Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 2 luglio – 25 settembre 2014, n. 20307
Presidente Finocchiaro – Relatore Ambrosio
Svolgimento del processo e motivi della decisione
E' stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
«1. Con sentenza n. 1108 in data 17.10.2011 la Corte di appello di
Brescia -rigettando l'appello proposto da A.N.B. nei confronti della
Cadge Assicurazioni s.p.a. e di O.C. - ha confermato la sentenza n.
517/2005 del Tribunale di Cremona di rigetto della domanda
dell'appellante di risarcimento danni da incidente stradale.
2. Avverso detta decisione ha proposto ricorso per cassazione A.N.B. formulando tre motivi.
La Cadge Assicurazioni s.p.a. ha resistito con controricorso.
Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte dell'altro intimato.
3. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in
applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., in quanto
appare destinato ad essere rigettato.
4. Con i motivi di ricorso si denuncia: I) violazione, falsa
applicazione ed erronea interpretazione delle norme relative alla
responsabilità del fatto illecito, in particolare dell'art. 2054 cod.
civ. e dell'art. 347 d.P.R. n. 345 del 1992; II) omesso esame circa un
fatto decisivo del giudizio, oggetto di discussione tra le parti,
rappresentato dalle lesioni subite dal B. che sarebbero indice della
velocità dei veicolo investitore; III) «errore» per avere ritenuto
implicitamente superata la presunzione di responsabilità prevista
dall'art. 2054 cod. civ. ed omesso esame circa ulteriore fatto decisivo
oggetto di discussione tra le parti e, segnatamente, sulla situazione di
pioggia battente o meno al momento dell'incidente.
4.1. I motivi di ricorso, per buona parte ripetitivi e, comunque, strettamente connessi, si esaminano congiuntamente.
Va premesso che la Corte di appello ha motivatamente condiviso la
ricostruzione fattuale operata dal primo giudice, segnatamente
osservando sulla scorta del verbale della Polizia municipale di Cremona,
delle informative da questa acquisite, nonché delle risultanze del
procedimento penale: che il B. aveva violato l'art. 190 C.d.S. e che
viceversa non veniva in rilevo l'art. 347 C.d.S., giacchè il pedone
«aveva "tagliato" la sede stradale in senso diagonale, sbucando
"improvvisamente davanti alla macchina dell'imputato" »; che non vi
erano elementi oggettivi per contrastare le dichiarazioni del teste
oculare Ferrari in ordine alla velocità adeguata alle circostanze tenuta
dal veicolo e, in particolare, che «l'esito delle lesioni è ragionevole
conseguenza della caduta piuttosto che dell'urto»; che per giunta
«l'affermazione del primo giudice circa il difetto di nesso e eziologico
fra la velocità dei convenuto ed il sinistro» non erano stato oggetto
di specifica contestazione da parte dell'appellante; che, in definitiva,
«i dati processuale affermano che l'urto tra il pedone e l'auto si è
verificato nella semicarreggiata percorsa dalla Peugeot ed è stato
determinato dalla decisione del B. che, del tutto inopinatamente, aveva
intrapreso l'attraversamento della corsia percorsa dall'autovettura a 50
mt. da un passaggio pedonale e senta che il C. fosse in grado di
percepirne la presenta "in quanto coperto nella visuale dalla fila di
macchine ferme al semaforo"».
4.2. Orbene gli argomenti di segno contrario di parte ricorrente
riguardano essenzialmente circostanze di fatto, del tutto
incontrollabili come tali e, comunque, non sindacabili in sede di
legittimità in quanto il ragionamento dei giudici di appello è, al
riguardo, immune da errori logici, nonchè conforme alla giurisprudenza
di questa Corte, secondo cui in caso di investimento di pedone, la
responsabilità del conducente prevista dall'art. 2054 c.c. è esclusa
quando risulti provato che non vi era, da parte di quest'ultimo, alcuna
possibilità di prevenire l'evento; tale situazione ricorre allorché il
pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile e anormale, sicché
l'automobilista si sia trovato nell'oggettiva impossibilità di
avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti (Cass.
03 maggio 2011, n. 9683).
Il ricorso, pur surrettiziamente deducendo violazione di legge e
vizio di motivazione, si sostanzia in una serie di personali valutazioni
e, in definitiva, esprime un convincimento contrario a quello del
giudice del merito, così sollecitando un inammissibile riesame del
materiale probatorio e una soluzione della controversia favorevole alla
sua tesi; e ciò esula dal sindacato di legittimità di cui all'art. 360
cod. proc. civ., il quale non consiste nella rivalutazione degli
elementi di merito, ma soltanto nel controllo del processo logico
seguito dal giudice in ordine all'esercizio del potere dovere di
esaminare e valutare i fatti in contestazione e all'obbligo, qui
assolto, di munire la decisione di un'adeguata e logica motivazione.
5. In definitiva la decisione impugnata resiste alle critiche formulate da parte ricorrente.».
A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di
consiglio, il Collegio - esaminate le memorie delle parti e ritenuto che
i rilievi contenuti nella memoria di parte ricorrente non hanno
evidenziato profili tali da condurre ad una decisione diversa da quella
prospettata nella relazione - ha condiviso i motivi in fatto ed in
diritto esposti nella relazione stessa.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo
alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 55/2014, seguono la
soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso
delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in € 7.500,00 (di cui €
200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge e contributo spese
generali.