Corte di Cassazione V Sezione Penale - massima a cura della Dott.ssa Michaela Ercolani
Sentenza n. 49221 del 26 ottobre 2017
Sentenza n. 49221 del 26 ottobre 2017
Uso di tagliando di revisione contraffatto – falsità materiale in certificazioni amministrative
Massima a cura della Dott..ssa Michaela ErcolaniIl tagliando
di revisione del veicolo ha natura certificativa e l’uso di etichetta di
revisione contraffatta, pur applicata sulla carta di circolazione,
essendo atto distinto da essa, configura la fattispecie di cui agli
artt. 477 c.p. e 482 c.p. se commessa da privato. La Suprema Corte ha
accolto parzialmente il ricorso dell’interessato riqualificando il reato
ascritto in appello (dalla violazione dell’art. 476 c.p. a quella
dell’art. 477 c.p.) e rideterminando, a seguito di annullamento, la
sentenza impugnata: l’origine derivativa dell’etichetta di revisione
risulta determinante per qualificare la stessa come certificazione
amministrativa e non già come atto pubblico, che ha natura costitutiva.
Sentenza
Ritenuto in fatto
1.
Con la sentenza impugnata La Corte di appello di Lecce ha confermato la
condanna di A. A. per il reato di falso materiale in atto pubblico
commesso dal privato, avendo egli formato e applicato al certificato di
idoneità del ciclomotore di proprietà di B. B. una etichetta di
revisione contraffatta.
2. Avverso la sentenza ricorre
l'imputato, a mezzo del proprio difensore, articolando quattro motivi.
Con il primo deduce erronea applicazione della legge penale per avere la
Corte territoriale confermato la qualificazione giuridica del fatto
operata dal giudice di primo grado ai sensi degli artt. 476 e 482 c.p.
in luogo di quella ex artt. 477 e 482 c.p. originariamente contestata.
Riqualificazione che avrebbe comportato una violazione dei diritti
difensivi e del principio di correlazione tra accusa e sentenza. Con il
secondo motivo lamenta invece erronea applicazione della legge penale e
vizi di motivazione in merito alla commisurazione della pena inflitta ed
alla mancata concessione delle attenuanti generiche. Con il terzo
motivo gli stessi vizi vengono denunciati in relazione alla liquidazione
del danno disposta in favore della parte civile, mentre con il quarto
si lamenta difetto di motivazione in ordine all'elemento psicologico del
reato.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito esposti.
2.
Preliminarmente va detto che la quasi totalità dei motivi di ricorso
costituisce la mera riedizione dei precedenti motivi d'appello e non
appare confrontarsi con le argomentazioni spese dai giudici di merito in
relazione alle circostanze già dedotte.
Quanto
all'eccepita mancata correlazione tra accusa e sentenza, si deve
ritenere che la nuova qualificazione - impregiudicata la questione sulla
sua formale correttezza, che verrà trattata nel prosieguo - non abbia
comportato alcuna immutazione del fatto contestato. Ed invero è lo
stesso ricorrente a evocare il consolidato principio di legittimità
secondo cui, purché rimanga inalterato il fatto storico cristallizzato
nell'imputazione, è ammessa la possibilità di una diversa qualificazione
giuridica qualora la nuova definizione del reato appaia come uno dei
possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo
interpretativo assolutamente prevedibile, o, comunque, l'imputato ed il
suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di
interloquire in ordine alla stessa (Sez. 6, n. 11956 del 13 marzo 2017,
B., Rv. 269655). Ed è questo il caso in esame, giacché tra gli artt. 476
e 477 c.p. non sussiste un rapporto di eterogeneità o di
incompatibilità tale da implicare una variazione sostanziale dei
contenuti dell'addebito e giacché l'imputato ha avuto la possibilità di
interloquire sin dal giudizio appello in ordine alla nuova
contestazione, posto che la modifica è intervenuta all'esito del
giudizio di primo grado. Non sussiste, allora, neppure violazione
dell'art. 6, comma primo e terzo, lett. a) e b) della Convenzione
europea dei diritti dell'uomo, per come interpretato dalla Corte di
Strasburgo, dal momento che l'osservanza del diritto al contraddittorio
in ordine alla natura ed alla qualificazione giuridica dei fatti di cui
l'imputato è chiamato a rispondere è assicurata anche quando il giudice
di primo grado provveda alla riqualificazione dei fatti direttamente in
sentenza, senza preventiva interlocuzione sul punto, in quanto
l'imputato può comunque pienamente esercitare il diritto di difesa
proponendo impugnazione (Sez. 3, n. 2341 del 7 novembre 2012, Manara e
altro, Rv. 254135). Né vale eccepire a riguardo l'eventuale violazione
dei diritti della difesa in relazione alle distinte cornici edittali che
corredano le due fattispecie, siccome esse costituiscono elementi
normativi che, appunto, non attengono al piano fattuale della
responsabilità dell'imputato (id est, non ne mutano sostanzialmente il
contenuto), ma alla sola commisurazione della pena.
