martedì 22 maggio 2012

Demansionamento ad un livello inferiore rispetto a quello ricoperto prima dell’affidamento dell’incarico dirigenziale

Corte di Cassazione Sezione Lavoro - Sent. del 17.05.2012, n. 7723
Presidente De Renzis -Relatore Filabozzi

Svolgimento del processo

P.G.D.L. , dipendente del Comune di (…) con la qualifica di Vice Comandante della Polizia municipale, ha chiesto che venisse accertata l’illegittimità del provvedimento di revoca dell’incarico dirigenziale con il quale gli erano state assegnate le funzioni di Comandante di Polizia municipale in ragione della temporanea assenza del titolare, funzioni che aveva svolto ininterrottamente fino al 19.6.2003, quando l’Amministrazione aveva ricoperto il posto in questione tramite contratto di diritto privato a tempo determinato. Ha chiesto altresì che venisse accertato il suo diritto ad essere reintegrato in dette funzioni fino al rientro del titolare del posto con conseguente condanna dell’Amministrazione al pagamento delle relative differenze retributive, nonché al risarcimento di tutti i danni da lui subiti per effetto del demansionamento al quale era stato costretto nel periodo successivo alla revoca dell’incarico, ivi compreso il danno morale e quello biologico, ed inoltre al pagamento delle differenze retributive spettanti per le ferie maturate e godute ma pagate in misura inferiore al dovuto.
Il Tribunale di Vasto ha parzialmente accolto la domanda, condannando il Comune al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 61.647,90 a titolo di differenze retributive e di retribuzione per ferie, con sentenza che è stata riformata dalla Corte d’appello di L’Aquila, che ha rigettato la domanda ritenendo che, non avendo il ricorrente diritto ad essere inquadrato nella qualifica superiore, non consentendolo il disposto dell’art. 52 d.lgs. n. 165/2001, questi non avesse neanche diritto di continuare a percepire gli emolumenti connessi a tale qualifica, una volta che, revocato l’incarico, era cessato anche l’espletamento delle mansioni superiori. Con la stessa sentenza la Corte d’appello ha rilevato l’esistenza del giudicato interno sulla statuizione con cui il Tribunale aveva ritenuto (implicitamente) la legittimità del provvedimento di revoca ed ha poi respinto le domande risarcitorie osservando che dalle risultanze istruttorie non era stata confermata la sussistenza di comportamenti vessatori o discriminatori nei confronti del lavoratore e che, comunque, ai fini della quantificazione dell’eventuale pregiudizio economico subito dall’appellato, non poteva essere preso in considerazione il trattamento economico da lui percepito nell’espletamento dell’incarico dirigenziale.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione D.L.G.P. affidandosi a quattro motivi, ognuno articolato in diverse censure, cui resiste con controricorso il Comune di Vasto.
Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sulla domanda relativa alle differenze di retribuzione per ferie, nonché omessa motivazione e violazione di norme di diritto sullo stesso punto.
2,- Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza per ultrapetizione o extrapetizione relativamente al punto in cui la Corte territoriale si è pronunciata sull’esistenza di un diritto all’inquadramento in mansioni superiori, che non era mai stato rivendicato dal ricorrente, e si denuncia violazione degli artt. 52 d.lgs. n. 165/2001 e 109 d.lgs. n. 267/2000, sostenendo che la p.a. non può avere un potere di revoca ad nutum, e ciò anche se l’incarico dirigenziale è attribuito a tempo determinato (come nella caso all’esame, in cui l’incarico era stato attribuito in ragione della temporanea destinazione del dirigente ad altro incarico). Si denuncia inoltre violazione degli artt. 324 e 329 c.p.c. in relazione alla statuizione con cui la Corte di merito ha ritenuto essersi formato il giudicato (implicito) sulla questione della legittimità del provvedimento di revoca.
3.- Con il terzo motivo si denuncia il vizio di omessa o insufficiente motivazione sulla questione del danno biologico, morale e professionale, elencando una serie di comportamenti dell’Amministrazione dai quali dovrebbe desumersi l’esistenza del c.d. “mobbing”, e così la rimozione dall’incarico dirigenziale e l’attribuzione di mansioni inferiori anche a quelle ricoperte prima dell’attribuzione di tale incarico, l’assegnazione di una sede di lavoro fatiscente e priva di qualsiasi attrezzatura, l’attribuzione di incarichi privi di reale consistenza e comunque non confacenti al suo curriculum professionale.
4.- Con il quarto motivo si denuncia il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, nonché la violazione degli artt. 2103 c.c., 1 e 52 d.lgs. n. 165/2001, riguardo alla questione del demansionamento ad un livello addirittura inferiore rispetto a quello ricoperto prima dell’affidamento dell’incarico dirigenziale.
