N. 02060/2012REG.PROV.COLL.
N. 00750/2004 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 750 del 2004, proposto da:
Lorenzi Rodolfo, in qualità di titolare della Ditta Eurospin, Forcellini Remo e Forcellini Glauco, in «qualità di comproprietari della p.ed. 2302», rappresentati e difesi dagli avvocati Sergio Dragogna e Maurizio Calò, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Antonio Gramsci, n. 36;
Lorenzi Rodolfo, in qualità di titolare della Ditta Eurospin, Forcellini Remo e Forcellini Glauco, in «qualità di comproprietari della p.ed. 2302», rappresentati e difesi dagli avvocati Sergio Dragogna e Maurizio Calò, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Antonio Gramsci, n. 36;
contro
Comune di
Merano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli
avvocati Mirio Carbucicchio, Carlo Alberto Troili Molossi, con
domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Manlio Gelsomini, n.
4;
e con l'intervento di
Ditta
Individuale Lorenzi Mirko - Eurospin, rappresentata e difesa
dall’avvocato Maurizio Calò, con domicilio eletto presso quest’ultimo in
Roma, via A. Gramsci, n. 36;
per la riforma
della
sentenza del 14 novembre 2003, n. 427 del Tribunale regionale di
giustizia amministrativa-sezione autonoma per la Provincia di Bolzano.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore
nell'udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2012 il Cons. Vincenzo
Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Calò e Troili Molossi.
FATTO
1.–
Con licenza del 6 aprile 1987, n. 1650 il Sindaco del Comune di Merano
ha autorizzato la ditta Forcellini Glauco &C- s.n.c.
(successivamente divenuta Forcellini Glauco & Remo s.n.c.) ad
esercitare in Merano, alla via WolKenstein, numeri 27-29, la vendita al
dettaglio per le tabelle merceologiche I-VI-VII.
Con
atto dell’assessore comunale al commercio del 4 ottobre 1994 – adottato
su parere favorevole del 27 settembre 1994 della commissione comunale
del commercio al dettaglio – la ditta è stata autorizzata al
trasferimento dell’azienda dalla via ove era ubicata alla via Zuegg n.
32 che si trova nella medesima zona comunale 5 (Maia Bassa Ovest).
Con
atto dell’assessore comunale al commercio adottato nel febbraio del
1995 la ditta veniva autorizzata ad ampliare la superficie di vendita da
289 a 489 mq.
Successivamente i sig.ri Forcellini
hanno ceduto l’azienda al sig. Lorenzi Rodolfo, il quale ha richiesto
la volturazione dell’autorizzazione all’esercizio della relativa
attività.
A questo punto il Comune ha adottato i seguenti atti amministrativi:
a)
atto del Sindaco del 22 gennaio 1996, prot. n. 13440, di revoca
dell’autorizzazione del febbraio 1995 all’ampliamento della superficie
di vendita sopra riportata;
b) atto del Sindaco
del 22 gennaio 1996, prot. n. 12386, di diniego di volturazione
dell’autorizzazione di vendita al dettaglio per impedimento urbanistico
costituito dalla incompatibilità dell’attività con la destinazione
produttiva impressa all’area;
c) ordinanza del
Sindaco del 20 febbraio 1996, prot. n. 4723-95, con la quale è stata
disposta la sospensione di qualsiasi attività di commercio al dettaglio
per intervenuto abusivo «cambio di destinazione d’uso»;
d)
atto dell’assessore comunale al commercio del 18 marzo 1996, prot. n.
31098, avente ad oggetto la rettifica della decisione assunta dalla
commissione comunale per la disciplina del commercio di parere
favorevole al trasferimento dell’azienda;
e)
ordinanza del Sindaco dell’11 aprile 1996, prot. n. 3107, con la quale è
stato ordinato il ripristino dei luoghi nello stato anteriore al
cambiamento di destinazione d’uso.
1.1.– Tutti i
provvedimenti riportati sono stati impugnati con due separati ricorsi
innanzi al Tribunale regionale di giustizia amministrativa-sezione
autonoma per la Provincia di Bolzano. In sintesi, i motivi della
illegittimità sarebbero rappresentati dal fatto che il piano
commerciale, le cui previsioni dovrebbero prevalere rispetto al piano
urbanistico, consentirebbe la destinazione d’uso contestata dal Comune.
