martedì 26 giugno 2012

Licenziato il dipendente che usa il telefono aziendale per motivi personali

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 aprile – 14 giugno 2012, n. 9701
Presidente De Renzis – Relatore Bronzini
Svolgimento del processo
Con ricorso ex art. 700 cpc M..C. chiedeva in via di urgenza al Tribunale di Terni di dichiarare
l'illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli dalla Telecom Italia il 2.12.2005; la
Telecom si costituiva contestando la fondatezza della domanda.
Il Tribunale con ordinanza del 24.4.2006 rigettava la domanda. Con ricorso ex art. 414 c.p.c. il C.
riproponeva la domanda; allegava che la violazione addebitatagli di uso fraudolento del telefono
aziendale per uso personale non era di tale gravità da comportare la sanzione espulsiva irrogata e
che difettava la giusta causa. Nella lettera di contestazione, pur menzionando la Telecom varie
telefonate a suo dire effettuate dal ricorrente, aveva addebitato allo stesso solo quella del 9.11.2005
il cui costo era stato per la società di soli 12 Euro; in precedenza non vi era stata nessun altra
contestazione. Il Tribunale con sentenza del 18.3.2008 rigettava il ricorso.
Sull'appello del Conti, la Corte di appello di Perugia con sentenza del 3.6.2009 lo rigettava.
La Corte territoriale richiamava i complessi accertamenti sulle telefonate abusive partite da Centrali
Telecom ove era presente il C. e l'intervento dei C.C. di Terni che avevano sorpreso il C. a
compiere il 9.11.2005 telefonate abusive, effettuate anche il giorno prima per 15 volte verso lo
stesso numero telefonico. Tali accertamenti erano stati esposti nella lettera di contestazione Ora la
tesi per cui la contestazione riguardasse solo l'episodio del 9.11 si fondava su un' illogica
interpretazione della stessa. Questa era divisa in due parti: nella prima si erano riportati tutti i fatti
occorsi nell'ottobre ed integranti una responsabilità disciplinare del C. , nella seconda parte la
contestazione della telefonata del 9.11, accertata direttamente dai CC; le due parti erano
intimamente legate, come dimostrato anche dall'interrogatorio formale nel quale il ricorrente aveva
dichiarato che le telefonate le facevano anche altri colleghi. Lo stesso lavoratore aveva in sostanza
ammesso il fatto e molte telefonate erano partite da numeri di Centrali dove il ricorrente era l'unica
persona presente. Il fatto era certamente di tale gravità da comportare il venir meno del legame
fiduciario tra le parti e le circostanze indicate nella lettera in ogni caso erano elementi ad
colorandum la contestazione relativa alle telefonate riscontrate dai C.C., idonee a giustificare
comunque la grave sanzione irrogata.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre il C. con tre motivi; resiste la Telecom con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si allega la violazione degli artt. 1324, 1362, 1363, 1366 c.c. e dell'art. 7 L.
300/70. Si era violato il criterio letterale nell'interpretazione della contestazione, nonché il criterio
logico ed il principio di buona fede. L'unica contestazione effettuata era quella relativa al traffico
telefonico del 9.11.2005, mentre si erano considerati in sentenza fatti mai contestati e nemmeno
provati; la risposta del C. si riferiva al traffico telefonico del 9.11.2005 e non anche ai fatti
precedenti.
