mercoledì 11 aprile 2012

"L'intervento edificatorio sine titulo avvenuto su area demaniale in nessun caso può formare oggetto di trasformazione da parte del privato e non è perciò condonabile"

N. 02038/2012REG.PROV.COLL.
N. 01416/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1416 del 2012, proposto dal signor Maurizio Innocenzi, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Fornaro, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, piazza Trinità dei Monti, 16;
contro
il Comune di Ardea, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Peppino Mariano, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, via G. Pierluigi Da Palestrina, 55;
il Ministero per i beni e le attività culturali - Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici del Lazio, in persona del Ministro legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura, Generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
la Regione Lazio, non costituita nel presente grado del giudizio;
per la riforma
delle sentenze del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II BIS n. 1244 del 2012 e n. 1261del 2012, rese tra le parti;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Ardea e del Ministero per i beni e le attività culturali - Soprintendenza per beni ambientali ed architettonici del Lazio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli articoli 38 e 60 del codice del processo amministrativo;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 marzo 2012 il consigliere di Stato Maurizio Meschino e uditi per le parti gli avvocati Fornaro e Mariano;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 del codice del processo amministrativo;

1. Il sign. Maurizio Innocenzi, con i ricorsi n. 5108 e n. 6854 del 2011 proposti al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, ha chiesto l’annullamento, rispettivamente: a) del provvedimento assunto con determinazione dirigenziale del 22 marzo 2011, prot. n. 13707, di perfezionamento del diniego definitivo di sanatoria edilizia, richiesta con istanza ai sensi della legge n. 47 del 1985 riguardo ad un immobile sito in Lungomare degli Ardeatini, n. 211, nel Comune di Ardea; b) dell’ordinanza n. 40 del 3 maggio 2011, con la quale il Comune ha ingiunto la demolizione del detto immobile, con avviso di acquisizione di diritto al patrimonio dell’Amministrazione in caso di inottemperanza.
2. Il TAR, con le sentenze n. 1244 del 2012 e n. 1261 del 2012 ha respinto, rispettivamente, il ricorso n. 5108 del 2011 e il ricorso n. 6854 del 2011, con compensazione tra le parti delle spese dei giudizi.
3. Con l’appello in epigrafe è chiesta la riforma di entrambe le citate sentenze di primo grado, in quanto di contenuto analogo, con domanda cautelare di sospensione dell’esecutività.
4. All’atto dell’esame delle domande cautelari nella camera di consiglio del 20 marzo 2012 il Collegio, riscontrati i presupposti e informate le parti costituite, ha ritenuto di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata.
5. Nell’appello, in sintesi, si deduce:
- a) i provvedimenti impugnati sono viziati per incompetenza poiché adottati dal dirigente dell’Ufficio condono – area urbanistica ed edilizia del Comune mentre metà dell’immobile di cui si tratta ricade su area demaniale marittima (come accertato nel giudizio di primo grado) non essendo legittima l’ingiunzione di demolizione per tale parte, poiché soggetta al regime demaniale e non a quello edilizio – urbanistico di competenza comunale;
- b) si ripropongono comunque, sempre per il profilo della incompetenza dei provvedimenti impugnati, i vizi di conflitto di interessi, di contraddittorietà dei provvedimenti e del comportamento inerte e non paritario del Comune rispetto ad atti precedenti, nonché di omissione del parere della Commissione edilizia;
c) i vincoli sopravvenuti all’intervento edilizio non precludono la possibilità del condono; è comunque mancata la verifica di compatibilità paesistica dell’intervento; nella specie è altresì decorso il termine di 24 mesi, di cui all’art. 35, comma 19, della legge n. 47 del 1985, con formazione del silenzio assenso, e, non essendovi all’epoca della iniziale costruzione alcun vincolo e dovendosi comunque ritenere acquisito il parere favorevole dell’Autorità preposta al vincolo per la mancata risposta entro 180 giorni, il condono doveva essere considerato accolto;
d) è scorretta la valutazione dell’Amministrazione, cui ha aderito il primo giudice, per cui la sanatoria non avrebbe potuto essere rilasciata essendo l’area su cui insiste l’immobile sottoposta a vincolo ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985, in quanto con ciò si trascura che il provvedimento sull’istanza di condono è stato adottato dopo 25 anni, mancando l’Amministrazione all’obbligo di conclusione del procedimento di cui all’art. 2 della legge n. 241 del 1990 ed inducendo affidamento nel privato sul suo esito favorevole;
e) in primo grado sono state eluse le istanze istruttorie presentata dal ricorrente (prova per testi, verificazione e CTU) nonché gli adempimenti istruttori disposti dal primo giudice, con particolare riguardo al contenuto dei vincoli gravanti sull’area;
f) Il Piano territoriale paesistico regionale (PTPR) citato nei provvedimenti impugnati consente (articoli 33 e 60) il recupero delle costruzioni esistenti, ciò che il Comune di Ardea non ha ritenuto di fare, in assenza di adeguata motivazione, a differenza del Comune di Pomezia (cui prima appartenevano le aree in questione).