Nel
corso del giudizio è stata impugnata la deliberazione della Giunta
provinciale di Bolzano del 18 dicembre 2000, n. 4961 di approvazione del
nuovo piano urbanistico comunale per non avere lo stesso risolto il
contrasto tra il precedente piano urbanistico generale e le previsioni
del piano commerciale, mantenendo la destinazione dell’area dove si
trova l’esercizio commerciale quale zona produttiva di completamento. In
particolare, si è dedotto che lo stesso non avrebbe tenuto conto del
fatto che la maggiore parte degli edifici avrebbero destinazione
residenziale.
Il Tribunale adito, con sentenza del
1° ottobre 2003, n. 427, ha, previa riunione dei due ricorsi,
dichiarato inammissibile i motivi aggiunti in quanto gli stessi «non
risultano essere stati notificati alla Provincia Autonoma di Bolzano
nella sua qualità di parte processuale in quanto amministrazione
emanante». Gli altri motivi posti a fondamento dei ricorsi sono stati
dichiarati non fondati. In particolare, si è affermato che il piano
urbanistico di Merano, vigente all’epoca dell’adozione degli atti, vieta
che nella zona ove è collocata l’attività degli appellanti si possa
svolgere l’attività commerciale al dettaglio in quanto la stessa è
destinata ad insediamenti produttivi come risulterebbe anche dal vincolo
d’uso posto, ai sensi dell’art. 35 della legge provinciale n. 15 del
1972, con deliberazione comunale.
2.– Con l’atto di appello, in epigrafe, la predetta sentenza è stata impugnata per i motivi indicati nei successivi punti.
Si è costituita in giudizio l’amministrazione comunale chiedendo il rigetto dell’appello.
Ha proposto atto di intervento ad adiuvandum la ditta individuale Lorenzi Mirko-Eurospin chiedendo l’accoglimento dell’appello.
Le parti hanno depositato memorie difensive.
3.–
Nell’imminenza dell’udienza pubblica fissata per la discussione gli
appellanti, con nota del 7 febbraio 2012, hanno chiesto che la
trattazione della questione venisse rinviata in quanto la Provincia
Autonoma, con deliberazione della Giunta provinciale del 30 gennaio
2012, n. 154, ha approvato il disegno di legge di liberalizzazione
dell’attività commerciale che consentirebbe lo svolgimento di tale
attività anche nei centri storici e nei centri urbani. L’amministrazione
comunale, con atto del 10 febbraio 2012, si è opposta al rinvio.
Il Collegio ha trattenuto la causa in decisione.
DIRITTO
1.–
La questione all’esame della Sezione attiene al rapporto tra disciplina
del commercio e del territorio e, in particolare, alla correttezza
della sentenza impugnata che ha stabilito che, in relazione alla vicenda
concreta sopra descritta, l’esistenza di vincoli urbanistici
impedirebbero lo svolgimento di una attività commerciale al dettaglio in
zone a destinazione produttiva.
3.– L’appello non è fondato.
4.– In via preliminare, anche ai fini della delimitazione del thema decidendum,
deve essere esaminato il motivo con il quale gli appellanti censurano
la sentenza nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la
impugnazione del nuovo piano comunale di Merano – approvato con
deliberazione della Giunta Provinciale di Bolzano del 18 dicembre 2000,
n. 4961 – per mancata notificazione dei motivi aggiunti alla Provincia.
In particolare, si rileva che – essendo i motivi proposti «ulteriori
mezzi di conferma dell’illegittimità degli atti già impugnati e non
motivi aggiunti concretanti ricorso integrativo ai sensi della legge n.
205 del 2000» – non sarebbe stata necessaria la notifica anche alla
Provincia «non trattandosi di autorità emanante degli atti impugnati e
non essendo parte del contenzioso».
Il motivo non è fondato.
Gli
odierni appellanti hanno impugnato, nel giudizio di primo grado, con lo
strumento dei motivi aggiunti, il predetto provvedimento amministrativo
di approvazione del nuovo piano urbanistico comunale. Nel caso in cui
l’atto sopravvenuto venga adottato da una autorità amministrativa
diversa da quella già evocata in giudizio (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 22
ottobre 2002, n. 5813), come è avvenuto nella specie, è necessario che
il ricorso venga ad essa notificato. Nella vicenda in esame non avendo
gli appellanti proceduto alla rituale notificazione del ricorso per
motivi aggiunti il Tar li ha correttamente dichiarati inammissibili.
