N. 02380/2014REG.PROV.COLL.
N. 04124/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso in appello nr. 4124 del 2005, proposto dai signori Margherita
MANCO, Maria Grazia CERRONE, Anna CERRONE, Giovanni CERRONE e Gennaro
CERRONE, in proprio e quali procuratori generali di Adriana CERRONE,
rappresentati e difesi dall’avv. prof. Giuseppe Abbamonte, con domicilio
eletto presso lo Studio Zimatore - Abbamonte in Roma, via G.G. Porro,
8,
contro
il COMUNE DI NAPOLI, in persona del Sindaco pro tempore,
rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Dardo, Anna Pulcini, Bruno
Crimaldi, Annalisa Cuomo, Giacomo Pizza, Barbara Accattatis Chalons
d’Oranges, Bruno Ricci, Anna Ivana Furnari, Gabriele Romano, Eleonora
Carpentieri, Edoardo Barone, Giuseppe Tarallo e Fabio Maria Ferrari, con
domicilio eletto presso l’avv. Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio
Emanuele II, 18,
per la riforma,
previa sospensione dell’esecuzione,
della
sentenza nr. 8774/04, depositata in data 17 maggio 2004, emessa dalla
Sezione Quarta del T.A.R. della Campania, sul ricorso nr. 12928/98
proposto dalla signora Margherita Manco ed altri contro il Comune di
Napoli, teso all’annullamento: a) dell’ordinanza del Sindaco del Comune di Napoli prot. 993/98 del 30 luglio 1998 di esecuzione ad horas della demolizione edilizia e dell’ordinanza di sospensione lavori nr. 953 del 29 luglio 1998 notificata il 14 settembre 1998; b)
dell’ordinanza-disposizione dirigenziale nr. 1294 del 20 novembre 2001
del Dirigente Tecnico del Comune di Napoli di recupero delle somme
occorse per l’eseguita demolizione delle opere site in Napoli alla via
A. Astroni, 301; c) della delibera di Giunta Municipale nr. 5275
del 30 dicembre 1998, di regolarizzazione dell’affidamento dei lavori
già eseguiti, della relazione del Servizio Edilizia Privata del 12
aprile 1999 contenente costo finale e certificato di regolare esecuzione
dei lavori di demolizione; d) di ogni altro atto preordinato, connesso e consequenziale comunque lesivo degli interessi dei ricorrenti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Viste
le memorie prodotte dagli appellanti (in data 18 giugno 2013) e dal
Comune di Napoli (in date 20 giugno 2005 e 22 gennaio 2013) a sostegno
delle rispettive difese;
Vista l’ordinanza di
questa Sezione nr. 2937 del 21 giugno 2005, con la quale è stata
parzialmente accolta la domanda di sospensione dell’esecuzione della
sentenza impugnata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 15 aprile 2014, il Consigliere Raffaele Greco;
Uditi
l’avv. Luigi M. D’Angiolella, su delega dell’avv. Abbamonte, per gli
appellanti e l’avv. Gabriele Pafundi, su delega dell’avv. Ricci, per il
Comune di Napoli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I
signori Margherita Manco, Maria Grazia Cerrone, Anna Cerrone, Gennaro
Cerrone e Giovanni Cerrone, anche quali procuratori generali della
signora Adriana Cerrone, hanno impugnato, chiedendone la riforma previa
sospensione dell’esecuzione, la sentenza con la quale il T.A.R. della
Campania ha respinto il ricorso da loro proposto, nella qualità di eredi
legittimi del signor Antonio Cerrone, avverso i provvedimenti con cui
il Comune di Napoli ha disposto la demolizione ad horas di opere
edili realizzate dal predetto signor Antonio Cerrone su un’area di sua
proprietà, ha ingiunto la sospensione dei lavori e successivamente ha
disposto e ingiunto il recupero delle spese sostenute per l’eseguita
demolizione.
