giovedì 30 agosto 2012

Provvedimento di rimpatrio con foglio di via obbligatorio, per adescamento, da parte del Questore: carente dei presupposti di cui alla legge 27.12.1956 e quindi annullato dal TAR Calabria con sentenza 890/2012

N. 00890/2012 REG.PROV.COLL.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1378 del 2011, proposto da:
Edith Omorogieva, rappresentata e difesa dall'avv. Eduardo Romano, con domicilio eletto presso la segreteria del TAR Calabria;
contro
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Catanzaro, via G.Da Fiore, 34; Questura di Cosenza;
per l'annullamento, previa sospensione,
del provvedimento del Questore della provincia di Cosenza cat. X1-11/M.P.S. del 21.7.2007 di rimpatrio con foglio di via obbligatorio per il comune di residenza e divieto di fare ritorno nel Comune di Cassano allo ionio per un periodo di tre anni.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 luglio 2012 il dott. Alessio Falferi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

A seguito di un controllo delle forze dell’ordine, l’odierna ricorrente è risultata destinataria di un provvedimento, assunto dal Questore di Cosenza ai sensi della legge n. 1423/1956, di rimpatrio con foglio di via obbligatorio al Comune di residenza, con divieto di fare ritorno nel Comune di Cassano allo Ionio per un periodo di anni tre.
Detto ordine è stato adottato sulla base della proposta avanzata dalla Tenenza dei Carabinieri di Cassano alla Ionio, con la quale è stato segnalato che la ricorrente, residente a Gricignano di Aversa (CE), durante un servizio finalizzato alla prevenzione e repressione del reato di favoreggiamento alla prostituzione, sulla strada della frazione di Sibari del Comune di Cassano allo Ionio, era individuata dai Militari dell’arma "con abiti succinti, con atteggiamenti inequivocabili al fine di esercitare l’attività di prostituzione, fenomeno che sta destando serio allarme sociale tra la popolazione di Cassano allo Ionio". Sulla base di detti elementi di fatto, la ricorrente è stata ritenuta "pericolosa per la sicurezza pubblica , in quanto inquadrabile nella categoria di persone prevista dall’art. 1 della legge 1423/56".
La ricorrente ha impugnato il detto provvedimento, formulando anche istanza di sospensione cautelare, ed ha denunciato i seguenti vizi:" 1Violazione e falsa applicazione della legge 27.12.956, n. 1423 e della legge 07.08.1990, n. 241 – difetto dei presupposti di fatto e di diritto – Eccesso di potere – Carenza di istruttoria e di motivazione – Sviamento".
Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, la quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile , irricevibile o comunque rigettato nel merito.
Con ordinanza n. 90, assunta alla Camera di Consiglio del 9 febbraio 2012, è stata accolta l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.
Alla Pubblica Udienza del 6 luglio 2012, il ricorso è passato in decisione.
Parte ricorrente ha rilevato che gli artt. 1 e 2 della legge n. 1423/1956 –ormai abrogata dal D. Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ma applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame – nel testo originario del 1956 risultassero applicabili anche alla prostituzione di strada, unanimemente identificata con l’ipotesi di cui al n. 5 dell’art. 1 -"coloro che svolgono abitualmente altre attività contrarie alla morale pubblica e al buon costume" -; però, a seguito delle modificazioni introdotte dall’art. 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327, si è ristretto notevolmente l’ambito di applicazione della legge a comportamenti qualificati in ogni caso dalla loro rilevanza penale. Pertanto, secondo il testo vigente della legge 1423/1956, il presupposto delle misure di sicurezza è costituito dal fatto che al soggetto siano ascrivibili comportamenti di rilevanza penale, restando eliminato ogni riferimento a comportamenti che, pur qualificabili come disdicevoli, contrari al buon costume ecc., non siano caratterizzati dalla rilevanza penale; la ricorrente ricorda che l’adescamento è stato depenalizzato dal decreto legislativo n. 507/1999, con la conseguenza che esso non può fungere da motivo per l’applicazione delle misure di prevenzione di cui alla legge 1423/1965. Il provvedimento impugnato sarebbe, dunque illegittimo, trovando la sua genesi su un controllo episodico, correlato in via del tutto automatica ed immotivata ad una desunta pericolosità sociale del soggetto controllato. Che i fatti posti a base del provvedimento non abbiano rilevanza penale è dimostrato dalla circostanza che l’Autorità di Pubblica Sicurezza non ha denunciato (né poteva) l’interessata all’Autorità Giudiziaria per alcun reato.
Le censure formulate dalla ricorrente sono fondate e meritano accoglimento.
Premesso che il D.Lgs 6 settembre 2011, n. 159 ha abrogato la legge 27 dicembre 1956, n. 1423, la quale, peraltro, risulta applicabile al caso in esame ratione temporis, osserva, preliminarmente, il Collegio che la legge 3 agosto 1988, n. 327 ha modificato la citata legge n. 1423/1956, sopprimendo all’art. 1 ogni riferimento alla morale ed al buon costume, salvo che per l’offesa o il pericolo per la morale dei minorenni, ed eliminando altresì dall’art. 2, il richiamo alla pericolosità per la pubblica moralità.
L’esercizio della prostituzione, in quanto attività lecita ancorché immorale, non legittima pertanto, di per sé, l’adozione dell’ordine di rimpatrio, potendo tale ordine considerarsi legittimo solo qualora le modalità di esercizio siano tali da costituire, in concreto, pericolo per la sicurezza o la moralità dei minorenni.
Il citato art. 1 della legge n. 1423/1956, infatti, così dispone: "I provvedimenti previsti dalla presente legge si applicano a:
1) coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi;
2) coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose;
3) coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica"
Il successivo art. 2, a sua volta, così dispone: "Qualora le persone indicate nell'articolo precedente siano pericolose per la sicurezza pubblica e si trovino fuori dei luoghi di residenza, il Questore può rimandarvele con provvedimento motivato e con foglio di via obbligatorio, inibendo loro di ritornare, senza preventiva autorizzazione ovvero per un periodo non superiore a tre anni, nel Comune dal quale sono allontanate.
Il contravventore è punito con l'arresto da uno a sei mesi.
Nella sentenza di condanna viene disposto che, scontata la pena, il contravventore sia tradotto al luogo del rimpatrio".
Dal dettato normativo deriva che, ai fini dell’ordine di rimpatrio ex art. 2, comma 1, della citata legge nei confronti di chi si trovi fuori dei luoghi di residenza, il Questore deve accertare la sussistenza di due presupposti necessariamente concorrenti, ossia che si tratti di un soggetto inquadrabile - sulla base di elementi di fatto - in una delle categorie previste dall’art. 1 della medesima legge (individui da ritenersi abitualmente dediti a traffici delittuosi; individui la cui condotta e tenore di vita inducano a ritenere che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; individui da ritenersi, per il loro comportamento, dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica) e che lo stesso soggetto risulti pericoloso per la sicurezza pubblica.
Pertanto, il provvedimento di rimpatrio deve, da un lato, fare riferimento alle circostanze di fatto sulle quali si basa il giudizio di riconducibilità dell’interessato ad una delle categorie indicate nell’art. 1 della legge 1956 n. 1423, dall’altro, indicare le ragioni che inducono a ritenerlo socialmente pericoloso, non essendovi coincidenza tra l’appartenenza ad una delle predette categorie e la pericolosità per la sicurezza pubblica, ex art. 2 della legge n. 1956 n. 1423 (T.A.R. Umbria, sez. I, 1 ottobre 2010, n. 476; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 9 febbraio 2010, n. 320; T.A.R. Emilia Romagna Parma, 21 gennaio 2007 n. 18; T.A.R. Campania Napoli, Sez. V, 5 luglio 2006 n. 7278).
In particolare, costituendo una misura di polizia diretta a prevenire reati piuttosto che a reprimerli, il rimpatrio con foglio di via obbligatorio presuppone un giudizio di pericolosità per la sicurezza pubblica il quale, pur non richiedendo prove compiute della commissione di reati, deve essere motivato con riferimento a concreti comportamenti attuali dell’interessato, ossia ad episodi di vita che, secondo la prudente valutazione dell’Autorità di Polizia, rivelino oggettivamente un’apprezzabile probabilità di condotte penalmente rilevanti da parte di un soggetto rientrante in una delle categorie previste dall’art. 1 della legge 1956 n. 1423 (tra le tante, TAR Veneto, sez. III, 1° giugno 2001 n. 1369).
Del resto, la prognosi di pericolosità, che giustifica l’irrogazione della misura di prevenzione de qua, integra una valutazione ampiamente discrezionale, sindacabile dal giudice amministrativo in relazione ai profili dell’abnormità dell’iter logico, dell’incongruenza e dell’irragionevolezza della motivazione e del travisamento della realtà fattuale (Consiglio di Stato, sez. IV, 27 maggio 2002, n. 2931;id, sez. VI, 20 febbraio 2007, n. 909; T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 5 luglio 2006, n. 7278; T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 08 maggio 2008, n. 4176).
In coerenza con gli esposti principi, la giurisprudenza amministrativa, ha affermato che il giudizio che legittima la comminazione dell’ordine di rimpatrio con foglio di via obbligatorio, debba essere compiuto in relazione a modalità comportamentali attribuibili direttamente all’interessato dai quali si possa dedurre un pericolo per l’integrità di minorenni o la pubblica moralità e sicurezza, non essendo invece sufficiente a tal fine il mero esercizio della prostituzione (Consiglio di Stato, sez. III, 5 ottobre 2011, n. 5497).
Tanto premesso e passando al caso in esame, si rileva che il provvedimento impugnato si limita a riportare, in modo del tutto generico, che la ricorrente è stata individuata, in compagnia di altre connazionali, con abiti succinti, con atteggiamenti inequivocabili al fine di esercitare l’attività di prostituzione, fenomeno che sta destando serio allarme sociale tra la popolazione di Cassano allo Ionio, considerazioni, queste, che non valgono a ricondurre la ricorrente in una della categorie di cui al ricordato art. 1 legge n. 1423/1956 –a dire il vero, nemmeno è indicato in quale delle categorie di cui all’art. 1 rientrerebbe la ricorrente -, considerato che, come già evidenziato, la prostituzione non costituisce reato.
Anche con riferimento alla possibilità di ritenere la ricorrente pericolosa per la sicurezza pubblica, il provvedimento impugnato è, all’evidenza, del tutto carente: esso, infatti, si limita a ritenere l’interessata pericolosa per la sicurezza pubblica in base agli "elementi di fatto sopra riportati" –cioè, l’esercizio della prostituzione ed il serio allarme sociale nella popolazione per il fenomeno -, ma simili considerazioni si sostanziano in affermazioni del tutto generiche, non correlate a specifici comportamenti della ricorrente espressivi di una sua concreta ed attuale pericolosità sociale.
Ne deriva che, dal contenuto del provvedimento impugnato, non emerge né la riconducibilità dell’interessata in una delle categorie delineate dall’art. 1 della legge 1956 n. 1423, né la sua pericolosità sociale.
In conclusione, il ricorso è fondato e va accolto.
Sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 6 luglio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Romeo, Presidente
Concetta Anastasi, Consigliere
Alessio Falferi, Referendario, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 25/08/2012.