siccome avvinti dal medesimo disegno criminoso tendente.
Per quanto concerne il trattamento sanzionatorio, si stima congrua, valutati i parametri previsti dall'art. 133 c.p. nella prospettiva della rieducazione del reo delineata dall'art. 27 Cost., la pena di Euro 1.000,00 di multa ciascuno, in relazione al delitto (in astratto più grave) contestato al capo 1) di imputazione, da aumentarsi per la continuazione alla pena di Euro 1.350 di multa ciascuno e da ridursi alla pena finale di Euro 900,00 di multa ciascuno per la scelta del rito.
Alla condanna segue il pagamento delle spese processuali.
Gli imputati vanno invece assolti dal reato urbanistico loro ascritto al capo 3) di imputazione.
L'accusa riguarda una ruolotte collocata in zona preclusa alle attività commerciali ed impiegata in modo tale da soddisfare esigenze permanenti di tipo commerciale.
Una ruolotte è, come noto, un mezzo dotato di ruote, nel caso di specie, parcheggiato con sosta permanente.
Non è all'evidenza una nuova costruzione edilizia ex art. 10 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, poiché non stabilmente infissa sul suolo (sul necessario ancoraggio al suolo, in materia di serre per uso agricolo, cfr. ex multis Cass. n. 46767/2005; Cass. n. 33158/2002).
Gli imputati vanno dunque assolti da tale reato, perché il fatto manifestamente non sussiste.
Va infine disposta la confisca e la distruzione di quanto in sequestro, trattandosi del corpo del reato.
P.Q.M.
Il Giudice, visti gli artt. 556, 533 e 535 c.p.p., dichiara Vi.Gr. e Au.Al. colpevoli dei reati loro ascritti ai capi 1) e 2) e, avvinti i medesimi sotto il vincolo della continuazione e tenuto conto della diminuente per la scelta del rito, li condanna alla pena di Euro 900 di multa ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali.
Visto l'art. 530 c.p.p., assolve i predetti imputati dal reato loro ascritto al capo 3) di imputazione perché il fatto non sussiste. Ordina la confisca e la distruzione di quanto in sequestro.
Così deciso in Aosta il 29 giugno 2016.
Depositata in Cancelleria il 30 giugno 2016.