sabato 13 novembre 2021

Buoni pasto anche per chi fa il turno pomeridiano o notturno

In breve
Lo afferma la Corte d'appello di Roma con la sentenza n. 2568/2021, specificando che non c'è differenza tra chi ha il turno di mattina e chi ha il turno di pomeriggio o di notte: il diritto spetta in ogni caso in cui l'orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di 6 ore.


La domanda quindi è perché all'ASL SI e alla Polizia Locale NO?

A sto punto non resta che infilzare il coltello ed arrivare fino alla "parte vitale" (ovviamente nel senso retorico ... :)  )
 
Da noi c'è l'  ARAN (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle pubbliche amministrazioni) Organismo di diritto pubblico dotato di personalità giuridica, con sede a Roma, istituito nel 1993 con il compito di rappresentare le pubbliche amministrazioni nella negoziazione con le organizzazioni sindacali dei dipendenti pubblici) che non si capisce perche non perda occasione per essere contro i dipendenti:
Alla fine, la sentenza 2568 di cui si fa cenno sopra.Sotto l'Orientamento applicativo della "bestia"
 

RAL_1270_Orientamenti Applicativi

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In relazione alla disciplina contrattuale in materia di mensa e buoni pasto è’ possibile riconoscere il buono pasto agli Agenti di P. M. che prestino attività lavorativa nelle ore pomeridiane e serali (es dalle ore 17.00 alle ore 23.00)?

Nel merito del quesito formulato , si ritiene utile precisare quanto segue:

a) la disciplina fondamentale in materia di mensa e di buoni pasto sostitutivi è prevista, come noto, dagli artt.45 e 46 del CCNL del 14.9.2000, e dall’art..13 del CCNL del 9.5.2006;

b) in particolare, l’art.46, comma 2, del CCNL del 14.9.2000, stabilisce che “i lavoratori hanno titolo, nel rispetto della specifica disciplina sull'orario adottata dall'ente, ad un buono pasto per ogni giornata effettivamente lavorata nella quale, siano soddisfatte le condizioni di cui all'art.45, comma 2” del medesimo CCNL”. Tale ultima disposizione prevede che: “possono usufruire della mensa i dipendenti che prestino attività lavorativa al mattino con prosecuzione nelle ore pomeridiane, con una pausa non superiore a due ore e non inferiore a trenta minuti. La medesima disciplina si applica anche nei casi di attività per prestazioni di lavoro straordinario o per recupero. Il pasto va consumato al di fuori dell'orario di servizio”;

c) la formulazione del testo della clausola contrattuale consente di poter affermare che, ai fini della attribuzione dei buoni pasto, l’unica condizione legittimante considerata è quella della necessaria esistenza di prestazioni lavorative che, iniziate in orario antimeridiano, proseguano comunque in orario pomeridiano, tenendo conto a tal fine anche delle eventuali prestazioni di lavoro straordinario;

d) la nuova regolamentazione contenuta nell’art.13 del CCNL del 9.5.2006 non incide in alcun modo sulla complessiva regolamentazione degli artt.45 e 46 del CCNL  del 14.9.2000, che avevano precedentemente regolato la materia e che, proprio a conferma della ulteriore vigenza degli stessi, sono richiamati in principio della nuova clausola contrattuale. In virtù delle nuove regole agli enti del comparto è riconosciuta la possibilità di individuare, in sede di contrattazione decentrata integrativa, quelle particolari figure professionali, operanti nelle aree della protezione civile, della vigilanza, dell’area scolastica ed educative e delle attività di biblioteca, che, in considerazione della necessità di assicurare la continuità dei servizi, fermo restando l’attribuzione del buono pasto, possono fruire di una pausa per la consumazione del pasto di durata determinata in via negoziale, in termini di maggiore brevità rispetto a quella prevista nella pregressa disciplina contrattuale; si tratta di un’indicazione esaustiva non suscettibile, pertanto, di ampliamenti in sede di contrattazione decentrata integrativa. Tale pausa, proprio per evitare ogni incidenza sulla continuità del servizio, potrà essere collocata anche all’inizio o alla fine di ciascun turno di lavoro;

