Corte di
Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 7 gennaio – 4 marzo 2014, n. 4983
Presidente Vidiri – Relatore
Ghinoy
Svolgimento del
processo
Con
la sentenza non definitiva n. 291 del 2007 la Corte d'Appello di Catania
confermava la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva dichiarato
l'illegittimità del licenziamento intimato il 21.9.2000 a C.C. , dipendente
degli Stati Uniti d'America presso il dipartimento Navy Exchange della base
NATO di (omissis), addetto allo spaccio posto all'interno della base con le
mansioni di impiegato, visual marchandiser ES5 (vetrinista), previste dal CCNL
per il personale civile delle forze armate USA operanti in Italia. Accogliendo
poi l'appello proposto dal C. , riteneva applicabile al Navy Exchange il regime
della tutela reale previsto dall'art. 18 della L. 300 del 1970 e condannava gli
Stati Uniti d'America alla reintegrazione del dipendente ed alle conseguenze
previste dalla norma. Disponeva la prosecuzione della causa per l'ulteriore
istruzione in relazione alla domanda avente ad oggetto il riconoscimento degli
altri danni sofferti a causa del licenziamento. Il licenziamento era stato
irrogato per avere il C. :
-
in più occasioni, e precisamente il 23.5.2000, il 26.5.2000, l'8.6.2000 ed il
29.6.2000, timbrato il cartellino marcatempo anche per la collega T. nonostante
la stessa non fosse presente;
-
acconsentito che la collega, a sua volta, timbrasse il suo cartellino in sua
assenza il 22.5.2000, il 2.6.2000 ed il 28.6.2000.
La
Corte riteneva che la sentenza impugnata avesse correttamente concluso che i
fatti indicati non erano confortati da riscontri adeguati, dal momento che i
testimoni escussi avevano confermato che nei giorni oggetto della contestazione
la T. marcava il cartellino per conto dell'appellante e viceversa, ma nessuno
degli stessi era stato in grado di confermare se al momento in cui ciò si
verificava entrambi fossero o meno presenti sul luogo di lavoro (né se fossero
o meno arrivati più tardi).
Di
conseguenza il licenziamento non risultava neppure proporzionato alla reale
portata della condotta.
L'applicabilità
della tutela reale era invece affermata in considerazione del fatto che il Navy
Exchange - struttura che, nell'ambito della Marina Militare degli Stati Uniti,
gestisce gli spacci per i militari presso le basi U.S.A. in Italia - svolge
un'attività di natura imprenditoriale, sia per l'oggetto, in quanto si occupa
della vendita di innumerevoli prodotti di consumo alla stregua di un grande
centro commerciale, sia per la gestione, svolta con criteri di economicità,
diretta a rendere un servizio, anche economicamente redditizio, in favore della
comunità americana. Né lo stato estero aveva dimostrato, com'era suo onere, che
l'attività fosse svolta senza alcuna economicità di gestione e con
caratteristiche di pura erogazione assistenziale. Con la successiva sentenza
definitiva n. 812 del 7.10.2010, la Corte d'Appello confermava la sentenza di primo
grado nella parte in cui aveva rigettato le ulteriori domande risarcitorie.
Gli
Stati Uniti d'America hanno proposto ricorso per la cassazione di tali
sentenze.
Ha
resistito il sig. C.S. , che ha proposto ricorso incidentale avverso la
sentenza definitiva nella parte in cui ha respinto la domanda di liquidazione
degli ulteriori danni.
Gli
Stati Uniti d'America hanno depositato controricorso al ricorso incidentale
nonché memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della
decisione
1-
Deve preliminarmente essere disposta la riunione del ricorso principale e di
quello incidentale, in quanto proposti avverso la medesima sentenza (art. 335
cod. proc. civ.).
2-
Come primo motivo di ricorso gli Stati Uniti d'America lamentano l’omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione ad un fatto
controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell'art. 360 n. 5
c.p.c.". Sostengono che la sentenza non definitiva e definitiva sarebbero
contraddittorie laddove la prima argomentava che lo Stato estero non aveva fornito
la prova dei fatti contestati e che il collaboratore del responsabile per la
sicurezza sig. C.R. ne aveva artatamente modificato la ricostruzione in ragione
dei contrasti che si erano determinati tra lui, il C. e la T. , mentre nella
sentenza definitiva si diceva che l'anomalia delle timbrature costituiva
circostanza del tutto pacifica in causa e che nulla emergeva in ordine ad un
presunto complotto ordito ai danni del C. da Ca. e B. . Lamentano altresì che
la sentenza non definitiva avrebbe ignorato le risultanze del Rapporto
investigativo dell'Ufficio prevenzione perdite del 24.7.2000, la cui
acquisizione era stata disposta d'ufficio dal giudice di primo grado, dal quale
risultavano accertati i fatti contestati al sig. C. e per i quali egli era stato
licenziato.