E’
bene aggiungere che il provvedimento in esame è stato impugnato con un
autonomo ricorso notificato alla Provincia di Bolzano che è stato
definito con sentenza di rigetto dello stesso Tar del 31 maggio 2010, n.
158, oggetto, a sua volta, di appello ancora pendente. Tuttavia, gli
atti impugnati in questo giudizio sono stati adottati vigenti il
pregresso strumento urbanistico comunale. L’eventuale modifica
sopravvenuta della pianificazione urbanistica potrà soltanto legittimare
gli appellanti a presentare, eventualmente, una nuova domanda di
autorizzazione all’esercizio dell’attività economica.
5.–
Con un primo ordine di motivi si censura la sentenza impugnata per
avere la stessa addotto ragioni di ordine urbanistico per giustificare
la «compressione del principio costituzionale della libera iniziativa
economica». Gli appellanti assumono, invece, che il piano del commercio
e, più in generale, la disciplina provinciale del commercio
consentirebbe lo svolgimento della relativa attività nella zona ove è
stata trasferita l’attività stessa. Ne consegue che alla stessa dovrebbe
essere attribuita prevalenza, per la sua natura speciale, rispetto a
previsioni eventualmente discordanti del piano regolatore generale. Né,
si rileva nell’atto di appello, potrebbe assumere rilevanza il vincolo
d’uso, posto ai sensi dell’art. 35 della legge provinciale n. 15 del
1972, in quanto tale vincolo avrebbe rilevanza esclusivamente a fini
urbanistici e non anche «ai fini della regolamentazione del commercio».
I motivi non sono fondati.
In via preliminare è necessario stabilire quale sia il rapporto esistente tra la disciplina del commercio e quella urbanistica.
Le
prescrizioni contenute nei piani urbanistici, rispondendo all’esigenza
di assicurare un ordinato assetto del territorio, possono porre limiti
agli insediamenti degli esercizi commerciali e dunque alla libertà di
iniziativa economica. La diversità degli interessi pubblici tutelati
impedisce di attribuire in astratto prevalenza, come sostenuto dagli
appellanti, al piano commerciale rispetto al piano urbanistico. La
giurisprudenza amministrativa, sia pur con riguardo a fattispecie
diverse da quella in esame, ha più volte affermato questo principio
(Cons. Stato, sez. V, 28 maggio 2009, n. 3262; Id., sez. IV, 5 agosto
2005 , n. 419).
Chiarito ciò, occorre, adesso,
valutare come sia stato, nell’ambito della Provincia di Bolzano
all’epoca dell’adozione degli atti impugnati, costruito il rapporto tra
la pianificazione del commercio e la pianificazione urbanistica.
La legge provinciale 24 ottobre 1978, n. 68 (Disciplina del commercio), vigente ratione temporis,
ha disciplinato il piano comunale di adeguamento della rete di vendita.
In particolare, l’art. 11 ha stabilito che il predetto piano dovrà
determinare «le norme che regolano l’insediamento di attività
commerciali da inserirsi nei piani urbanistici». Alla luce di tale
normativa risulta, pertanto, contrariamente a quanto affermato dagli
appellanti, che è stata prevista una norma di coordinamento tra la
pianificazione commerciale e quella urbanistica.
Ma
anche a volere ritenere che la disciplina del commercio richiamata non
impedisse, al momento della sua adozione, lo svolgimento della vendita
al dettaglio nella zona ove l’attività è stata trasferita nondimeno la
successiva disciplina urbanistica, di seguito riportata, ha chiaramente
vietato che detta attività potesse, all’epoca dell’adozione degli atti
impugnati, essere autorizzata.
Il piano
urbanistico comunale del Comune di Merano, approvato con deliberazione
della Giunta provinciale 24 agosto 1981, n. 4701, ha, infatti, incluso
l’area ove si svolge l’attività degli appellanti nell’ambito della zona
«artigianale, piccola industria e commercio» destinandola
prevalentemente ad insediamenti produttivi.
Con
deliberazione della giunta comunale dell’11 settembre 1985 n. 1440
l’area in esame è stata assoggettata, ai sensi dell’art. 35 della legge
provinciale n. 15 del 1972, al predetto vincolo d’uso che, prevede la
medesima disposizione, «rimane in vigore fino al cambiamento della
destinazione urbanistica della zona del piano urbanistico comunale».