6. Il Comune di Ardea, con la memoria depositata in giudizio il 17 marzo 2012, ha eccepito l’inammissibilità dell’atto di appello in esame, in quanto cumulativo avverso due distinte sentenze di primo grado, salva comunque l’infondatezza dell’appello nel merito alla luce di quanto dedotto nella stessa memoria avverso le censure con esso proposte.
Il Collegio ritiene di prescindere dall’eccezione essendo l’appello infondato nel merito.
7. Le censure con esso proposte sono infatti manifestamente infondate, per i motivi che seguono.
7.1. La censura di cui sopra sub. 5.a), in disparte dalla sua inammissibilità in quanto non dedotta in primo grado, è comunque infondata.
Questo Consiglio di Stato ha infatti chiarito che l'intervento edificatorio sine titulo avvenuto su area demaniale in nessun caso può formare oggetto di trasformazione da parte del privato e non è perciò condonabile (Sez. VI, 26 novembre 2008, n. 5839) nonché che “gli interventi di modifica del territorio che interessano aree appartenenti al demanio dello Stato non si sottraggono al controllo comunale di conformità ai vigenti strumenti di pianificazione ed, in particolare, all’esercizio della potestà repressiva del comune medesimo in presenza di accertati abusi” (Sez. VI, 31 agosto 2004, n. 5723), spettando al Comune la vigilanza sul rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia nel proprio territorio.
7.2. Le censure come sopra riproposte sub. 5. b), in disparte dalla loro inammissibilità in quanto non recanti alcuna specifica censura della sentenza impugnata, sono comunque infondate nel merito; non sussiste infatti il dedotto conflitto di interessi riguardo ai provvedimenti impugnati, asserito in particolare per essere stati firmati i diversi atti del procedimento in questione dallo stesso dirigente comunale, poiché questi risulta essere il dirigente competente in materia (Dirigente dell’area urbanistica e dell’ufficio condono), e perciò titolato alla emanazione degli atti; non è censurabile la mancanza del parere della commissione edilizia comunale poiché, secondo giurisprudenza consolidata (fra tante, Cons. Stato, Sez. V, 4 ottobre 2007, n. 5153) tale parere nel procedimento per la concessione in sanatoria non è obbligatorio (essendo al più facoltativo), tenuto conto dell’assenza di una specifica previsione al riguardo e della specialità del procedimento in questione rispetto a quello ordinario di rilascio della concessione edilizia; non sussistono la illogicità e contraddittorietà della motivazione del provvedimento di diniego del condono, asserite per avere imputato al solo immobile del ricorrente l’effetto di compromissione del paesaggio mentre, contestualmente, si citano altri abusi, poiché, come riconosciuto con giurisprudenza costante in materia di tutela delle bellezze panoramiche, l’esistenza di una anteriore lesione arrecata alla zona non rappresenta, da sola, un motivo sufficiente a dispensare dalla verifica riguardante la realizzabilità o la sanabilità di un’opera; anzi, l’eventuale danno pregresso produce la necessità di una indagine ancora più accurata, per scongiurare un maggiore, più grave e definitivo turbamento dei valori tipici dei luoghi (cfr. per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 27 settembre 2002, n. 4971): la situazione di compromissione della bellezza naturale da parte di preesistenti realizzazioni, anziché impedire, maggiormente richiede, quindi, che ulteriori costruzioni non deturpino irreversibilmente l’ambiente protetto.