3-
Come secondo motivo deducono "violazione e falsa applicazione dell'art. 18
L. 20 maggio 1970 n. 300, dell'art. 4 della L. 11 maggio 1990, n. 108,
dell'art. 2697 c.c. nonché dell'art. 437 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3
c.p.c. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione
all'art. 360 n. 5 c.p.c.".
Lamentano
che la Corte territoriale, nel riconoscere l'applicabilità della tutela reale
al licenziamento per cui è causa, si sia discostata dall'orientamento consolidato
di segno contrario espresso dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 8588 del 1
ottobre 1996 e dalla giurisprudenza di merito che vi si è adeguata e abbia
richiamato la sentenza n. 7837 del 2005 resa in relazione ad una fattispecie
diversa da quella di causa.
Aggiungono
in subordine che la Corte, anziché limitarsi a ritenere non assolto l'onere
dello Stato estero di dimostrare l'assenza di fini di lucro, avrebbe dovuto
valersi dei poteri officiosi previsti dall'art. 437 c.p.c. ed ammettere la
consulenza tecnica che era stata richiesta nelle note autorizzate del 5.4.2007,
in considerazione del revirement costituito dalla sentenza del 2005.
4
- Il sig. C. ha proposto ricorso incidentale avverso la sentenza definitiva per
"contraddittorietà ed illogicità della motivazione, duplicità di pronunzia
su un punto già deciso, omessa motivazione circa un punto decisivo del
giudizio". Sostiene che la Corte d'Appello nel decidere in ordine alla sua
domanda di risarcimento del danno ed escludendo che tale diritto sussistesse in
difetto di condotte datoriali mobbizzanti o vessatorie, sarebbe tornata ad
esprimersi su un punto già affrontato nella sentenza non definitiva, che aveva
disposto c.t.u. medica implicitamente riconoscendo il diritto al risarcimento
del danno ulteriore, esprimendo una valutazione dei fatti con essa
contraddittoria. Inoltre, nell'escludere il carattere ingiurioso e
discriminatorio del licenziamento, non avrebbe tenuto conto di circostanze
risultanti agli atti, quali il fatto che la collega T. dopo il licenziamento
era stata immediatamente riassunta ed assegnata ad un ufficio strategico, il
fatto che le mansioni che gli erano state assegnate, di montaggio delle
scaffalature e sollevamento pesi, non rientravano in quelle di impiegato che
egli svolgeva, il fatto che la condotta addebitata con il licenziamento
illegittimo configurasse un'ipotesi di reato e quindi fosse lesiva del suo
onore e del suo decoro.
5
- Il primo motivo di ricorso ed il ricorso incidentale affrontano i rapporti
tra l'accertamento compiuto nella sentenza non definitiva n. 291 del 2007 e
quello compiuto nella sentenza definitiva n. 812 del 2010, lamentandone la
duplicazione e/o la contraddittorietà in relazione ad aspetti differenti.
Costituisce
insegnamento da tempo consolidato di questa Corte, che si ritrova sin dalla
sentenza n. 4720 del 05/11/1977 ed è stato ribadito da ultimo da Cass. sez. 3,
n. 2332 del 16/02/2001, che "le statuizioni contenute nella sentenza non
definitiva non possono essere modificate o revocate con la sentenza definitiva,
poiché i singoli punti della sentenza che non definisce il processo possono
essere sottoposti a riesame solo con le impugnazioni, mentre la non definitiva
concerne solo la non integralità della decisione della controversia e non anche
la mutabilità, da parte dello stesso giudice, di ciò che e stato deciso".
Si
rende allora necessario stabilire quali siano stati gli ambiti degli
accertamenti compiuti da ciascuna delle due sentenze gravate e delle relative
statuizioni onde verificare se le sovrapposizioni denunciate dalle parti
effettivamente sussistano. La sentenza del 2007 ha esaminato le contestazioni
poste a base del licenziamento e le ha vagliate alla luce delle emergenze
istruttorie, confermando la statuizione del primo Giudice secondo il quale non
era risultata la prova della falsa attestazione della presenza e dell'orario di
ingresso del C. e della T. . Esaurita tale valutazione, la prima sentenza ha
disposto la prosecuzione del processo per la necessità di ulteriore istruzione
in relazione alla domanda avente ad oggetto il riconoscimento dei danni
ulteriori sofferti a seguito del licenziamento.
