sabato 8 aprile 2017

La mancata esibizione di un documento d'identità costituisce violazione dell'art. 4, comma 2, T.U.L.P.S. e art. 294 del relativo regolamento mentre per configurarsi il reato ci vuole il rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità.

Per configurarsi il reato di cui all'art. 651 del c.p. ci vuole il rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità. 
Nel caso di specie il soggetto si era solo rifiutato di fornire i documenti per cui la sentenza viene annullata limitatamente al reato dell'art. 651
SENTENZA CORTE CASSAZIONE  28 marzo 2017, n. 15488
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Presidente:
Giovanni CONTI
Rel. Consigliere:
Anna CRISCUOLO
ha pronunciato la seguente

Sentenza


Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza emessa il 29 ottobre 2013, all'esito di giudizio abbreviato, dal G.u.p. del Tribunale di Pesaro nei confronti di A. A., ritenuto colpevole dei reati di resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali aggravate e rifiuto di fornire le proprie generalità.

L'affermazione di responsabilità è stata fondata sulle dichiarazioni delle persone offese e sulle modalità e circostanze dell'alterco verificatosi, nel corso del quale l'imputato aveva contestato a due agenti della polizia municipale di aver parcheggiato il veicolo di servizio in uno spazio riservato a portatori di handicap, nonostante la natura temporanea dell'occupazione e l'assenza di aventi diritto all'occupazione dello spazio riservato, così interrompendo l'attività in corso sulla pubblica via di rilevamento dei dati relativi ad incidente stradale avvenuto giorni prima.

I giudici hanno ritenuto integrato il reato contravvenzionale, atteso che l'imputato, oltre ad oltraggiare le due agenti (reato per il quale vi era stata assoluzione per intervenuto risarcimento del danno), aveva rifiutato di fornire loro le generalità e di esibire un documento, ma aveva contattato ben tre diverse forze di polizia, svilendo il ruolo delle due agenti e dichiarando solo agli interlocutori nome e cognome.

Hanno ritenuto integrato il reato di resistenza, in quanto l'imputato aveva continuato a discutere ed a contrastare l'azione delle agenti, frapponendo la sua bicicletta, poi scagliata contro le operanti e cagionato loro le lesioni certificate e, ritenuta sussistente l'aggravante del nesso teleologico, hanno escluso il rilievo della intervenuta remissione di querela.

È stata, infine ritenuta congrua la pena inflitta in primo grado, attestata su livelli prossimi ai minimi legali, e non concedibile il beneficio della sospensione condizionale in ragione del precedente specifico dell'imputato.

2. Il difensore del A. A. propone ricorso e chiede l'annullamento della sentenza per i seguenti motivi:

2.1 violazione di legge in relazione all'art. 651 cod. pen. e vizio di motivazione: deduce l'illogicità e contraddittorietà della motivazione e l'errore di diritto, in quanto l'elemento oggettivo del reato consiste nel rifiuto di fornire indicazioni sulle proprie generalità, non di fornire i documenti, e nella fattispecie il A. A. aveva indicato le proprie generalità telefonicamente ed in presenza delle agenti di polizia municipale prima alla polizia di stato, poi al comando VV.UU. ed infine ai CC;

2.2 violazione di legge in relazione all'art. 337 cod. pen. e vizio di motivazione: si contesta che la Corte di appello non ha considerato l'assenza di una finalità impeditiva dell'atto del pubblico ufficiale nella condotta dell'imputato e l'assenza di connessione teleologica tra la presunta condotta violenta ed il compimento dell'atto di ufficio nonché l'assenza di volontarietà del gesto violento, risultando invece, la condotta una reazione istintiva diretta a contestare il contegno delle agenti;

2.3 erronea applicazione della legge penale in relazione al reato di lesioni e vizio di motivazione, in quanto la Corte di appello non ha tenuto conto delle deduzioni difensive, secondo le quali non costituiscono malattia le alterazioni anatomiche dalle quali non derivi una riduzione apprezzabile della funzionalità, come nella fattispecie, e ha errato nel ritenere sussistenti le aggravanti di cui all'art. 61 n. 2 e 10 cod. pen., in quanto la prima assorbe la seconda;

2.4 carenza di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio: si deduce la genericità della motivazione in punto di entità della sanzione e di diniego del giudizio di prevalenza delle attenuanti; si censura il mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 1 cod. pen., avendo l'imputato agito per fine altruistico e disinteressato verso portatori di handicap, e si contesta l'omessa motivazione circa la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, compatibile con l'entità della pena inflitta.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato, al limite dell'inammissibilità, nella misura in cui risulta meramente reiterativo di censure già disattese dalla Corte di appello con motivazione puntuale, esaustiva e non manifestamente illogica.

2. Premesso che il reato contravvenzionale è estinto per prescrizione, maturata il 9 novembre 2015, tenuto conto della sospensione verificatasi nel corso del giudizio di primo grado, non vi sono evidenze conducenti ad un proscioglimento nel merito, ai sensi dell'art. 129, comma secondo, cod. proc. pen.

