N. 02457/2014REG.PROV.COLL.
N. 07183/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 7183 del 2013, proposto dal Comune
di Caserta, rappresentato e difeso dall'avv. Gennaro Cicala, con
domicilio eletto presso Anna Ricciardi in Roma, p.zza Capri 20, int. 19;
contro
Angelica Real
Sito S.c.a.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Giovanna Cacciapuoti e
Gianni Scarpato, con domicilio eletto presso Fabrizio Carmina in Roma,
piazza Prati degli Strozzi, 26;
per la riforma
della
sentenza del T.A.R. Campania – Napoli, Sezione III, n. 2227/2013, resa
tra le parti, concernente cessazione attività di pubblico esercizio di
somministrazione bevande.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Angelica Real Sito S.c.a.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 1° aprile 2014 il Cons. Nicola Gaviano
e uditi per le parti l’avv. Luca Mazzeo, su delega dell’avv. Giovanna
Cacciapuoti, ed altresì l’avv. Gianni Scarpato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La
soc. coop. a r. l. Angelica Real Sito, concessionaria del servizio di
caffetteria presso il Belvedere di San Leucio (CE), a seguito di
procedura di gara indetta dal Comune di Caserta e sfociata in un verbale
di aggiudicazione del 24.8.2009, impugnava con ricorso al T.A.R. per la
Campania il provvedimento del Dirigente del Settore attività produttive
del predetto Ente n. 12415 del 16.2.2012, con il quale era stata
ordinata la cessazione immediata dell'attività di pubblico esercizio di
somministrazione di bevande da essa gestita. Contestualmente, veniva
gravato anche il prodromico verbale di accertamento del 7.2.2012 con il
quale la locale Polizia municipale le aveva contestato l’esercizio della
somministrazione di bevande presso il detto complesso senza la
prescritta autorizzazione comunale, in violazione dell’art. 3 della
legge n. 287/1991.
La ricorrente spiegava altresì
una domanda di risarcimento dei danni sofferti in ragione della disposta
cessazione dell’attività.
Resisteva all’impugnativa il Comune di Caserta.
Il Tribunale adìto accoglieva la domanda di sospensione dei provvedimenti impugnati con ordinanza cautelare dell’8.6.2012.
Poco
dopo, con verbale di accertamento della Polizia municipale del
20.7.2012, veniva nuovamente contestato alla ricorrente l’esercizio
senza titolo dell’attività di somministrazione in controversia, da essa
ripresa in forza della predetta ordinanza cautelare, irrogandole una
sanzione amministrativa di € 5.000 (e questo malgrado l’esercente avesse
esibito quale proprio titolo legittimante una copia della stessa
ordinanza).
Il legale della ricorrente diffidava
indi il Comune dall’intraprendere ulteriori azioni interdittive in
contrasto con l’indicata pronuncia cautelare.
Il
Tribunale adìto, all’esito, con la sentenza n. 2227/2013 in epigrafe,
accoglieva il ricorso, annullando i provvedimenti impugnati.
Ciò
sul rilievo di fondo che il Comune, affidando a suo tempo
all’aggiudicataria, con verbale del 28 ottobre 2009, i locali del
servizio di caffetteria per cui è causa, e questo dopo aver preteso in
sede di gara che i concorrenti si dimostrassero “in possesso dei
requisiti per ottenere l’autorizzazione per la somministrazione di
alimenti e bevande e le necessarie iscrizioni alla Camera di Commercio e
quant’altro necessario per poter esercitare l’oggetto della concessione”,
aveva compiuto così un atto integrante un equipollente della formale
autorizzazione amministrativa all’esercizio della caffetteria, titolo
del quale anni dopo, con gli atti impugnati, contraddittoriamente aveva
perciò contestato la carenza.
Anche la domanda risarcitoria della ricorrente trovava accoglimento.
La
società aveva denunziato che la condotta tenuta dall’Ente mediante
l’impugnata ordinanza di cessazione dell’attività, come pure il suo
comportamento successivo all’ordinanza cautelare n. 814/2012, parimenti
lesivo, le avevano arrecato rilevanti danni economici, impedendole di
svolgere per un intero anno l’attività per cui è causa. E per tale
ragione l’Amministrazione veniva condannata alla corresponsione alla
società, a titolo di risarcimento dei danni, della somma di € 32.357,00,
oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal 7.2.2012
all’effettivo soddisfo.
Ne seguiva la proposizione
del presente appello alla Sezione ad opera del Comune soccombente, che
contestava gli argomenti fondanti la decisione del Giudice locale tanto
nella parte di accoglimento dell’avversa domanda impugnatoria quanto
rispetto a quella risarcitoria.