Con
tale inciso della motivazione non può ritenersi che la Corte abbia
"implicitamente" riconosciuto la spettanza di tale ulteriore
risarcimento, dal momento che nessuna parola è stata spesa in ordine a quelli
che ne sarebbero gli eventuali presupposti, che non possono ritenersi in re
ipsa nell'illegittimità del recesso, ma devono consistere in un pregiudizio
diverso e ulteriore (v. Cass. Sez. L, n. 30668 del 30/12/2011, in merito alla
prova della natura ingiuriosa del licenziamento, e Sez. L, n. 26561 del
17/12/2007 in un caso in cui era dedotto un danno esistenziale).
Nell'espletamento
della funzione assegnatale, la sentenza definitiva ha ritenuto quindi che non
fossero stati dedotti gli elementi per qualificare il licenziamento come
ingiurioso; ha poi escluso che sussistessero i presupposti invocati per
l'ulteriore danno alla salute, asseritamente determinato da una condotta
vessatoria messa in atto dai superiori gerarchici B.R. e Ca.Ro. , che si
sarebbero concretati nel demansionamento con attribuzione di mansioni di
montaggio e smontaggio di scaffalature, nella riduzione dell'orario del
lasciapassare per l'accesso alla base ed infine nel licenziamento.
Non
vi è stata quindi tra le due sentenze sovrapposizione di statuizioni, essendo
rimasta ciascuna all'interno di un ambito diverso.
6
- Scendendo specificamente alle doglianze mosse con il primo motivo, deve poi
escludersi che tra le due sentenze vi sia stata contraddittorietà di
accertamenti. Ciò in primo luogo in quanto la finalità della valutazione - come
sopra anticipato - era diversa; ma anche nella sostanza, che la versione dei
fatti possa essere stata alterata dal malanimo del Ca. nei confronti del C. non
contraddice il fatto che non sussistesse un "complotto" tra Ca. e B.
ai danni del C. , richiedendosi in tal caso un complesso di condotte più
articolato e organizzato; il fatto poi che le timbrature reciproche tra C. e T.
sia stato accertato non contraddice che la timbratura ad opera di un collega
potesse essere fatta anche quando l'altro era in servizio e che pertanto
l'addebito così come formulato non sia risultato provato.
Quanto
al verbale investigativo, esso non è stato trascurato nella prima sentenza,
considerato che al contrario nella motivazione se ne sottopongono le risultanze
al vaglio delle prove testimoniali, trattandosi di elemento predisposto
unilateralmente prima ed al di fuori del giudizio. Tale scrutinio è stato
compiuto in modo completo ed adeguato, e le relative conclusioni attengono alla
valutazione di merito che non è sindacabile in questa sede di legittimità.
7
- Con il motivo prospettato a sostegno del ricorso incidentale si richiede una
valutazione delle risultanze istruttorie che attiene al merito della decisione.
Nella motivazione della Corte catanese gli elementi riproposti dal ricorrente
incidentale sono stati infatti adeguatamente valutati, essendo stata effettuata
una compiuta disamina del valore dell'attribuzione delle mansioni di montaggio
delle scaffalature e della sostituzione del badge di accesso per escluderne la
natura vessatoria. Il fatto poi che la T. a differenza del C. , dopo essere
stata licenziata fosse stata riassunta ed assegnata "ad un ufficio strategico"
costituisce circostanza successiva ai fatti di causa della quale non sono note
cause e precise modalità, sicché la mancata specifica valutazione è stata
frutto di un'implicita valutazione di non decisività. Tale soluzione è del
tutto conforme al principio consolidato secondo il quale "la valutazione
delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei
testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le
varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la
motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito,
il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con
esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni
del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo
elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi
implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non
menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione
adottata" (Sez. L, sentenza n. 21412 del 05/10/2006, conf. Sez. L,
sentenza n. 4391 del 26/02/2007, Sez. L, sentenza n. 16346 del 24/07/2007). La
deduzione poi che la natura stessa dell'addebito, costituente illecito penale,
renda di per sé il licenziamento ingiurioso, confonde il profilo
dell'illegittimità con quello dell'ingiuriosità, la cui differenza è stata ben
ribadita negli arresti reiterati di questa Corte secondo i quali "il
licenziamento ingiurioso, ossia lesivo della dignità e dell'onore del
lavoratore, che da luogo al risarcimento del danno, non si identifica con la
mancanza di giustificatezza, bensì nelle particolari forme o modalità offensive
del recesso datoriale, le quali vanno rigorosamente provate unitamente al
lamentato pregiudizio" (così ex multis la già citata Sez. L, sentenza n.