Il motivo appare infondato. È ben vero che la sentenza impugnata assume che la lettera di
contestazione sia divisa in due parti, la prima concernente l'insieme dei fatti occorsi nell'Ottobre del
2005 relative alle telefonate abusive da Centrali Telecom ed integranti una responsabilità
disciplinare del C. (per la sua condotta fraudolenta) in quanto riportagli ad una presenza dello stesso
nelle centrali (alcune volte senza alcuna plausibile giustificazione) e la seconda più specifica
concernente la contestazione del traffico telefonico del 9.11.2005 riscontrato direttamente
dall'intervento dei C.C. di Terni che operarono anche il fermo del ricorrente. Per la Corte territoriale
(cfr. pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata) le due parti sono strettamente connesse ed è indubbia la
responsabilità complessiva del C. che peraltro ha sostanzialmente ammesso il fatto in sede di
interrogatorio libero. Parte ricorrente, tuttavia, sostiene che questa soluzione interpretativa appare in
contrasto con la lettera dei 25.11 nella quale solo l'ultimo fatto e cioè il traffico telefonico del
9.11.2005 è esplicitamente contestato (cfr. l'ultima parte della detta lettera riprodotta nel ricorso). Si
trascura, tuttavia, che nella parte finale della sentenza la Corte territoriale ha esaminato anche
l'ipotesi prospettata dalla difesa del ricorrente per cui in effetti risultano contestati formalmente solo
gli eventi del 9.11.2005 osservando che comunque si tratterebbe di fatti di estrema gravità,
integranti una condotta contraria ai doveri primari del dipendente, di natura fraudolenta e tale da
minare il legame fiduciario tra la parti. La Corte territoriale ha altresì aggiunto che comunque gli
episodi menzionati nella prima parte certamente potevano essere presi in considerazione anche se
non specificamente e previamente contestati (cfr. Cass. n. 7523/2009, Cass. n. 1894/1998), come
elementi ad colorandum costituendo indubbiamente lo sfondo, allarmante, entro il quale va
collocato l'episodio, in sé e per sé, di notevole gravità del 9.11.2005. Sotto quest'ultimo profilo la
sentenza appare congruamente e logicamente motivata, avendo correttamente esaminato i fatti
obiettivamente e specificamente contestati (e peraltro in buona sostanza ammessi dal ricorrente, che
si è limitato a sostenere che non era il solo ad aver commesso degli abusi) alla luce del contesto
(anche nel suo risvolto personale) in cui tali fatti si sono svolti e degli episodi avvenuti nell'Ottobre,
giudicandoli così "gravi" (con una valutazione di per sé insindacabile in questa sede) tale da ledere
irreversibilmente il legame fiduciario tra le parti. Non si ravvisano per tali ragioni violazioni né
dell'art. 7 L. n. 300/70, né dei canoni codicistici richiamati nel motivo in materia di interpretazione
dei contratti.
Con il secondo motivo si allega l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza
impugnata : si è affermato che la lettera è divisa in due parti di cui solo la seconda procede alla
contestazione formale dei fatti relativi al 9.11.2005, poi si sono considerati anche i fatti previamente
esposti. La Telecom non aveva certezza della responsabilità anche per le altre telefonate tanto è
vero che non le ha contestate.
Sul punto si è già detto supra. Nella seconda parte della motivazione la Corte territoriale ha valutato
anche la gravità dello specifico episodio contestato e relativo al traffico telefonico del 9.11.2005,
anche alla luce delle dichiarazioni rese dal ricorrente e degli episodi che l'avevano preceduto.
Pertanto sotto tale profilo la motivazione non appare né carente, né contraddittoria o illogica.
Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art.2106 c.c., dell'art. 7 e degli
artt. 1321,1372 c.c. e degli arti 421 e 425 4 comma c.p.c.. Il danno era stato lievissimo, pari a 12
Euro. L'art. 48 CCNL prevedeva il licenziamento solo per danni rilevanti; per 20 anni il C. non
aveva subito procedimenti disciplinari di sorta.
Anche tale motivo appare infondato. Il richiamo alla disposizione del contratto collettivo sul
licenziamento per danni patrimoniali appare inconferente in quanto nel caso non rileva di certo il
danno prodotto dal traffico telefonico abusivo del 9.11.2005, ma la condotta infedele del
dipendente, presente senza giustificazione in una Centrale Telecom Filiale onde effettuare gratis
telefonate private, che non ha esitato - come correttamente osservato nella sentenza impugnata - a
sottrarsi ai doveri primari di ogni lavoratore per esigenze futili e superflue. Ad colorandum la Corte
territoriale ha ricordato poi che le telefonate illegali compiute nel periodo immediatamente
precedente erano, comunque, di entità economica non banale. La mancanza di precedenti
disciplinare non appare elemento idoneo ad incrinare la motivazione della sentenza impugnata.
Va pertanto rigettato il ricorso. Le spese di lite del giudizio di legittimità - liquidate come al
dispositivo della presente sentenza- seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si
liquidano in Euro 40,00 per esborsi, nonché in Euro 2.500,00 oltre IVA, CPA e spese generali per
onorari di avvocato.