lunedì 28 settembre 2015

Occupazione abusiva di suolo pubblico:Legittima l'ordinanza di ripristino e chiusura del P.E. per 5 gg

N. 11398/2015 REG.PROV.COLL.
N. 09570/2015 REG.RIC.





REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 9570 del 2015, proposto dalla SOCIETÀ CALISTO Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Luca Fiasconaro e Ignazio Tranquilli, con domicilio eletto presso Studio Legale Scoca in Roma, Via G. Paisiello, 55;


contro

ROMA CAPITALE, in persona del Sindaco p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Sergio Siracusa, con domicilio eletto presso gli Uffici dell’Avvocatura Capitolina in Roma, Via Tempio di Giove, 21;


per l'annullamento, previa sospensione,

della Determinazione dirigenziale prot. CA/114964/2015 del 17 luglio 2015 avente ad oggetto: chiusura ex Ordinanza sindacale n. 258/12 e ss.mm.ii. dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande e ordine di immediato ripristino dei luoghi per il locale sito in via dell'Arco di San Calisto, 45-51 e di tutti gli atti presupposti consequenziali e comunque connessi, ivi compreso il verbale di sopralluogo del 5 luglio 2014.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 2 settembre 2015 il Cons. Mariangela Caminiti e uditi per le parti i difensori presenti, come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;


1. Roma Capitale, Municipio Roma I Centro, con Determinazione dirigenziale prot. n. 114965/2015 del 17 luglio 2015 ha disposto nei confronti della Società Calisto Srl: 1) la rimozione dell’occupazione abusiva del suolo pubblico, accertata dal I Gruppo Trevi di Polizia Locale di Roma Capitale con verbale –VAV del 5 luglio 2014, antistante l’esercizio sito in via dell’Arco di San Calisto n.45-51 per l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a cura e spese dell’interessato; 2) la chiusura di tale esercizio per un periodo pari a cinque giorni e, comunque, fino al completo ripristino dello stato dei luoghi, esecutiva dal settimo giorno successivo a quello di notifica (avvenuta in data 27.7.2015).

La Società interessata riferisce di essere subentrata alla società Le Cinque Lune srl nella licenza di somministrazione di alimenti e bevande presso il predetto locale, con regolare Scia in data 16.2.2012, e che la dante causa era titolare anche di concessione Osp (autorizzata con D.D. n.2741del 2002, giusta voltura, nonché altro subingresso in data 29.7.2004 e altra più risalente autorizzazione del 13.10.1982, atti mai revocati).

Lamenta che dopo un anno dal sopralluogo effettuato dalla Polizia Locale, non ritualmente notificato, l’Amministrazione ha adottato, ai sensi dell’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012 e della legge n. 94 del 2009, la predetta Determinazione dirigenziale prot. n. 114965/2015, recante l’intimazione al ripristino dell’area e l’ordine di chiusura del locale per 5 giorni, avverso la quale ha proposto ricorso, articolando i seguenti motivi d’impugnativa: 1) Violazione e falsa applicazione dell’Ordinanza sindacale n. 258/2012, della legge n.94 del 2009, della legge n. 689 del 1981, del Regolamento Cosap di cui alla Delibera C.C. n. 75 del 2010 e degli artt. 1 e ss. legge n. 241 del 1990 e succ. mod. nonché dei principi generali in tema di elevazione e notifica di sanzioni amministrative: la determinazione impugnata sarebbe stata adottata oltre un anno dal sopralluogo, senza la previa notifica, indispensabile ex lege n. 689 del 1981, del presupposto verbale di accertamento alla società ricorrente e senza la comunicazione di avvio del procedimento di irrogazione della sanzione, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990.

