La Corte dei Conti, sezione regionale per la Lombardia, con la deliberazione n. 154/2012/PAR del 26 aprile 2012, conferma i consolidati orientamenti secondo i quali la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno in applicazione dell'art. 4, comma 14, del CCNL 14.09.2000 (diritto del dipendente, decorso il biennio) non costituisce nuova assunzione, ma l'ente deve comunque rispettare i limiti di spesa di personale (art. 1, commi 557 o 562, legge 296/2006). Spetta all'autonomia amministrativa ed organizzativa dell'amministrazione assumere le iniziative e le decisioni più opportune al fine di trovare il giusto equilibrio tra il diritto soggettivo del singolo e le norme che obbligano gli enti a perseguire gli obiettivi di risanamento della finanza pubblica. In caso di violazione delle norme sui limiti di spesa di personale, l'ente sconterà il divieto di assunzioni nell'anno successivo.
Lombardia/154/2012/PAR
REPUBBLICA
ITALIANA
LA
CORTE
DEI CONTI
IN
SEZIONE
REGIONALE DI CONTROLLO PER LA
LOMBARDIA
composta dai magistrati:
dott. Nicola Mastropasqua Presidente
dott. Giuseppe Zola Consigliere
(relatore)
dott. Gianluca Braghò Primo
Referendario
dott. Massimo Valero Primo
Referendario
dott. Alessandro Napoli Referendario
dott. Donato Centrone Referendario
dott. Francesco Sucameli Referendario
dott. Cristiano Baldi Referendario
dott. Andrea Luberti Referendario
nell’adunanza in camera di consiglio del 17 aprile 2012
Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato
con il regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni;
Vista la legge 21 marzo 1953, n. 161;
Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20;
Vista la deliberazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti
n. 14/2000 del 16 giugno 2000, che ha approvato il regolamento per
l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, modificata
con le deliberazioni delle Sezioni riunite n. 2 del 3 luglio 2003 e n. 1 del 17
dicembre 2004;
Visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante il
Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali;
Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131;
Vista la nota n. 1688 del 27/03/2012, prot. n. 2235/2012 con la
quale il Sindaco del comune di Valmorea (CO) ha richiesto un parere in materia
di contabilità pubblica;
Vista la deliberazione n. 1/pareri/2004 del 3 novembre 2004 con la
quale la Sezione
ha stabilito i criteri sul procedimento e sulla formulazione dei pareri
previsti dall’art. 7, comma 8, della legge n. 131/2003;
Vista l’ordinanza con la quale il Presidente ha convocato la Sezione per l’adunanza
odierna per deliberare sulla richiesta del Sindaco di Valmorea (CO);
Udito il relatore Cons. Giuseppe Zola;
FATTO
Il Sindaco del Comune di Valmorea (CO), con nota n.1688
del 27/03/2012, prot. n. 2235/2012, ha
richiesto un parere in materia di personale,
con riferimento alla possibilità di procedere alla trasformazione di un
rapporto a tempo parziale in tempo pieno in base quanto previsto dall’art. 4,
comma 14, del CCNL 14/9/2000, tenuto conto che la trasformazione andrebbe ad
incidere sul limite di spesa di personale (superandolo) che l’Ente è tenuto ad
osservare in quanto Ente inferiore a 5.000 abitanti.
In particolare il quesito si fonda sulla possibilità o
meno di derogare al limite dell’invarianza della spesa relativa all’esercizio
2004 a fronte di un diritto previsto dalle norme vigenti.
IN VIA PRELIMINARE
Sull’ammissibilità della richiesta
La
richiesta del parere in esame è fondata sull’art. 7, comma 8, della Legge 5
giugno 2003, n. 131, che attribuisce alla Corte dei conti una funzione
consultiva in materia di contabilità pubblica.
Il
primo punto da esaminare è l’ambito delle funzioni attribuite alle Sezioni
regionali della Corte dei conti appunto dall’art. 7, comma 8, della Legge 6
giugno 2003, n. 131, norma in forza della quale Regioni, Province e Comuni
possono chiedere a dette Sezioni pareri in materia di contabilità pubblica,
nonché ulteriori forme di collaborazione ai fini della regolare gestione
finanziaria e dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione amministrativa.
