IL DATORE DI LAVORO PUO’ CONTESTARE IL CERTIFICATO MEDICO DI MALATTIA
Con le ultime previsioni normative (art. 25 L. 183/2010 – Collegato lavoro) è ormai divenuta pienamente operativa la trasmissione telematica dei certificati di malattia.
Il certificato medico attestante lo stato di malattia del dipendente può essere contestato dal datore di lavoro. Se ha motivo di ritenere insussistente la denunciata malattia del lavoratore. A sostenerlo, facendo riferimento a una “giurisprudenza consolidata”, un parere della Fondazione Studi dei consulenti del lavoro. In particolare, si sottolinea, il datore di lavoro può domandare in giudizio la verifica dell’attendibilità della certificazione prodotta dal lavoratore, anche laddove non abbia richiesto una visita di controllo.Infatti, si spiega, “il controllo delle assenze del lavoratore per infermità previsto dall’articolo 5, legge 20 maggio 1970, n. 300, non costituisce l’unico mezzo concesso al datore di lavoro per contestare l’attendibilità del certificato medico prodotto dal lavoratore, che può sempre mettere in dubbio tale certificazione mediante il ricorso all’autorità giudiziaria“.
Come funziona la trasmissione telematica dei certificati di malattia?
In tutti i casi di assenza per malattia i certificati medici sono inviati, direttamente dal medico o dalla struttura sanitaria che li rilascia, all’INPS usando le modalità telematiche. L’INPS a sua volta trasmette immediatamente le attestazioni di malattia ai datori di lavoro pubblici o privati interessati.
La nuova modalità di invio telematico interessa, oltre ai dipendenti del settore pubblico, tutti i dipendenti del settore privato, con diritto o meno all’indennità di malattia a carico INPS: pertanto l’obbligo riguarda anche tutti i lavoratori ai quali la malattia è pagata interamente a carico del datore di lavoro (es. impiegati del settore industria o artigianato).
Medici interessati. Già dal 1/7/2010 sono obbligati alla trasmissione telematica:
- i medici dipendenti del servizio sanitario nazionale
- i medici convenzionati con il servizio sanitario nazionale (medicina generale, specialisti e pediatri di base).
Dal 1/2/2011 i predetti medici che non utilizzano i servizi telematici sono sanzionati. In caso di impossibilità di invio per problemi di malfunzionamento della procedura i medici possono invece rilasciare certificato ed attestato in modalità cartacee senza essere sanzionati.
Per i certificati di ricovero, di dimissione, eventualmente con prognosi post ricovero, e di pronto soccorso, nelle more della informatizzazione, i medici ospedalieri possono continuare ad elaborare certificati in forma cartacea.
In entrambe le predette ipotesi di rilascio del certificato solo in modalità cartacea i dipendenti devono recapitare o consegnare il certificato stesso all’INPS e al datore di lavoro, o all’amministrazione pubblica di appartenenza, con le consuete modalità e termini.
Ma perché quindi è contestabile il certificato medico da parte del datore di lavoro?
“Ciò in quanto la natura di atti pubblici dei certificati redatti da medici appartenenti al servizio sanitario nazionale conferisce a tali documenti la fede pubblica, fino a querela di falso, per ciò che concerne i seguenti fatti: la provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato; i fatti che il pubblico ufficiale medesimo attesta di aver compiuto o essere avvenuti in sua presenza. Viceversa, la fede pubblica non si estende alla diagnosi, e dunque ai giudizi del sanitario relativi allo stato di malattia e all’impossibilità temporanea della prestazione lavorativa. Tali valutazioni, pur essendo dotate di un elevato grado di attendibilità in ragione della qualifica funzionale e professionale del pubblico ufficiale, non sono vincolanti per il giudice, che può anche decidere di sconfessarle in presenza di elementi probatori di segno contrario”.
Per i consulenti del lavoro, infatti, la legge “lascia integro il potere-dovere del giudice di merito di controllare l’attendibilità degli accertamenti sanitari, avvalendosi dei poteri istruttori che gli conferisce il rito del lavoro“. E, ricordano gli esperti, proprio nel giudizio di valutazione attestante l’effettivo stato di malattia del dipendente, è stato accordato rilievo a una serie di circostanze, a cominciare dall’incongruenza tra la prognosi (ad esempio, numerose settimane di malattia) e la diagnosi, ma anche tra la prognosi (o la diagnosi) e la terapia prescritta al lavoratore può invalidare la certificazione medica.