3.
Generico e meramente assertivo è anche il secondo motivo relativo al
trattamento sanzionatorio ed alla mancata concessione delle attenuanti
generiche, posto che, da una parte, il ricorrente pare ignorare che la
pena irrogata coincide con il minimo edittale e, dall'altra, elude di
confrontarsi con il rilievo - costituito dai plurimi precedenti penali
dell'imputato - che il giudicante, nell'esercizio della propria
discrezionalità, ha congruamente posto alla base del diniego del
beneficio. E inammissibili sono anche i motivi terzo e quarto. Quanto
alla solo evocata irritualità della costituzione di parte civile è
pacifico che ai fini di tale costituzione ciò che conta è l'aver subito
un danno indipendentemente dalla qualifica, altra e autonoma, di persona
offesa dal reato (art. 74 c.p.p.). Mentre nel resto il motivo è del
tutto assertivo, limitandosi a lamentare un difetto di motivazione ed
una sproporzione del quantumdel risarcimento senza offrire ragioni a
sostegno dell'assunto. E lo stesso può dirsi in relazione al quarto
motivo, che oltre a non confrontarsi con i rilievi sviluppati dalla
Corte leccese in ordine alla decisiva deposizione del teste C. C., che
smentisce la ricostruzione fornita dall'imputato, reitera la stessa
argomentazione in fatto già sostenuta nel precedente grado di merito
senza essenzialmente articolare una effettiva critica allo sviluppo
argomentativo della sentenza impugnata.
4. Coglie
invece nel segno la prospettata errata qualificazione del fatto ai sensi
dell'art. 476 c.p., in relazione all'art. 482 c.p., che il ricorrente
svolge con il primo motivo.
4.1 Ed invero la
giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi sulla
natura di certificato amministrativo dell'etichetta di revisione
applicata alla carta di circolazione di motocicli ed autoveicoli,
osservando che l'attestazione dell'avvenuta revisione del veicolo con
esito positivo, ancorché apposta sul medesimo supporto cartaceo che
ospita la carta di circolazione, costituisce un atto distinto da essa,
la cui natura certificativa chiaramente emerge dall'oggetto e dalla
funzione che gli sono propri (così in motivazione Sez. 5, n. 46499 del 1
luglio 2014, Bellone, Rv. 261019).
Ciò in contrasto
con quanto invece sostenuto a riguardo dal giudice di primo grado (alla
cui argomentazione ha aderito la Corte territoriale), che ha invero ha
confuso la carta di circolazione con l'etichetta di revisione, come se
quest'ultima servisse a integrare il contenuto della prima. Deve invece
ribadirsi che altro è il tagliando di revisione, altro è la carta di
circolazione cui l'etichetta aderisce, trattandosi di documenti aventi
natura e funzioni diverse e, dunque, di atti distinti.