6845 del 22/03/2010). Nel caso, peraltro, le timbrature incrociate sono
risultate effettivamente poste in essere, anche se non per coprire l'assenza
dei colleghi, sicché la contestazione di per sé non presenta profili di
ingiuriosità.
8
- Con il secondo motivo di ricorso gli Stati Uniti d'America lamentano che la
sentenza gravata abbia escluso che il Navy Exchange rientri nella previsione
dell'art. 4 comma 1 della L. n. 108 del 1990, secondo il quale "(...) La
disciplina di cui all'articolo 18 della le legge 20 maggio 1970, n. 300, come
modificato dall'articolo 1 della presente legge, non trova applicazione nei
confronti dei datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di
lucro attività' di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero
di religione o di culto".
9.
Sull'argomento appare opportuno prendere le mosse dalla sentenza n. 7837 del
2005 di questa Corte, richiamata nella motivazione della Corte d'Appello. La
decisione è stata determinata dalla necessità di identificare in termini
rigorosi l'area dell'immunità costituita dalle "imprese di tendenza"
quale individuata dalla norma sopra riportata. L'affrancamento dalla tutela
reale dell'organizzazione di tendenza, si è osservato, è infatti finalizzato a
proteggere la sua libertà ed a consentire il perseguimento degli obiettivi che
l'ordinamento reputa meritevoli e che giustificano una disciplina
differenziata, senza che ne soffra il principio di uguaglianza; tuttavia, là
dove essa svolga un'attività strutturata a modo d'impresa, finisce per non
essere dissimile da qualunque altro datore di lavoro, di modo che un diverso
trattamento rispetto agli altri datori di lavoro non sarebbe giustificabile.
Nell'applicare tali principi, la sentenza del 2005 ha adottato una nozione di
"impresa" coerente con quella delineata dalle precedenti sentenze,
affermando che "per poter riconoscere il carattere di imprenditorialità
all'attività dal datore di lavoro (associazione o ente) è necessario: a) che
l'attività sia svolta con economicità, cioè che sia diretta al procacciamento
di entrate remunerative dei fattori produttivi e non semplicemente rivolta al
perseguimento di fini sociali dell'ente; b) che sussista una compiuta autonomia
gestionale, implicante poteri deliberativi, ampia libertà di azione ed
organizzazione, separata da quella dell'ente; c) che vi sia autonomia
finanziaria, consistente nella tendenziale capacità di trarre i mezzi necessari
alla copertura dei costi (ed un eventuale utile) dai ricavi delle attività
produttive, e non da sovvenzioni sistematiche; autonomia contabile,
caratterizzata dalla redazione di bilanci separati per il controllo
dell'economicità della gestione".
Muovendo
da tali presupposti generalmente condivisi, la sentenza si è però discostata
dal precedente arresto reso dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 8588 del
01/10/1996, secondo il quale "il carattere di economicità di gestione
dell'attività svolta dall'istituzione va escluso allorché la stessa sia diretta
a scopi di assistenza dell'utente, indipendentemente dall'eventuale profitto,
allorché lo stesso sia rivolto ai medesimi fini istituzionali e
pubblicistici". Ha infatti affermato, recependo l'affermazione resa da
Cass. Sez. L, sentenza n. 1367 del 26/01/2004 - che aveva ritenuto di tipo imprenditoriale
l'attività di prestazione di servizi svolta dalla Confesercenti, o società a
questa collegate, in favore di imprese associate - che i requisiti vanno
valutati secondo gli ordinali criteri, che fanno riferimento al tipo di
organizzazione e all'economicità della gestione, a prescindere dall'esistenza
di un vero e proprio fine di lucro, "restando irrilevante che la
prestazione di servizi, ove effettuata secondo modalità organizzative ed
economiche di tipo imprenditoriale, sia resa solo nei confronti di associati al
soggetto che tali servizi eroga ovvero ad un'organizzazione sindacale cui il
soggetto erogatore sia collegato".