L’appello è stato affidato ai seguenti motivi:
1)
sviamento di potere (essendo l’intervento demolitorio eseguito dal
Comune una ritorsione per un precedente giudizio vittoriosamente
intentato nei suoi confronti dinanzi al Tribunale di Napoli);
2) error in judicando; violazione
dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, nr. 241; eccesso di potere;
travisamento dei fatti e violazione dell’art. 4 della legge 28 febbraio
1985, nr. 47; violazione dell’art. 32 della legge 17 agosto 1942, nr.
1150, e s.m.i. (in relazione alle anomale modalità della notificazione
dell’ingiunzione a demolire, avvenuta dopo l’esecuzione dell’intervento
di riduzione in pristino);
3) error in judicando per
mancata valutazione del principio del bilanciamento degli interessi (in
relazione alla mancata ponderazione delle ragioni per cui era stato
eseguito l’intervento edilizio in contestazione, legate alla necessità
di contenimento di fenomeni franosi, nonché alla reiezione delle censure
articolate avverso le modalità di affidamento ed esecuzione
dell’intervento demolitorio).
Inoltre, parte appellante ha riproposto come segue i motivi d’impugnazione di primo grado non esaminati dal T.A.R.:
- violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 7 della legge nr. 241 del 1990; difetto di motivazione;
-
violazione e falsa applicazione della legge nr. 47 del 1985 e
successive modifiche; eccesso di potere; errore sui presupposti e
travisamento dei fatti; contraddittorietà; mancata comparazione tra
l’interesse pubblico e quello privato; illogicità manifesta; violazione
dell’art. 97 Cost.;
- violazione dell’art. 27 della
legge nr. 47 del 1985; illegittimità della delibera della G.M.;
incompetenza assoluta della Giunta a sanare debiti fuori bilancio;
illegittimità dell’affidamento dell’incarico a trattativa privata;
eccesso di potere; sviamento di potere; violazione dei principi di buona
amministrazione (art. 97 Cost.).
Si è costituito
il Comune di Napoli, replicando analiticamente alle doglianze di parte
appellante e chiedendo la reiezione dell’appello e dell’istanza
cautelare.
All’esito della camera di consiglio del
21 giugno 2005, questa Sezione ha accolto in parte l’istanza di
sospensiva formulata in una col ricorso in appello.
Di poi, le parti hanno affidato a memorie l’ulteriore svolgimento delle rispettive tesi.
All’udienza del 15 aprile 2014, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.
Preliminarmente, va dato atto che nella memoria di parte appellante
depositata in data 18 giugno 2013 si fa menzione del decesso di uno
degli istanti, la signora Margherita Manco, ma che tale comunicazione
non è idonea a produrre alcun effetto sul presente giudizio.
Infatti,
l’interruzione del processo a causa di uno degli eventi previsti
dall’art. 300 cod. proc. civ. consegue solo ad un atto del procuratore
quale dominus litis, atto che postula la valutazione, riferita
all’oggetto della causa, dell’opportunità, nell’interesse delle parti
stesse o dei suoi eredi, in caso di morte o di perdita di capacità della
parte, di comunicare o notificare l’evento interruttivo alle altre
parti, senza che detta comunicazione o notificazione ammetta
equipollenti (cfr. Cass. civ., sez. II, 22 febbraio 2001, nr. 2599).
Ne
consegue che non è idonea a determinare l’effetto interruttivo la
notizia dell’evento riportata in semplice memoria (cfr. Cons. Stato,
sez. IV, 3 settembre 2001, nr. 4634).
2. Ancora in
via preliminare, va dichiarata l’inutilizzabilità della perizia di parte
depositata dagli istanti nel presente grado, con la quale si vorrebbe
dimostrare la sanabilità degli abusi edilizi per cui è causa: infatti,
tale perizia costituisce nuova prova non consentita dal divieto di cui
all’art. 104, comma 2, cod. proc. amm. (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4
febbraio 2014, nr. 486; Cons. Stato, sez. V, 31 ottobre 2013, nr. 5251;
Cons. Stato, sez. IV, 28 maggio 2012, nr. 3137).
3.