È, infatti, infondata la censura del ricorrente, in quanto i giudici di merito hanno tenuto conto del reiterato rifiuto del A. A. di fornire le generalità alle due agenti di polizia municipale e hanno soltanto rimarcato anche il rifiuto di consegnare un documento, sottolineando la valenza dispregiativa del rifiuto e della circostanza che il nome e cognome fossero stati, invece, indicati ad altri interlocutori, contattati al solo fine di richiedere un intervento autorevole; hanno, altresì, correttamente ritenuto che tale indicazione non soddisfa il dettato della norma, non essendo sufficiente l'indicazione del solo nome e cognome ad identificare la persona, occorrendo la completa indicazione delle generalità.

I giudici hanno fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte, secondo i quali l'elemento materiale del reato previsto dall'art. 651 cod. pen. consiste nel rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità e non nella mancata esibizione di un documento, che costituisce violazione dell'art. 4, comma 2, T.U.L.P.S. e art. 294 del relativo regolamento, e, data la natura istantanea del reato, è irrilevante che tali indicazioni vengano fornite successivamente (Sez. 1, n. 9957 del 14/11/2014, dep. 2015, De Michele, Rv. 262644).

Conseguentemente, la sentenza va annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui all'art. 651 cod. pen. perché estinto per prescrizione e, per l'effetto, va eliminata la relativa pena di 100 euro di ammenda.

3. Le censure in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di resistenza sono infondate, risultando pacificamente dalla dinamica del fatto, narrata dalle persone offese, e dalla puntuale ricostruzione contenuta nella sentenza di primo grado, che si salda a quella impugnata, la natura oppositiva della condotta dell'imputato, diretta a contrastare l'azione delle agenti.

Dalle sentenze di merito risulta che le agenti stavano compiendo rilievi planimetrici a seguito di un incidente stradale mortale quando erano state investite da ripetute e pesanti ingiurie da parte dell'imputato, che contestava loro di aver occupato indebitamente un posto riservato agli invalidi, offendendole con termini dispregiativi sia in occasione del primo transito che in quello successivo. Proprio dall'insorgere del diverbio e dal degenerare della situazione lungo la pubblica via era scaturita la legittima richiesta di identificazione da parte delle due agenti, alla quale l'imputato aveva opposto un netto rifiuto, dapprima temporeggiando con telefonate dirette a vari organi di polizia ed infine, reagendo, scagliando loro contro la bicicletta.

Il gesto, che il ricorrente reputa meramente di stizza, ma non diretto a ledere, è stato, invece, correttamente ritenuto oppositivo e contestuale alla reiterata richiesta di identificazione in un clima di crescente alterazione dell'imputato.

4. Del tutto infondata è la censura relativa al delitto di lesioni, avuto riguardo alla certificazione medica, che attesta una prognosi di alcuni giorni.

Correttamente è stata ritenuta la sussistenza del reato, in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale anche la contusione, in quanto alterazione anatomica e funzionale dell'organismo, costituisce malattia ai sensi dell'art. 582 cod. pen. (così, tra le tante, Sez. 7, n. 29786 del 31/05/2016, Ferro, Rv. 268034 e Sez. 5, n. 22781 del 26/04/2010, L., Rv. 247518, in relazione a contusione giudicata guaribile in tre giorni).

Infondata è anche l'ulteriore censura, in quanto dalla sentenza risulta che è stata ritenuta unicamente l'aggravante di cui all'art. 61 n. 2 cod. pen.

5. Anche in punto di trattamento sanzionatorio le censure sono infondate, perché generiche, a fronte di motivazione completa e puntuale della Corte di appello.

Precisato che nei motivi di appello non era stato richiesto né il giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sull'aggravante contestata né il riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 1 cod. pen., cosicché il motivo è inammissibile, la richiesta di rideterminazione di una pena più mite consiste in una mera istanza di rivalutazione della pena, già fissata in misura prossima al minimo edittale, come ritenuto dalla Corte di appello, che ha escluso la possibilità di ridurre ulteriormente la pena in ragione della pervicacia della condotta dell'imputato, arrestatasi solo dopo l'intervento della terza forza di polizia, richiesto dal A. A.

Parimenti infondata è la censura in ordine al diniego della sospensione condizionale, giustificata dalla Corte di appello in ragione della prognosi negativa formulabile, fondata sul precedente specifico e non sulla sola entità della pena, come ritenuto dal ricorrente.



Per questi motivi

Annulla senza rinvio l'impugnata sentenza limitatamente al reato di cui all'art. 651 cod. pen. (di cui al capo B) ed elimina la relativa pena di 100 euro di ammenda.

Rigetta nel resto il ricorso.



Così deciso, il 10 febbraio 2017.



Il Presidente: CONTI
Il Consigliere estensore: CRISCUOLO


Depositato in Cancelleria il 28 marzo 2017.

Il Funzionario Giudiziario