5.- Il primo motivo è fondato. Come risulta chiaramente dalla motivazione della sentenza impugnata, la Corte territoriale ha effettivamente omesso di pronunciarsi sulla questione relativa alla differenze di retribuzione per ferie, questione che era stata oggetto di un capo della domanda autonomamente apprezzabile e sulla quale, pure, si era pronunciato il primo giudice. Anche il Comune, del resto, finisce per riconoscere che il giudice d’appello non si è pronunciato “esplicitamente” sulla questione, pur ritenendo che lo stesso giudice abbia implicitamente ritenuto fondate le considerazioni espresse sullo specifico punto dall’ente appellante. Né la questione poteva ritenersi assorbita dal rigetto della domanda di condanna alla corresponsione delle differenze retributive richieste per il periodo successivo alla revoca dell’incarico dirigenziale, trattandosi evidentemente di domande fondate su presupposti diversi e relative a distinti periodi di lavoro (rispettivamente, quello di svolgimento dell’incarico dirigenziale e quello successivo alla revoca dello stesso incarico).
6.- Il secondo motivo deve ritenersi inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione. Il ricorrente denuncia, infatti, l’esistenza di alcune ipotesi di error in procedendo e di violazione di legge relative tutte alla delibazione operata dalla Corte d’appello in ordine alla questione della legittimità della revoca dell’incarico dirigenziale. Al riguardo, è assorbente il rilievo che nel ricorso non è stato riportato il contenuto integrale del provvedimento con cui a suo tempo venne conferito “fino a revoca” l’incarico dirigenziale, né quello del provvedimento di revoca dell’incarico, e neppure è stato adeguatamente specificato il contenuto del ricorso introduttivo (salvo il richiamo assai limitato di alcuni passi di tale atto), non potendo così ritenersi consentita a questa Corte l’esatta individuazione della situazione di fatto della quale si è chiesta una determinata valutazione giuridica, diversa da quella compiuta dal giudice a quo asseritamente erronea, e, in definitiva, la precisa individuazione dell’oggetto del devolutum. Dovendo rimarcarsi, quanto alla denuncia dell’error in procedendo (quale indubbiamente è il vizio di ultra o extrapetizione), che, pur essendo in questa ipotesi il giudice di legittimità anche giudice del fatto, perché sorga il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti di causa è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale, dovendo tale potere-dovere essere utilizzato solo per accertare la fondatezza dei motivi e non per integrare motivi inammissibili perché privi di rituale compiutezza (cfr. ex plurimis Cass. n. 16245/2005, Cass. n. 8575/2005, Cass. n. 1170/2004, Cass. n. 6055/2003).
7.- Alla luce dei principi richiamati sub 6), deve ritenersi inammissibile anche il terzo motivo. Anche in questo caso, infatti, il ricorrente, pur denunciando l’esistenza di vizi di motivazione relativi alla valutazione degli elementi che sarebbero emersi dalle prove documentali e da quelle testimoniali a dimostrazione dell’insorgenza, nel caso concreto, di una serie di condotte vessatorie e persecutorie poste in essere dall’ente nei confronti del lavoratore, ha riportato solo parzialmente il contenuto di tali documenti e delle deposizioni testimoniali che sarebbero state trascurate o insufficientemente valutate dal giudice d’appello e dalle quali dovrebbe ricavarsi la prova di tali comportamenti, conseguendone anche in questo caso l’inidoneità delle censure espresse a radicare un deducibile vizio di legittimità della valutazione operata dalla Corte d’appello.
8.- Il quarto motivo è fondato. Con riguardo alla questione relativa all’asserito demansionamento ad un livello inferiore rispetto a quello ricoperto prima dell’affidamento dell’incarico dirigenziale, la Corte territoriale ha motivato la statuizione di rigetto sul rilievo che “anche con riferimento all’asserito “duplice demansionamento” rispetto al livello D1 - originariamente ricoperto dal D.L. prima del conferimento temporaneo nell’incarico di Comandante del Nucleo di Polizia Municipale - disposto dal Comune con l’assegnazione ai nuovi incarichi mediante i provvedimenti di assegnazione del 21.9.2003 e 26.10.2004, il D.L. quantifica il pregiudizio economico subito prendendo sempre in considerazione lo stipendio percepito nell’espletamento del suddetto incarico dirigenziale, che, invece, era solo temporaneo e successivamente è stato legittimamente revocato”.
La motivazione sul punto presenta una obiettiva inadeguatezza ed un evidente vizio logico, perché, come rilevato dal ricorrente, una errata quantificazione del pregiudizio asseritamente subito per effetto di una dequalificazione professionale non ne esclude l’esistenza, così come non esclude l’esistenza della dequalificazione da cui deriva tal pregiudizio, né può essere addotta come unico motivo per il rigetto della domanda risarcitoria, ben potendo il giudice, una volta che abbia ritenuto provata l’esistenza del pregiudizio correlato a tale demansionamento e alla dequalificazione del lavoratore, determinarne l’entità anche in via equitativa - come, del resto, è stato richiesto anche dal ricorrente con l’atto introduttivo - sulla base degli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto (cfr. Cass. n. 29832/2008, Cass. n. 14729/2006, Cass. n. 26666/2005).
9.- In conclusione, devono essere accolti il primo e il quarto motivo e rigettati gli altri in quanto inammissibili.
10.- La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio ad altra Corte di merito, che si designa in quella di Roma, che procederà ad un nuovo esame delle questioni controverse alla stregua delle considerazioni sopra svolte sub 5) e 8) e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il quarto motivo, rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma anche per le spese.



Depositata in Cancelleria il 17.05.2012