2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 8 e 14 del Regolamento Cosap approvato con Delibera C.C. n. 75 del 2010. Violazione e falsa applicazione dell’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009 e dell’art. 20 del Codice della Strada. Violazione dei principi di tassatività e legalità. Eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche e, in particolare, per erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione: la determinazione impugnata sarebbe illegittima perché adottata sull’erronea e contraddittoria qualificazione dei fatti, sulla non condivisibile interpretazione delle norme regolamentari rubricate e sull’errato presupposto della occupazione abusiva senza considerare l’intervenuto subentro nella concessione e le successive volture. La mancata comunicazione del presupposto verbale di accertamento e di avvio del procedimento non avrebbero consentito alla società di dimostrare la documentazione riguardo la insussistenza dei presupposti per la sanzione della chiusura, applicabile invece ai casi di integrale abusività.

3) Violazione e falsa applicazione dell’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012 e dell’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009. Eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche e, in particolare, per difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento dei fatti, carenza dei presupposti soggettivi e oggettivi e contraddittorietà: in via subordinata, la Determinazione impugnata dovrebbe essere annullata nella parte in cui dispone la chiusura dell’esercizio in assenza di presupposti oggettivi e soggettivi, tenuto conto delle pregresse concessioni Osp e volture, mai revocate, non potendo trovare applicazione la normativa rubricata applicabile in caso di occupazione totalmente abusiva, avente carattere meramente soggettivo. Conclude per l’annullamento della Determinazione impugnata, previa sospensione dell’efficacia del provvedimento.

Roma Capitale si è costituita in giudizio per resistere al ricorso ed ha depositato documentazione ai fini difensivi, ulteriormente integrata in prossimità della odierna Camera di consiglio, tra cui la D.D. n. 367 del 2011 recante la decadenza della concessione demaniale permanente di suolo pubblico rilasciata nel 2002 e volturata in data 29.7.2004 alla società Le Cinque Lune srl, alla quale è subentrata la ricorrente.

Parte ricorrente con memoria conclusionale ha ulteriormente contestato il provvedimento di chiusura impugnato, alla luce anche della documentazione da ultimo depositata dalla difesa di Roma Capitale, che confermerebbe secondo la società la validità ed efficacia della concessione Osp del 1982, in assenza di comprovata rituale notifica del predetto provvedimento di decadenza.

Alla Camera di consiglio del 2 settembre 2015, la causa, chiamata per l’esame della domanda cautelare, è stata trattenuta in decisione per essere decisa nel merito con sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 del cpa, previe le avvertenze di rito alle parti presenti in Camera di consiglio circa la completezza e regolarità del contraddittorio e dell’istruttoria.

2. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.

2.1. Il Collegio non condivide le argomentazioni dedotte con la prima censura secondo cui l’impugnata Determinazione sarebbe stata emessa in violazione dei principi generali in tema di conclusione del procedimento sanzionatorio di cui alla legge n. 689 del 1981 e senza la comunicazione di avvio del procedimento di irrogazione della sanzione ai sensi dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990.

Al riguardo, va rilevato che le disposizioni della legge n. 689 del 1981 e i correlati principi trovano applicazione esclusivamente in materia di sanzioni amministrative/pecuniarie depenalizzate (la cui cognizione è devoluta, peraltro, alla giurisdizione del g.o.), mentre la misura interdittiva impugnata, prevista in disposizioni normative di settore, ha finalità prettamente ripristinatoria e dissuasiva.

Più in particolare, la misura consistente nella chiusura temporanea del locale è una sanzione aggiuntiva, destinata a rafforzare la prescrizione del divieto, con funzione di deterrente per scoraggiare – e perseguire - l’uso indebito di beni demaniali di particolare rilevanza storica, culturale e architettonica.

Tale misura ha pertanto rilevanza settoriale, a differenza delle sanzioni amministrative di cui alla legge n. 689 del 1981 le quali, invece, rivestono carattere afflittivo e, perciò, portata di carattere generale. Ne consegue, sul distinto piano esecutivo, la trasmissibilità agli aventi causa delle prime (rimozione Osp e chiusura attività) e invece l’intrasmissibilità delle seconde agli eredi.