Ancora, è stato accordato rilievo alla “tardività della visita medica rispetto all’inizio della malattia, che ha privato di attendibilità una diagnosi riferita ai periodi pregressi” o alle “circostanze complessive di fatto e il comportamento del lavoratore: ad esempio, il giudice può rilevare l’incompatibilità tra la malattia denunciata e la condotta del lavoratore, sorpreso a svolgere un’altra attività lavorativa”.
Ci può essere poi “il contrasto di valutazioni tra il contenuto del certificato del medico curante del lavoratore e gli accertamenti compiuti dal medico di controllo: in tal caso, il giudice di merito non deve recepire acriticamente la certificazione ufficiale, ma deve compiere un esame comparativo tra i due certificati al fine di stabilire quale delle due contrastanti certificazioni sia maggiormente attendibile”. Anche l’omessa visita al paziente può costituire, infine, un valido motivo di contestazione del certificato medico.
FONTE: Adnkronos e Fondazione Studi dei consulenti del lavoro
FONDAZIONE STUDI CONSULENTI DEL LAVORO
PARERE N. 10 DEL 19.03.2012
IL QUESITO
Si chiede di sapere in che modo il datore di lavoro possa contestare i certificati medici trasmessi
dal lavoratore in presenza di uno stato di malattia che si presume falso (anche alla luce della
recente sentenza della Corte di Cassazione n. 3705 del 9 marzo 2012).
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1. IL QUADRO NORMATIVO.
Come è noto, l’art. 2110 c.c. prevede che – in ipotesi di infortunio, di malattia, di gravidanza o
di puerperio – si realizza una sospensione del rapporto di lavoro, caratterizzata dal perdurare
dell’obbligazione retributiva o indennitaria, entro un certo limite temporale (c.d. comporto).
In particolare, l’art. 2110, c.c., comma 1 stabilisce che: “In caso di infortunio, di malattia, di
gravidanza o di puerperio, se la legge [o le norme corporative] non stabiliscono forme
equivalenti di previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o
un'indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali [dalle norme
corporative] dagli usi o secondo equità”.
A sua volta, in merito al controllo dello stato di malattia del lavoratore, l’art. 5, legge n. 300 del
1970, prevede che: “Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla
infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente. Il controllo delle assenze per
infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali
competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda. Il datore di
lavoro ha facoltà di far controllare la idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed
istituti specializzati di diritto pubblico”.
Pertanto:
a) il datore di lavoro non può eseguire personalmente, o attraverso medici di sua fiducia,
accertamenti sullo stato di salute del dipendente;
b) lo stesso datore di lavoro conserva, però, la facoltà di controllo sull’idoneità fisica e
sull’infermità del dipendente ma – diversamente dal controllo dell’attività lavorativa – non può
esercitarla direttamente, bensì avvalendosi di enti pubblici ed enti specializzati di diritto
pubblico.
La centralità dell’utilizzo del servizio sanitario pubblico nell’accertamento della malattia del
dipendente è stata di recente ribadita dall’art. 25, legge 4 novembre 2010, n. 183 (c.d. Collegato
lavoro), il quale ha uniformato il regime legale del rilascio e della trasmissione delle certificazioni
per il caso di assenza per malattia dei dipendenti pubblici e di quelli privati, disponendo che la
malattia protratta per un periodo superiore a dieci giorni e, in ogni caso, il secondo evento
morboso nell’anno solare (1°gennaio-31 dicembre) devono essere giustificati (a partire, quindi,
dal terzo evento) esclusivamente mediante certificazione medica rilasciata da:
a) una struttura sanitaria pubblica;
b) un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale.
Peraltro, alla luce della recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 3705 del il 9 marzo 2012),
il certificato medico può essere rilasciato solo a seguito di visita al paziente, essendo esclusa
l’ammissibilità di certificati di tipo "anamnestico", in cui il sanitario si limita ad attestare quanto
sostenuto dal dipendente rispetto al proprio stato di salute.
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2. LA CONTESTAZIONE DELLO STATO DI MALATTIA DEL DIPENDENTE DA PARTE DEL DATORE DI
LAVORO.