In
tal modo la Corte ha focalizzato l'attenzione sul mezzo, ovvero le
caratteristiche dell'organizzazione, piuttosto che sui fini perseguiti,
ritenendo che non rilevi che questi siano meramente assistenziali o coerenti
con lo scopo istituzionale quando siano conseguiti con una struttura dotata
delle caratteristiche che connotano l’imprenditorialità.
La
giurisprudenza si è successivamente attestata su tale linea, che appare
coerente con la ratio dell'esclusione delle organizzazioni di tendenza dalla
tutela reale, richiedendo un accertamento in concreto dei caratteri
dell'imprenditorialità (in tal senso v. da ultimo Sez. L, sentenza n. 3868 del
12/03/2012 e, per il caso di strutture preposte a fornire servizi al personale
civile e militare delle basi NATO, Sez. L, sentenza n. 13093 del 15/06/2011).
10.
La Corte d'Appello di Catania ha fatto corretto presidio di tale
interpretazione ed ha ritenuto la natura imprenditoriale del Navy Exchange
sulla base delle risultanze che denotavano la sussistenza di un' ampia
organizzazione diretta alla commercializzazione di generi di largo consumo,
realizzata con l'apporto di strutture manageriali e di dipendenti valutati e
selezionati secondo procedure improntate alla produttività ed al massimo
rendimento. Ha rilevato altresì che nessun elemento gli Stati Uniti d'America
avevano fornito per contrastare tali risultanze e indurre a ritenere
l'insussistenza degli elementi distintivi dell'impresa.
Tale
affermazione risulta contrastata nel ricorso con affermazioni del tutto
generiche, dal momento che la difesa dello Stato estero deduce solo di avere
richiamato i precedenti di questa Corte che avevano condiviso la tesi
prospettata, senza però precisare quali sarebbero stati i fatti emersi in
questo giudizio che consentissero di escludere la natura imprenditoriale
dell'attività svolta dal Navy Exchange, né tantomeno puntualizzare da quale
atto processuale essi risultino.
11.
Non si ravvisa inoltre alcun vizio nell'operato della Corte d'Appello nel non
avere disposto la c.t.u. richiesta con le note difensive del 5.4.2007 per
accertare gli elementi da ultimo indicati. La richiesta era infatti tardiva ed
inammissibile: deve osservarsi in proposito che "la consulenza tecnica
d'ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di
coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione
di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne consegue che il
suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la
parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata
qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie
allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa
alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati" (così da ultimo
ex multis Sez. 6 - L, ordinanza n. 3130 del 08/02/2011).
12.
Correttamente quindi la Corte d'Appello ha applicato l'art. 18 della L. 300 del
1970 (nella formulazione all'epoca vigente, anteriore alle modifiche apportate
dalla L. 92/2012), non avendo gli Stati Uniti d'America dimostrato la
sussistenza dei presupposti per l'esonero dall'assoggettamento dalla tutela
reale. La soluzione è coerente con l'elaborazione giurisprudenziale sulla
distribuzione dell'onere della prova, considerato che le Sezioni Unite con la
sentenza n. 141 del 10/01/2006 hanno affermato il principio, che ormai
costituisce ius receptum (v. da ultimo nello stesso senso Sez. L, Sentenza n.
6344 del 16/03/2009) secondo il quale gli elementi che ostano all'applicazione
della tutela reintegratoria costituiscono fatti impeditivi del diritto
soggettivo del lavoratore e pertanto il relativo onere probatorio incombe sul
datore di lavoro.
13.
Nella memoria difensiva depositata ex art. 378 c.p.c., gli Stati Uniti
d'America ampliano le argomentazioni a sostegno della tesi sostenuta,
richiamando in primo luogo la sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione
Europea del 18.10.2012 nella causa C 583/10, tra Stati Uniti d'America e Nolan.
Il
richiamo non è conferente: in quel caso, la Corte Uè era stata chiamata a
pronunciarsi in relazione alla decisione adottata negli Stati Uniti dal
Secretary of the US Army e successivamente approvata dal Secretary of Defense
(Ministro della Difesa) di chiudere la base militare statunitense Reserved
Storage Activity di Hythe (Regno Unito). La Corte ha declinato la propria
competenza, ritenendo che il licenziamento del personale di una base militare
non rientra nell'ambito di applicazione della direttiva 98/59 concernente il
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di
licenziamenti collettivi, in forza dell'esclusione di cui all'articolo 1, paragrafo
2, lettera b), a mente del quale essa non si applica "ai dipendenti delle
pubbliche amministrazioni o degli enti di diritto pubblico (o, negli Stati
membri in cui tale nozione è sconosciuta, degli enti equivalenti)". Nella
presente causa, tuttavia, tale aspetto non è decisivo, in quanto la natura
pubblica di un ente non è elemento sufficiente ad escluderne l'assoggettamento
alla tutela reale prevista dall'art. 18.
