N. 09396/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9396 del 2005, proposto da:
Celli Giuseppina, rappresentata e difesa dall'avvocato Mario Cappelleri, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, Via Caio Mario, n. 13;
Celli Giuseppina, rappresentata e difesa dall'avvocato Mario Cappelleri, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, Via Caio Mario, n. 13;
contro
Comune di Roma, in persona del Sindaco pro tempore,rappresentato e difeso dall'avvocato Rosalda Rocchi, domiciliata in Roma, Via del Tempio di Giove, n. 21;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE II
TER, n. 9153/2004, resa tra le parti, concernente revoca autorizzazione
esercizio di somministrazione di alimenti e bevande.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 febbraio
2015 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli
avvocati Mario Cappelleri e Angela Raimondi su delega dell’avvocato
Rosalda Rocchi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per il Lazio,
Celli Giuseppina invocava l’annullamento della determinazione
dirigenziale della XVII Circoscrizione del Comune di Roma n. 1808 del
8/10/1999, con cui veniva disposta nei suoi confronti la revoca della
autorizzazione assentita per esercizio di somministrazione di alimenti e
bevande, sul rilievo che l’esercizio legittimo di tale attività era
stato subordinato al possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi
mentre invece non era stata dalla interessata completata la relativa
documentazione, né era stata dalla stessa indicata l’ubicazione del
locale per l’esercizio della suddetta attività per la quale ragione era
ormai decorso il termine previsto dall’art. 4 della L. n. 287/1991 per
l’inizio delle attività di somministrazione di alimenti e bevande già
autorizzate.
2. Il primo giudice respingeva il ricorso, rilevando
la corretta applicazione dell’art. 4 della legge n. 287/1991, il quale
impone l’attivazione dell’esercizio di somministrazione di alimenti e
bevande autorizzato nel termine di centottanta giorni a pena di revoca
della stessa autorizzazione. Sotto questo profilo il TAR, inoltre,
evidenziava la correttezza dell’agere dell’amministrazione
comunale nel non riconoscere alcuna rilevanza alla vicenda connessa con
la domanda dell’interessato di occupazione di suolo pubblico, né alla
sua reiezione né al ricorso presentato avverso il relativo atto di
diniego.
3. Avverso la sentenza indicata in epigrafe ha
proposto appello l’originaria ricorrente, chiedendo la riforma della
sentenza impugnata per le seguenti ragioni: a) l’amministrazione
comunale avrebbe dovuto applicare l’art. 22, comma 4, lett. a), d.lgs.
114/1998, jus superveniens rispetto alla l. n. 287/1991, che, nel
disciplinare la revoca della licenza di somministrazione di alimenti e
bevande, prevede il più ampio termine di un anno, risultando irrilevante
la circostanza che la norma faccia riferimento agli esercizi
commerciali allocati su aree privata; b) la sentenza non avrebbe dato il
giusto peso alla condotta dell’amministrazione, culminata nel diniego
di concessione di suolo pubblico, che avrebbe fatto maturare il termine
semestrale di decadenza dalla licenza di somministrazione.
4. Costituitasi in giudizio, l’amministrazione
comunale con le proprie difese ha chiesto la conferma della sentenza di
prime cure, evidenziando tra l’altro che il diniego di occupazione di
suolo pubblico impugnato dinanzi al TAR per il Lazio è stato ritenuto
legittimo con sentenza n. 2578/2001, passata in giudicato. Inoltre, la
licenza di somministrazione sarebbe stata rilasciata per l’esercizio in
locali e non su suolo pubblico, quindi nulla avrebbe impedito
all’originaria ricorrente di dare corso alla suddetta attività. Non
sarebbe applicabile l’art. 22, comma 4, lett. a), d.lgs. n. 114/1998,
che si riferisce alle medie strutture di vendita. Pertanto, dovrebbe
trovare applicazione l’art. 4, l. n. 287/1991, disposizione confermata
anche dalla legislazione successiva, ossia dall’art. 64, d.lgs. n.
59/2010.
5. All’udienza di discussione del 3 febbraio 2015 il
difensore dell’appellante ha avanzato istanza istruttoria volta
all’acquisizione di documenti per comprovare la collocazione di un
chiosco su area pubblica.
6. Il Collegio ritiene di non poter dare seguito
all’istanza istruttoria suddetta, trattandosi di richiesta generica,
avanzata tardivamente solo in sede di discussione, in assenza di un
elemento documentale indiziario, sicché non può essere accolta nemmeno
secondo il principio dispositivo con metodo acquisitivo, che pure anima
il processo amministrativo, ma non consente al giudicante di supplire
alla inerzia di parte.
7. Tanto premesso, l’appello è in parte inammissibile ed in parte infondato.
7.1. Quanto alla prima doglianza, la stessa non può essere scrutinata atteso che non rientra nel thema decidendi fissato con il ricorso introduttivo del giudizio di prime cure.
7.2. Quanto alla seconda doglianza, invece, la stessa è
del tutto destituita di fondamento per plurime ragioni. Innanzitutto
non può in alcun modo essere addebitato all’amministrazione comunale il
decorso del termine semestrale per il quale era maturata la decadenza
dalla licenza di somministrazione, giacché la legittimità del diniego in
questione veniva confermata con la sentenza del TAR Lazio sopra citata.
Inoltre, poiché la licenza era stata rilasciata per l’esercizio in
locali privati non vi era alcuna ragione di impedimento all’utilizzo
della stessa, non potendo l’avvio dell’attività ritenersi condizionato
al positivo accoglimento della diversa richiesta di occupazione di suolo
pubblico.
D’altro canto, l’art. 4, l. n. 287/1991, come costantemente ribadito dalla giurisprudenza di questo Consiglio (ex plurimis, Cons. St., Sez. V, 25 maggio 2009, n. 3232), configura un’ipotesi di decadenza ex lege.
Infatti, benché impropriamente definita come revoca, si tratta di un
effetto giuridico che si determina al verificarsi delle condizioni di
non esercizio indicate dalla detta norma e che comporta, da parte
dell'autorità competente, l'adozione del provvedimento conseguente che
si pone alla stregua di un atto dovuto di natura ricognitiva -
dichiarativa, salvo che non intervenga una proroga rilasciata a seguito
di apposita motivata richiesta, tuttavia, prima del decorso del termine
assegnato dalla legge. Ne consegue che, qualora tale proroga non risulti
rilasciata ed il titolare della detta autorizzazione non attivi
l'esercizio entro centottanta giorni dalla data del rilascio, si è in
presenza di un'ipotesi di decadenza dell'autorizzazione precedente.
8. In definitiva, per le suddette ragioni l’appello
deve essere in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto. Le
spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe
proposto, lo dichiara in parte inammissibile ed in parte infondato.
Condanna Celli Giuseppina al pagamento delle spese del
presente grado di giudizio che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00),
oltre accessori di legge, in favore dell’amministrazione comunale di
Roma.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Nicola Gaviano, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore
Raffaele Prosperi, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)