7.3. La costruzione dell’immobile di cui si tratta è stata ultimata nel 1974 (data rilevante ai fini del procedimento di sanatoria) come indicato nella stessa domanda di sanatoria, e quindi dopo che l’area sulla quale esso insiste era stata vincolata ai fini paesaggistici con decreto ministeriale del 22 ottobre 1954 istituito a tutela della fascia costiera della provincia romana, in applicazione della legge n. 1497 del 1939. Tale area, inoltre, è compresa nelle zone tutelate dal piano territoriale paesaggistico approvato con la legge regionale n. 24 del 1998 e con il piano territoriale paesaggistico regionale del 21 dicembre 2007.
L’art. 32 legge n. 47 del 1985, nell’introdurre la possibilità di condonare opere abusive realizzate prima del 1° ottobre 1983 su aree sottoposte al vincolo, subordina il rilascio della concessione edilizia al parere dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo stesso, che ha natura giuridica di condizione ostativa e di presupposto indefettibile per la concessione edilizia in sanatoria e comporta la verifica della compatibilità dell’intervento con gli interessi paesaggistici e ambientali dell’area sottoposta a tutela.
Nella specie il Comune di Ardea, quale ente subdelegato per l’esercizio di funzioni amministrative in materia di tutela paesaggistica, ha espresso parere negativo con atto n. 44138 del 17 settembre 2010 in relazione al “nulla osta paesaggistico ai sensi dell’art. 32 della legge 47/85”.
In particolare il Comune di Ardea ha valutato che l’edificio in esame “fa parte di una serie dì costruzioni, realizzate tra la spiaggia e il lungomare, le quali compromettono sia l’accessibilità che la fruizione del panorama marino”. Esso ha inoltre rilevato che tali edifici costituiscono un “grave danno paesaggistico in quanto alterano le caratteristiche morfologiche e naturali del luogo, facendogli perdere la propria identità fisica. L’impatto della realizzazione edilizia, nel contesto disturbante di diffusa fabbricazione, ha carattere invasivo tanto da determinare la compromissione non solo della percezione paesaggistica da parte della collettività, ma anche lo stravolgimento dell’armonia e naturale bellezza del paesaggio e dell’ambiante circostante”.
L’ente locale ha quindi valutato le caratteristiche morfologiche e paesaggistiche dell’area tutelata ed ha considerato che l’edificio in questione contribuisce ad alterare proprio quelle caratteristiche meritevoli di salvaguardia, essendo perciò intervenuto un adeguato riscontro della compatibilità paesistica dell’intervento edilizio.
7.4. Quanto al rapporto tra istanza di sanatoria e data di apposizione del vincolo, secondo giurisprudenza consolidata, a prescindere dal momento di introduzione del vincolo stesso, ai fini del parere di cui all’art. 32 della legge 47 del 1985 rileva comunque la data di valutazione della domanda di sanatoria, e non quella di costruzione dell’immobile (per tutte, Cons. Stato, Ad. plen., 7 giugno 1999, n. 20, C.G.A.R.S., 4 novembre 2010, n. 1353, Sez. VI, 11 dicembre 2001, n. 6210).