In
proposito questa Sezione ha precisato in più occasioni che la norma in esame,
il cui contenuto risulta ancora poco approfondito sia dalla giurisprudenza
contabile che dalla dottrina, consente alle amministrazioni regionali,
provinciali e comunali, di rivolgere alle Sezioni regionali di controllo della
Corte dei conti due diverse tipologie di richieste (deliberaz. n. 9 del 12
marzo 2007). Da un lato, possono domandare l’intervento della magistratura
contabile al fine di ottenere forme di “collaborazione”, non specificate dalla
legge, dirette ad assicurare la regolare gestione finanziaria dell’ente ovvero
l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa. Dall’altro possono
richiedere pareri in materia di contabilità pubblica.
La
funzione consultiva, che nei primi anni di applicazione della legge è stata la
principale forma di collaborazione attivata dalle amministrazioni locali, non
esaurisce, quindi, la possibilità d’intervento delle Sezioni regionali della
Corte dei conti, in seguito a specifiche richieste degli enti territoriali.
Anzi,
in base alla formulazione della norma non sembrerebbe neppure essere la
principale forma di collaborazione, poiché nella prima parte del comma 8
dell’art. 7 è chiaramente specificato che gli enti territoriali possono
domandare alle Sezioni regionali della magistratura contabile “ulteriori forme
di collaborazione”, con l’unico limite della finalizzazione alla regolare
gestione finanziaria dell’ente ed allo svolgimento della azione amministrativa
secondo i parametri dell’efficienza e dell’efficacia.
L’intensificarsi
dell’uso degli strumenti collaborativi innanzi indicati richiede ulteriori
approfondimenti sulla natura e sull’ambito della funzione, indirizzati al suo
corretto esercizio.
In
proposito va considerato che l’attribuzione della funzione consultiva alle
Sezioni Regionali della Corte dei conti si situa nell’ambito dell’adeguamento
dell’ordinamento della Repubblica alla Legge costituzionale n. 3/2001 che ha
radicalmente modificato il titolo V della Costituzione.
In
conseguenza della equiordinazione degli enti territoriali allo Stato (art. 114
Cost.), e della necessaria abrogazione di ogni forma di controllo
amministrativo esterno sulle Regioni (art. 125 Cost.), sulle Province e sui
Comuni (art. 130 Cost.), il legislatore ha inteso permettere agli enti
territoriali di avvalersi della collaborazione della Corte dei conti, organo
magistratuale che opera quale garante imparziale nell’interesse dello
Stato-comunità (Corte cost. 12–27 gennaio 1995, n. 29), e, dopo la riforma
costituzionale, di tutti gli enti che costituiscono la Repubblica (Corte cost.
11 ottobre–9 novembre 2005, n. 417).
Le
nuove attribuzioni conferite alla Corte dei conti appaiono così finalizzate ad
individuare un organo neutrale che, in materia di coordinamento della finanza
pubblica, interagisce tra i vari livelli di governo della Repubblica a tutela
delle istanze e prerogative di ciascuno di essi in una materia, quale quella
della finanza pubblica, che condiziona l’esercizio di tutte le funzioni
pubbliche.
Contemporaneamente
le modalità di esercizio del controllo e le ulteriori attribuzioni intestate
alla Corte di conti intendono esaltare la natura collaborativa della funzione,
propedeutica allo svolgimento dell’attività degli enti territoriali secondo il
principio di legalità e, soprattutto, di legalità finanziaria.
In
proposito questa Sezione ha più volte posto in luce che la nozione di legalità
riferita all’attività della pubblica amministrazione si è andata approfondendo
ed arricchendo, investendo l’esercizio del potere conferito all’amministrazione
non solo al rispetto delle disposizioni normative, ma anche alla sua
rispondenza ai principi di buona amministrazione canonizzati nell’art. 97 della
Costituzione. Anzi, quest’ultimo aspetto del principio di legalità va assumendo
sempre maggior rilievo, dal momento che la pubblica amministrazione, ed in
particolar modo gli enti territoriali, assicurano ai cittadini servizi
pubblici, il cui livello delimita le loro condizioni di vita. Ne consegue
l’esigenza di assicurare il rispetto del principio di legalità, come sopra
inteso, sia preventivamente, in sede di processo decisionale degli
amministratori dell’ente, sia in sede di verifica dell’attività attraverso i
controlli interni ed il controllo esterno collaborativo.