Inoltre, la durata eccessiva del procedimento nei sensi prospettati dalla ricorrente non comporta l’illegittimità della determinazione impugnata, non essendo previsti dalla legge termini perentori per l’irrogazione della misura interdittiva e non essendo, in via generale, il superamento del termine di conclusione del procedimento (art. 2 della legge n. 241 del 1990) motivo di illegittimità del provvedimento. Quanto poi sul censurato vizio del provvedimento impugnato per la mancata notifica del presupposto verbale di accertamento alla società ricorrente si osserva che dalla documentazione versata in atti dall’Amministrazione risulta che il VAV del Corpo di Polizia Locale n. 14120091166, con cui è stata accertata la violazione amministrativa in data 5.7.2014 di occupazione del suolo pubblico, è stato notificato (come da relata di notifica) con consegna di copia in busta chiusa e sigillata “in assenza del destinatario, alle ore 22,30, nelle mani di Fioravanti Daniela dichiaratasi persona incaricata”, come si evince anche dalla ricevuta dell’ Ufficio notifiche sottoscritta da tale persona incaricata, senza che possa riscontrarsi alcuna irregolarità di notifica.

Le considerazioni che precedono rilevano pertanto sulle altre censure, attesa anche la natura vincolata del potere esercitato – come esposto meglio nel prosieguo - che rende irrilevante ogni doglianza di carattere formale e/o procedimentale dedotta in ricorso (art. 21 octies, legge n. 241 del 1990), in quanto è palese che il contenuto dispositivo del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

2.2. Il Collegio con riferimento alla censura riguardo la erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti e generale contraddittorietà dell’operato dell’Amministrazione (secondo motivo), contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, rileva che l’impugnata D.D. prot. n.CA/114964/2015 recante la rimozione del suolo pubblico e la chiusura del locale è stata adottata per l’occupazione del suolo pubblico – accertata alla data del 5 luglio 2014 - posta in essere in difetto di titolo concessorio alcuno, in quanto totalmente abusiva.

Al riguardo, sulla base di quanto rappresentato e documentato in atti, risulta che :

- con D.D. n. 367 del 21 febbraio 2011 - notificata in data 31.3.2011 alla società Le Cinque Lune srl, in persona del legale rappresentante p.t. (sig.ra Fioravanti Daniela), dante causa della ricorrente, con consegna di busta chiusa sigillata al sig. Fioravanti Marcello qualificatosi “dipendente atto a ricevere copia” (come da ricevuta della relata sottoscritta) – è stata dichiarata decaduta la concessione Osp relativa al locale in questione, rilasciata con D.D.n.2741 del 2002 alla società Le Cinque Lune srl;

- la società Callisto srl ricorrente ha presentato in data 1.4.2014 domanda di “nuova concessione Osp”, come emerge dal modulo compilato, sottoscritto e consegnato allo Sportello unico del commercio nonché dalla copia della delega a soggetto incaricato per la consegna della documentazione di richiesta di nuova Osp.

Orbene con riferimento ai censurati vizi della procedura di notifica del provvedimento di decadenza di cui alla D.D. n. 367 del 2011 e della asserita non conoscenza della stessa da parte del destinatario (società Le Cinque Lune srl) nonché della società ricorrente subentrante - con conseguente difetto dei presupposti per l’applicazione della chiusura - il Collegio rileva che in via generale è legittima la notifica eseguita mediante consegna a persona qualificatasi autorizzata alla ricezione, in quanto l’ufficiale giudiziario non ha l'obbligo di accertare la veridicità delle dichiarazioni circa l'autoqualificazione di addetto alla ricezione dell'atto rese dal consegnatario dello stesso, con la conseguenza che incombe sul destinatario dell'atto l'onere di dimostrare che il consegnatario non è a lui legato da alcun rapporto, nemmeno provvisorio o precario, comportante la suddetta qualità: nella specie va rilevato che la persona qualificatasi “dipendente atto a ricevere copia” della D.D. n. 367 del 2011, recante la decadenza della concessione Osp, è la medesima persona presente al momento della contestazione della violazione in data 5.7.2014 di cui al VAV n. 14120091166 (“in assenza del trasgressore misurazioni effettuate…in presenza del sig. Marcello Fioravanti, in atti identificato come responsabile al momento….”), senza che sia stata dimostrata da parte della società, ai fini della eventuale nullità della notifica, che trattasi di persona estranea, circostanza smentita dai fatti (cfr. Cass. civile, sez. I, 17 dicembre 2007, n. 26572; idem, sez. lav., 2 luglio 2010, n. 15798; idem,12 luglio 2010, n.16299; Tar Abruzzo, L'Aquila, 20 dicembre 2014, n. 955 ).