14.
Nelle stesse note si richiama altresì il passaggio argomentativo della sentenza
1 luglio 2008 Scattolon c. MIUR in causa C 108/10, nella quale al punto 44) la
Corte UE ribadisce che "Sono escluse in linea di principio, dalla
qualificazione di attività economica le attività che si ricollegano
all'esercizio delle prerogative dei pubblici poteri". L'affermazione della
Corte (che nel caso ha ritenuto applicato la Direttiva 77/187/CEE, sul
Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, al
personale transitato nei ruoli del personale scolastico), non è qui in discussione,
dovendosi tuttavia ribadire che quello che non è emerso in causa è proprio il
fatto che l'organizzazione del Navy Exchange rientri nelle prerogative dello
Stato estero come pubblico potere e non sia piuttosto una struttura svolgente
un'attività economica, dotata di autonomia di bilancio e di gestione.
15.
Nelle note la difesa USA eccepisce altresì il difetto di giurisdizione del
giudice italiano: sostiene che l'applicabilità della legge italiana ai rapporti
di lavoro instaurati dallo Stato estero con i cittadini italiani per il
funzionamento delle sue basi nel nostro territorio non equivale a rinunzia alle
prerogative immunitarie e rileva che l'art. 11 della Convenzione delle Nazioni
Unite del 2004 elenca una serie di casi in cui uno Stato può invocare l'immunità
giurisdizionale davanti a un Tribunale di un altro Stato, tra cui rientra
quello in cui "l'azione ha ad oggetto l'assunzione, la proroga del
rapporto di lavoro o il reinserimento di un individuo" (par. 2 lettera c).
16.
La deduzione è inammissibile sotto diversi profili.
In
primo luogo, deve ribadirsi che nelle memorie ex art. 378 c.p.c. possono essere
chiariti i motivi di impugnazione e confutate le tesi avversarie, ma non può
venire specificato, integrato o ampliato il contenuto dei motivi originari del
ricorso, come ha chiarito la sentenza delle Sezioni Unite n. 11097 del
15/05/2006, così massimata: "Nel giudizio civile di legittimità, con le
memorie di cui all'art. 378 cod. proc. civ., destinate esclusivamente ad
illustrare e chiarire le ragioni già compiutamente svolte con l'atto di
costituzione ed a confutare le tesi avversarie, non è possibile specificare od
integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni che non
fossero state adeguatamente prospettate o sviluppate con il detto atto
introduttivo, e tanto meno, per dedurre nuove eccezioni o sollevare nuove
questioni di dibattito, diversamente violandosi il diritto di difesa della
controparte in considerazione dell'esigenza per quest'ultima di valersi di un
congruo termine per esercitare la facoltà di replica". Tale non era quindi
la sede per sollevare per la prima volta l'eccezione di difetto di
giurisdizione e invocare l'immunità giurisdizionale.
17.
A quanto detto deve aggiungersi che l'eccezione di difetto di giurisdizione non
è mai stata proposta in questo giudizio, con la conseguenza che sulla questione
si è ormai formato il giudicato. L'eccezione, sollevata per la prima volta in
questo giudizio di legittimità, è pertanto inammissibile (così da ultimo Cass.
Sez. 1, Sentenza n. 22097 del 26/09/2013 e Sez. U, Sentenza n. 8363 del
05/04/2013).
18.
Senza entrare nel merito della ricorrenza di presupposti per invocare
l'immunità giurisdizionale, sui quali non si è mai discusso in causa, deve
comunque conclusivamente osservarsi che neppure sulla base della Convenzione
delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni
del 2 dicembre 2004 invocata nella memoria dalla difesa degli Stati Uniti
d'America la soluzione sarebbe diversa, in quanto la partecipazione al
giudizio, anche in veste di ricorrente, ha precluso allo Stato estero - ai
sensi dell'art. 8 comma 1 lettera b) di tale convenzione - la possibilità di
sottrarsi alla giurisdizione italiana.
19.
Entrambi i ricorsi, principale ed incidentale, devono quindi essere respinti.
La
soccombenza reciproca determina la compensazione tra le parti delle spese
processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La
Corte riunisce i ricorsi e li respinge. Compensa tra le parti le spese
processuali.