La
funzione di cui al comma 8 dell’art. 7 della Legge n. 131/2003 si connota così
come facoltà conferita agli amministratori di Regioni, Comuni e Province di
avvalersi di un organo neutrale e professionalmente qualificato per acquisire
elementi necessari ad assicurare la legalità della loro attività
amministrativa.
I
pareri e le altre forme di collaborazione s’inseriscono nei procedimenti
amministrativi degli enti territoriali consentendo, nell’ambito delle tematiche
sulle quali la collaborazione viene esercitata, scelte adeguate e ponderate
nello svolgimento dei poteri che pertengono agli amministratori pubblici,
restando peraltro esclusa qualsiasi forma di cogestione o coamministrazione con
l’organo di controllo esterno.
Alla
luce delle esposte considerazioni va delimitato l’ambito di legittimazione
soggettiva ed oggettiva degli enti ad attivare le forme di collaborazione.
Quanto
all’individuazione dell’organo legittimato ad inoltrare le richieste di parere
dei Comuni, occorre premettere che la Sezione delle Autonomie della Corte dei conti,
con documento approvato nell’adunanza del 27 aprile 2004, ha fissato principi
e modalità di esercizio dell’attività consultiva, al fine di garantire
l’uniformità d’indirizzo in materia, limitando l’ammissibilità delle richieste,
sul piano soggettivo, agli organi rappresentativi degli enti (nel caso del
Comune, il Sindaco o, nel caso di atti di normazione, il Consiglio comunale).
Inoltre si è ritenuto che la mancata costituzione del Consiglio delle Autonomie
Locali non costituisca elemento ostativo all’ammissibilità della richiesta,
poiché l’art. 7, comma 8, della Legge n. 131/2003 usa la locuzione “di norma”,
non precludendo, quindi, in linea di principio, la richiesta diretta da parte
degli enti.
In
tal senso, questa Sezione, con deliberazione n. 1 del 4 novembre 2004, ha già precisato che
“non essendo ancora costituito in Lombardia il Consiglio delle autonomie,
previsto dall’art. 7 della Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che
modifica l’art. 123 della Costituzione, i Comuni possono, nel frattempo,
chiedere direttamente i pareri alla Sezione regionale”.
Limiti
alla legittimazione oggettiva vanno invece stabiliti solo in negativo. In
proposito va infatti posto in luce che la nozione di “contabilità pubblica”
deve essere intesa nell’ampia accezione che emerge anche dalla giurisprudenza
della Corte di Cassazione in tema di giurisdizione della Corte dei conti, ed
investe così tutte le ipotesi di spendita di denaro pubblico, oltre che tutte
le materie di bilanci pubblici, di procedimenti di entrata e di spesa, di
contrattualistica, che tradizionalmente e pacificamente rientrano nella
nozione. D’altro canto la norma in discussione non fissa alcun limite alle
richieste di altre forme di collaborazione.
In
negativo, senza peraltro voler esaurire la casistica, va posta in luce
l’inammissibilità di richieste interferenti con altre funzioni intestate alla
Corte ed in particolare con l’attività giurisdizionale, di richieste che si
risolvono in scelte gestionali di esclusiva competenza degli amministratori
degli enti, di richieste che attengono a giudizi in corso, di richieste che
riguardano attività già svolte, dal momento che i pareri sono propedeutici
all’esercizio dei poteri intestati agli amministratori e non possono essere
utilizzati per asseverare o contestare provvedimenti già adottati.
Venendo
al caso di specie, la richiesta di parere è, conformemente a quanto si è detto,
sottoscritta dal Sindaco del Comune di Valmorea (CO).