L’originaria
ricorrente si costituiva in giudizio in resistenza all’appello
difendendo la correttezza della pronuncia del T.A.R. e controdeducendo
alle censure dell’Ente appellante; venivano inoltre riproposti i motivi
del ricorso di prime cure finiti assorbiti.
La Sezione, con ordinanza del 12-13 novembre 2013, accoglieva la domanda cautelare proposta dal Comune.
Con successiva memoria l’appellata ribadiva e sviluppava ulteriormente le proprie obiezioni ai rilievi dell’Amministrazione.
Alla pubblica udienza del 1° aprile 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.
L’appello è fondato solo per quanto attiene alla misura del risarcimento dovuto dall’Ente appellante.
1
Per una più lineare esposizione della materia del contendere è utile
richiamare preliminarmente le principali precisazioni operate in punto
di fatto dal primo Giudice, rimaste ex adverso incontestate.
1a
Ai fini della partecipazione alla gara per l’affidamento della gestione
del servizio di caffetteria presso il Belvedere la ricorrente era stata
richiesta di dichiarare e documentare il possesso dei requisiti di
capacità economica e tecnica prescritti dal capitolato, tra i quali
quello dell’essere “in possesso dei requisiti per ottenere
l’autorizzazione per la somministrazione di alimenti e bevande e le
necessarie iscrizioni alla Camera di Commercio e quant’altro necessario
per poter esercitare l’oggetto della concessione” (capitolato, Sez.
III, punto III.2.3.). Ed era stata giudicata dal Comune effettivamente
in possesso di tali requisiti, tanto da risultare aggiudicataria.
1b
Dopo l’aggiudicazione della concessione, e nelle more della stipula del
relativo contratto, l’Amministrazione comunale ed il legale
rappresentante della società, in data 28.10.2009, sottoscrivevano un
processo verbale di consegna dei locali interessati (vistato dal
dirigente responsabile del procedimento di gara). Tanto sull’impulso
dell’esigenza “urgente ed indifferibile di garantire il servizio caffetteria presso il complesso monumentale Belvedere di S. Leucio”, e sulla premessa che “l’aggiudicataria del servizio si è dichiarata disponibile (…) ad iniziare l’attività di gestione”.
La
gestione del servizio da parte della ricorrente prendeva dunque avvio
dalla data del citato verbale. E mai sarebbe stata contestata alla
società la carenza dell’autorizzazione amministrativa prima
dell’adozione degli atti impugnati, sopraggiunti solo ad oltre due anni
di distanza.
1c Sulla base di questi elementi il
T.A.R. ha ritenuto, come si è anticipato, che il Comune, affidando
concretamente all’aggiudicataria i locali del servizio di caffetteria,
dopo aver preteso in occasione della gara che i concorrenti si
dimostrassero “in possesso dei requisiti per ottenere
l’autorizzazione per la somministrazione di alimenti e bevande e le
necessarie iscrizioni alla Camera di Commercio e quant’altro necessario
per poter esercitare l’oggetto della concessione”, avesse con ciò
accordato implicitamente alla società anche l’autorizzazione
amministrativa all’esercizio della caffetteria, titolo del quale anni
dopo aveva invece contestato la carenza.
2a Con il presente appello il Comune nega che un’autorizzazione fosse stata a suo tempo implicitamente conferita.
L’Amministrazione
mette in discussione l’esistenza del necessario collegamento biunivoco
ed esclusivo che sarebbe dovuto esistere tra il controverso atto
implicito ed il suo atto presupponente, e che avrebbe dovuto configurare
il primo come conseguenza necessitata del secondo.
All’uopo viene fatto notare che il bando della gara a monte stabiliva espressamente, all’art. 2, lett. I, che “l’aggiudicatario
gestirà la caffetteria … munendosi di tutte le autorizzazioni, i
permessi, nulla-osta etc., ed osservando le prescrizioni di legge”; e che l’art. 8, analogamente, disponeva che “al
fine di esercitare il servizio di gestione della caffetteria … il
concessionario avrà l’onere di acquisire le autorizzazioni
amministrative necessarie allo svolgimento delle attività previste nella
concessione.” Prescrizioni che non avrebbero permesso di ravvisare
nella condotta tenuta dall’Amministrazione l’implicito conferimento di
un’autorizzazione.
2b La Sezione, sul punto, non può però non aderire all’avviso del primo Giudice.
Se è vero, infatti, che la lex specialis
della procedura a monte indubbiamente richiamava i concorrenti alla
necessità di possedere tutte le autorizzazioni, i permessi, nulla-osta
etc., e di osservare le prescrizioni di legge, attinenti alle attività
previste nella concessione, è altrettanto vero, tuttavia, che le
concorrenti erano state richieste dalla stessa legge di gara di
dimostrare di essere già in possesso dei requisiti per ottenere
l’autorizzazione per la somministrazione di alimenti e bevande e le
necessarie iscrizioni alla Camera di Commercio, e quant’altro necessario
per poter esercitare l’oggetto della concessione. Requisiti la cui
titolarità da parte della ditta aggiudicataria avrebbe potuto reputarsi
quindi già accertata.