La giurisprudenza consolidata ritiene che il certificato medico attestante lo stato di malattia del
dipendente può essere contestato dal datore di lavoro, che abbia motivo di ritenere insussistente
la denunciata malattia del lavoratore (v. ad es. Cass. civ. Sez. lavoro, 10 maggio 2000, n. 6010, in
Notiz. Giur. Lav., 2000; Trib. Milano, 16 settembre 1998, in Orient. Giur. Lav., 1998, I, 648).
In particolare, il datore di lavoro può domandare in giudizio la verifica dell’attendibilità della
certificazione prodotta dal lavoratore, anche laddove non abbia richiesto una visita di controllo
(Cass. civ. Sez. lavoro, 27 dicembre 1997, n. 13056, in Mass. Giur. It., 1997; nel senso che tale
diritto di contestazione spetta anche al lavoratore, v. Trib. Parma, 14 gennaio 2000, in Riv. It. Dir.
Lav., 2001, II, 70).
Infatti, il controllo delle assenze del lavoratore per infermità previsto dall'art. 5, legge 20 maggio
1970, n. 300, non costituisce l'unico mezzo concesso al datore di lavoro per contestare
l'attendibilità del certificato medico prodotto dal lavoratore, che può sempre mettere in dubbio tale
certificazione mediante il ricorso all’autorità giudiziaria (Cass. Sez. lavoro, 13 febbraio 1990, n.
1044, in Notiz. Giur. Lav., 1990, 228).
Ciò in quanto la natura di atti pubblici dei certificati redatti da medici appartenenti al servizio
sanitario nazionale conferisce a tali documenti la fede pubblica, fino a querela di falso, per ciò
che concerne i seguenti fatti:
- la provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato;
- i fatti che il pubblico ufficiale medesimo attesta di aver compiuto o essere avvenuti in sua
presenza (Cass. Sez. lavoro, 22 maggio 1999, n. 5000; Cass. Sez. lavoro, 14 gennaio 1987, n.
217).
Viceversa, la fede pubblica non si estende alla diagnosi, e dunque ai giudizi del sanitario relativi
allo stato di malattia ed all’impossibilità temporanea della prestazione lavorativa. Tali valutazioni,
pur essendo dotate di un elevato grado di attendibilità in ragione della qualifica funzionale e
professionale del pubblico ufficiale, non sono vincolanti per il giudice, che può anche decidere di
sconfessarle in presenza di elementi probatori di segno contrario.
Si ritiene, infatti, che l'art. 5, comma 3, legge 20 maggio 1970 n. 300, nella parte in cui demanda
solo ad enti pubblici il controllo della idoneità fisica del lavoratore su richiesta del datore di
lavoro, lascia integro il potere-dovere del giudice di merito di controllare l'attendibilità degli
accertamenti sanitari, avvalendosi dei poteri istruttori che gli conferisce il rito del lavoro; deve
quindi escludersi che la norma citata - che ha inteso garantire l'imparzialità della valutazione
tecnica affidandola ad organi pubblici - abbia attribuito a dette indagini una particolare
insindacabile efficacia probatoria (Cass. Sez. lavoro, 11 maggio 2000, n. 6045, in Notiz. Giur.
Lav., 2000; Cass. Sez. lavoro, 3 luglio 1987, n. 5830; Cass. civ., 5 novembre 1985, n. 5387; Cass.
civ., 18 aprile 1985, n. 2572; Cass. civ., 11 agosto 1983, n. 5356).
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3. LE MODALITÀ DI CONTESTAZIONE DEL CERTIFICATO MEDICO.
Nel giudizio di valutazione attestante l’effettivo stato di malattia del dipendente, è stato accordato
rilievo alle seguenti circostanze.
A) L’incongruenza tra la prognosi (ad es., numerose settimane di malattia) e la diagnosi: ad es.,
per un caso di lombosciatalgia, Cass. Sez. lavoro, 5 maggio 2000, n. 5622 ha ritenuto
ingiustificata l’assenza di tre mesi autorizzata dal medico curante, in quanto “..il disturbo
certificato non [era] di entità tale da poter costituire impedimento totale al lavoratore rilevante
per un periodo relativamente lungo..” (v. anche: Pret. Parma, 22 luglio 1995, in Riv. It. Dir. Lav.,
1995, II, 876; Trib. Parma, 7 novembre 1996, ivi, 1997, II, 120; Trib. Parma, 14 gennaio 2000, in
Riv. Critica Dir. Lav., 2000, 409).
