domenica 17 aprile 2016

Occupazione di suolo pubblico antistante il pubblico esercizio


N. 04372/2016 REG.PROV.COLL.
N. 02838/2016 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2838 del 2016, proposto da:
Soc. Zimberto Srl, rappresentata e difesa dall'avv. Rosalba Chiaradia, con domicilio eletto presso Rosalba Chiaradia in Roma, Via Simeto, 12;

contro

Roma Capitale, rappresentata e difesa dall'avv. Rosalda Rocchi, domiciliata in Roma, Via Tempio di Giove, 21;

per l'annullamento

del provvedimento con cui è stata disposta la chiusura dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande e immediato ripristino dello stato dei luoghi per il locale sito in piazza di San Giovanni della Mava 14/b;

nonché

per il risarcimento danni.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2016 il cons. Giuseppe Rotondo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso in epigrafe, la società ZIMBERTO srl. ha chiesto l’annullamento della Determinazione dirigenziale rep. n. CA/148/2016, prot. CA/13310/2016 del 28/1/2016 con la quale Roma Capitale le ha ordinato la rimozione dell’occupazione abusiva di suolo pubblico antistante l'esercizio sito in Roma, in piazza di San Giovanni della Malva n. 14/B, per l’immediato ripristino dello stato dei luoghi, nonché la chiusura del predetto esercizio per un periodo pari a cinque giorni, quest’ultima da eseguire dal settimo giorno successivo a quello di notifica.

Il provvedimento è stato adottato sul presupposto accertamento di cui al verbale datato 20 ottobre 2015 che la Polizia Locale ha elevato ai sensi dell’art. 20 C.d.S. per occupazione di “suolo pubblico antistante l’esercizio con tavoli, sedie, n. 2 ombrelloni uniti fra loro e sostenuti da appoggi metallici a copertura dell’o.s.p. con mantovana, fioriera e n. 3 caloriferi a fungo per mq 19,14 senza essere in possesso della relativa concessione”.

Si è costituita in giudizio Roma Capitale.

Il ricorso è articolato in varie doglianze di violazione di legge ed eccesso di potere.

Alla Camera di consiglio del 5 aprile 2016 la causa, chiamata per l’esame della domanda cautelare, è stata trattenuta in decisione per essere decisa nel merito con sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 del c.p.a., previe le ammonizioni di rito alle parti presenti in camera di consiglio circa la completezza e regolarità del contraddittorio e dell’istruttoria.

DIRITTO

Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.

La vicenda sottoposta all’esame del Collegio ripropone questioni che la Sezione ha ampiamente trattato e decise con pronunzie costanti di rigetto.

Il Collegio non ravvede motivi per cui discostarsi dai propri precedenti specifici, ai quali si riporta per relationem confermandone contenuto, motivazioni e conclusioni.

L’occupazione posta in essere dalla società ricorrente sul suolo pubblico è priva di titolo di concessione concretandosi, pertanto, in una tipologia di occupazione “totalmente abusiva”.

Le censure dedotte, ancorché diversamente articolate, ricalcano sostanzialmente profili giuridici già sottoposti all’esame della Sezione, che hanno trovato costante pronunciamento di rigetto (vedi da ultimo sent. n. 1055/2015, n. 2245/2015, n. 7640/2015,.e appena più remote n. 7931/2013, n. 7949/2013).

Le decisioni citate muovono dalla ricognizione del relativo quadro normativo primario di riferimento (art. 20 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 – Codice della Strada; art. 3, comma 16, della legge 15 luglio 2009, n. 94), la cui combinata lettura impone di ribadire come possa essere comminata la sanzione della chiusura dell’esercizio (fino all’adempimento dell’ordine ripristinatorio e, comunque, per un periodo non inferiore a giorni cinque) per i casi di “indebita occupazione di suolo pubblico previsti … dall’articolo 20 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285”.

La misura interdittiva è, dunque, legittimamente applicabile a fronte delle violazioni consumate dall’occupazione di suolo pubblico totalmente “abusiva” (in assenza di titolo).

Nel caso in esame, l’occupazione risulta posta in essere sulla sede stradale in difetto di titolo concessorio alcuno, cosicché essa è totalmente abusiva.

