N. 00131/2016REG.PROV.COLL.
N. 08508/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8508 del 2014,
proposto dalla S.a.s. Garden Gavelli di Gavelli Luca & C.,
rappresentata e difesa dagli avvocati Giancarlo Fanzini e Marta Rolli,
con domicilio eletto presso lo studio di Gianmarco Grez in Roma, corso
Vittorio Emanuele II, n. 18;
contro
Il Comune di Forlì, rappresentato e difeso
dall’avvocato Cristina Balli, con domicilio eletto presso l’avvocato
Maria Teresa Barbantini in Roma, Via Caio Mario, n. 7;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Emilia Romagna, Bologna,
Sez. II n. 776/2014, resa tra le parti, concernente l’ordine di chiusura
di un esercizio commerciale abusivo;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Forlì;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 dicembre
2015 il Cons. Raffaele Prosperi e uditi per le parti l’avvocato
Giancarlo Fanzini e l’avvocato Maria Teresa Barbantini, su delega
dell'avvocato Cristina Balli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con un verbale di data 23 marzo 2013, la polizia
municipale di Forlì rilevava che l’azienda florovivaistica Garden
Gavelli s.a.s., esercente attività agricola di coltivazione di piante
verdi e fiorite in vaso e a terra autorizzata al commercio al dettaglio
in sede fissa dei propri prodotti ed accessori con una superficie di
vendita di 20 mq., aveva ampliato detta superficie fino a 218,57 mq.
senza la preventiva segnalazione di inizio attività.
Nonostante i rilievi sulla libera attività di
commercializzazione delle imprese agricole anche per i prodotti
accessori ai sensi del D. Lgs. 228 del 2001, il Dirigente dei servizi
pianificazioni sviluppo economico del Comune – col provvedimento dell’8
ottobre 2013 - ordinava la chiusura dell’esercizio commerciale per la
vendita dei prodotti, limitatamente a quella parte della superficie di
vendita ritenuta abusivamente ampliata.
2. Con ricorso proposto al TAR dell’Emilia Romagna,
sede di Bologna, rubricato al n. 883/2013, la Garden Gavelli deduceva, a
sostegno del gravame, motivi in diritto rilevanti la violazione
dell’art. 4 del D. Lgs. n. 228 del 2001, dell’art. 65 del D. Lgs. n. 59
del 2010, dell’art. 19 della L. n. 241 del 1990 e dell’art. 22 del D.
Lgs. n. 114 del 1998, eccesso di potere riguardo alle seguenti figure
sintomatiche: illogicità, carenza di motivazione, sviamento di potere,
difetto di presupposto.
L’amministrazione comunale di Forlì, costituitasi in giudizio, chiedeva che il ricorso fosse respinto, perché infondato.
Con ordinanza n. 535 del 28/11/2013, il giudice di
primo grado respingeva l’istanza cautelare della ricorrente, ma il
Consiglio di Stato, sez. V, in sede di appello cautelare, con ordinanza
n. 262 del 22 gennaio 2014 riformava la decisione del T.A.R.,
accogliendo l’istanza cautelare del ricorrente ai fini e per gli effetti
di cui all’art. 55, comma 10, c.p.a.
3. Con la sentenza n. 776 del 24 luglio 2014, il TAR
respingeva nel merito il ricorso, rilevando che nella superficie totale
di mq. 218,57 erano esposti articoli come barbecue, tavoli e sedie in
vimini, vasi in ceramica ed altri accessori, direttamente estranei
all’attività agricola di coltivazione di piante in vaso e in terra,
estranei qualitativamente e quantitativamente dall’attività di impresa
agricola e quindi non ammessi ove non autorizzati; una diversa
interpretazione avrebbe portato alla totale contraddizione con la
destinazione agricola dell’area e ad un liberalizzazione dell’attività
commerciale di un’impresa agricola non ammessa.
Inoltre il provvedimento era sufficientemente
motivato, descrivendo analiticamente le superfici di vendita ampliate in
assenza di autorizzazione, descrizione confermata dalla documentazione
fotografica.
Destituita di fondamento era considerata anche la
censura per cui l’atto sanzionatorio rientrasse nelle competenze del
Sindaco e non in quelle dirigenziali, visto l’attuale assetto
ordinamentale delle autonomie locali e l’assenza nel Sindaco di poteri
di gestione.
4. Con appello in esame, notificato l’8 agosto 2014,
la Garden Gavelli impugnava la sentenza in questione, sostenendo che
questa avrebbe dato una lettura restrittiva del nuovo testo dell’art.
2135 c.c. sulla nozione di imprenditore agricolo ed in particolare
nell’identificazione dei limiti qualitativi impliciti nella
configurazione delle attività commerciali connesse a questa figura.
La legge permetterebbe la commercializzazione dei beni
relativi al giardinaggio e dall’allestimento di spazi verdi, parte
normale del commercio florovivaistico, poiché rientrerebbe nel senso
comune delle cose che un’azienda di questo tipo venda prodotti accessori
come barbecue, spazzole, graticole, sacchi di carbone vegetale, tavoli e
sedie in vimini e plastica, vasi in ceramica e accessori, prodotti
tipici per l’allestimento e la fruizione delle aree verdi e che la
clientela non andrebbe certo ad acquistare presso allevamenti di
bestiame o esercizi di abbigliamento e, tra l’altro, pienamente ammessi
in altre regioni italiane.