Passando al merito del giudizio, sono controversi i provvedimenti
adottati dal Comune di Napoli in ordine ad opere edili (una
pavimentazione, una tettoia suddivisa in quattro ambienti, impianti
idrico ed elettrico, abbeveratoi per cavalli, tre terrazzamenti in
cemento armato e un impianto di smaltimento di acque piovane)
asseritamente abusive realizzate dal signor Antonio Cerrone, dante causa
degli odierni appellanti, su un terreno agricolo di sua proprietà.
Con
la sentenza oggetto dell’odierno gravame, il T.A.R. della Campania ha
respinto il ricorso proposto dagli eredi del sig. Cerrone avverso
l’ordinanza di demolizione ad horas delle opere suindicate,
nonché avverso l’ordine di sospensione dell’intervento ed i successivi
provvedimenti, afferenti alla materiale esecuzione dell’intervento di
riduzione in pristino ed alla richiesta di recupero delle spese
sostenute.
4. Tutto ciò premesso, l’appello è infondato e va conseguentemente respinto.
5.
Innanzi tutto, va respinto il primo mezzo, col quale gli istanti
reiterano l’affermazione secondo cui l’intervento demolitorio per cui è
causa sarebbe affetto da sviamento di potere, essendo stato posto in
essere dal Comune al solo fine di attuare una “ritorsione” nei
confronti di chi, in precedenza, aveva vittoriosamente convenuto in
giudizio l’Amministrazione comunale dinanzi al Tribunale di Napoli.
E,
difatti, se è vero che i pregressi rapporti tra il dante causa degli
odierni istanti ed il Comune di Napoli erano stati connotati da una
sentenza con la quale il giudice ordinario aveva ordinato al Comune
l’esecuzione di interventi urgenti di messa in sicurezza a seguito degli
eventi franosi registratisi in conseguenza di fenomeni atmosferici,
resta generica e del tutto priva di prova l’affermazione secondo cui il
successivo attivarsi dell’Amministrazione partenopea per l’eliminazione
degli abusi realizzati dal proprietario del fondo costituirebbe una mera
ritorsione.
In particolare, gli istanti non hanno contestato né l’abusività delle opere realizzate sul terreno de quo, né
– soprattutto – il fatto che quest’ultimo ricadesse in area vincolata
paesaggisticamente ai sensi della legge 29 giugno 1939, nr. 1497: dal
che, come meglio appresso si dirà, discendono conseguenze decisive nel
senso della legittimità dell’operato comunale.
6.
Col secondo motivo, viene riproposta la questione centrale del giudizio,
afferente all’asserita violazione delle garanzie partecipative
dell’interessato, essendo stata omessa ogni comunicazione di avvio del
procedimento prima dell’adozione (e dell’esecuzione) dell’ordine di
demolizione.
6.1. Il primo giudice ha respinto la
censura richiamando il carattere vincolato del potere-dovere di
repressione degli abusi su aree vincolate, con la conseguente non
necessità di una previa comunicazione dell’avvio del procedimento; parte
appellante assume l’erroneità di tali argomenti, sottolineando la
singolarità dell’iter procedurale nella specie seguito, laddove
l’impugnata ordinanza di rimessione in pristino è stata notificata
all’interessato solo successivamente all’intervenuta esecuzione della
demolizione da parte del Comune (nello stesso giorno, poche ore dopo
l’intervento) ed è stata per giunta seguita, diversi giorni dopo,
dall’ormai inutile notifica di un’ingiunzione a sospendere le attività
abusive.
6.2. La Sezione reputa che l’operato del
Comune nel caso che occupa, pur connotandosi di estremo zelo e di
elevata severità, sia immune da vizi di legittimità.
6.3.
Al riguardo, correttamente il primo giudice ha richiamato il disposto –
applicato nel caso di specie – dell’art. 4, comma 2, della legge 28
febbraio 1985, nr. 47, secondo cui: “... Il sindaco, quando accerti
l’inizio di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi
statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a
vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero
ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla L. 18
aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni,
provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi.