e) l’inciso “fermo restando l’attribuzione del buono pasto” sta a precisare che, ove in presenza dei presupposti previsti, possa trovare applicazione la specifica disciplina dell’art.13 del CCNL del 9.5.2006, anche in presenza di una pausa per il pasto ridotta e di una sua collocazione all’inizio o alla fine di ciascun turno di lavoro del personale interessato, questo ha comunque diritto al riconoscimento del buono pasto;

f) il richiamo alle disposizioni degli artt. 45 e 46 del CCNL 14.9.2000, contenuto nel citato art.13 del CCNL del 9.5.2006, consente di poter affermare che, nella attribuzione dei buoni pasto, secondo le integrazioni introdotte dalla nuova disciplina, non si può comunque prescindere dalla necessaria esistenza di attività lavorative al mattino con prosecuzione nelle ore pomeridiane e, perciò, deve escludersi che possa avvenire anche in occasione di prestazioni rese solo in orario antimeridiano o pomeridiano con prosecuzione anche nelle ore serali e notturne;

g) conseguentemente, anche dopo il citato art.13 del CCNL del 9.5.2006, il buono pasto non può essere riconosciuto al personale in mancanza dell’unica condizione legittimante considerata dal CCNL e cioè la necessaria esistenza di prestazioni lavorative che, iniziate in orario antimeridiano, proseguano comunque in orario pomeridiano. Data la precisa prescrizione contrattuale, non si ritiene, pertanto, possibile alcuna forma di interpretazione estensiva della stessa, nel senso della dilatazione della sua portata applicativa fino a ricomprendervi situazioni non espressamente contemplate;

h) in materia di servizio mensa e buoni pasto, l’art.45, comma 3, del CCNL del 14.9.2000 fa salvi gli accordi di maggior favore in atto alla stipulazione di tale CCNL;

i) questa salvaguardia degli accordi di miglior favore in atto deve intendersi limitata alle situazioni già consolidate alla data di efficacia del citato CCNL;

j) appare, peraltro, evidente che tale salvaguardia opera a condizione che non vi sia contrasto tra tali disposizioni della contrattazione decentrata e gli elementi essenziali della disciplina del servizio mensa di cui al citato art.45 del CCNL del 14.9.2000;

k) la salvaguardia di cui si tratta era destinata ad operare solo fino alla data di adeguamento della diversa disciplina applicata in sede locale alle nuove regole stabilite nel CCNL del 14.9.2000 (tenuto conto che la materia per effetto della nuova regolamentazione non è più oggetto di contrattazione integrativa, se non nei ristretti limiti dell’art.13 del CCNL del 9.5.2006); una volta realizzato tale adeguamento, le clausole di quegli accordi devono ritenersi caducate;

l) a maggiore ragione, la stessa deve considerarsi venuta meno in presenza di eventuali accordi decentrati in materia di buoni pasto, stipulati nei limiti ed alle condizioni stabilite nell’art.13 del CCNL del 9.5.2006;

m) diversamente ritenendo, si determinerebbe, in via indiretta e surrettizia, l’effetto di consentire una deroga permanente alla nuova disciplina contrattuale nazionale che le parti non hanno in alcun modo inteso consentire, avendo la garanzia dell’art.45, comma 3, del CCNL del 14.9.2000 una natura evidentemente transitoria.