Inoltre,
la richiesta, riguardando in via generale le norme e i principi di redazione
del bilancio, nonché l’applicazione di disposizioni di coordinamento della
finanza pubblica, risulta rientrare pienamente nell’ambito oggettivo della
contabilità pubblica.
Infine,
non si ravvisa alcuna interferenza né con l’attività amministrativa né con
quella giurisdizionale.
Pertanto,
la richiesta di parere risulta in toto ammissibile e può essere esaminata nel
merito.
MERITO
Stante
a quanto chiaramente espresso dal sindaco di Valmorea, il parere richiesto
riguarda un dipendente comunale, assunto originariamente con contratto a tempo
pieno, che nel 2004 ha chiesto e ottenuto la riduzione dell’orario a tempo
parziale. Ora il dipendente chiede il passaggio all’orario a tempo pieno,
avvalendosi di quanto previsto dall’art. 4, comma 14, del CCNL 14/9/2000, che
così recita: “i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale hanno
diritto di tornare a tempo pieno alla scadenza di un biennio dalla
trasformazione, anche in soprannumero oppure, prima della scadenza del biennio,
a condizione che vi sia la disponibilità del posto in organico”.
Pare
dunque indubitabile che in capo al dipendente sia sorto un diritto al lavoro a
tempo pieno ( da cui deriverebbero altre possibilità per il lavoratore che, a
dire il vero, in questa sede non interessano), visto che il biennio a cui si
riferisce il contratto è ampiamente scaduto.
Vi
è da chiarire che “ la trasformazione dei rapporti di lavoro da tempo parziale
a tempo pieno non è assimilabile a nuova assunzione, nel caso in cui i
dipendenti siano assunti originariamente a tempo pieno e abbiano
successivamente avuto una riduzione dell’orario di lavoro”. Questo
costituisce un orientamento costante di questa Sezione ( vedansi pareri n.
51/2012 e n. 679/2011)
D’altra
parte, ancora questa Sezione ha affermato che il “Comune può procedere alla
modifica del rapporto in questione, a condizione che venga rispettato il
parametro di spesa previsto dall’art.1 comma 562 della L. 27 dicembre 2006 n.
296, che non è stato oggetto di modifica da parte del comma 10 dell’art: 14 del
D.L. n 78 convertito in L. 30 luglio 2010 n.122 ( che si è limitato ad abrogare
il terzo periodo della norma in questione che prevedeva una specifica
possibilità di deroga in materia di assunzioni)”.
Vedasi
a tal proposito il parere n. 873/2010, ripreso da parere n. 51/2012.
Per
chiarezza si riporta il testo del notissimo comma 562: “ per gli enti non
sottoposti alle regole del patto di stabilità interno, le spese di personale,
al lordo degli oneri riflessi a carico della amministrazioni e dell’IRAP, con
esclusione degli oneri relativi ai
rinnovi contrattuali, non devono superare il corrispondente ammontare dell’anno
2004”.
Spetta
all’autonomia amministrativa e
organizzativa del Comune assumere le iniziative e le decisioni più opportune al
fine di trovare il giusto equilibrio tra il diritto soggettivo del singolo e le
norme che obbligano gli enti a perseguire, per il bene comune, gli obiettivi di
risanamento della finanza pubblica.
E’
già stato scritto da questa Sezione che “nel governo dei rapporti d’impiego
l’amministrazione deve adottare, a monte, gli opportuni interventi in grado di
rendere compatibili atti di macro gestione (poteri organizzativi) e micro
gestione (modifiche del singolo rapporto di lavoro) con la vigente disciplina
finanziaria, in modo da realizzare i necessari risparmi” (parere n. 679/2011).
Pare
giusto ricordare che occorrerà tenere conto delle norme che impongono il
divieto di assunzioni nell’anno successivo a quello in cui non sono stati
rispettati i parametri normativi.
P.Q.M.
nelle
considerazioni esposte è il parere della Sezione.
Il
Relatore Il
Presidente
(Cons.
Giuseppe Zola)
(Dott. Nicola Mastropasqua)
Depositata in
Segreteria
il 26/04/2012
(dott.ssa Daniela
Parisini)