La legge non consente in alcun modo che la rivendita di tabacchi possa
essere gestita a qualunque titolo da parte di soggetto diverso dal
titolare. Gli art. 28 della legge 1293/57 e 63 del d.p.r. 1074/58 a
questo riguardo stabiliscono l’obbligo di gestione personale della
rivendita, con l’unica eccezione dei soggetti dispensabili che sono gli
invalidi di guerra e categorie equiparate nonché i ciechi civili.
Per quanto riguarda la partecipazione familiare nella tabaccheria vedi sotto:
Partecipazione impresa famigliare
Domanda
È possibile per un dipendente pubblico partecipare attivamente alla
gestione di un’attività del figlio in qualità di collaboratrice
familiare?
Risposta
L’impresa familiare – alla quale pare fare riferimento il quesito
posto – è disciplinata, nel nostro ordinamento, dall’art. 230 bis del
codice civile[1], ed indica – per definizione – una tipologia di impresa
caratterizzata dal lavoro dei familiari nella gestione della stessa, le
cui caratteristiche principali sono riconducibili alle seguenti:
- la presenza di un unico imprenditore;
- la collaborazione di uno o più familiari nella gestione dell’attività.
I familiari possono lavorare nell’impresa con un contratto di lavoro
dipendente, oppure prestare la propria opera in qualità di collaboratori
familiari, ed, in tal caso, hanno diritto al mantenimento, alla
partecipazione agli utili di impresa, alla gestione dell’attività,
limitatamente alla gestione straordinaria, alla destinazione degli
utili, alla produzione e alla cessazione dell’impresa. Si tratta,
pertanto di una collaborazione attiva alla vita dell’impresa ed anche ai
guadagni della stessa.
L’articolo 53, comma 1, del d.lgs. 165/2001, attraverso il richiamo
espresso all’articolo 60 del Testo Unico n. 3/1957, sancisce il
cosiddetto dovere di esclusività per i pubblici dipendenti, i quali “non
possono esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o
assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in
società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in
società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia
all’uopo intervenuta l’autorizzazione del Ministro competente.”
Tale divieto assoluto risulta mitigato dai successivi commi del citato articolo che prevede che:
- le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati (comma 2);
- il conferimento operato direttamente dall’amministrazione, nonché l’autorizzazione all’esercizio di incarichi che provengano da amministrazione pubblica diversa da quella di appartenenza, ovvero da società o persone fisiche, che svolgano attività d’impresa o commerciale, sono disposti dai rispettivi organi competenti secondo criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell’interesse del buon andamento della pubblica amministrazione o situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi, che pregiudichino l’esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente (comma 5).
Al fine di supportare le amministrazioni nell’applicazione della
normativa in materia di svolgimento di incarichi da parte dei dipendenti
e di orientare le scelte in sede di elaborazione dei propri regolamenti
e nella definizione dei “criteri oggettivi e predeterminati”, il
tavolo tecnico (a cui hanno partecipato il Dipartimento della funzione
pubblica, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l’ANCI e
l’UPI, avviato ad ottobre 2013, in attuazione di quanto previsto
dall’intesa sancita in Conferenza unificata il 24 luglio 2013) ha
formalmente approvato il documento contenente “Criteri generali in
materia di incarichi vietati ai pubblici dipendenti”.
In tale documento, è scritto che sono da considerare vietati ai
dipendenti delle amministrazioni pubbliche – con percentuale di tempo
superiore al 50% – gli incarichi, sia retribuiti che a titolo gratuito,
che presentano la caratteristica della abitualità e professionalità,
e si precisa che “l’incarico presenta i caratteri della professionalità
laddove si svolga con i caratteri della abitualità, sistematicità/non
occasionalità e continuità, senza necessariamente comportare che tale
attività sia svolta in modo permanente ed esclusivo.”
D’altra parte, già la Circolare n. 6 del 1997 del Dipartimento della
Funzione Pubblica citava il caso partecipazione del dipendente pubblico
in società agricole a conduzione familiare, ritenendo che tale attività
fosse compatibile solo se l’impegno richiesto è modesto e non abituale o
continuato durante l’anno, spettando all’amministrazione di
appartenenza – in sede di istruttoria della domanda di autorizzazione –
valutare che le modalità di svolgimento siano tali da non interferire
sull’attività ordinaria.
Alla luce di quanto sopra esposto, si esclude che la dipendente
pubblica di cui al quesito possa partecipare attivamente alla gestione
dell’attività di tabaccheria del figlio in qualità di collaboratrice
familiare, non rinvenendosi le caratteristiche di saltuarietà ed
occasionalità previste per poter legittimamente rilasciare apposita
autorizzazione.
[1] Art. 230 bis Codice Civile:
“Salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che
presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o
nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione
patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa
familiare ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi
dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla
quantità e qualità del lavoro prestato. Le decisioni concernenti
l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla
gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione
dell’impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano
all’impresa stessa. I familiari partecipanti all’impresa che non hanno
la piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi esercita
la responsabilità genitoriale su di essi.
Il lavoro della donna è considerato equivalente a quello dell’uomo.”
Tratto da Publika Daily di oggi- http://www.publika.it