Più in particolare, motivando sulle doglianze dedotte in ricorso ed ampliandone anche i profili per una trattazione più ampia, generale e complessiva della tematica relativa alle occupazioni di suolo pubblico realizzate sine titulo nell’ambito del territorio del Municipio Roma I-Centro, il Collegio ribadisce, in coerenza con i precedenti della Sezione, che il potere attribuito al Sindaco per le strade urbane ai sensi dell’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009, è indubbiamente un potere discrezionale e tale potere è stato esercitato dall’Autorità in via generale e preventiva, disponendo con tale Ordinanza n. 258 specifiche indicazioni, impartite ai Dirigenti dei competenti Uffici dell’Amministrazione capitolina, in ragione delle quali, nei casi di occupazione di suolo pubblico totalmente abusiva effettuata, per fini di commercio, su strade urbane ricadenti nel territorio capitolino, delimitato dal perimetro del sito Unesco, devono applicarsi le disposizioni previste dall’art. 20 del codice della strada e all’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009, con decorrenza dell’esecutività del provvedimento di chiusura dal settimo giorno successivo a quello della notifica.

L’art. 20 del d.lgs. n. 285 del 1992 prevede che chiunque occupa abusivamente il suolo stradale, ovvero, avendo ottenuto la concessione, non ottempera alle relative prescrizioni, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 168 ad euro 674 (comma 4) e che tale violazione importa la sanzione amministrativa accessoria dell’obbligo per l’autore della violazione stessa di rimuovere le opere abusive a proprie spese; ai sensi dell’art. 3, comma 16, l. n. 94 del 2009 (comma 5); inoltre, fatti salvi i provvedimenti dell’Autorità per motivi di ordine pubblico, nei casi di indebita occupazione di suolo pubblico previsti dall’art. 633 c.p.p. e dall’art. 20 d.lgs. n. 285 del 1992, il Sindaco, per le strade urbane, può ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti e, se si tratta di occupazione a fine di commercio, la chiusura dell’esercizio fino al pieno adempimento dell’ordine e del pagamento delle spese o della prestazione di idonea garanzia e, comunque, per un periodo non inferiore a cinque giorni.

L’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012 costituisce, pertanto, applicazione della disposizione di cui all’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009 che ha attribuito al Sindaco uno specifico potere sanzionatorio, di natura dissuasiva, in via ordinaria ed a prescindere da situazioni contingibili ed urgenti, per le quali invece soccorre la previsione di cui all’art. 54 del d. lgs. n. 267 del 2000 (T.U. Enti locali).

Come è noto, infatti, ai fini dell'ordinanza sindacale emanata dal Sindaco ai sensi del predetto art. 54, i requisiti di necessità ed urgenza cui si riferisce la norma sono intesi nel senso che il provvedimento extra ordinem si deve necessariamente fondare su una eccezionale situazione di pericolo, tale da non potere essere fronteggiata se non con interventi immediati ed indilazionabili, non rientranti tra gli ordinari mezzi previsti dall'ordinamento giuridico (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 3 giugno 2013, n. 3034; idem, 22 ottobre 2014, n. 5213).

Nel caso in esame, invece, ci troviamo di fronte all’esercizio di un potere espressamente regolamentato dalla legge per ipotesi assolutamente prevedibili, che non hanno né i connotati dell’urgenza né della eccezionalità.

Né tale attribuzione può ritenersi violativa di norme costituzionali in quanto non è enucleabile dal sistema un principio di carattere assoluto che escluda l’attribuzione di un potere ai Sindaci a prescindere dalle ipotesi di contingibilità ed urgenza (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II ter, n. 2573/2014).

Più in generale – e per completezza espositiva sulla vicenda che occupa - la Sezione ha chiarito che tutta la disciplina concernente l’occupazione del suolo pubblico è posta certamente anche a presidio della sicurezza pubblica, sia sotto il profilo della circolazione pedonale che veicolare, tanto è vero che la rubrica dell’art. 3, della legge n. 94 del 2009 è appunto “Sicurezza pubblica”, tuttavia la lettera del comma 16 dell’art. 3 della legge n. 94 del 2009 non consente di ritenere che una valutazione in concreto circa la sussistenza di pericoli per la sicurezza pubblica debba essere effettuata ogni qualvolta la condotta di occupazione di suolo pubblico abusiva venga sanzionata o che essa costituisca il presupposto per l’esercizio di volta in volta del potere sanzionatorio.

Recita infatti il citato comma 16: “Fatti salvi i provvedimenti dell’autorità per motivi di ordine pubblico, nei casi di indebita occupazione di suolo pubblico previsti dall’articolo 633 del codice penale e dall’ articolo 20 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 , e successive modificazioni, il sindaco, per le strade urbane, e il prefetto, per quelle extraurbane o, quando ricorrono motivi di sicurezza pubblica, per ogni luogo, possono ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti e, se si tratta di occupazione a fine di commercio, la chiusura dell’esercizio fino al pieno adempimento dell’ordine e del pagamento delle spese o della prestazione di idonea garanzia e, comunque, per un periodo non inferiore a cinque giorni”.