Pur tenendosi conto, pertanto, degli elementi che l’appello comunale ha segnalato, i contenuti della lex specialis
non cessano di delineare un quadro complessivo che sotto il profilo in
rilievo si presenta, come minimo, equivoco ed ingannatorio per il
privato. Laddove del tutto univoco è poi il comportamento successivo
tenuto dall’Amministrazione, che, come si è detto, nelle more della
stipula del contratto con l’attuale appellata ha preso l’iniziativa di
addivenire senz’altro, il 28.10.2009, alla consegna dei locali, in nome
dell’esigenza “urgente ed indifferibile di garantire il servizio caffetteria presso il complesso monumentale” del Belvedere, sì da determinare l’immediato avvio dell’attività di somministrazione.
E
poiché, come la stessa Amministrazione conviene, ai relativi fini
occorreva che la società fosse munita anche dell’autorizzazione comunale
alla somministrazione ai sensi della legge n. 287/1991, non può non
ritenersi implicito nella condotta complessiva del Comune, debitamente
interpretata secondo buona fede, anche il conferimento del relativo
titolo (del quale erano stati del resto già accertati i requisiti), come
condivisibilmente deciso dal T.A.R..
2c Le
doglianze dell’originaria ricorrente risultano fondate anche sotto un
ulteriore e pur complementare profilo, assorbito dal Tribunale ma in
questa sede riproposto: quello della violazione del legittimo
affidamento che la vicenda nel suo insieme occorsa aveva consolidato nel
privato.
A quanto testé esposto deve infatti
aggiungersi, da questa angolazione, che l’attività della ricorrente,
avviata subito dopo la redazione del verbale più volte menzionato,
suggellante il comportamento concludente dell’Amministrazione, si era
indi dipanata lungo l’arco di più di due anni durante i quali erano
esistiti continui rapporti tra le parti, senza che l’Ente segnalasse mai
la necessità, da parte della società, di qualsivoglia ulteriore
autorizzazione, assenso o segnalazione.
2d Le
ragioni fin qui esposte esigono, pertanto, la conferma dell’accoglimento
del ricorso di prime cure nella sua componente impugnatoria.
3
Occorre ora procedere all’esame delle contestazioni che il corrente
appello muove al capo della pronuncia in epigrafe recante la condanna
del Comune al risarcimento del danno.
3a
L’appellante si richiama all’acquisizione giurisprudenziale secondo la
quale non esiste un’automatica correlazione tra accertamento
dell’illegittimità di un provvedimento amministrativo ed insorgenza del
diritto al risarcimento, occorrendo per questo secondo, da un lato, la
concorrenza dei presupposti indicati dall’art. 2043 cod.civ., e
dall’altro una valutazione della specifica natura della causa di
illegittimità riscontrata e della sua incidenza sulla spettanza
all’amministrato del relativo c.d. bene della vita. A quest’ultimo
riguardo viene precisato che l’accertamento del vizio dell’eccesso di
potere non comporta normalmente un esaurimento della potestà
dell’Amministrazione, la quale può quindi ben rinnovare il proprio
procedimento: onde l’annullamento di un suo atto per tale vizio non
implicherebbe un accertamento della spettanza all’interessato dello
specifico vantaggio da questi perseguito.
Osserva
il Collegio, tuttavia, che il Giudice di prime cure ha svolto una
puntuale motivazione in merito all’esistenza delle condizioni per
l’insorgenza della contestata obbligazione risarcitoria (cfr. le pagg.
12-18 della pronuncia).
Il Tribunale ha posto in
evidenza, in particolare, che nella vicenda era emersa in modo chiaro
-in pratica, con i connotati del dolo intenzionale- la consapevole
volontà del Comune di impedire alla ricorrente l’esercizio dell’attività
per cui è causa (questo vieppiù per il periodo successivo all’ordinanza
cautelare concessa alla società l’8.6.2012, ma dall’Amministrazione
tenuta in non cale). E che la società per tale via era stata
illegittimamente incisa nel proprio diritto di esercitare il servizio di
caffetteria presso il Belvedere.
Va poi rammentato
che i provvedimenti impugnati, all’esito del corretto scrutinio
condotto dal T.A.R., erano risultati affetti, oltre che da
contraddittorietà e sviamento, anche e soprattutto da carenza dei
presupposti, con la conseguenza che la relativa azione interdittiva del
Comune risultava avere illegittimamente sacrificato il diritto in
godimento del privato procurandogli un vero e proprio danno ingiusto.