Né si potrebbe ritenere che tale tipo di vendita
possa “scardinare” la normativa urbanistica, poiché la destinazione
agricola dell’area non può essere messa a repentaglio da un simile tipo
di commercio, peraltro già autorizzato alla Garden Gavelli, sia pure nei
limiti quantitativi di spazio della licenza.
L’appellante concludeva per l’accoglimento del ricorso con vittoria di spese.
Il Comune di Forlì si è costituito in giudizio, sostenendo l’infondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto.
All’udienza del 24 marzo 2015, la causa è passata in decisione.
5. L’appello è infondato.
Il Collegio non ravvisa elementi in senso difforme
rispetto a quanto ritenuto dal giudice di primo grado relativamente alla
sostanziale trasformazione dell’azienda florovivaistica Garden Gavelli
in esercizio commerciale di vicinato, senza i titoli necessari.
Espone in sintesi l’appellante Azienda che alla
configurazione dell’attività imprenditoriale agricola non si può dare
nell’ambito della legislazione vigente una ‘lettura restrittiva’, poiché
secondo il nuovo testo dell’art. 2135 c.c. introdotto dall’art. 1 D.
Lgs. 18 maggio 2001, n. 228, non si può inquadrare l’azienda
florovivaistica come mera attività di coltivazione di piante e fiori e
della loro vendita, escludendo tutte le attività dirette alla fornitura
di beni o servizi che siano strettamente connessi appunto con il
florovivaismo.
Dunque andrebbe ricompresa in questo genere di
attività la commercializzazione di una serie di prodotti accessori o
funzionali alle attività di giardinaggio o di allestimento di spazi
verdi, cosa che non si porrebbe nemmeno contrasto con la destinazione
agricola dell’area in cui ricade l’azienda, visto che tali attività
devono virtualmente essere ricomprese in un tutt’uno con le gestione di
serre, l’attività di florovivaismo e la conseguente vendita dei beni
ordinariamente ricompresi in tali iniziative.
In linea puramente teorica, si deve ammettere che il
legislatore ha dato un riconoscimento a tale lettura dell’attività delle
aziende attive nel giardinaggio e ciò con i nuovi contenuti dell’art.
2135 c.c., secondo il quale «È imprenditore agricolo chi esercita una
delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura,
allevamento di animali e attività connesse. .. Si
intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo
imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione,
trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad
oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o
del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette
alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di
attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività
agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del
territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed
ospitalità come definite dalla legge»,
Quanto alla commercializzazione, i nuovi contenuti
della figura dell’imprenditore agricolo vanno correlati ed insieme
limitati con quanto riportato dall’art. 4 del D. Lgs. n. 228 del 2001,
in particolare dal comma 1, per il quale «Gli imprenditori agricoli,
singoli o associati, iscritti nel registro delle imprese di cui all'art.
8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, possono vendere direttamente al
dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti
provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le
disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità».
Per il successivo comma 5, «La presente disciplina
si applica anche nel caso di vendita di prodotti derivati, ottenuti a
seguito di attività di manipolazione o trasformazione dei prodotti
agricoli e zootecnici, finalizzate al completo sfruttamento del ciclo
produttivo dell'impresa».
Ritiene la Sezione che la lettura complessiva che se
ne ricava è sicuramente quella di un’ampia liberalizzazione del
commercio dei propri prodotti da parte delle aziende agricole, sia nella
forma più semplice del fiore, del frutto o della pianta, ma anche in
quella più complessa della loro manipolazione oppure di beni a questa
connessi, fatto che può inevitabilmente comprendere cose non
direttamente derivanti dall’agricoltura, ma ad essa strettamente
connesse come vasi, strumenti di irrigazione, concimi, insetticidi o
strumenti per l’immediato utilizzo della terra come rastrelli o vanghe.
Ritenuto ciò in generale, appare però evidente che la
commercializzazione dei prodotti agricoli o florovivaistici oppure la
fornitura di beni connessi a queste attività deve rispettare le stesse
regole che la ammettono, così come quelle attinenti altre attività come
quella prettamente commerciale.
Infatti, se ad un’azienda florovivaistica deve essere
permessa la vendita dei propri prodotti e dei beni strettamente
riconducibili alla sua attività, ciò non può comportare che la medesima
si renda attiva nella vendita di prodotti che solamente in senso
estremamente lato possono avvicinarsi al giardinaggio; dai barbecue
carrellati ai vasi in ceramica, dalle padelle alle graticole, dai tavoli
e sedie in vimini o in plastica alle case in legno prefabbricate ad uso
deposito da giardino.
Né gli spazi di vendita, ove indicati in una
superficie pari a mq. 20, possono essere ampliati ad oltre 200 senza
segnalazione certificata di inizio attività nel rispetto del D. Lgs. 31
marzo 1998, n.114, e successive modificazioni, e sempre nel rispetto
dei relativi presupposti e delle relative leggi regionali di attuazione.
Alla luce di quanto finora rilevato, risulta evidente
che l’attività dell’appellante ha largamente trasmodato le possibilità
commerciali connesse con l’attività imprenditoriale agricola.
6. Per le suesposte considerazioni l’appello deve essere dunque respinto.
Le spese del secondo grado di giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello n. 8508 del 2014,
come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la
sentenza impugnata.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese di
giudizio a favore del Comune di Forlì liquidandole in complessivi €.
4.000,00 (quattromila/00), oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Vito Poli, Consigliere
Carlo Saltelli, Consigliere
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/01/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)