Va inoltre rilevato che, nelle more, con nota in data 12 agosto 2015, n. 129430 il Municipio Roma I Centro ha comunicato i motivi ostativi all’accoglimento della domanda di concessione Osp presentata dalla società in data 1.4.2014.

Da quanto precede non può sostenersi la contraddittorietà del comportamento dell’Amministrazione in quanto la D.D. prot. n. 114964 del 2015 impugnata è stata adottata per la violazione della occupazione del suolo pubblico, totalmente abusiva, senza che possa ritenersi la sussistenza di pregressa autorizzazione ancora efficace.

Ciò che appare dirimente al Collegio è che in nessun modo può ritenersi legittimamente transitata la titolarità dell’occupazione dalle precedenti titolari dell’autorizzazione all’odierna ricorrente, né comprovato che i subentri intervenuti se comunicati all’Amministrazione titolare del suolo siano stati dalla medesima accettati o comunque recepiti e neppure invocato il principio di rinnovo tacito dell'occupazione legittima per avvenuto pagamento del canone annuale.

Invero, ai sensi dell’art. 10 del Regolamento in materia di occupazione del suolo pubblico e del canone COSAP, è previsto che le concessioni permanenti possono essere rinnovate con il pagamento del canone per l’anno di riferimento, a condizione che non risultino variazioni e l’Amministrazione non abbia comunicato il proprio diverso intendimento almeno trenta giorni prima della scadenza. La norma prevede che l’effetto automatico di rinnovazione del provvedimento ampliativo sia condizionato alla mancanza di “variazioni” nel titolo, termine che include anche il mutamento soggettivo della sua titolarità.

La mancata dimostrazione della continuità nella successione soggettiva del titolo, osta altresì a che possa trovare applicazione il beneficio del rinnovo automatico alla scadenza, tramite il pagamento della tassa di occupazione, peraltro, in fatto neppure dimostrato l’eventuale continuità nel pagamento dei bollettini (risultando il contrario ossia l’intervenuta decadenza della concessione Osp - D.D. n. 367 del 2011 - per mancato pagamento dei canoni Cosap da parte della dante causa per le annualità 2007, 2008, 2009 e 2010 e nessuna prova di pagamento di canoni da parte della ricorrente).

2.3. Le altre censure dedotte, ancorché diversamente articolate, ricalcano sostanzialmente profili giuridici già sottoposti all’esame della Sezione, che hanno trovato costante pronunciamento di rigetto (vedi da ultimo sent. n. 2245 del 2015, nonché ex multis sentenze nn. 7931 e 7949 del 13 agosto 2013, n. 7257 del 2014 e n.1055 del 2015).

Le decisioni citate muovono dalla ricognizione del relativo quadro normativo primario di riferimento (art. 20 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 – Codice della Strada; art. 3, comma 16, della legge 15 luglio 2009, n. 94), la cui combinata lettura impone di ribadire come possa essere comminata la sanzione della chiusura dell’esercizio (fino all’adempimento dell’ordine ripristinatorio e, comunque, per un periodo non inferiore a giorni cinque) per i casi di “indebita occupazione di suolo pubblico previsti … dall’articolo 20 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285”.

La misura interdittiva, di cui parte ricorrente contesta la contraddittorietà e insussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi (secondo e terzo motivo) è, dunque, legittimamente applicabile a fronte delle violazioni consumate dall’occupazione di suolo pubblico totalmente “abusiva” (in assenza di titolo), come nel caso in esame.