Infine,
non risulta controvertibile l’esistenza del nesso di causalità tra gli
stessi atti impugnati ed il danno così generato all’appellata, la cui
perdita economica da forzata inattività integra una diretta conseguenza
della preclusione illegittimamente impostale.
Per
quanto precede, la Sezione deve confermare la sentenza di primo grado
anche in ordine all’esistenza delle condizioni per la condanna del
Comune di Caserta al risarcimento dei danni.
3b
Rimane da intrattenersi sulla misura del danno che l’Amministrazione
deve essere chiamata a risarcire alla società: ed è sotto questo aspetto
che, come si è anticipato, l’appello è suscettibile di un parziale
accoglimento.
3c Il percorso logico del Tribunale è stato, sul piano in esame, il seguente.
Il
T.A.R. è partito dalla considerazione che l’Amministrazione aveva
arrecato rilevanti danni economici alla società, impedendole di svolgere
per un intero anno l’attività per cui è causa.
Ha indi osservato:
-
che la ricorrente, al fine di quantificare i propri mancati incassi nel
periodo in rilievo, aveva prodotto una dichiarazione del proprio legale
rappresentante, corredata da un prospetto delle pertinenti fatture,
relativamente ai tre esercizi antecedenti, dalla quale si desumeva che
negli anni 2009 – 2011 la società aveva conseguito incassi per il
servizio caffetteria pari ad € 81.044,73, ed incassi dal servizio
banqueting (parimenti compreso nell’oggetto della gara aggiudicatale)
per un importo di € 113.099,62, per un totale di € 194.144,35;
-
che tale complessivo ammontare, diviso per i tre anni di riferimento,
conduceva ad individuare un incasso medio annuo pari ad € 64.714;
-
che secondo la società tale importo avrebbe rappresentato la perdita
economica da essa subita per l’illegittima inibizione dello svolgimento
della sua attività per un anno;
- che, sempre
secondo l’attuale appellata, il suo danno sarebbe coinciso con i suoi
mancati incassi, poiché essa aveva dovuto comunque corrispondere la
retribuzione ai dipendenti ed affrontare le ulteriori spese di gestione
anche nel periodo interessato;
- che la ricorrente non aveva però offerto in proposito alcun principio di prova (“quale ad esempio un prospetto di buste paga raffiguranti lo stipendio comunque erogato ai dipendenti”):
donde la necessità di applicare per la quantificazione del danno un
criterio equitativo, che conduceva alla conclusione del riconoscimento, a
titolo di ristoro dei danni subiti, di una somma pari al 50% dei
predetti mancati incassi, vale a dire dell’importo di € 32.357,00.
3d Al cospetto di questo iter
logico l’appellante oppone, in sostanza, che il primo Giudice avrebbe
quantificato il pregiudizio sofferto dall’appellata sulla base di
presunzioni semplici senza, però, aver fornito una giustificazione
logica del ricorso da esso fatto a tale mezzo, e, soprattutto, senza che
l’apprezzamento del T.A.R. risultasse assistito dai requisiti legali di
gravità, precisione e concordanza.
3e La Sezione
ritiene che siffatte deduzioni giustifichino effettivamente una
revisione al ribasso della liquidazione equitativa del danno effettuata
in primo grado.
Tanto tenuto conto, più
precisamente, per un verso, dell’obiettiva modestia degli elementi
probatori forniti dalla società per la quantificazione dei propri
incassi del triennio precedente (soprattutto sul versante delle attività
di banqueting); per l’altro, della necessità di dedurre dagli incassi,
oltre che le spese di personale e gli altri oneri fissi, anche gli oneri
per l’acquisto della materia prima che sarebbe stata impiegata per
l’erogazione dei servizi.
Per la ragione indicata,
il danno riconoscibile deve essere equitativamente ridotto alla soglia
di ventimila euro di sorte capitale, cui dovranno aggiungersi interessi
legali e rivalutazione monetaria con le modalità già fissate dalla
sentenza in epigrafe.
4 In conclusione, con la
rettifica relativa alla misura del risarcimento dovuto tra le parti, la
sentenza oggetto d’appello deve trovare conferma.
Le
spese del giudizio, tenuto conto dell’esito di questo grado, sono
liquidate dal seguente dispositivo secondo la soccombenza nella misura
del 50 % a carico del Comune, e compensate per la metà residua.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),
definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, lo accoglie con
esclusivo riguardo alla misura del risarcimento dovuto dall’Ente
appellante, rideterminata come da motivazione; respinge l’appello sotto
ogni altro profilo.
Condanna il Comune di Caserta
al rimborso all’appellata del 50 % delle spese processuali del presente
grado, liquidate in euro duemila oltre gli accessori di legge; compensa
le spese per il 50 % residuo.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 1° aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:
Mario Luigi Torsello, Presidente
Vito Poli, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/05/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)