 
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 Corte d'Appello di Roma - Sezione lavoro – Sentenza 23 giugno 2021 n. 2568
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D'APPELLO DI ROMA
SEZIONE LAVORO E PREVIDENZA
composto dai Sigg. Magistrati:
dott. Guido Rosa - Presidente
dott. Vincenzo Selmi - Consigliere rel.
dott. Vito Riccardo Cervelli - Consigliere
all'esito della trattazione scritta del 17.6.2021 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 464 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2019 vertente
TRA
AZIENDA (...), in persona del legale rappresentate pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura in atti, dall'avvocato Se.Te. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Roma via (...)
APPELLANTE
E
(...) ed altri, rappresentati e difesa, giusta procura in atti, dall'avvocato Iv.Ab.
APPELLATI
OGGETTO: appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 9368 depositata in data 30/1/2019
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con la sentenza impugnata il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, in accoglimento del ricorso presentato dagli odierni appellati condannava la resistente Azienda (...) al pagamento in favore di ciascuno degli appellati delle somme specificamente indicate in dispositivo a titolo di risarcimento del danno subito a seguito della mancata fruizione del diritto alla mensa di cui all'art. 29 C.C.N.I Sanità del 20/9/2001.
Avverso tale sentenza l'Azienda (...), presentava appello fondato su più motivi.
I lavoratori si costituivano in giudizio resistendo all'accoglimento del gravame.
Nel corso del presente giudizio è scoppiata l'emergenza epidemiologica da COVID-19 con l'emanazione dei noti D.L. n. 34 del 2020 conv. nella L. n. 77 del 2020 e, da ultimo,del D.L. n. 137 del 2020.
E' stata quindi disposta la trattazione cartolare, ferma l'udienza già fissata del 17/6/2021, sostituita dallo scambio di note scritte secondo quanto previsto dall'art. 83 cit. comma 7 lett. h) D.L. n. 18 del 2020.
All'esito della trattazione scritta la causa è stata decisa come da dispositivo.
Gli odierni appellati, tutti dipendenti della Azienda (...) (d'ora in poi Azienda), premesso di svolgere la loro attività lavorativa mediante articolazioni in turni con le modalità meglio specificate nel ricorso (in tre turni dalle 6.40 alle 14.10, dalle 13.40 alle 21.15 e dalle 20.40 alle 7.15 ovvero mediante turni in h12 sei giorni su sette ovvero mediante turni di 12 ore cinque giorni su sette), rivendicavano il proprio diritto ad usufruire della mensa, ovvero del pasto sostitutivo, ai sensi del 7/4/1999.
Contestavano la legittimità dell'ordinanza del Direttore Generale dell'Azienda n. 27 del 17/11/2011 la quale aveva limitato il diritto alla mensa ai soli lavoratori che prolungano l'orario di lavoro nelle ore pomeridiane per un totale di almeno 8 ore consecutive al netto della pause di 30 minuti, compresi i lavoratori turnisti nel caso di raddoppio del turno escludendo da tale diritto i dipendenti che svolgono la prestazione lavorativa su due turni e quelli che svolgono la prestazione lavorativa di notte in quanto "già percettori dell'indennità di disagio di cui ai commi 3 e 11 del C.C.N.L. comparto sanità del 1/9/1995".
Lamentavano che tale provvedimento aveva ingiustamente escluso dal diritto alla mensa i dipendenti che svolgono una particolare articolazione dell'orario di lavoro (turnisti) e coloro che svolgono la prestazione lavorativa di notte con l'errata pretesa di compensare il diritto al pasto con l'erogazione dell'indennità di disagio costringendoli di fatto ad un maggior esborso di Euro 4,39 per ogni pasto consumato per via del turno di lavoro assegnato senza diritto alla mensa.
Il Tribunale, con la sentenza gravata, affermava la fondatezza della domanda nei termini che seguono.
Rilevava, in particolare, come alla stregua di quanto previsto dall'art. 29 C.C.N.I. del 2001, così come modificato dall'art. 4 C.C.N.L. 31/7/2009, fosse riconosciuto ai lavoratori del Comparto Sanità Pubblica un espresso diritto alla mensa per ogni giorno di "effettiva presenza lavoro" in relazione alla "particolare articolazione dell'orario" di servizio.