Al riguardo occorre rilevare che, come sopra rilevato, il provvedimento impugnato è stato adottato da Roma Capitale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 3, comma 16, della Legge n. 94 del 2009 e dell’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012, a seguito dell’accertamento operato dalla Polizia Locale in data 5 luglio 2014 (verbale n. 14120091116, elevato ai sensi dell’art. 20 del Codice della strada), secondo cui la Società in questione “occupava il suolo pubblico, sulla sede stradale, per complessivi mq. 48 di cui mq 24 su via dell’Arco di San Calisto con ombrelloni e mq. 24 su via di San Calisto con ombrelloni, senza essere in possesso della relativa concessione”.

Più in particolare riguardo i profili sostanziali di censura dedotti il Collegio ribadisce, in coerenza con i precedenti della Sezione, che il potere attribuito al Sindaco per le strade urbane ai sensi dell’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009, è indubbiamente un potere discrezionale e tale potere è stato esercitato dall’Autorità in via generale e preventiva, disponendo con la citata Ordinanza sindacale n. 258 del 2012 specifiche indicazioni, impartite ai Dirigenti dei competenti Uffici dell’Amministrazione capitolina, in ragione delle quali, nei casi di occupazione di suolo pubblico totalmente abusiva effettuata, per fini di commercio, su strade urbane ricadenti nel territorio capitolino, delimitato dal perimetro del sito Unesco, devono applicarsi le disposizioni previste dall’art. 20 del Codice della strada e dall’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009, con decorrenza dell’esecutività del provvedimento di chiusura dal settimo giorno successivo a quello della notifica.

In particolare, l’art. 20 del d.lgs. n. 285 del 1992 prevede che chiunque occupa abusivamente il suolo stradale, ovvero, avendo ottenuto la concessione, non ottempera alle relative prescrizioni, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 168 ad euro 674 (comma 4) e che tale violazione importa la sanzione amministrativa accessoria dell’obbligo per l’autore della violazione stessa di rimuovere le opere abusive a proprie spese; ai sensi dell’art. 3, comma 16, l. n. 94 del 2009 (comma 5); inoltre, fatti salvi i provvedimenti dell’Autorità per motivi di ordine pubblico, nei casi di indebita occupazione di suolo pubblico previsti dall’art. 633 c.p.p. e dall’art. 20 d.lgs. n. 285 del 1992, il Sindaco, per le strade urbane, può ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti e, se si tratta di occupazione a fine di commercio, la chiusura dell’esercizio fino al pieno adempimento dell’ordine e del pagamento delle spese o della prestazione di idonea garanzia e, comunque, per un periodo non inferiore a cinque giorni.

L’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012 costituisce, pertanto, applicazione della disposizione di cui all’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009 che ha attribuito al Sindaco uno specifico potere sanzionatorio, di natura dissuasiva (rimozione, ripristino e chiusura dell’ esercizio), in via ordinaria ed a prescindere da situazioni contingibili ed urgenti, per le quali invece soccorre la previsione di cui all’art. 54 del d. lgs. n. 267 del 2000 (T.U. Enti locali).

Recita, infatti, il citato comma 16: “Fatti salvi i provvedimenti dell’autorità per motivi di ordine pubblico, nei casi di indebita occupazione di suolo pubblico previsti dall’articolo 633 del codice penale e dall’ articolo 20 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 , e successive modificazioni, il sindaco, per le strade urbane, e il prefetto, per quelle extraurbane o, quando ricorrono motivi di sicurezza pubblica, per ogni luogo, possono ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti e, se si tratta di occupazione a fine di commercio, la chiusura dell’esercizio fino al pieno adempimento dell’ordine e del pagamento delle spese o della prestazione di idonea garanzia e, comunque, per un periodo non inferiore a cinque giorni”.

