giovedì 5 marzo 2015

La decadenza del P.E., prevista dall'art. 4 della L, 287/91, è atto dovuto se l'attivazione non avviene entro 180 giorni

N. 00852/2015REG.PROV.COLL.
N. 09396/2005 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9396 del 2005, proposto da:
Celli Giuseppina, rappresentata e difesa dall'avvocato Mario Cappelleri, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, Via Caio Mario, n. 13;
contro
Comune di Roma, in persona del Sindaco pro tempore,rappresentato e difeso dall'avvocato Rosalda Rocchi, domiciliata in Roma, Via del Tempio di Giove, n. 21;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE II TER, n. 9153/2004, resa tra le parti, concernente revoca autorizzazione esercizio di somministrazione di alimenti e bevande.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 febbraio 2015 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Mario Cappelleri e Angela Raimondi su delega dell’avvocato Rosalda Rocchi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per il Lazio, Celli Giuseppina invocava l’annullamento della determinazione dirigenziale della XVII Circoscrizione del Comune di Roma n. 1808 del 8/10/1999, con cui veniva disposta nei suoi confronti la revoca della autorizzazione assentita per esercizio di somministrazione di alimenti e bevande, sul rilievo che l’esercizio legittimo di tale attività era stato subordinato al possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi mentre invece non era stata dalla interessata completata la relativa documentazione, né era stata dalla stessa indicata l’ubicazione del locale per l’esercizio della suddetta attività per la quale ragione era ormai decorso il termine previsto dall’art. 4 della L. n. 287/1991 per l’inizio delle attività di somministrazione di alimenti e bevande già autorizzate.
2. Il primo giudice respingeva il ricorso, rilevando la corretta applicazione dell’art. 4 della legge n. 287/1991, il quale impone l’attivazione dell’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande autorizzato nel termine di centottanta giorni a pena di revoca della stessa autorizzazione. Sotto questo profilo il TAR, inoltre, evidenziava la correttezza dell’agere dell’amministrazione comunale nel non riconoscere alcuna rilevanza alla vicenda connessa con la domanda dell’interessato di occupazione di suolo pubblico, né alla sua reiezione né al ricorso presentato avverso il relativo atto di diniego.
3. Avverso la sentenza indicata in epigrafe ha proposto appello l’originaria ricorrente, chiedendo la riforma della sentenza impugnata per le seguenti ragioni: a) l’amministrazione comunale avrebbe dovuto applicare l’art. 22, comma 4, lett. a), d.lgs. 114/1998, jus superveniens rispetto alla l. n. 287/1991, che, nel disciplinare la revoca della licenza di somministrazione di alimenti e bevande, prevede il più ampio termine di un anno, risultando irrilevante la circostanza che la norma faccia riferimento agli esercizi commerciali allocati su aree privata; b) la sentenza non avrebbe dato il giusto peso alla condotta dell’amministrazione, culminata nel diniego di concessione di suolo pubblico, che avrebbe fatto maturare il termine semestrale di decadenza dalla licenza di somministrazione.
4. Costituitasi in giudizio, l’amministrazione comunale con le proprie difese ha chiesto la conferma della sentenza di prime cure, evidenziando tra l’altro che il diniego di occupazione di suolo pubblico impugnato dinanzi al TAR per il Lazio è stato ritenuto legittimo con sentenza n. 2578/2001, passata in giudicato. Inoltre, la licenza di somministrazione sarebbe stata rilasciata per l’esercizio in locali e non su suolo pubblico, quindi nulla avrebbe impedito all’originaria ricorrente di dare corso alla suddetta attività. Non sarebbe applicabile l’art. 22, comma 4, lett. a), d.lgs. n. 114/1998, che si riferisce alle medie strutture di vendita. Pertanto, dovrebbe trovare applicazione l’art. 4, l. n. 287/1991, disposizione confermata anche dalla legislazione successiva, ossia dall’art. 64, d.lgs. n. 59/2010.
5. All’udienza di discussione del 3 febbraio 2015 il difensore dell’appellante ha avanzato istanza istruttoria volta all’acquisizione di documenti per comprovare la collocazione di un chiosco su area pubblica.
6. Il Collegio ritiene di non poter dare seguito all’istanza istruttoria suddetta, trattandosi di richiesta generica, avanzata tardivamente solo in sede di discussione, in assenza di un elemento documentale indiziario, sicché non può essere accolta nemmeno secondo il principio dispositivo con metodo acquisitivo, che pure anima il processo amministrativo, ma non consente al giudicante di supplire alla inerzia di parte.
7. Tanto premesso, l’appello è in parte inammissibile ed in parte infondato.
7.1. Quanto alla prima doglianza, la stessa non può essere scrutinata atteso che non rientra nel thema decidendi fissato con il ricorso introduttivo del giudizio di prime cure.
7.2. Quanto alla seconda doglianza, invece, la stessa è del tutto destituita di fondamento per plurime ragioni. Innanzitutto non può in alcun modo essere addebitato all’amministrazione comunale il decorso del termine semestrale per il quale era maturata la decadenza dalla licenza di somministrazione, giacché la legittimità del diniego in questione veniva confermata con la sentenza del TAR Lazio sopra citata. Inoltre, poiché la licenza era stata rilasciata per l’esercizio in locali privati non vi era alcuna ragione di impedimento all’utilizzo della stessa, non potendo l’avvio dell’attività ritenersi condizionato al positivo accoglimento della diversa richiesta di occupazione di suolo pubblico.
D’altro canto, l’art. 4, l. n. 287/1991, come costantemente ribadito dalla giurisprudenza di questo Consiglio (ex plurimis, Cons. St., Sez. V, 25 maggio 2009, n. 3232), configura un’ipotesi di decadenza ex lege. Infatti, benché impropriamente definita come revoca, si tratta di un effetto giuridico che si determina al verificarsi delle condizioni di non esercizio indicate dalla detta norma e che comporta, da parte dell'autorità competente, l'adozione del provvedimento conseguente che si pone alla stregua di un atto dovuto di natura ricognitiva - dichiarativa, salvo che non intervenga una proroga rilasciata a seguito di apposita motivata richiesta, tuttavia, prima del decorso del termine assegnato dalla legge. Ne consegue che, qualora tale proroga non risulti rilasciata ed il titolare della detta autorizzazione non attivi l'esercizio entro centottanta giorni dalla data del rilascio, si è in presenza di un'ipotesi di decadenza dell'autorizzazione precedente.
8. In definitiva, per le suddette ragioni l’appello deve essere in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte inammissibile ed in parte infondato.
Condanna Celli Giuseppina al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge, in favore dell’amministrazione comunale di Roma.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Nicola Gaviano, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore
Raffaele Prosperi, Consigliere




L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE










DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)