L’art.
45, comma 10, del decreto del Presidente della Giunta provinciale 26
ottobre 1993, n. 38 (Approvazione del testo unico delle leggi
provinciali in materia urbanistica), vigente all’epoca dell’adozione
degli atti impugnati, stabilisce che nelle predette zone è ammesso il
rilascio dell’autorizzazione amministrativa per il commercio al
dettaglio solo in funzione della prevalente attività commerciale o
industriale e limitatamente agli articoli della gamma merceologica
strettamente legati all’attività principale. Per le aziende di commercio
all’ingrosso le autorizzazioni amministrative per il commercio al
dettaglio sono ammissibili solamente per combustibili, materiali edili,
prodotti per l’esercizio dell’agricoltura, automobili, macchine utensili
e mobili.
Alla luce di quanto sin qui esposto,
deve, pertanto, ritenersi che la disciplina urbanistica dell’area in
esame vietava che in essa si potesse svolgere l’attività di commercio al
dettaglio.
In definitiva, l’amministrazione
provinciale ha agito nel rispetto della normativa che – al momento
dell’adozione degli atti impugnati incluso quello che ha revocato
l’autorizzazione all’ampliamento della superficie di vendita –
disciplinava l’esercizio del potere nel settore in questione.
Quanto
esposto non esclude ovviamente che il legislatore, nel rispetto delle
competenze costituzionalmente previste, possa adottare una legge che
operi un diverso bilanciamento degli interessi e attribuisca maggiore
rilevanza all’esigenza di assicurare la libertà economica connessa
all’esercizio dell’attività commerciale.
In questa
direzione si muove la recente legge provinciale del 16 marzo 2012 n. 7 –
non applicabile nella specie – con cui è stato liberalizzato il
commercio al dettaglio nella Provincia di Bolzano (art. 1). Per quanto
attiene specificamente lo svolgimento di tale attività nelle zone
produttive si è previsto che «stante la scarsità di aree idonee
all’esercizio di attività produttive e di commercio all’ingrosso e in
considerazione del prevalente interesse generale di salvaguardia delle
esigenze dell’ambiente urbano, della pianificazione ambientale e del
traffico, e di quelle culturali e sociali, finalizzato all’integrazione
del commercio al dettaglio nelle zone residenziali, il commercio al
dettaglio nelle zone produttive è ammesso solo quale eccezione nei casi»
che vengono specificamente indicati.
5.– Con un
secondo ordine di motivi gli appellanti hanno dichiarato di volere
«integralmente» devolvere in appello i motivi proposti «contro gli atti»
impugnati in primo grado, riportandosi «per economia processuale, in
forma sintetica con rinvio allo loro stesura integrale nei rispettivi
ricorsi». Con riguardo ad entrambi i ricorsi di primo grado, n. 160 e n.
361 del 1996, vengono riportati alle pagine 19-21 dell’atto di appello
la indicazione delle violazioni prospettate nella rubrica dei ricorsi
stessi.
I motivi sono inammissibili.
L’art.
346 cod. proc. civ. – applicabile prima dell’entrata in vigore del
codice del processo amministrativo che ne ha sostanzialmente recepito il
contenuto (v. art. 101, secondo comma) – prevede che le domande non
accolte nella sentenza di primo grado devono essere «espressamente»
riproposte.
Nel caso in esame gli appellanti hanno
richiamato, solo enunciandole e senza illustrarle né svolgerle, tutte
le censure prospettate senza distinguere quelle che non sono state
accolte e quelle che non sono state esaminate. Il principio di
specificità delle censure in sede di appello e l’obbligo di pronunciarsi
nei limiti della domanda impediscono al Collegio di effettuare una
distinzione tra i motivi di primo grado al fine di valutare quali sono
stati esaminati dal Tar e quali no. Nella specie, tra l’altro, dalla
lettura dei ricorsi di primo grado, se si escludono alcune
specificazioni argomentative, non emerge con chiarezza quale sarebbe la
parte di doglianze non esaminate dal giudice di primo grado.
In
definitiva, la generica modalità di riproposizione dei motivi – che gli
appellanti hanno dichiarato non essere stati oggetto di valutazione da
parte del giudice di primo grado – rende inammissibili i relativi motivi
di appello.
6.– La natura della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta,
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo
respinge.
Le spese del giudizio sono integralmente compensate tra le parti del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2012 con l’intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/04/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)