B) Anche l’incongruenza tra la prognosi (o la diagnosi) e la terapia prescritta al lavoratore può
invalidare la certificazione medica, come è stato affermato nel caso di una “sindrome ansiosodepressiva”
che il giudice non ha considerato di gravità tale da impedire il lavoro per mesi, tanto
più che il medico stesso non aveva prescritto alcuna terapia farmacologica (Pret. Torino, 19
gennaio 1989, in Riv. It. Dir. Lav., 1989, II, 298).
C) Ancora, è stato accordato rilevo alla tardività della visita medica rispetto all’inizio della
malattia, che ha privato di attendibilità una diagnosi riferita ai periodi pregressi (Trib. Roma, 2
giugno 2000, in Riv. It. Dir. Lav., 2000, II, 695).
D) Le circostanze complessive di fatto e il comportamento del lavoratore (giudizio di tipo
presuntivo, ex art. 2729 c.c.).
1) Ad esempio, il giudice può rilevare l’incompatibilità tra la malattia denunciata e la condotta del
lavoratore, sorpreso a svolgere un'altra attività lavorativa, (Cass. civ. Sez. lavoro, 3 maggio
2001, n. 6236, in Lavoro nella Giur., 2001: nel caso la Corte ha valutato anche la rilevanza
disciplinare del comportamento per la violazione da parte del lavoratore del dovere di non
ritardare la propria guarigione).
2) Ancora, è stata ritenuta ingiustificata l’assenza di un giorno di una dipendente in quanto ella
aveva reiteratamente domandato di assentarsi dal servizio nella medesima giornata della
presunta malattia, ma tale richiesta era stata respinta dal datore di lavoro; nel caso, poi, il
certificato non era stato rilasciato da un medico del Servizio sanitario nazionale e non indicava
l’esecuzione di nessuna visita alla paziente (Trib. Milano, 3 luglio 1991, in Orient. Giur. Lav.,
1991, 754).
E) Il contrasto di valutazioni tra il contenuto del certificato del medico curante del lavoratore e
gli accertamenti compiuti dal medico di controllo: in tal caso, il giudice di merito non deve
recepire acriticamente la certificazione ufficiale, ma deve compiere un esame comparativo tra i
due certificati al fine di stabilire quale delle due contrastanti certificazioni sia maggiormente
attendibile (Cass. Sez. lavoro, 5 settembre 1988, n. 5027, in Dir. Lav., 1988, II, 371; Cass. civ., 11
novembre 1982, n. 5969).
F) Infine, come anticipato, anche l’omessa visita al paziente può costituire un valido motivo di
contestazione del certificato medico (Cass. Sent. n. 3705, 9 marzo 2012, cit.).
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RIFERIMENTI NORMATIVI:
- Art. 2110 c.c.;
- Art. 5, legge n. 300 del 1970;
- Art. 25, legge 4 novembre 2010, n. 183.
RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI:
- Cass. civ. Sez. lavoro, 10 maggio 2000, n. 6010;
- Trib. Milano, 16 settembre 1998;
- Cass. civ. Sez. lavoro, 27 dicembre 1997, n. 13056;
- Trib. Parma, 14 gennaio 2000;
- Cass. Sez. lavoro, 13 febbraio 1990, n. 1044;
- Cass. Sez. lavoro, 22 maggio 1999, n. 5000;
- Cass. Sez. lavoro, 14 gennaio 1987, n. 217;
- Cass. Sez. lavoro, 11 maggio 2000, n. 6045;
- Cass. Sez. lavoro, 3 luglio 1987, n. 5830;
- Cass. civ., 5 novembre 1985, n. 5387;
- Cass. civ., 18 aprile 1985, n. 2572;
- Cass. civ., 11 agosto 1983, n. 5356;
- Cass. Sez. lavoro, 5 maggio 2000, n. 5622;
- Pret. Parma, 22 luglio 1995;
- Trib. Parma, 7 novembre 1996;
- Trib. Parma, 14 gennaio 2000;
- Pret. Torino, 19 gennaio 1989;
- Trib. Roma, 2 giugno 2000;
- Cass. civ. Sez. lavoro, 3 maggio 2001;
- Trib. Milano, 3 luglio 1991;
- Cass. Sez. lavoro, 5 settembre 1988, n. 5027;
- Cass. civ., 11 novembre 1982, n. 5969;
- Cass. Sent. n. 3705 del 9 marzo 2012.
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