Evidenziava come, alla stregua di tali disposizioni (che si pongono in modo coerente con l'art. 33 del D.P.R. n. 270 del 1987), il diritto in questione, nella sua duplice forma, fosse condizionato a due soli
requisiti e cioè alla effettiva presenza giornaliera del dipendente e allo svolgimento dell'attività lavorativa secondo una particolare articolazione dell'orario di lavoro.
Affermava quindi che tale ultimo requisito, in assenza di una specifica regolamentazione sul punto ad opera della contrattazione collettiva, dovesse essere individuato in base a quanto disposto dall'art. 8 D.Lgs. n. 66 del 2003 (norma che attribuisce al lavoratore il diritto ad una pausa, al fine del recupero delle energie psicofisiche e della eventuale consumazione del pasto anche al fine di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo, "qualora l'orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di 6 ore") "con riguardo a quelle attività lavorative prestate (in tutto o in parte) in fasce orarie normalmente destinate alla consumazione dei pasti vuoi per via di un orario di servizio spezzettato, vuoi per via di un orario di servizio prolungato oltre a quello normale, vuoi-infine-per via dell'effettuazione di turni".
Evidenziava a tale proposito come la ratio dell'istituto fosse quella di assicurare ai lavoratori che devono osservare particolari turni di servizio la possibilità di consumare il pasto sul luogo di lavoro e come la compatibilità con le risorse finanziarie disponibili non potesse intendersi come condizione ostativa all'esercizio del diritto oggetto di controversia, essendo invece riferibile solo alla concreta effettività della mensa ma non anche alla esercitabilità del diritto in generale e dunque all'esercizio dello stesso con modalità sostitutive (buoni pasto o indennità).
Affermava pertanto il diritto del lavoratore al risarcimento del danno subito quantificandolo, alla luce del quarto comma dell'art. 33 D.P.R. n. 270 del 1987 nella formulazione vigente dal 1990, in Euro 4,13 per ciascun giorno utile ad usufruire del diritto di mensa e determinando quanto dovuto ai lavoratori (sulla base delle giornate di effettiva presenza di ciascuna ricorrente dei cedolini paga ed alle singole schede annuali di presenza per il periodo dal 2011 al 2016), mediante consulenza tecnica contabile.
Con un primo motivo l'Azienda appellante contesta la gravata sentenza, reiterando l'eccezione pregiudiziale sollevata in tal senso nella precedente fase del giudizio, nella parte in cui non aveva rilevato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Sostiene chela domanda dei ricorrenti, in quanto finalizzata a far dichiarare l'illegittimità dell'ordinanza del Direttore Generale 27 del 17/11/2011, avrebbe ad oggetto la pretesa di annullamento di un provvedimento amministrativo, illegittimità che avrebbe costituito l'oggetto principale della controversia con conseguente insussistenza in relazione a tale atto dei presupposti per una sua eventuale disapplicazione (istituto quest'ultimo inerente ad atti amministrativi rilevanti per la controversa soltanto in via incidentale).
Il motivo è infondato.
Così come si evince con chiarezza dal complessivo tenore del ricorso di primo grado gli odierni appellati, pur chiedendo la dichiarazione dell'illegittimità della menzionata ordinanza del Direttore Generale 27/2011, avevano agito al fine di rivendicare il proprio diritto alla mensa ai sensi dell'art. 29 CCNI 2001 chiedendo emettersi a carico dell'azienda datrice le conseguenti pronunce di condanna al pagamento di quanto dovuto anche a titolo di risarcimento del danno.
Le rivendicazioni dei ricorrenti hanno pertanto ad oggetto, sotto il profilo del petitum sostanziale, non l'impugnazione un atto amministrativo, quanto il loro preteso diritto ad usufruire sulla base della contrattazione collettiva del settore del diritto di mensa o del pasto sostitutivo, controversia quest'ultima che, in quanto avente ad oggetto diritti soggettivi derivanti ad un rapporto di pubblico impiego rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice ordinario.