Appare chiaro dalla lettera della norma che il presupposto unico per l’esercizio del potere di disporre l’immediato ripristino dello stato dei luoghi e la chiusura dell’esercizio commerciale è la indebita occupazione di suolo pubblico.

Il riferimento alla sicurezza pubblica è espressamente compiuto dall’articolo in esame solo al fine di individuare la competenza del sindaco o del prefetto ad esercitare detto potere. Infatti, essa indica come organo competente “il sindaco, per le strade urbane, e il prefetto, per quelle extraurbane o, quando ricorrono motivi di sicurezza pubblica, per ogni luogo, (…)”, con ciò semplicemente volendo estendere, in caso di specifici motivi di sicurezza pubblica, la competenza del prefetto ad ogni luogo e, dunque, anche nel caso in cui non si tratti di strade extraurbane.

Tale tesi è confermata dal comma 17 dello stesso articolo, il quale dispone che “Le disposizioni di cui al comma 16 si applicano anche nel caso in cui l’esercente ometta di adempiere agli obblighi inerenti alla pulizia e al decoro degli spazi pubblici antistanti l’esercizio.” Appare infatti evidente che la violazione degli obblighi attinenti al decoro e alla pulizia degli spazi pubblici non possa ritenersi in alcun modo connesso a specifiche esigenze di sicurezza pubblica di circolazione veicolare o pedonale.

La previsione di un tale potere in capo al Sindaco per le strade urbane non pare, pertanto, in contrasto con i dettami costituzionali.

Come chiarito, infatti, in varie precedenti pronunce, non è enucleabile dal sistema un principio di carattere assoluto che escluda a livello costituzionale l’attribuzione di un potere ai Sindaci a prescindere dalle ipotesi di contingibilità ed urgenza (cfr. TAR Lazio, Roma, sez.II ter, n. 2573/2014).

La Sezione ha precisato, inoltre, che la sanzione ripristinatoria risponde all’esigenza di garantire il rispetto delle norme sulla occupazione di suolo pubblico, sanzionando l’indebita ed abusiva occupazione ad evidenti fini dissuasivi.

Una tale esigenza risponde anche a finalità di sicurezza pubblica in generale: finalità che tutta la disciplina delle occupazioni di suolo pubblico sicuramente persegue, anche se in modo non esclusivo (tanto è vero che il rilascio della o.s.p. è sempre subordinato ad una valutazione di questi profili).

Ciò, tuttavia, non significa che occorra che vi sia in concreto un pericolo imminente per la sicurezza stradale al fine di giustificare l’esercizio dei poteri sanzionatori, i quali semplicemente si accompagnano alla sanzione penale e a quella prevista dal Codice della strada.

Tali considerazioni fanno ragione sulla compatibilità del sistema normativo interno con i principi comunitari in tema di liberalizzazioni economiche, come più volte ha ribadito sul punto la giurisprudenza amministrativa.

La Sezione – nell’affrontare la tematica delle occupazioni di suolo pubblico nel territorio di Roma Capitale e, segnatamente, nel Centro Storico - si è fatta carico anche di affrontare la tematica relativa alla espansione del potere attribuito al Sindaco dall’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009 in ordine alla subdelega conferibile ai Dirigenti comunali.

Sul punto, essa ha osservato che l’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012 disciplina in via generale e preventiva lo specifico potere sanzionatorio, di natura discrezionale, attribuito, per le strade urbane, al Sindaco dalla predetta norma (art. 3, comma 16), individuando le specifiche condizioni per il suo esercizio e impartendo specifiche indicazioni ai Dirigenti dei competenti Uffici dell’Amministrazione capitolina.

D’altra parte, che l’Autorità competente abbia voluto prevedere per le occupazioni di suolo pubblico totalmente abusive la più incisiva sanzione della chiusura temporanea, sia pure nella misura minima, emerge in modo chiaro dalla motivazione dell’Ordinanza in cui è, tra l’altro, indicato come “il crescente fenomeno di occupazione abusiva di suolo pubblico, da parte di titolari di esercizi commerciali, ampiamente registrato dagli organi di comunicazione ed oggetto di persistenti segnalazioni da parte della comunità cittadina, testimonia la necessità di dar corso ad una nuova valutazione generale dell’equilibrio tra l’interesse pubblico di massima fruizione del territorio, da un lato, e l’interesse pubblico di tutela del patrimonio, dall’altro” nonché dal successivo snodo della stessa in cui è indicato che “la sanzione della chiusura del pubblico esercizio si rivela quale misura accessoria alla violazione dell’art. 20 del Codice della Strada che già prevedeva l’obbligo della rimozione delle opere e, quindi, rientrante nell’ordinaria attività di vigilanza e controllo da parte della Polizia Municipale e dei competenti Uffici; … il Sindaco intende avvalersi del potere previsto dall’art. 3, comma 16 della legge 94/2009, per sanzionare le occupazioni totalmente abusive di suolo pubblico, per fini di commercio, ricadenti nelle strade urbane del territorio capitolino delimitato dal perimetro del sito Unesco”.