Qualora si tratti di aree assoggettate alla tutela di cui al R.D. 30
dicembre 1923, n. 3267, o appartenenti ai beni disciplinati dalla L. 16
giugno 1927, n. 1766, nonché delle aree di cui alle leggi 1 giugno 1939,
n. 1089, e 29 giugno 1939, n. 1497, e successive modificazioni ed
integrazioni, il sindaco provvede alla demolizione ed al ripristino
dello stato dei luoghi, previa comunicazione alle amministrazioni
competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della
demolizione, anche di propria iniziativa”.
Dal
tenore testuale di tale disposizione, oggi sostanzialmente riprodotta
all’art. 27, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380, si evince con
evidenza che il potere-dovere di disporre la demolizione ha natura
vincolata, in ciò differenziandosi da quello disciplinato dal successivo
art. 7 della medesima legge (oggi art. 31 del d.P.R. nr. 380 del 2001) a
proposito degli abusi realizzati su aree non vincolate: di modo che,
ogni qual volta le opere eseguite risultino abusive e sorgano su area
vincolata, non occorre che il provvedimento sia preceduto dalla
comunicazione di avvio del procedimento.
6.4. Con
riguardo al caso di specie, peraltro, l’esame della documentazione in
atti consente di escludere che l’intervento demolitorio sia stato posto
in essere ex abrupto, senza essere preceduto da un minimo di
attività informativa e istruttoria idonea a consentire la partecipazione
dell’interessato: infatti, nella motivazione dell’ordine di demolizione
impugnato in primo grado è richiamato un “sopralluogo tecnico”
eseguito dalla Polizia Municipale in data 15 giugno e 21 luglio 1998
(quindi, almeno quindici giorni prima dell’esecuzione della
demolizione), e nel successivo ordine di sospensione si fa cenno di una “denuncia”
sempre di data 15 giugno 1998, ciò che rende estremamente verosimile
che l’interessato fosse a conoscenza dell’intervento
dell’Amministrazione che aveva accertato l’abusività delle opere
realizzate.
Quanto sopra, se da un lato consente di ritenere non invalidante, ex art. 21-octies della
legge 7 agosto 1990, nr. 241, l’omissione della comunicazione di avvio
del procedimento (quand’anche la si ritenesse dovuta nella fattispecie),
per altro verso fa degradare a mera irregolarità la particolare
“tempistica” dell’operato del Comune, con l’esecuzione dell’ordine di
demolizione che avrebbe addirittura preceduto la notificazione dell’atto
al destinatario.
6.5. Nemmeno può dirsi integrare
vizio di legittimità dell’ordine di demolizione la successiva
notificazione di un’ingiunzione di sospensione con data anteriore, atto
ormai del tutto inutile non essendovi più alcunché da sospendere (e ciò
non solo perché al momento della notifica dell’ingiunzione gli abusi
erano stati già rimossi, ma perché anche alla data di adozione dell’atto
si trattava di opere ultimate e non certo ancora in itinere).
Al
riguardo, è sufficiente richiamare la consolidata giurisprudenza
secondo cui l’ordine di sospensione dell’attività edilizia abusiva, in
ragione del carattere meramente eventuale delle esigenze cautelari che
possono determinarlo, non deve necessariamente precedere l’ordine di
demolizione, ma può anche non esservi affatto, e pertanto, anche
l’adozione di un ordine di sospensione superfluo, per essersi ormai
consumate le esigenze cautelari che potevano giustificarlo, non può
certo rifluire sull’ordine di demolizione in modo da renderlo
illegittimo (cfr. Cons. Stato, sez. II, 18 gennaio 2006, parere nr. 408,
con riferimento a fattispecie in cui la notifica dell’ordine di
sospensione era stata contestuale a quella dell’ordine di demolizione).
6.6.
Alla luce dei rilievi che precedono, appare dunque evidente
l’estraneità al caso che occupa delle altre e diverse norme invocate
dagli appellanti: ciò vale non solo per il già citato art. 7 della legge
nr. 47 del 1985, ma anche per l’art. 32 della legge 17 agosto 1942, nr.