Ciò tanto più alla luce della considerazione che la menzionata Det.Dirig. n. 27 del 2011 (in quanto finalizzata a regolamentare, nei confronti dei dipendenti turnisti dell'Azienda un diritto riconosciuto dalla contrattazione collettiva) deve intendersi come atto adottato dall'azienda datrice con i poteri del privato datore di lavoro ai sensi dell'art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 165 del 2001 a fronte dei quali sono configurabili solo diritti soggettivi dei destinatari.
Con un ulteriore secondo motivo l'azienda appellante contesta l'erroneità della interpretazione delle fonti contrattuali regolatrici della fattispecie oggetto di controversia, con particolare riferimento all'art. 29 C.C.N.I. 20/9/2001, nella parte in cui aveva ritenuto che l'inciso ivi contenuto circa la "particolare articolazione dell'orario di lavoro" dovesse collegarsi, oltre che alla effettiva presenza in servizio, anche alla resa dello stesso nella fasce orarie dedicate normalmente alla consumazione del pasto inscindibilmente "a quelle attività prestate (in tutto o in parte) in fasce orarie normalmente destinate alla consumazione dei pasti vuoi per via di un orario di servizio spezzettato, vuoi per via di un orario di servizio prolungato oltre quello normale, vuoi-infine-per via dell'effettuazione dei turni".
Sostiene l'erroneità del riferimento, a tale fine, alla nozione di cui all'art. 8 D.Lgs. n. 66 del 2003, evidenziando l'esistenza nel caso di specie di una disciplina di dettaglio costituita dalla regolamentazione aziendale (adottata quest'ultima in conformità alle linee guida regionali) e sostenendo l'impossibilità del collegamento della stessa al diritto alla pausa dopo sei ore di servizio sancito da tale norma nonchè alla effettuazione del lavoro in turni trattandosi di nozione ordinaria dell'orario di lavoro da prestarsi su più turni.
Afferma l'erroneità della gravata sentenza anche nella parte in cui, implicitamente, avrebbe escluso la possibilità dell'introduzione, a tale proposito di una regolamentazione aziendale di dettaglio affermando l'arbitrarietà della individuazione da parte del Tribunale, in via interpretativa, di tale disciplina di dettaglio sulla base dell'art. 8 D.Lgs. n. 66 del 2003.
Anche tale motivo è infondato.
Come è noto, l'attuale fonte di riferimento è data dalla contrattazione collettiva del Comparto Sanità che all'art. 29 CCNI 2001 (che aveva recepito senza modificazioni sostanziali quanto disposto dall'art. 33 del D.P.R. n. 270 del 1987) stabilisce, nel testo introdotto a seguito delle modifiche operate dall'art. 4 del CCNL 31/7/2009 che:
"1. Le aziende, in relazione al proprio assetto organizzativo e compatibilmente con le risorse disponibili, possono istituire mense di servizio o, in alternativa, garantire l'esercizio del diritto di mensa con modalità sostitutive. In ogni caso l'organizzazione e la gestione dei suddetti servizi, rientrano nell'autonomia gestionale delle aziende, mentre resta ferma la competenza del CCNL nella definizione delle regole in merito alla fruibilità e all'esercizio del diritto di mensa da parte dei lavoratori.
2. Hanno diritto alla mensa tutti i dipendenti, ivi compresi quelli che prestano la propria attività in posizione di comando, nei giorni di effettiva presenza al lavoro, in relazione alla particolare articolazione dell'orario.
3. Il pasto va consumato al di fuori dell'orario di lavoro. Il tempo impiegato per il consumo del pasto è rilevato con i normali mezzi di controllo dell'orario e non deve essere superiore a 30 minuti.
4. Le Regioni, sulla base di rilevazioni relative al costo della vita nei diversi ambiti regionali e al contesto socio-sanitario di riferimento, possono fornire alle aziende indicazioni in merito alla valorizzazione - nel quadro delle risorse disponibili - dei servizi di mensa nel rispetto della partecipazione economica del dipendente finora prevista. Nel caso di erogazione dell'esercizio del diritto di mensa con modalità sostitutive, queste ultime non possono comunque avere un valore economico inferiore a quello in atto ed il dipendente è tenuto a contribuire nella misura di un quinto del costo unitario del pasto. Il pasto non è monetizzabile