4.2
Ciò che però è determinante ai fini della qualificazione come
certificato amministrativo dell'etichetta di revisione è l'origine
derivativa della stessa. La distinzione tra atto pubblico e certificato
amministrativo si fonda infatti sul contenuto e sull'efficacia del
documento considerato. Se il certificato amministrativo documenta dati
già in possesso della pubblica amministrazione, con la funzione di
attestare la verità o la scienza di fatti che non sono stati
direttamente compiuti o percepiti dal pubblico ufficiale, l'atto
pubblico ha invece natura costitutiva e non riproduttiva, costituendo il
primo passaggio di detti fatti dalla realtà fenomenica a quella
documentale. È quanto la giurisprudenza di legittimità ha in definitiva
stabilito richiedendo due condizioni per poter assegnare natura di
certificato amministrativo ad un atto proveniente da pubblico ufficiale:
a)
che
l'atto non attesti i risultati di un accertamento compiuto dal pubblico
ufficiale redigente, ma riproduca attestazioni già documentate;
b)
che
l'atto, pur quando riproduca informazioni desunte da altri atti già
documentati, non abbia una propria distinta e autonoma efficacia
giuridica, ma si limiti a riprodurre anche gli effetti dell'atto
preesistente (Sez. 2, n. 46273 del 15 novembre 2011, Battaglia e altro,
Rv. 251549).
4.3 Orbene, il tagliando di revisione è
il prodotto di un accertamento compiuto dal pubblico ufficiale redigente
- in proprio o a mezzo di privato autorizzato - che attesta l'esito
positivo di un'attività il cui svolgimento è in primo luogo documentato
nella pratica di revisione. Ed è l'esito di tale pratica che il
tagliando riproduce e dal quale fa derivare i propri effetti giuridici.
Questo significa che esso ha natura derivativa e che pertanto si limita a
replicare il contenuto di altri atti già in possesso della pubblica
amministrazione. A conforto di tali argomentazioni si possono citare le
sentenze nelle quali si è riconosciuta natura certificativa alla targa
automobilistica (ex multis Sez. 2, n. 35434 del 5 luglio 2010, Bruognolo
e altri, Rv. 248303), al libretto universitario in relazione agli esami
superati (Sez. 5, n. 44022 del 28 maggio 2014, Ingenito, Rv. 260770),
al marchio identificativo auricolare dei bovini (Sez. 5, n. 17979 del 5
marzo 2013, P.G. in proc. Iamonte e altri, Rv. 255520). Tutti documenti
che certificano informazioni già attestate da atti preesistenti senza
avere, rispetto a questi, una propria ed autonoma efficacia giuridica.
4.4
Le stesse diverse cornici edittali che connotano le due fattispecie di
cui agli artt. 476 e 477 c.p., trovano in ciò la propria
giustificazione: una cosa è, per il pubblico ufficiale, attestare
falsamente fatti o situazioni a cui egli assiste direttamente, condotta
più grave anche per la difficoltà di accertare successivamente la
suddetta violazione; altro è invece riprodurre falsamente il contenuto
di un atto primario dal quale tale atto falsificato deriva.
4.5
Il fatto contestato all'imputato deve allora essere riqualificato come
falso in certificazione amministrativa commesso da privato ai sensi
dell'art. 477 c.p. in relazione all'art. 482 c.p. e la sentenza
impugnata annullata senza rinvio sul punto.
Conseguentemente
deve provvedersi alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio,
operazione a cui può provvedere direttamente questa Corte ai sensi
dell'art. 620 lett. I) c.p.p., posto che, avendo i giudici del merito
inteso irrogare - come già ricordato - il minimo edittale, la pena può
essere commisurata a quello previsto per il nuovo titolo del reato e
cioè mesi quattro di reclusione.
Per questi motivi
Riqualificato
il reato ascritto quale violazione degli artt. 477 e 482 c.p.,
ridetermina la pena in mesi quattro di reclusione; dichiara
inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 4 ottobre 2017.
Il Presidente: SABEONE
Il Consigliere estensore: PISTORELLI
Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2017.
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