Ne consegue, che il potere discrezionale attribuito al Sindaco dalla norma in esame è stato in concreto esercitato con una ragionevole valutazione “a monte” di carattere generale, coerente con le specifiche finalità di protezione di cui alla legge n. 94 del 2009 applicate in concreto, perché si è inteso perseguire – in maniera strutturata – un fenomeno di degrado avente dimensioni collettive e radicate nel contesto ambientale, assicurando in tal modo tutela alle strade urbane ricadenti nel perimetro del sito Unesco.

Si tratta di una scelta assolutamente legittima giacché non sussistono impedimenti di tipo giuridico o funzionale a che un organo della P.A. titolare di un potere discrezionale, decida di esercitarlo per il tramite di un atto a contenuto generale che ne fissi contenuti e presupposti e che ne demandi l’esecuzione (che, in presenza dei presupposti previsti, diventa attività vincolata) agli uffici dipendenti, anche avendo riguardo alla circostanza che in tale maniera viene assicurata uniformità di trattamento e prevedibilità di conseguenze per la trasgressione del precetto, a tutto vantaggio della trasparenza e dell’efficacia dell’azione amministrativa.

Non trattandosi, per quando si è detto sopra, di poteri extra ordinem non vi è inoltre nessuna preclusione all’esercizio in queste forme del potere attributo al Sindaco dalla norma.

Anche per le ragioni dianzi esposte, si riscontra la compatibilità del sistema normativo interno con la matrice di origine comunitaria.

L’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012, in vigenza della quale è stata accertata e perseguita l’infrazione (da cui, l’infondatezza di ogni rilievo attinente l’asserita inefficacia giuridica e/o nullità dei provvedimenti presupposti) ha dettato, infatti, stringenti indicazioni per i Dirigenti competenti per cui il potere del soggetto che adotta il provvedimento sanzionatorio risulta totalmente vincolato dalle determinazioni stabilite dal Sindaco in via generale con tale Ordinanza (cfr. su tutto quanto sin qui richiamato, TAR Lazio, Roma, II ter, 13 agosto 2013, n. 7931).

Va soggiunto, che l’occupazione di suolo pubblico si connota come abusiva - ai sensi e per gli effetti del Regolamento Cosap e della normativa richiamata nel provvedimento impugnato - in ragione della sua qualificazione di carattere ontologico/funzionale; per cui, ciò che rileva ai fini del riscontro di (il)legittimità è la mera occupazione materiale, sine titulo, del suolo pubblico (elemento ontologico), posta in essere con qualsiasi tipologia di attrezzature (fisse, amovibili, retraibili, scorrevoli, a scomparsa) al fine di assolvere esigenze strumentali dell’attività commerciale (elemento teleologico).

S’appalesano, pertanto, destituite di giuridico fondamento le censure volte a revocare in dubbio la legittimità degli atti impugnati sul presupposto che si tratterebbe di attrezzature amovibili, come tali asseritamente non riconducibili al concetto di occupazione.

Il carattere abusivo dell’occupazione prescinde, infatti, dalla natura amovibile o meno delle attrezzature, dal periodo di occupazione, dalle finalità (“di sfogo”) dell’occupazione medesima e/o dalla sua estemporaneità, in ragione della funzione ripristinatoria e dissuasiva che gli atti sanzionatori perseguono.
Sulla base delle considerazioni che precedono, unitamente alla copiosa giurisprudenza della Sezione che qui si intende richiamata ad integrazione della motivazione, il ricorso è infondato e va, perciò, respinto.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e sono poste in favore di Roma Capitale.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in euro 1.000,00 (mille) oltre accessori di legge

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2016 con l'intervento dei magistrati:



Giuseppe Rotondo, Presidente FF, Estensore
Mariangela Caminiti, Consigliere
Salvatore Gatto Costantino, Consigliere




IL PRESIDENTE, ESTENSORE






DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/04/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)