5. Sono disapplicati gli artt. 33 del D.P.R. n. 270 del 1987 e 68, comma 2, del D.P.R. n. 384 del 1990".
La norma contrattuale dunque riconosce ai lavoratori del Comparto Sanità Pubblica il diritto alla mensa per ogni giorno di "effettiva presenza al lavoro" in relazione alla "particolare articolazione dell'orario" di servizio, compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili
Tale duplice condizione risponde peraltro alla ratio dell'istituto contrattuale, che è quella di assicurare ai lavoratori che devono osservare particolari turni di servizio la possibilità di consumare il pasto sul luogo di lavoro.
Ne discende, quale prima conseguenza, che il diritto alla mensa non riguarda tutti i dipendenti, ma solo quelli che devono espletare il lavoro articolato su turni ed hanno, quindi, la necessità di consumare i pasti sul luogo di lavoro.
Nel presente caso di specie i lavoratori, nel rivendicare il proprio diritto alla mensa, contestano la legittimità della Ordinanza del Direttore Generale 27/DG del 17/11/2011 la quale (richiamando le linee guida regionali di cui alla nota del Dipartimento Programmazione Economica e Sociale della Regione Lazio 181761/DB/07/11 del 14/10/2011), aveva, per quanto qui più specificamente rileva ai fini della decisione, limitato il diritto alla mensa, a decorrere dal 1/12/2011, esclusivamente nei giorni di effettiva presenza al lavoro, e nel solo caso di "attività lavorativa svolta in orario antimeridiano e prolungatasi nelle ore pomeridiane per un totale di almeno 8 ore consecutive al netto della pausa di 30 minuti prevista come obbligatoria dal D.Lgs. n. 66 del 2003 ai fini del recupero delle energie psico-fisiche" escludendo tale diritto, in particolare, per i dipendenti "che svolgono attività lavorativa esclusivamente la mattina o il pomeriggio" e a quelli che "svolgono la prestazione lavorativa di notte in quanto operanti in servizi articolati su tre turni, ovvero...non turnisti ma che svolgono l'orario ordinario di lavoro durante le ore notturne, in quanto già percettori delle indennità previste, rispettivamente, dal comma 3 e dal comma 11 dell'art. 44 del C.C.N.L. del Personale dell'Comparto stipulato il 01. 09. 1995 con la precisazione che l'esclusione dal diritto alla mensa non opera nel caso di raddoppio del turno mattina-pomeriggio ovvero pomeriggio-notte, ipotesi nelle quali il dipendente avrà diritto ad un unico accesso alla mensa" nonché "ai dipendenti che effettuano orario di lavoro giornaliero ma articolato su 7 ore e 12 minuti" (cfr. copia della suddetta deliberazione prodotta da entrambe le parti in causa).
Tanto premesso si intende aderire, sul punto, ai principi recentemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità alla cui stregua in tema di pubblico impiego privatizzato, l'attribuzione del buono pasto, in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell'ambito dell'organizzazione dell'ambiente di lavoro, è diretta a conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del dipendente, al fine di garantirne il benessere fisico necessario per proseguire l'attività lavorativa quando l'orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente previsto per la fruizione del beneficio, è condizionata all'effettuazione della pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore, osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato (Cass. n. 5547 del 01/03/2021 con la quale la S.C. ha confermato la decisione di merito che, ai fini del riconoscimento del buono pasto ad un dipendente con turni 13/20 e 20/7, aveva collegato le "particolari condizioni di lavoro" di cui all'art. 29 del c.c.n.i. del comparto Sanità del 20 settembre 2001, al diritto alla fruizione della pausa di lavoro, a prescindere che la stessa avvenisse in fasce orarie normalmente destinate alla consumazione del pasto o che il pasto potesse essere consumato prima dell'inizio del turno).
Afferma a tale proposito la SC, in particolare, che "...la questione di causa consiste nello stabilire quale sia la "particolare articolazione dell'orario" che, ai sensi del comma 2 del richiamato articolo 29 CCNL INTEGRATIVO SANITA', attribuisce il diritto alla mensa ai dipendenti presenti in servizio.