Appare chiaro dalla lettera della norma che il presupposto unico per l’esercizio del potere di disporre l’immediato ripristino dello stato dei luoghi e la (contestuale) chiusura dell’esercizio commerciale, quando si tratta di occupazione a fine di commercio, è costituito dalla indebita occupazione di suolo pubblico.

Nel senso che le due misure (ripristino e chiusura) scontano, in questo caso, il medesimo, identico ed unico presupposto: l’occupazione abusiva del suolo pubblico a fronte della quale, l’Amministrazione è tenuta ad applicare, in ogni caso, la sanzione della chiusura anche in caso di effettuazione del ripristino, spontaneamente o in danno, in esecuzione della Determinazione dirigenziale.

D’altra parte, che l’Autorità competente abbia voluto prevedere per le occupazioni di suolo pubblico totalmente abusive la più incisiva sanzione della chiusura temporanea, sia pure nella misura minima, emerge in modo chiaro dalla motivazione dell’Ordinanza in cui è, tra l’altro, indicato come “il crescente fenomeno di occupazione abusiva di suolo pubblico, da parte di titolari di esercizi commerciali, ampiamente registrato dagli organi di comunicazione ed oggetto di persistenti segnalazioni da parte della comunità cittadina, testimonia la necessità di dar corso ad una nuova valutazione generale dell’equilibrio tra l’interesse pubblico di massima fruizione del territorio, da un lato, e l’interesse pubblico di tutela del patrimonio, dall’altro” nonché dal successivo snodo della stessa in cui è indicato che “la sanzione della chiusura del pubblico esercizio si rivela quale misura accessoria alla violazione dell’art. 20 del Codice della Strada che già prevedeva l’obbligo della rimozione delle opere e, quindi, rientrante nell’ordinaria attività di vigilanza e controllo da parte della Polizia Municipale e dei competenti Uffici; … il Sindaco intende avvalersi del potere previsto dall’art. 3, comma 16 della legge 94/2009, per sanzionare le occupazioni totalmente abusive di suolo pubblico, per fini di commercio, ricadenti nelle strade urbane del territorio capitolino delimitato dal perimetro del sito Unesco”.

Ne consegue, che il potere discrezionale attribuito al Sindaco dalla norma in esame è stato in concreto esercitato con una ragionevole valutazione “a monte” di carattere generale, coerente con le specifiche finalità di protezione di cui alla legge n. 94 del 2009 applicate in concreto, perché si è inteso perseguire – in maniera strutturata – un fenomeno di degrado avente dimensioni collettive e radicate nel contesto ambientale, assicurando in tal modo tutela alle strade urbane ricadenti nel perimetro del sito Unesco.

Si tratta di una scelta assolutamente legittima giacché non sussistono impedimenti di tipo giuridico o funzionale a che un organo della P.A., titolare di un potere discrezionale, decida di esercitarlo per il tramite di un atto a contenuto generale che ne fissi contenuti e presupposti e che ne demandi l’esecuzione (che, in presenza dei presupposti previsti, diventa attività vincolata) agli uffici dipendenti, anche avendo riguardo alla circostanza che in tale maniera viene assicurata uniformità di trattamento e prevedibilità di conseguenze per la trasgressione del precetto, a tutto vantaggio della trasparenza e dell’efficacia dell’azione amministrativa.

Pertanto non appaiono convincenti le considerazioni di parte ricorrente, tenuto conto altresì che tale costante orientamento della Sezione risulta confermato anche da ultimo dal Consiglio di Stato (cfr. sez. V, 27 marzo 2015, n. 1611).

3. Sulla base delle considerazioni che precedono, unitamente alla copiosa giurisprudenza della Sezione che qui si intende richiamata ad integrazione della motivazione, il ricorso è infondato e va respinto.

4. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore dell’Amministrazione comunale resistente, nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in € 1.500,00 (millecinquecento/00), in favore dell’Amministrazione resistente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 settembre 2015 con l'intervento dei magistrati:



Leonardo Pasanisi, Presidente

Francesco Arzillo, Consigliere

Mariangela Caminiti, Consigliere, Estensore






L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE



DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/09/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)