1150, del quale pure si assume la violazione.
7.
Infondato è pure il secondo motivo di appello, col quale da un lato si
reitera la censura di mancata ponderazione degli interessi pubblici e
privati in conflitto e dall’altro si ribadiscono le critiche al modus procedendi seguito
dal Comune per l’affidamento degli interventi di demolizione e per la
successiva quantificazione e liquidazione delle spese di cui è stato
chiesto il rimborso.
7.1. Sotto il primo profilo, risulta per tabulas –
contrariamente a quanto si assume da parte istante – che le opere
abusive per cui è causa, pur trovando certamente la loro occasione nelle
vicende franose che avevano interessato il fondo, non erano
comprovatamente indispensabili al fine di eliminare una situazione di
pericolo: infatti, sono gli stessi odierni istanti a chiarire che tale
situazione era stata già eliminata proprio dal Comune, con i lavori
eseguiti in esecuzione delle due sentenze del Tribunale di Napoli emesse
nel giudizio intentato dal proprietario del terreno, mentre i
successivi interventi servivano soltanto a ridurre la pendenza del suolo
e a restituire il terreno alla propria naturale vocazione agricola.
Se
dunque questa era la finalità degli interventi, non risulta per nulla
provato in modo convincente (né, quindi, avrebbe potuto esserlo in
un’ipotetica sede partecipativa prima dell’adozione degli atti
impugnati) che per conseguire tale risultato fosse indispensabile
realizzare opere del tipo di quelle di fatto eseguite, comprendenti
anche manufatti in cemento armato.
7.2. Quanto al secondo aspetto, sono del tutto condivisibili le conclusioni del primo giudice circa la regolarità dell’iter seguito
per la quantificazione e la liquidazione delle spese da recuperare, a
fronte del quale le doglianze di parte istante si riducono a un mero
giudizio, soggettivo e opinabile, di incongruità.
Inoltre,
deve rimarcarsi l’inammissibilità delle critiche rivolte avverso
l’affidamento dell’incarico a trattativa privata, non essendovi
ovviamente alcun interesse dei destinatari di una demolizione a
sindacare le modalità procedurali con le quali l’Amministrazione
individua l’impresa cui affidare i lavori.
8.
Quanto all’ultima questione sollevata dagli appellanti, deve poi
escludersi – conformemente a quanto ritenuto dal primo giudice - che
l’iniziativa demolitoria dell’Amministrazione dovesse essere preceduta
da una previa valutazione in astratto su una possibile sanabilità delle
opere: anche perché, quand’anche tale valutazione avesse avuto esito
positivo, ciò non sarebbe stato idoneo né sufficiente a precludere il
legittimo esercizio del potere repressivo ex art. 4, comma 2, della legge nr. 47 del 1985.
Al
riguardo, giova richiamare l’indirizzo secondo cui la procedura di cui
alla disposizione testé citata può essere posta in essere non solo in
ipotesi di opere eseguite su aree gravate da vincoli di inedificabilità
assoluta, ma anche in caso di vincoli “relativi” (e, quindi, di opere
abusive ma in astratto sanabili), senza che possa predicarsi un “diritto
alla sanatoria” del responsabile degli abusi, suscettibile di
paralizzare l’iniziativa doverosa del Comune (cfr. Cons. Stato, sez. V,
11 gennaio 2002, nr. 125).
Diverso discorso avrebbe
dovuto farsi laddove – ma così non è – vi fosse stata una domanda di
sanatoria già presentata dall’interessato: ciò che, come noto, avrebbe
comportato l’inefficacia di qualsiasi provvedimento repressivo o
sanzionatorio, dovendo previamente essere delibata l’istanza stessa.
9.
Alla luce delle superiori considerazioni, s’impone una pronuncia di
reiezione del gravame e di conferma della sentenza impugnata.
10.
Tenuto conto altresì della peculiarità della vicenda amministrativa
esaminata, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese
del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio
di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente
pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per
l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa tra le parti le spese del presente grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2014 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/05/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)