11. L'articolo 26 del CCNL SANITA' 1998/2001, del 7.4.1999, sull'orario di lavoro, non contiene utili indicazioni sul punto, in quanto si limita a stabilire un orario di lavoro settimanale di 36 ore ed a fissare i criteri generali per la sua distribuzione.
12. Un chiaro indice interpretativo si trae, comunque, dalla disposizione del comma 3 del medesimo articolo 29 CCNL INTEGRATIVO 20.9.2001, a tenore del quale il pasto va consumato al di fuori dell'orario di lavoro ed il tempo a tal fine impiegato è rilevato con i normali strumenti di controllo dell'orario e non deve essere superiore a 30 minuti.
13. Da tale norma si ricava che la fruizione del pasto- ed il connesso diritto alla mensa o al buono pasto- è prevista nell'ambito di un intervallo non lavorato; diversamente, non potrebbe esercitarsi alcun controllo sulla sua durata.
14. Si può dunque convenire sul fatto che la "particolare articolazione dell'orario di lavoro" è quella collegata alla fruizione di un intervallo di lavoro.
15. Di qui il rilievo del D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro), articolo 8, a tenore del quale il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa qualora l'orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore, ai fini del recupero delle energie psicofisiche e della eventuale consumazione del pasto; le modalità e la durata della pausa sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro ed, in difetto di disciplina collettiva, la durata non è inferiore a dieci minuti e la collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo.
16. Anche nel testo legislativo, dunque, la consumazione del pasto è collegata alla pausa di lavoro ed avviene nel corso della stessa.
17. La stessa difesa di parte ricorrente lega il diritto alla mensa ad una obbligatoria sosta lavorativa ma assume che la norma contrattuale richiederebbe, altresì, che la attività lavorativa sia prestata "nelle fasce orarie normalmente destinate alla consumazione del pasto"; una eventuale volontà della parti sociali in tal senso sarebbe stata, tuttavia, chiaramente espressa, con l' indicazione di fasce orarie di lavoro che danno diritto alla mensa, fasce che non sono, invece, previste.
18. La interpretazione esposta, secondo cui il diritto alla mensa ex articolo 29, comma 2, CCNL INTEGRATIVO SANITA' 20.9.2001 è legato al diritto alla pausa, è coerente con i principi già enunciati da questa Corte, con sentenza 28 novembre 2019 nr. 31137, in relazione alle previsioni dell'articolo 40 CCNL 28 maggio 2004 del Comparto AGENZIE FISCALI" (cfr. Cass. n. 5547/2021 in parte motiva).
Alla stregua dei condivisibili principi giurisprudenziali precedentemente enunciati l'appello dovrà essere respinto dovendo ritenersi che il Tribunale abbia correttamente interpretato la menzionata disposizione contrattuale e che risulti pertanto illegittima la limitazione del diritto alla mensa unilateralmente operata dall'azienda datrice in violazione di quanto disposto dalla contrattazione collettiva (con conseguente nullità della stessa ex art. 2 D.Lgs. n. 165 del 2001) in assenza di allegazioni o prove in ordine ad una insussistenza di fondi e risorse economiche (non essendo certamente sufficiente, in assenza di specifici riscontri contabili il mero riferimento alle linee guida regionali di cui alla menzionata nota del 14/10/2011).
Alla stregua di tali considerazioni l'appello dovrà pertanto essere respinto.
La regolamentazione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo, segue la soccombenza.
Stante il tenore della decisione deve trovare applicazione l'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1 comma 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando, rigetta l'appello.
Condanna l'ente appellante al pagamento delle spese del grado che liquida in complessivi Euro 5.215,50 oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, Iva e Cpa come per legge. Spese da distrarsi ex art. 93 c.p.c.
Dà atto che sussistono le condizioni oggettive richieste dall'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
Così deciso in Roma il 17 giugno 2021.
Depositata in Cancelleria il 23 giugno 2021.