7.5. Rispetto a quanto dedotto sull’asserita formazione del silenzio assenso, anche in relazione al richiamato decorso dei 180 giorni per l’emissione del parere dell’Autorità competente (oggetto, comunque, di possibile impugnazione per silenzio – rifiuto, ai sensi del comma 1 dell’art. 32 della legge n. 45 del 1987, nella specie non proposta), il Collegio condivide la assorbente valutazione del primo giudice, secondo la quale tale formazione è esclusa quando si tratti di aree sottoposte a vincolo paesaggistico se manchi il parere favorevole dell’Autorità competente, come peraltro indicato dalla giurisprudenza in materia, per cui in tale caso la formazione del silenzio assenso “postula indefettibilmente la previa acquisizione del parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo (in questo caso: necessariamente esplicito) sulla compatibilità ambientale della costruzione realizzata senza titolo (cfr. ex multis Cons. St., sez. VI, 26 gennaio 2001, n.249), deve rilevarsi che, nella fattispecie controversa, manca la predetta, indispensabile condizione” (Cons. Stato, 30 giugno 2005, n. 3542; vedi anche Cons. Stato, 31 marzo 2009, n. 2024). Ciò in base alla normativa di cui alla legge n. 47 del 1085, per cui non sono suscettibili di sanatoria tacita gli immobili siti in aree sottoposte a tutela paesaggistico-ambientale per effetto di vincolo antecedente l’esecuzione delle opere che, in quanto tale, chiede per ogni intervento il parere espresso dell’Autorità competente (articoli 32, comma 1, 33 e 35, comma 17), risultando ciò applicabile al caso di specie in cui il vincolo è stato apposto con d.m. del 1954, il parere non era stato reso ed è poi intervenuto in senso sfavorevole.
7.6. Riguardo al lungo periodo trascorso dalla realizzazione dell’immobile, ed all’asserito conseguente consolidamento dell’interesse e dell’affidamento dei privati proprietari, va considerato che:
- i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia sono atti vincolati che non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico che si intendono tutelare, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, non potendosi ammettere l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può legittimare e della cui illegittimità vi è piena consapevolezza da parte dell’interessato in quanto richiedente il relativo condono (per tutte, Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2011 , n. 79);
- la legislazione di settore esclude che si formi un legittimo affidamento quando è realizzato un immobile abusivo e l’Amministrazione non esercita il suo potere-dovere di emanare l’ordine di demolizione, in quanto il decorso del tempo dalla data dell’abuso – per il principio di legalità - può avere rilievo giuridico solo quando la normativa ammetta in via eccezionale il condono di quanto illecitamente realizzato.
7.7. In primo grado il ricorrente ha chiesto l’esecuzione di una CTU, che correttamente il primo giudice non ha ritenuto di disporre a fronte della esaustività del quadro normativo e di fatto risultante in giudizio e della prescrizione dell’art. 19 del codice del processo amministrativo che consente la CTU “se indispensabile”(non essendo stata chiesta né verificazione né prova testimoniale e non risultando ordinanze istruttorie agli atti dei giudizi di primo grado, essendo state emanate le ordinanze n. 2841 del 2011, nel giudizio sul ricorso n. 5108 del 2011, e n. 7878 del 2011, nel giudizio sul ricorso n. 6854 del 2011, entrambe recanti decisione cautelare).
7.8. Nessuna illegittimità è infine imputabile al Comune di Ardea per non avere ritenuto di applicare i sopra citati articoli 33 e 60 del PTPR, stante la natura facoltativa di quanto ivi previsto (in riferimento in particolare all’art. 60, comma 1, per il quale i comuni “possono” adottare varianti speciali allo strumento urbanistico generale, al fine del recupero dei nuclei edilizi abusivi perimetrali).
8. Per le ragioni che precedono l’appello è infondato e deve essere perciò respinto.
Le spese seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, n. 1416 del 2012, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado del giudizio che liquida nel complesso in euro 1.000,00 (mille/00), di cui euro 500,00 (cinquecento /00) a favore del Comune di Ardea ed euro 500,00 (cinquecento/00) a favore del Ministero per i beni e le attività culturali, oltre gli accessori di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 20 marzo 2012, con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere, Estensore
Claudio Contessa, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere




L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE










DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/04/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)